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Nella tradizione monastica d’Oriente, al centro della vita spirituale c’è la ricerca dell’apátheia (da non confondere con l’apatia, nonostante il termine italiano derivi da quello greco), cioè di quello stato interiore in cui l’anima non è più soggetta ad alcun turbamento, che provenga dal di fuori o dal suo interno. Non si tratta, qui, dell’atarassia stoica né dell’estinzione del desiderio predicata dal buddhismo (che presuppongono entrambe una certa forma di estraniazione), bensì dello stato in cui l’anima è talmente ricolma di Dio e assorbita dalla Sua presenza che nulla riesce più a scuoterla in profondità. Niente a che vedere, dunque, con una tecnica di autopacificazione individuale: qui si tratta di un effetto della pienezza di carità e di unione. Tale risultato richiede nondimeno una lunga e perseverante pratica di purificazione del cuore e una diuturna collaborazione con la grazia, che va costantemente invocata in un dialogo personale con il Signore.
Il punto di partenza è il riconoscimento del fatto che il nostro stato interiore, in ultima analisi, non dipende dalle circostanze esterne e nemmeno dal ricordo delle esperienze fatte. Indubbiamente il nostro funzionamento psichico è condizionato dalle situazioni in cui viviamo e dagli effetti delle sofferenze passate, ma in qualsiasi congiuntura ognuno di noi conserva intatto il potere di scegliere. Se ci fermiamo al livello delle pulsioni, delle emozioni e dei sentimenti, sul quale le dimensioni corporea, ambientale e relazionale hanno un forte impatto, la nostra interiorità sarà inevitabilmente determinata da fuori e soggetta alle oscillazioni di un’affettività preponderante e indisciplinata. Se invece, ricorrendo alle facoltà superiori, poniamo volta per volta la libera scelta se acconsentire o meno a una pulsione, un’emozione o un sentimento, non ne verremo catturati, ma saremo noi, al contrario, a controllarli. Lo stesso vale per le tentazioni, che, riconosciute e stroncate al primissimo sorgere, possono sempre esser vinte.
Ciò che ci caratterizza come persone è l’intelletto e la volontà. Queste due potenze ci consentono di analizzare quel che avviene nelle facoltà inferiori, di deliberare in modo conforme a ragione e di attuare le nostre decisioni in merito. Molte patologie psichiche (come depressioni, nevrosi e paranoie), almeno a un certo livello, possono essere risolte con reiterate scelte di individuazione e rigetto dei pensieri negativi o irragionevoli, prima che arrivino a offuscare la mente e paralizzare la volontà, così da prendere il sopravvento. Per non limitarsi a “tappare i buchi” all’infinito, tuttavia, è utile anche interrogarsi sulla causa del frequente ricorrere di determinati pensieri o stati d’animo. È qui che entra in gioco la memoria, la quale ha un ruolo ambivalente: i ricordi possono essere usati per alimentare una sofferenza con intenti vittimistici oppure come risorse che permettano di elaborare esperienze dolorose, cioè di riconsiderarle con una consapevolezza più matura e alla luce della fede, in modo tale da disinnescare i meccanismi di difesa con cui abbiamo reagito ad esse e continuiamo a proteggerci da circostanze simili per mera associazione.
Anche in questo caso il libero arbitrio, guidato dalla ragione, svolge un ruolo essenziale: spetta a ciascuno di noi la decisione di spezzare, con l’aiuto della grazia, gli stereotipi che lo imprigionano in un circolo vizioso, tra vittimismo e ribellione. Molto spesso il demonio ci tenta facendo leva su di essi, risuscitando brutti ricordi, esasperando dei bisogni affettivi, accentuando condotte compulsive fino a renderle ingestibili. In questi casi il grado di responsabilità personale può essere più o meno attenuato, ma questo non è un motivo per arrendersi a un “fato” ineluttabile: la libertà di negare l’assenso non è mai soppressa, né quella di lanciare un grido verso il Cielo, sempre attento ad ogni uomo e pronto a intervenire a suo favore. Molte vittorie del nemico sono dovute semplicemente al fatto che non conosciamo a sufficienza il potere del libero arbitrio né la potenza della grazia, così che, non sapendo giovarcene in modo adeguato, soccombiamo troppo presto e troppo facilmente.
I Padri del deserto lo avevano invece appreso dalla loro dura esperienza, così da potersi fare maestri di quanti ricorrevano a loro per consiglio. Ad ogni tipo di cattivi pensieri, sorgenti dei diversi vizi, essi avevano imparato a contrapporre un versetto della Sacra Scrittura: la verità rivelata, riconosciuta dall’intelletto e applicata dalla volontà, è capace di renderci liberi (cf. Gv 8, 32). Certo, bisogna a questo scopo familiarizzarsi con la Bibbia, specie con i Vangeli e con i Salmi; la loro quotidiana frequentazione, a poco a poco, ci fa assimilare il linguaggio e la sapienza di Dio, che lo Spirito Santo ci richiama poi alla mente quando serve. Nel contemplare gli eventi biblici, un ruolo prezioso può svolgere l’immaginazione, purché la si diriga nel senso voluto. Questa pazzerella, lasciata a se stessa, finisce spesso col crearsi un mondo tutto suo, dove l’ansia psicologica e le suggestioni del demonio la fanno da padrone. Mente vigile, dunque, e piedi saldamente a terra…
Vedete allora perché la preghiera precede l’azione? Il rischio di chi prega poco o male è quello di lasciare che il suo agire sia determinato, a sua insaputa, dalle malattie dell’anima e dagli inganni del diavolo. Più si procede in questa direzione, più si diventa refrattari ad ogni salutare avvertimento e ci si avviluppa caparbiamente nelle reti del nemico, pur essendo convinti di operare per puro zelo dei diritti di Dio. In tal caso, c’è un’ultima spia che può ancora accendersi prima che fonda il motore: la costatazione dei danni inflitti agli altri e – non ultimo – alla causa stessa che si pretende di difendere a testa bassa. A questo punto è bene guardarsi intorno con un po’ di umiltà e frenare opportunamente, prima di perdere il controllo della vettura e di finire contro un muro, dopo aver seminato morti e feriti. La speranza in un rinsavimento, per chi ha fede, non è mai morta.
«Se dovessimo uscire fuori di noi per conquistare la virtù, le difficoltà non mancherebbero; ma poiché essa è in noi, guardiamoci dai cattivi pensieri e custodiamo l’anima che il Signore ci ha dato come in deposito, affinché, rimanendo essa nello stato in cui l’ha foggiata, egli riconosca in noi la sua opera. Il nostro impegno sia quello di non essere schiavi dell’ira, di non essere posseduti dalla concupiscenza. Infatti è scritto: “L’ira dell’uomo non compie ciò che è giusto davanti a Dio” (Gc 1, 20) e “La concupiscenza concepisce e genera il peccato e il peccato, quand’è consumato, produce la morte” (Gc 1, 15). Scelto questo metodo di vita, dobbiamo vivere molto sobriamente; è scritto infatti: “Con ogni cura vigila sul cuore” (Pr 4, 23). Abbiamo dei nemici terribili e astuti, i malvagi demoni […]. Sono invidiosi di noi cristiani e cercano con ogni mezzo di impedire la nostra ascesa verso il cielo, da dove essi sono precipitati. È quindi necessaria la continua preghiera, occorre la pratica ascetica perché chi riceve, mediante lo Spirito Santo, la grazia di distinguere gli spiriti possa conoscere […] come possono essere respinti e cacciati via» (sant’Antonio Abate, in sant’Atanasio d’Alessandria, Vita Antonii, 20-22).
Pubblicato da Elia
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