Il Cardinale Ciappi, il teologo di papi, da Pio XII a Giovanni Paolo II (all’inizio del suo pontificato): “Il Terzo Segreto dice che la grande apostasia nella Chiesa inizia dal suo vertice. La conferma ufficiale del segreto de La Salette (1846): “La Chiesa subirà una terribile crisi. Essa sarà eclissata. Roma (il Vaticano) perderà la fede e diventare la sede dell’Anticristo “.
ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...
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venerdì 15 marzo 2019
La buona Compagnia
La Compagnia di Gesù allo sbando. L’atto d’accusa di un grande gesuita
“Mi sembra di essere in buona Compagnia…”. Così un esultante Antonio Spadaro ha salutato via twitter l’uscita di “Confesiones de jesuitas”, la riedizione ampliata di un libro già pubblicato nel 2003 col titolo “31 jesuitas se confiesan”, nel quale ora compare anche lui, assieme ad altri 37 suoi confratelli tra cui alcuni di prima grandezza, vivi e defunti, da Avery Dulles a Carlo Maria Martini, da Roberto Tucci a Tomás Spidlik, da Jon Sobrino a Robert F. Taft, da Adolfo Nicolás ad Arturo Sosa Abascal, ultimi due generali dell'ordine fondato da sant'Ignazio di Loyola.
I curatori del libro, i catalani Valentí Gómez-Oliver e Josep M. Benítez-Riera, scrivono nella prefazione che a stimolare l’aggiornamento di questa raccolta di testimonianze è stata l’elezione del primo papa gesuita della storia. A ciascuno degli interpellati hanno chiesto di “confessare” la loro personale esperienza di vita al fine di comporre una sorta di autoritratto collettivo della Compagnia di Gesù, arrivata oggi con Jorge Mario Bergoglio all’apice della Chiesa.
Ma attenzione. “Confesiones de jesuitas” è lontano dall’essere un libro celebrativo. Padre Spadaro non deve essersene accorto, visto come ha esultato a trovarsi in mezzo a una Compagnia che non risulta affatto essere così “buona”, stando al giudizio di alcuni dei suoi stessi confratelli.
Basta leggere, per capire questo, la “confessione” di Xavier Tilliette, francese, morto a quasi cent’anni il 10 dicembre del 2018 e salutato il giorno dopo su “L’Osservatore Romano” come “non solo un filosofo e un teologo di razza, ma un vero gesuita”-
Tilliette non aveva rivali come studioso del filosofo tedesco Schelling, al quale dedicò un libro monumento a tutt’oggi insuperato. Ma le sue ricerche spaziavano oltre, sul confine tra fede e ragione, procurandogli l’ammirazione e l’amicizia di giganti del pensiero cattolico del XX secolo come Gaston Fessard, Henri de Lubac, Jean Daniélou, Hans Urs von Balthasar, i primi tre anch’essi gesuiti. Ed è tutto da leggere il commosso ricordo che gli dedicò su “L’Osservatore Romano” il confratello Jacques Servais, discepolo di von Balthasar e autore della più importante intervista teologica a Joseph Ratzinger dopo la sua rinuncia al papato.
Ebbene, ecco che cosa scrive – tra molto altro – Tilliette nella sua “confessione”.
Per cominciare, queste sue parole fanno come da titolo a ciò che segue:
“La mia vocazione religiosa nella Compagnia di Gesù fu precoce e praticamente non ha mai vacillato. Solo che negli ultimi decenni, di fronte ai cambiamenti che ne hanno reso irriconoscibili i tratti originari, è stata messa a dura prova e mi sono sorti degli interrogativi: sull’esercizio dei voti, sulla povertà e l’obbedienza, sulla funzione dei superiori, sul futuro della Compagnia”.
Uno dei momenti di svolta fu il 1968, che Tilliette visse a Parigi, proprio mentre si dedicava anima e corpo al suo monumentale studio su Schelling e mentre un suo più celebre confratello gesuita, Michel de Certeau – anni dopo definito da papa Francesco “il più grande teologo per il giorno d’oggi” ma bollato da de Lubac come un "gioachimita" infatuato di una presunta epoca d'oro senza più l’istituzione Chiesa – esaltava invece la rivolta come momento di liberazione totale:
“Ho vissuto molto male la crisi del maggio 1968, dalla quale presi subito le distanze. L’entusiasmo di un Michel de Certeau mi sembrava del tutto fuori luogo. Si assisteva al saccheggio di questa venerabile istituzione, l’università, e di rimbalzo a uno sgretolamento della Compagnia dal quale essa non si è più ripresa”.
Questo “sgretolamento”, Tilliette lo descrive così, in una Compagnia di Gesù diventata irriconoscibile per lui e per tanti altri suoi confratelli:
“In parallelo all’improvviso sommovimento del 1968 e senza relazione con esso, ha avuto luogo la ragionata trasformazione della Chiesa a seguito del Concilio. Ma l’aumento di libertà che ne derivò ebbe conseguenze disastrose per gli scolasticati della Compagnia. In quell’occasione vissi molto male anche l’evoluzione o trasformazione del nostro modo di vita. La ribellione degli scolasticati mi sembrava assurda. Restavo convinto che la Compagnia avesse i nervi più saldi e una forza interiore capace di di superare la crisi senza cedere nulla dell’essenziale. Ma il risultato non è stato quello che speravo. Grazie a Dio, lo spirito si è salvato, ma il corpo dello spirito, la lettera, ha sofferto in forma duratura. È una dura prova quella che è stata inflitta ai gesuiti della mia generazione, della generazione precedente e di quella seguente. Sarà carenza di flessibilità, mancanza di adattamento, però essi non si riconoscono più nello stile di vita rilassata che si è instaurato, non si riconoscono più nell’ordine che in tempi precedenti li accolse. Le congregazioni generali hanno preso atto dei cambiamenti che si sono prodotti nei comportamenti, della volontà di indipendenza dei loro membri, della permissività che viene dalla società civile e che si è diffusa tra noi. Hanno messo da parte il tesoro delle regole, la priorità delle priorità non è più la vita religiosa comunitaria, che è finita a pezzi, ma la preoccupazione per la giustizia e la predilezione per i poveri. Belli ideali che però corrono il rischio di ridursi a mere parole e di essere irrealizzabili dalla gran parte”.
Un momento rivelatore della crisi della Compagnia, Tilliette lo individua in ciò che accadde dopo la morte del cardinale Jean Daniélou, nella casa parigina di una prostituta che egli aveva portato sulla soglia della conversione:
“Qualcosa si è rotto in me dopo la morte del cardinale Daniélou, quando la calunnia circolò anche tra le file della Compagnia e l’atteggiamento dei superiori fu impacciato e mediocre. Invece di volare in soccorso di un confratello assassinato, si consumarono basse vendette. Fu allora che dubitai del mio ordine, del suo discernimento, della sua capacità d’essere solidale. Caddi dall’alto del mio ideale, come Mallarmé. Prima del mio ingresso e nel tempo della mia formazione, avevo un ideale molto alto della Compagnia, del suo spirito di corpo, della sua solidarietà”.
Come professore di filosofia, prima negli istituti di formazione dei gesuiti, poi all’Institut Catholique di Parigi e infine alla Pontificia Università Gregoriana, Tilliette dice d’aver visto evaporare nella Compagnia anche il primato degli “intellettuali”:
“Ho trascorso la mia esistenza di gesuita negli incarichi tradizionali di direttore e professore di collegio, di redattore di riviste e di scrittore, di professore di università. Ho assunto questi compiti austeri convinto che l’umanesimo gesuita sia primordiale e che gli intellettuali siano la pupilla degli occhi della Compagnia. Invece pare che oggi non sia più così e che si dia la preferenza ai ministeri direttamente apostolici. Credo che si faccia di necessità virtù: lo scarso reclutamento non permette di mantenere un alto livello di studi e i superiori non dispongono di soggetti in grado di coprire i vuoti man mano che si aprono. Da questo punto di vista, il futuro della Compagnia è piuttosto oscuro. Si chiudono le case e si relegano gli anziani in residenze dotate di personale medico. Senza dubbio non c’è altra soluzione. Ma ci piacerebbe che questo ripiegamento inevitabile non fosse accompagnato da euforici discorsi di rito, che ricordano gli annunci di una sconfitta in tempo di guerra”.
Tirando le somme, il quadro che tratteggia Tilliette sulla società contemporanea è oscuro, anche per il silenzio dei “superiori”:
“Arrivato all’età in cui si stendono le ombre sul cammino, sento il dovere di confessare una delusione che condivido con molti. Sono cambiato infinitamente meno del contesto vitale che mi circonda ed è una sofferenza sentirsi sfasato, antimoderno e, peggio, complice, poiché l’influenza dell’ambiente circostante è troppo forte. Non voglio incolpare nessuno, ma in certi momenti è mancata una parola risoluta da parte dei superiori. La mentalità materialista regna e si estende senza essere contrastata dalla coscienza collettiva. Dio è assente dai cuori. L’innocente e la vittima valgono meno del colpevole. Una società che muove cielo e terra contro la pena di morte e, nel medesimo tempo, giustifica e propaganda l’aborto libero, è al punto più basso della scala della perversione”.
Ma la conclusione resta comunque fiduciosa, perché più che l’appartenenza alla Compagnia vale il servizio alla Chiesa:
“La nostra epoca, una delle più oscure della storia, vede tuttavia fiorire sacrifici sublimi, eroismi, esempi di santità. Viene voglia di ripetere con Gertrud von le Fort dopo la prima guerra mondiale: sola nel disastro e nella rovina universale resiste la Chiesa. La santa Chiesa cattolica, come un faro sulla collina. Che resta intatta nella sua divina essenza anche quando i nostri peccati hanno macchiato il suo nobile volto. La prima educazione mi inculcò l’amore e il rispetto per la Chiesa, i suoi sacramenti, la sua liturgia, il rifugio di misericordia, di orazione e di scienza che offre ai popoli del mondo. La vita dei santi, l’esempio del padre de Lubac, la lettura assidua di Claudel mi hanno insegnato a venerare la Chiesa, a subordinare l’appartenenza alla Compagnia al servizio della Chiesa e del papa, per il quale fu creata e che continua a restare la sua ragion d’essere. Non la Compagnia come tale, ma alcuni gesuiti di tutte le età devono fare un serio esame di coscienza. Il mio non è certo tranquillizzante, e mi istruisco un processo ogni giorno. Ma non credo di aver peccato intenzionalmente contro la luce”.
Cardinale su Twitter: "Essere donna è terribilmente difficile"
“Essere donna è terribilmente difficile, perché consiste nell’aver a che fare con gli uomini (Joseph Conrad)” – Questo ha pubblicato su Twitter il Cardinale di Curia Gianfranco Ravasi per la Giornata Socialista Mondiale delle Donne (8 marzo).
Contrapporre i sessi è il principio fondante del femminismo. Il 19 febbraio, Ravasi ha tweettato un'altra dichiarazione controversa:
«Mettere la verità prima della persona è l’essenza della bestemmia» (Simone Weil). Ma come si può avvicinare una persona se non con verità?
Cari amici di Stilum Curiae, un amico ci ha scritto per sfogarsi – con me e con voi – per un tweet del cardinale Ravasi, il responsabile della cultura in Vaticano. Il tweet è di qualche giorno fa, era l’8 marzo, data fatidica per la festa della donna, e a quello si riferiva l’esternazione del porporato. Che se la prendeva – indovinate? – con i maschi…ah questo Vaticano!
Non è la prima volta che un messaggio lanciato su twitter da mons. Gianfranco Ravasi, vescovo lombardo da dodici anni Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, desta stupore e non poco imbarazzo tra i cattolici. Acclamato più dagli atei (lui amerebbe definirli “gentili”) che dai fedeli, il cardinale utilizza il social network per pubblicare citazioni colte non sempre in linea con la fede cattolica. Ecco cosa ha scritto l’8 marzo e perché merita una riflessione…
Dagli al maschio. Alla conquista dell’ab-soluto.
Attaccare gli uomini per difendere le donne. È questa la strategia (vincente) utilizzata dal movimento femminista e sposata da più parti come una giusta battaglia sotto il vessillo dell’emancipazione femminile. Ma per onorare e rivalutare il ruolo della donna è proprio necessario degradare l’uomo? Per il femminismo più radicale, il maschio è un essere cattivo e deplorevole, proprio in quanto maschio, perché incapace di comprendere il valore della donna e perché causa di ogni situazione di sottomissione e sfruttamento. Con la rivoluzione sessantottina, che ha preso di mira per rovesciarla la struttura sociale tradizionale – sulla quale si è fondata la civiltà greco-romana – e ogni tipo di autorità, il maschio è diventato un ostacolo da sormontare, anzi da eliminare, se si vuole creare una nuovo ordine sociale basato sull’uguaglianza tra i generi e dare il via alla piena realizzazione della donna.
Quella femminista non è una battaglia isolata, ma fa parte di un movimento ben più grande e più antico che mira a liberare l’uomo da ogni legame per elevarlo a sovrano assoluto (ab-soluto, sciolto, libero da legami) della propria storia. Il fine è un’umanità libera dal legame con Dio, dai legami con gli altri uomini e dal legame con la natura e le sue leggi. Un movimento che alcuni fanno risalire alla ribellione di Martin Lutero nel XVI secolo ma culminato nella Rivoluzione Francese e più precisamente con la decapitazione del re sulla ghigliottina, un evento che – come ha giustamente commentato Balzac – ha rappresentato “la decapitazione di tutti i padri“.
Il movimento per l’uguaglianza di genere ha acquisito negli anni le tinte di una guerra globale contro le differenze maschi-femmine, ma soprattutto contro il maschio, contro il suo potere e la sua influenza nella società e nella famiglia. Anni di lotta strategica a tutto campo contro il maschio hanno portato frutti visibili e tangibili nella nostra società che ora raccoglie i cocci, lecca le ferite e conta le vittime. Il “pater familias” è scomparso, divenendo una figura mitologica, ridicolizzata senza alcuna nostalgia. La scomparsa del maschio, e di ogni tipo di “auctoritas” maschile, non è casuale, non è frutto dell’evoluzione della specie, ma al contrario è frutto dell’evoluzione del pensiero e di una ideologia aggressiva che è riuscita ad anestetizzare la virilità e a farla divenire – da virtù che era – una terribile e temibile malattia.
Crisi della virilità: ammorte i papà!
La società occidentale affronta oggi la più spaventosa crisi della virilità mai vissuta nella storia. Il maschio è criminalizzato, accusato, obbligato a chiedere sempre scusa per la sua esistenza. Icona di questa degradazione del maschio è la campagna firmata Oliviero Toscani che – qualche anno fa – immortalò due bambini nudi, un maschio e una femmina, a cui venivano imposti in didascalia due attribuiti: rispettivamente di “carnefice” e “vittima”. Questo perché, secondo il noto fotografo, la cattiveria e la violenza sono scritti nel DNA del maschio. Emblematico è stato un altro recente episodio accaduto nel 2018, quando una comica italiana, parlando a delle bambine in prima serata su Rai 1, le istruiva dicendo: “Gli uomini sono tutti pezzi di merda”, aggiungendo “soprattutto i papà”.
Di questa crisi della virilità parla da diversi anni lo psicanalista e docente universitario Claudio Risé che ha dedicato gran parte delle sue ricerche alla crisi del maschio nella società occidentale. Risé – autore dei bestseller “Il Padre, l’assente inaccettabile” e “Il maschio selvatico” – parla di «character assassination del genere maschile» e di «una vasta campagna di denigrazione tesa a distruggere credibilità e reputazione di un intero gruppo sociale» (qui un sunto del suo pensiero). Ma sono molti gli autori che hanno affrontato la crisi dell’uomo maschio, come ad esempio il prof. R. Marchesini che ha descritto magistralmente la situazione attuale nel suo – consigliatissimo – libro “Quello che gli uomini non dicono. La crisi della virilità” (con prefazione di C. Risé). Marchesini parla di un maschio debole, demotivato, solo, depresso, ansioso, timido… «una crisi inedita nella storia dell’umanità». Una crisi catastrofica per la società perché colpisce le basi dell’ordine naturale che teneva in piedi la struttura sociale dello stato e della famiglia.
Il tweet del cardinale.
Ma veniamo ora al nostro cardinale. Bisogna sapere che il prelato è stato più volte è stato accusato di narcisismo letterario a causa della sua “bulimia” di citazioni, colte di vari autori e di vari generi, che troppo spesso prendono il sopravvento sulle citazioni della Sacra Scrittura o sull’annuncio del Vangelo. Basti leggere la feroce critica (forse un po’ eccessiva e ingenerosa, giudicate voi) mossagli su linkiesta in ocasione del suo “Breviario dei nostri giorni“ (Scritto sulla scia del suo celebre “Breviario Laico”… ma se è laico, perché aspettarsi citazioni del Vangelo?). Inoltre il cardinale è stato più volte accusato di flirtare in modo eccessivo col mondo laico anche coi frangenti più anticlericali (è ormai celebe il suo incipit “Cari fratelli massoni” pubblicato su Il Sole 24 ore). Purtroppo il complesso di inferiorità culturale di fronte al mondo laico è una malattia comune della cultura cattolica.
Il giorno 8 marzo, festa delle donne, Ravasi ha pubblicato su Twitter una frase del noto scrittore polacco Joseph Conrad, scrittore romantico e pessimista, un bohémien con la passione per le storie esotiche. La frase di Conrad dedicata alle donne non è passata inosservata e ha generato una polemica tra coloro che la condividono a pieno (come al solito, per lo più persone fuori dalla Chiesa) e molti altri utenti che hanno fortemente criticato l’opportunità di una tale “uscita” scomposta da parte di chi – essendo il “ministro della Cultura” della Chiesa universale – dovrebbe invece cooperare alla riscoperta e rivalutazione dell’identità maschile in una società senza Dio e senza padri.
«Essere donna è terribilmente difficile, perché consiste nell’aver a che fare con gli uomini» dice Conrad rilanciato per l’occasione da Ravasi. Cos’altro dire, dopo tutto ciò che abbiamo affermato, se non che questa frase rivela lo stesso schema sessista adottato e plasticamente riprodotto da Toscani nel suo polemico manifesto pubblicitario dove il maschio è cattivo per natura (carnefice) e la donna la sua vittima?
Non è la prima volta che Ravasi si spende per la causa della donna. Nel 2015, sempre in occasione della festa delle donne, il Pontificio Consiglio per la Cultura ha creato una “Consulta Femminile“, un organismo permanente all’interno di questo dicastero vaticano. L’iniziativa è stata voluta personalmente dal card. Ravasi che ha curato personalmente la scelta dei 37 membri (donne del campo della cultura e dello spettacolo) e che in conferenza stampa affermò che la mancanza di donne nel team decisionale della Congregazione faceva si che mancasse «l’immagine di Dio nella sua completezza». Anche in quella occasione il cardinale citò Conrad sul pericolo di rapportarsi con gli uomini (qui).
Sulle donne aveva già parlato in maniera equivoca nel lontano 2003 su Avvenire citando nientemeno che la paladina del femminismo, Simone de Beauvoir. Parlando della donna, Ravasi citava il famoso “motto” beauvoiriano: “Non si nasce donna: lo si diventa” assunto a manifesto dei teorici dell’ideologia gender (dove la natura viene scalzata dalla cultura, il reale dall’ideale). Da parte del cardinale nessuna polemica (per carità!), la frase era citata positivamente per dire che «ogni profilo autenticamente umano è, sì, genetico ma anche “culturale”» e per arrivare ad indicare la “lezione” che gli uomini dovrebbero imparare dalle donne: «sensibilità, l’amore per la vita e la pace».
Gesù di Nazareth su Twitter!
Recentemente un altro Tweet pubblicato il 19 febbraio aveva procurato al cardinale non poche critiche da parte cattolica. In quel caso si trattò di una frase della filosofa di origine ebraica Simone Weil che recita: «Mettere la verità prima della persona è l’essenza della bestemmia». E’ normale che ogni citazione debba essere necessariamente compresa nel contesto immediato del tema trattato, dell’opera da cui è tratta e nel contesto più ampio del pensiero dell’autore, ma una simile affermazione – lapidaria e non correlata da contestualizzazione alcuna – sulla bocca (o sulla tastiera) di un cardinale può facilmente creare qualche confusione [Tanto più che è facilmente intuibile il rimando alle diatribe sulla questione dell’immigrazione dove le posizioni sono estremamente polarizzate anche all’interno della Chiesa col cardinale schierato per l’accoglienza di “larga manica” in Italia].
Da tempo, chi scrive crede che la presenza di Pontefici e Cardinali su Twitter è più spesso dannosa che edificante. Dipende certo dall’uso che se ne fa. Secondo Ravasi stare su Twitter è una forma di Imitatio Christi dato che – ha affermato – «Gesù comunicava con dei tweet, è stato il primo twittatore della storia». Ma c’è modo e modo di esporsi nella terribile piazza dei social (che in questi giorni V. Feltri definiva un luogo di odio e di violenza). Una piazza pericolosa dove ci si espone a ogni tipo di reazione come certificano – per fare un esempio – le ingiurie e le bestemmie di molti utenti ai post di Pontifex. Un buon segno, perché si può sempre scegliere di ammiccare il pubblico ed essere sempre gentili, accoglienti, tolleranti e simpatici (più di quanto non lo sia la il messaggio cristiano), così da ottenere il plauso dei “gentili”.
Mentre scriviamo ci arriva una notifica sul cellulare: il “cardinale Sarah ha ritwittato un tweet del cardinale Scola”. Si tratta di un brano del Vangelo di Giovanni, capitolo 4. Niente di clamoroso, di ricercato né di colto. Difatti ha un decimo dei like e un solo commento (negativo) rispetto alla acclamata frase di Conrad. Lo diceva Chesterton parlando di predicatori e di prediche: «Chiedere a un prete di buttar via la teologia e impressionarci con la sua personalità, è esattamente come chiedere a un dottore di buttar via la fisiologia e semplicemente ipnotizzarci con il suo occhio scintillante».
Nulla di peggio e pericoloso dei preti (?) vanesi, arrivisti e ovviamente lontani anni luce dall'umiltà di cui è stato maestro Cristo. Fanno tanta fatica a brigare e calpestano da poveri ignavi quel meraviglioso, anche se non sempre facile,senso di fiducioso abbandono in Dio, che non è fatalismo ma ha come presupposto la FEDE. Sono solo protesi verso le cose mondane, sembra abbiano dimenticato cosa dicono le Scritture, e probabilmente i Santi che sono il grande ornamento della nostra religione, li giudicano dei poveri gonzi fanatici e isterici. "Bisogna andare con i tempi che sono cambiati e adattarsi alla nuova era". E' l'uomo oramai che si è fatto Dio, una parodia tragica e devastante che porta la firma di satana. Gia', adattiamo Dio alle nostre esigenze, o forse è un passaggio inutile, perché é già stato messo da parte se non eliminato del tutto. Bella conquista!
Nulla di peggio e pericoloso dei preti (?) vanesi, arrivisti e ovviamente lontani anni luce dall'umiltà di cui è stato maestro Cristo. Fanno tanta fatica a brigare
RispondiEliminae calpestano da poveri ignavi quel meraviglioso, anche se non sempre facile,senso di fiducioso abbandono in Dio, che non è fatalismo ma ha come presupposto la FEDE. Sono solo protesi verso le cose mondane, sembra abbiano dimenticato cosa dicono le Scritture, e probabilmente i Santi che sono il grande ornamento della nostra religione, li giudicano dei poveri gonzi fanatici e isterici.
"Bisogna andare con i tempi che sono cambiati e adattarsi alla nuova era".
E' l'uomo oramai che si è fatto Dio, una parodia tragica e devastante che porta la firma di satana.
Gia', adattiamo Dio alle nostre esigenze, o forse è un passaggio inutile, perché é già stato messo da parte se non eliminato del tutto. Bella conquista!
Claudia