LA TRAPPOLA DEI CASI PIETOSI
La trappola diabolica dei “casi pietosi”. L’ondata di relativismo morale che ha investito anche la Chiesa: il concetto di buon cuore è un concetto laico (e massonico) e non ha nulla a che fare col concetto cristiano della bontà
di Francesco Lamendola
Il codice morale di una intera società non può essersi capovolto, quasi da una generazione all’altra, per cause naturali. Le tendenze naturali agiscono molto lentamente e prima di giungere non a una serie di parziali modifiche, ma ad un ribaltamento completo, ci vogliono secoli. Invece nel caso della società europea il ribaltamento completo c’è stato e si è consumato nel giro di pochi decenni: una generazione o due al massimo. Qui stiamo parlando non di tutto l’Occidente, non degli Stati Uniti, in particolare, ma della sola Europa; e in modo speciale dell’Europa che è stata cattolica fino alla prima metà del Novecento e che, nel corso di millecinquecento anni, è stata formata, nutrita e sostenuta dalla visione cattolica della vita.
Naturalmente esistono delle differenza fra un Paese e l’altro: in Francia, per ovvie ragioni, il processo di secolarizzazione e di vera e propria scristianizzazione era già avanzato, sebbene, nelle province e nelle campagne, l’antico spirito cattolico resistesse ancora; in Italia, il tracollo è avvenuto a partire dagli anni del “miracolo economico”; in Polonia e in altri paesi dell’Europa centro-orientale, l’ondata non si è ancora abbattuta in tutta la sua forza, anche se ormai nessun luogo ne è immune e nessuna comunità può considerarsi al sicuro. In tutti questi Paesi, per non parlare di quelli di cultura protestante, che sono stati colpiti dal fenomeno ancor prima, si è verificato non solo uno slittamento, ma un autentico capovolgimento della morale: ciò che fino a qualche anno fa era giusto, ora comincia ad esser considerato sbagliato; e ciò che era sbagliato, e perciò riprovato dalla coscienza delle persone, ora appare giusto, ovvio e naturale. La laicizzazione della società e il prevalere del Nomos imposto dai parlamenti e, poi, dalle istituzioni sovranazionali, come le Nazioni Unite e l’Unione Europea, largamente ispirate e dominate dalla massoneria e quindi pervase da uno spirito anticristiano, spiega solo in parte il fenomeno. La verità è che l’ondata di relativismo morale ha investito anche la Chiesa e si è fatta sentire ampiamente anche all’interno delle comunità cattoliche e dalla coscienza cattolica, non esclusi i seminari e le facoltà teologiche: anzi, per dir meglio, proprio a partire da questi. Infatti è solo dopo che i settori “progressisti” del clero hanno incominciato a rimettere in discussione la morale tradizionale – sui temi del divorzio, dell’aborto, dell’eutanasia, della omosessualità, della fecondazione eterologa – che la massa dei cattolici ha incominciato a fare altrettanto, seguendone le indicazioni. È stato il clero, anzi è stata l’élite intellettuale del clero, a perdere la fede per prima e a iniziare lo scardinamento e il capovolgimento del codice morale ad essa legato; i laici se ne stavano distaccando, è vero, dal punto di vista della vita pratica, ma nessun laico cattolico, in quanto cattolico, era mai arrivato a sostenere apertamente che il bene è male e che il male è bene: per esempio, che lo spirito contemplativo e la vocazione claustrale sono frutto di tendenze disordinate o patologiche, e che, viceversa, il divorzio, l’aborto e l’omosessualità sono conquiste di civiltà, che la Chiesa dovrebbe riconoscere pienamente. Per giungere a tali aberrazioni, era necessario che si facessero avanti i teologi progressisti e i sacerdoti e i vescovi di strada, come amano definirsi, con espressione più veritiera di quel che essi non credano: cioè i porno-teologi, come li chiamava Cornelio Fabro, e ora i porno-preti e porno-vescovi, come li chiamiamo noi, per logica estensione del concetto.
La bontà cristiana non è buonismo, non è pietismo, non è vittimismo, non ha niente a che fare con tutti questi ismi che sono frutti della cultura moderna, edonista e materialista.
Ora, la domanda è quale sia stata la strategia che ha permesso a costoro, i quali, trenta o quarant’anni fa, erano una minuscola minoranza, e che ancora vent’anni fa, pur essendo cresciuti alquanto sia di numero, sia di potere e di influenza, restavano pur sempre una netta minoranza, di giungere al fine che si proponevano: l’intorbidamento, lo scardinamento e infine il capovolgimento della morale, e ciò non a titolo personale, ma per mezzo di azioni e pronunciamenti formali da parte della chiesa, o meglio della neochiesa, cioè di quell’insieme di strutture, di funzioni e di persone che si sono illecitamente sovrapposte alla vera Chiesa, oscurandola e prendendone il posto, come nel caso della moneta falsa che viene immessa sulla piazza e si sovrappone alla moneta autentica, sorprendendo la buona fede della gente e creando una situazione di caos pressoché inestricabile nella circolazione del denaro. Ebbene, ci pare che a questa domanda si possa rispondere abbastanza agevolmente: la strategia vincente, di cui costoro si sono serviti, è stata quella di sfruttare l’effetto emotivo provocato dai casi pietosi, scelti in modo da servire da grimaldello per scardinare l’intero edificio della morale, mediante il meccanismo delle eccezioni. Prendiamo, come caso esemplare, il divorzio: di fatto, anche storicamente, l’introduzione della legge sul divorzio e la sconfitta politica delle forze referendarie favorevoli alla sua abrogazione, coi cattolici in prima fila, si è attuata mediante uno schema poi ripetuto, con successo, per tutte le altre “battaglie di civiltà” condotte dalle forze progressiste, ivi compresi i sedicenti cattolici progressisti (i quali, di cattolico, hanno mostrato di aver conservati solamente il nome). Lo schema è questo: si è partiti dal riconoscimento della utilità e necessità del matrimonio; quanto meno, nessuno lo ha attaccato e contestato frontalmente. In compenso, si è portata all’attenzione dell’opinione pubblica la miserevole condizione in cui vivono le famiglie, bambini compresi, nelle quali uno dei coniugi viene meno a tutti i suoi doveri e rende impossibile la vita agli altri: o per il suo carrettere violento, o per il vizio dell’alcol o della droga di cui è preda, o per altre cause gravissime e difficilmente eliminabili o modificabili. E si è chiesto:chi se la sente di dire che una simile famiglia rappresenta ancora un valore? Quando la moglie, per esempio, viene maltrattata, picchiata, perfino minacciata di morte, dalla cieca violenza di un marito cronicamente aggressivo e totalmente irresponsabile; quando i figli devono assistere, quotidianamente, a scene degradanti e angosciose di cattiveria e crudeltà fra i loro genitori, senza niente e nessuno che li possa proteggere e prendersi cura di loro, ebbene, non è forse evidente che il divorzio è l’unica soluzione possibile e ragionevole? Non si tratta di attaccare la norma, bensì di riconoscere l’esistenza delle eccezioni. Il matrimonio è un bene, ma vi sono matrimoni nei quali esso è degenerato in un male irrimediabile: con quale diritto si condanna a una vita d’inferno le persone che hanno la sfortuna di trovarsi in simili situazioni? Questo per il matrimonio civile, cioè per il matrimonio come mero contratto sociale. E il matrimonio-sacramento, il solo matrimonio riconosciuto come tale dai cattolici, almeno fino a qualche decennio fa? Ecco: i cattolici progressisti hanno detto: noi crediamo che il matrimonio religioso sia indissolubile; ma chi siamo noi per impedire a due sposi, sposati civilmente, di rifarsi una vita, o anche a due sposi cattolici, venutisi a trovare in situazioni impreviste e imprevedibili, drammatiche e pericolose, chi siamo noi per dire “no”, non avete diritto a sciogliere quel legame malato, dovete rimanere murati nella vostra prigione d’infelicità e di violenza? Tali furono i ragionamenti sbandierati dai cattolici progressisti negli anni ’70 del secolo scorso; tale fu il tenore dei discorsi tenuti da anche da uomini di chiesa, come il sacerdote servita, nonché grande poeta, regista, scrittore (grande, a detta dei suoi ammiratori) David Maria Turoldo. Il quale disse apertis verbis di schierarsi per il “no” alla richiesta di abrogazione; e lo stesso avrebbe fatto, qualche anno dopo, quando si ripropose un analogo referendum circa la questione, ancor più delicata e drammatica, della interruzione volontaria della gravidanza, ovvero dell’aborto volontario.
David Maria Turoldo
Una volta aperta la fessura, si è passati alla fase due: allargarla lentamente ma implacabilmente, sino a trasformarla in una voragine. Come? Facendo passare per casi pietosi delle situazioni sempre meno drammatiche di quelle presentate al principio, ma pur sempre caratterizzate da un certo grado di sofferenza. Perché la legge, il Nomos, funziona così: è assoluta, in quanto riguarda il bene comune; ma quando si introduce l’eccezione, il bene privato passa davanti al bene comune; e una volta che questa operazione è stata compiuta, diventa praticamente impossibile porvi un argine, perché sempre nuovi soggetti si fanno avanti a esigere, anch’essi, l’applicazione dello stesso principio, ossia che il bene individuale prevalga sul bene comune. Il bene comune, nel caso del divorzio, riguarda innanzitutto i figli: il divorzio dei genitori è un male per essi, anche se legioni di psicologi e di sociologi progressisti vengono a giurare e spergiurare l’esatto contrario. Può essere non un bene, ma il male minore, solamente in casi rarissimi ed estremi; così come solamente in casi rarissimi ed estremi si può giustificare l’intervento dello Stato nella vita familiare, allorché un giudice, su segnalazione dei servizi sociali, assume la grave decisione di sottrarre la patria potestà ai genitori e allontanare da essi i figli minorenni. Naturalmente, per il cattolico questo ragionamento dovrebbe apparire estraneo e improponibile sin dall’inizio, dal momento che il matrimonio cattolico è una legge divina, e la sua violazione corrisponde alla rottura di un Sacramento. Perciò, per un cattolico, il concetto stesso di rottura del matrimonio è un controsenso: non ha forse dichiarato Gesù Cristo: l’uomo non separi ciò che Dio ha unito? E lo ha detto in una società, quella ebraica del I secolo, nella quale tutti indistintamente ammettevano la liceità del divorzio, e la sola discussione verteva fra quelli che lo ritenevano lecito in qualsiasi caso, e quelli che lo limitavano al caso specifico dell’adulterio da parte della donna. Gesù, dunque, non ha avuto alcuna paura di parlare in maniera impopolare: sapeva benissimo di andare contro il sentire comune della sua gente; eppure non ha esitato un istante a esprimere il suo pensiero in modo forte e senza alcuna ambiguità, ben sapendo di dispiacere ai suoi uditori e d’inimicarsi gli anziani e i capi del popolo (mentre i cattolici progressisti, e specialmente i gesuiti, pare che siano letteralmente dominati dalla preoccupazione di non allontanare la gente e di restar soli ad annunciare il Vangelo). Pure, i cattolici progressisti, e prima di loro i teologi progressisti e il clero progressista, non hanno esitato ad assumere il punto di vista del mondo e non quello del Vangelo; hanno ragionato sulla questione del divorzio non da cattolici, ma da progressisti e da amici del mondo. Pur di piacere agli uomini, non hanno esitato a dispiacere a Dio: e ciò dimostra che la loro fede se n’era già andata chissà dove, e che i tempi erano maturi per l’assalto frontale alla morale riconosciuta, da parte delle forze anticattoliche e anticristiane. Ora, che tali forze fossero già largamente penetrare all’interno della Chiesa, e non agissero più, come in passato, principalmente dall’esterno, è un fatto senza dubbio nuovo e altamente significativo, ma non sposta in modo sostanziale i termini della questione: semmai resta da capire come sia stato possibile che ciò avvenisse senza che le forze sane, dentro la Chiesa e fra i cattolici laici, si rendessero conto della manovra e dessero l‘allarme, insorgendo con tutte le loro forze affinché non venisse spacciata per buona la moneta falsa.
Una Chiesa trasformata in trattoria: nuova moda della neochiesa bergogliana.
La trappola diabolica dei “casi pietosi”
di Francesco Lamendola
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