Ma ha visto i suoi titoli? Si rende conto che parla di un professionista con un curriculum coi fiocchi e un numero enorme di incarichi? E quindi: come si permette lei di mettere in dubbio la competenza dell’esperto?
Così che si sente rispondere un genitore che si prenda la briga di vigilare sull’operato dello psicologo di turno sguinzagliato a scuola e libero di riversare su tutti, volenti e nolenti, la sbobba tossica incamerata in anni di formazione accademica e di esperimenti sul campo. A me è capitato personalmente non più tardi di un mese fa, nell’interpellare il dirigente in merito alle lezioni tenute a sorpresa da uno di questi psicoeducatori in gran carriera.
Si aggirano per le classi, a procacciarsi clientela sempre fresca, torme di “professionisti” esenti da ogni tipo di controllo in virtù del patentino istituzionale; gente la cui competenza e moralità è, per definizione, assorbita nei titoli. Le ingerenze e gli abusi educativi si sprecano, ma i responsabili paiono intoccabili. Sono “esperti”.
E nel fantastico mondo degli esperti, il nostro mondo evoluto, uno che si conquista il titolo magico ha il lasciapassare per entrare dappertutto, fin nelle pieghe più intime e private della personalità di individui in fase delicatissima di maturazione, oltre a una franchigia permanente a copertura della propria attività, quale che essa sia.
ANGELI E DEMONI REGGIANI Esperti erano anche quelli del giro di Reggio Emilia emerso dall’inchiesta “Angeli e demoni”. Un’inchiesta partita dalla denuncia di un papà al quale erano stati tolti i figli dai servizi sociali, per essere affidati alla madre diversamente accompagnata alla nuova concubina lesbica. Per cancellare il padre dai ricordi, la premurosa esperta è arrivata a simularne il funerale, il lutto bisogna pur elaborarlo.
Nel capoluogo emiliano è stata scoperchiata una cloaca immonda di barbarie, di ferocia, di abominio, di perversione, di sadismo, della più marcia corruzione. Una cloaca cui corrisponde, dalla parte delle vittime, impotenti e indifese, un abisso di dolore infinito, sul quale nemmeno si riesce a fermare lo sguardo tanto rivolta le viscere a chi conservi un residuo di umanità. Viene istintivo, ad un genitore, provare a immaginarsi nei panni di quei padri, di quelle madri, di quei bambini, che si sono trovati per un insulto gratuito del destino a incrociare sulla propria strada la macchina implacabile del male. Ma è insostenibile persino la proiezione di tanta sofferenza cieca, totale, senza scampo.
Si è materializzato improvvisamente davanti a ognuno noi un grumo di vergogne che va sgarbugliato con pazienza perché è fatto di tanti fili intrecciati. Motivo ricorrente, nella vicenda, è il deliberato annientamento del padre: annientamento fisico attraverso il distacco, e annientamento psicologico attraverso la costruzione di un mostro, secondo la migliore narrazione del femminismo radicale lesbico che odia il maschio e fa del parricidio il suo cavallo di battaglia.
Ciò che atterrisce nell’immediato è, ancora una volta, la capillarità e l’estensione della rete criminosa, che si dispiega su scala istituzionale e coinvolge ampi strati dell’apparato amministrativo, educativo, assistenziale, impegnati di concerto nell’allestimento dell’ingranaggio infernale concepito per stritolare serialmente bambini e genitori e distruggere programmaticamente famiglie incolpevoli. Non è dato comprendere dove, in questi soggetti, finisca la patologia e dove cominci la malvagità allo stato puro scatenata dalla avidità di denaro, dal vuoto di principi, dal delirio di onnipotenza e dal letargo della ragione. L’uomo nero non è più il maniaco isolato, il disadattato, il relitto umano: è diventato mostro diffuso, travestito da benefattore o da uomo delle istituzioni. Si muove sicuro dietro l’usbergo umanitario. È un orco dall’aspetto rassicurante e rispettabile. Risponde a telefoni azzurri.
Non può non sconcertare questa alchimia ambientale capace di produrre una vera e propria filiera industriale che fa della disintegrazione di famiglie in carne e ossa il proprio business perverso. Fino a recidere con spietatezza bestiale gli altrui legami di sangue e gli affetti più intensi che affondano nella carne e nello spirito di ogni essere umano, trascinando via con sé ogni compassione.
Strappati ai genitori dai servizi sociali con pretesti apparecchiati ad arte – abusi inventati dal nulla, traumi inesistenti, prove manipolate, deposizioni estorte attraverso metodi suggestivi e scosse elettriche per alterare lo stato della memoria e riprogrammarla (la «magica macchinetta dei ricordi», come veniva presentata ai piccoli, ossia un congegno a impulsi elettromagnetici capace di «aprire lo scatolone del passato e rievocare le cose brutte vissute, senza fidarsi delle persone che dicono di volerti bene») – i bambini erano affidati alle cure di un circuito di psicologi e psicoterapeuti privati facenti capo alla Onlus “Hansel e Gretel” di Moncalieri, la quale ne usciva rimpinzata di sussidi, rimborsi gonfiati, emolumenti vari, per un giro di affari di centinaia di migliaia di euro.
L’impianto poggiava su di una premessa categorica: «costruire un’avversione psicologica dei minori per la famiglia di origine». Gli indagati – a detta degli inquirenti – la perseguivano «attraverso una percezione della realtà e della propria funzione totalmente pervertita e asservita al perseguimento di obiettivi ideologici non imparziali». In pratica, la diagnosi fasulla di una patologia post-traumatica era la condizione necessaria per far scattare la presa in carico dei minori da parte della Onlus piemontese.
In particolare, di uno dei perni della organizzazione, identificato nella dirigente dei Servizi sociali dell’Unione Comuni Val d’Enza, tale Federica Anghinolfi – attivista LGBT, legata ad alcune lesbiche affidatarie dei minori sottratti alle famiglie – gli atti affermano che sarebbero «la sua stessa condizione personale e le sue profonde convinzioni a renderla portata a sostenere con erinnica perseveranza la “causa” dell’abuso da dimostrarsi “ad ogni costo”». Presso gli affidatari, peraltro, si sono verificati almeno due casi di stupro, a conferma della lordura endemica dell’intero sistema “assistenziale”.
I carabinieri hanno ritrovato accatastati in un magazzino decine e decine di lettere e di regali mandati dai genitori ai figli lontani e mai consegnati. Mai arrivati a destinazione. Non si riesce a immaginare tanta crudeltà. Tutta la rete degli affidi e dei servizi di psicoterapia, così come il contorno “culturale” dei convegni a tema, dei master e dei corsi di formazione, con relativi incarichi di docenza, si reggeva grazie alla copertura dell’amministrazione comunale piddina di Bibbiano, dell’autorità giudiziaria minorile, di liberi professionisti assortiti (medici compiacenti e avvocati per l’assistenza legale continuata).
IL MODELLO PEDAGOGICO SINISTRO Il centro “Hansel e Gretel” intorno a cui ruotava il piano criminoso è lo stesso da cui provenivano le psicologhe coinvolte nella vicenda dell’inchiesta “Veleno” che alla fine degli anni Novanta ha sconvolto la bassa modenese: allora furono sedici i bambini portati via alle famiglie dai servizi sociali e mai più tornati a casa nonostante le indagini abbiano acclarata l’innocenza dei genitori.
È evidente come, anche al di là della connessione soggettiva tra le due vicende che hanno in comune parte delle maestranze, siamo in presenza di un pattern studiato per essere riprodotto e riproducibile. La dice giusta Di Majo, quando in questa ultima circostanza attacca frontalmente il PD scrivendo su Facebook: «Quello che viene spacciato per un modello nazionale a cui ispirarsi sul tema della tutela dei minori abusati, il modello “Emilia” proposto dal PD, si rivela oggi come un sistema da incubo».
A ben guardare, l’incubo non è prerogativa della sola Emilia Romagna. Anzi, il germe originario di quel modello è attribuibile ad un altro storico feudo elettorale della sinistra. La mente non può non andare alla toscanissima cooperativa del Forteto, sulle colline del Mugello: il primo vero esperimento socio-educativo ispirato al donmilanismo e fondato sull’abuso sistematico e sulla violenza fisica e psichica esercitata a danno dei minori e dei disabili affidati alla struttura. Fiesoli e i suoi adepti teorizzavano il rifiuto della famiglia d’origine come strumento di liberazione individuale e imponevano l’omosessualità e persino la zoofila come mezzi di purificazione.
Anche in quel caso, la struttura si è potuta reggere troppo a lungo grazie alla complicità delle istituzioni, delle autorità politiche e intellettuali della sinistra locale e nazionale, sempre lautamente finanziata dalla regione anche dopo le denunce e le condanne, sempre incredibilmente decantata dagli “esperti” come fiore all’occhiello del sistema delle cooperative toscane, al punto da generare una fondazione omonima deputata a organizzare percorsi didattici per le scuole e corsi di formazione per educatori.
Il caso reggiano, a ben vedere, non è affatto quindi un fenomeno inedito, ma solo una nuova drammatica applicazione di un vecchio progetto pedagogico di marca progressista, parte di un ben più ampio programma di distruzione della famiglia e di scardinamento di quell’ordine naturale che nella famiglia ha la sua prima e principale manifestazione.
Le teorie di Engels, che considerava la famiglia patriarcale la forma primigenia di oppressione di classe – e per questo ne auspicava la demolizione per ottenere la liberazione della donna dalla schiavitù della riproduzione – nel modello pedagogico della sinistra moderna, pseudoegualitaria e veterofemminista, si fondono con l’omosessualismo e producono come frutto maturo le mostruosità di cui sopra. La matrice culturale tanto del Forteto quanto delle depravate reti emiliane è la medesima e affonda nell’orizzonte di riferimento della sinistra libertaria e umanitaria che ha conquistato indisturbata il monopolio della psico-socio-pedagogia nostrana approfittando del sonno dei più e dell’inerzia di troppi. Così, può capitare di svegliarsi un giorno e di essere costretti dalla cronaca ad aprire gli occhi su una realtà devastante: l’educazione dei bambini, dei nostri bambini, è nelle mani di un imponente esercito ideologizzato e infiltrato da spietate organizzazioni criminali.
DALLE COOP SOCIALI ALLE COOP ECCLESIALI Come dichiara senza giri di parole Alessandro Meluzzi, le cooperative sociali attive nel mercato dei minori e investite degli affidi sono le stesse «che si sono dedicate al lucrosissimo mercato dei migranti». Un altro gigantesco business del mondo delle cooperative, opere pie consacrate al culto di Soros.
Su ambedue i versanti, migratorio e minorile, proliferano apparati contigui ai bassifondi della neochiesa senza Dio, i cui impiegati si trovano equamente divisi, nel corpo come nello spirito, tra l’amore per i migranti e la passione per i fanciulli.
Il donmilanismo, del resto, è stato il nido dell’ideologia educativa e pedagogica che è sfociata negli orrori tosco-emiliani e il cattocomunismo è il brodo di coltura dell’umanitarismo ipocrita e peloso che sorregge gli abomini contemporanei, tutti conditi dall’afflato buonista dell’amore senza confini. Dalla Casita de Diòs al dossier Viganò, i trofei della chiesa postcattolica non hanno nulla da invidiare alla tragica miseria di quelli del mondo postmoderno, solo aggiungono la carica sacrilega che dilata lo scandalo sul piano trascendente. Del resto, una chiesa dimentica di Dio e tutta protesa a scimmiottare il mondo non può che giungere, per una corsia preferenziale, ai massimi termini dell’abbruttimento umano.
Ed è bello scoprire come l’accolita del “Centro Studi Hansel e Gretel”, con i suoi vari “esperti” ora indagati o finiti in manette, organizzi master per insegnare la cura del trauma o la gestione e lo sviluppo delle risorse emotive insieme alla Pontificia Facoltà di Scienze dell’educazione “Auxilium” di Roma, e come l’Unione Val d’Enza e la Ausl di Reggio Emilia siano in prima fila a patrocinare le belle iniziative. A conferma di quanto sia radicato e stretto il sodalizio tra chiesa adulterata, cattolicume benpensante e attivismo sinistrorso nel perseguire gli stessi obiettivi degenerati.
Eccoli dunque di nuovo tutti qui, in formazione completa: sono i nuovi mostri nel tempo dell’espertocrazia. Bazzicano le scuole, le stanze del potere, le accademie sacre e profane, e sono legittimati a mettere le mani nelle vite e nelle anime altrui decidendo insindacabilmente dei destini di esseri indifesi. Ben venga la gogna pubblica per l’orrore emiliano, se servirà a svegliare qualcuno, purché questo qualcuno capisca che non abbiamo a che fare con un bubbone localizzato, ma con la manifestazione acuta di una grave e risalente patologia sistemica.
Elisabetta Frezza Giugno 29, 2019
Al capolinea della follia e dell’orrore, l’Italia trova ora i bambini sottratti alla loro famiglia per ordine del giudice e “affidati” in comodato gratuito, cioè consegnati per uso personale anche alla nota sensibilità omosessuale. I bambini come bottino finale di una guerra alla famiglia che viene da lontano. Una guerra cominciata con le ubriacature libertarie e libertine di una modernità che vide in questo nucleo spontaneo naturalmente ordinato e imprescindibile di ogni società umana il primo ostacolo posto all’individuo nuovo votato alla libertà, all’autosufficienza e all’autodeterminazione.
La letteratura illuminata confezionò con disinvoltura eroi senza famiglia come l’Emilio o i Paolo e Virginia e li mise al centro di una filosofia nuova. Tuttavia le teorie filosofiche, come è noto, il più delle volte fanno a pugni con le esigenze concrete dell’uomo, della storia e della politica. L’eliminazione del padre e della famiglia non giovava, allora come sempre, alla fondazione della Repubblica e alla tenuta della nazione. La famiglia fu presto riabilitata in tutte le sue componenti anche se dovette lottare ancora contro altre ideologie rivoluzionarie.
Ma una guerra senza precedenti, poderosa e condotta su più fronti è stata riaperta contro la famiglia sul declinare del novecento, ancora una volta in nome della libertà che non tollera impegni morali, limiti etici, e giuramenti di fedeltà. In nome della libertà la famiglia viene minata fino a sopravvivere solo nella sottospecie cosiddetta “tradizionale”.
Per attaccare di nuovo il padre, e con lui la madre e quindi la famiglia, è stata armata la mano della femmina contro il maschio, e valorizzata l’indistinzione sessuale. Da lontano è arrivato anche da noi il “genere”, l’idea demenziale da inoculare nei più piccoli “prima che sia troppo tardi” cioè prima che riescano a scoprire la trappola micidiale delle parole, apparecchiata per distruggere la loro identità. Non per nulla si era già allargato su tutto lo spettro dell’impero globale che per alimentarsi ha bisogno di annientare ogni identità e autonomia, individuale, famigliare, etnica e nazionale.
L’impero globale a trazione finanziaria vuole sudditi geneticamente modificati come i pomodori olandesi, senza il bagaglio culturale trasmesso dai consanguinei, senza la storia legata alla terra, senza il supporto morale della tradizione religiosa, senza neppure una identità sessuale ed etnica.
La guerra alle identità umane, e anzitutto alla famiglia che tutte le comprende in sé, è stata dunque allestita anzitutto in campo aperto, attraverso una nuova “cultura” capace di formare il gregge indifferenziato e decerebrato, senza Dio, senza patria e senza famiglia, che serve all’impero globale al comando dei nuovi eletti.
Ma accanto alle degenerazioni culturali indotte nelle masse, ai danni della famiglia, in parallelo era cominciato da lungo tempo un altro tipo di guerra contro di essa. Quella sferrata a domicilio, cioè condotta casa per casa, contro le famiglie concrete, che comporta cioè la distruzione mirata delle singole famiglie, da scomporre una ad una, secondo protocolli codificati, e per definizione “umanitari”. Secondo i motivi umanitari che impongono la sottrazione dei figli alle famiglie giudicate “inadeguate” per motivi contingenti, perlopiù di ordine economico o magari “morale”. E questo in una società che è stata impoverita ad arte, destrutturata ad hoc dal punto di vista etico e religioso, culturalmente depressa attraverso la barbarie televisiva e dal deperimento della scuola.
Le armi per questa operazione militare sono le leggi stesse che attribuiscono i poteri necessari ad un esercito debitamente arruolato e ben remunerato, composto dalle falangi dei pedopsicoanaliticoesperti in tuttologia umana applicata, forti di pochi studi ma di ragguardevoli titoli in discipline nelle quali eccelle chi non è troppo appesantito da una esperienza scolastica e culturale di qualche significato, e agli ordini di una magistratura all’altezza dei sottoposti.
A tutti costoro è stato affidato il potere discrezionale di decidere nientemeno che dei destini dei più indifesi e delle loro famiglie, sempre secondo una funzione altamente umanitaria. Ad essi è stato concesso di impossessarsi impunemente delle vite altrui, per rapinarle del presente e del futuro. E poiché nei cervelli deboli si insinua facilmente la lusinga della onnipotenza, accade che questa declini altrettanto facilmente nella tentazione sadica di disporre a piacimento della sofferenza altrui.
Così, in questa follia legalizzata, c’è chi «giudica e manda secondo che avvinghia», chi manipola le vite e le anime, distrugge l’infanzia nella cornice beffarda dell’intervento umanitario, quello stesso che in questo nostro mondo allucinato e allucinante, può assumere la forma della guerra, del bombardamento di popolazioni inermi, della tratta di africani tramite navi negriere, della soppressione degli ammalati scomodi, dell’espianto e del commercio di organi o di feti abortiti. Ovvio dunque che sia umanitario anche l’affido del bambino strappato alla famiglia, alla sensibilità superiore e indiscutibile del sessualmente diverso.
In tutto questo sono immerse le raccapriccianti vicende salite finalmente alla conoscenza comune, da Reggio Emilia alla Valdelsa, ma che hanno dietro di sé le nefandezze del Forteto e rispecchiano una realtà presente su tutto il territorio nazionale.
Una storia di arbitrio legalizzato, di arroganza, di dolore e distruzione gratuitamente inflitti, ma anche di surreale e allibita impotenza. Una storia in cui si rispecchia il volto feroce di un tempo in cui ogni esperienza distruttiva e sacrilega, ogni gesto indecente veste grottescamente i panni della legalità e della cura. Una storia che dovrebbe allontanare, finalmente e per sempre dalla scena pubblica, quella genia di bempensanti umanitari che sproloquiando da ogni tolda mediatica hanno intossicato il sentire e il pensiero e il buon senso comune e indotto il silenzio e la rassegnazione davanti ad ogni sopruso diversamente “democratico”.
Patrizia Fermani Giugno 29, 2019
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