L’Instrumentum Laboris del prossimo Sinodo dell’Amazzonia, che si terrà a Roma dal 6 al 27 ottobre prossimo, sta suscitando tante prese di posizioni molto critiche. L’ultima autorevole è quella del card. Walter Brandmüller, eminente storico della Chiesa. Su questo blog abbiamo già postato alcuni articoli su questo tema (vedi qui, qui, qui e qui).
Con lo spirito di approfondire la questione ho voluto intervistare mons. Nicola Bux in quanto esperto di Sinodi. Infatti, è stato nominato da Giovanni Paolo II, come perito, a partecipare alla preparazione del Sinodo del 2005 sull’Eucaristia e da Benedetto XVI di quello sulla Chiesa in Medio Oriente del 2010. Mons. Bux è teologo consultore della Congregazione per le cause dei santi. In precedenza è stato consultore della Congregazione per la dottrina della fede, del culto divino e dell’ufficio delle celebrazioni pontificie. È anche studioso dell’Oriente, ha conseguito un dottorato al Pontificio Istituto Orientale di Roma, ed ha soggiornato e insegnato a Gerusalemme e collaborato con l’esperto dell’Islam padre Samir Khalil Samir.
Sabino Paciolla: Mons. Nicola Bux perché a suo parere l’Instrumentum Laboris del prossimo Sinodo dell’Amazzonia ha ricevuto così tante critiche?
Mons. Nicola Bux: La risposta l’ha data in certo senso recentemente papa Benedetto: è l’ennesimo tentativo di “creare un’altra Chiesa, un esperimento già fatto e fallito”. I chierici non si pongono la grande domanda alla base del cristianesimo: che cosa ha portato veramente Gesù a noi, se – come possiamo constatare – non ha portato la pace nel mondo, il benessere per tutti, un mondo migliore? Gesù Cristo è venuto a portare Dio in terra, affinché l’uomo trovi la via del Cielo: e per questo ha fondato la Chiesa. Invece i chierici odierni si occupano della terra come se fosse la patria permanente dell’uomo. Il sintomo? Non parlano dell’anima e quindi della sua salvezza. Giunge così a maturazione la crisi dell’idea di Chiesa, denunciata da Joseph Ratzinger nel celebre Rapporto sulla fede. La Chiesa non più considerata corpo mistico di Cristo e popolo di Dio ordinato alla salvezza, ma fenomeno sociologico; così essa deve occuparsi di economia, ecologia e politica, dove al massimo potrebbe intervenire solo per un giudizio morale. Qui, si può osservare l’influenza del modernismo: l’adattamento del vangelo al modus hodiernus di pensare e di agire: – si dice: i tempi sono cambiati – un nuovo dogma, che però non risponde alle domande: chi ha deciso che i tempi sono cambiati? E poi: è sempre buono il cambiamento?
In alcuni passi dell’Instrumentum si leggono le seguenti espressioni: “L’apertura non sincera all’altro, così come un atteggiamento corporativo che riserva la salvezza esclusivamente al proprio credo, sono distruttivi di quello stesso credo. (…) L’amore vissuto in ogni religione piace a Dio” (n. 39), e: “L’educazione in Amazzonia non significa imporre ai popoli amazzonici parametri culturali, filosofie, teologie, liturgie e costumi estranei”. (n. 94). Queste espressioni dell’Instrumentum potrebbero essere l’esito di un errato concetto di inculturazione che è il diretto frutto dell’idea che Dio ha voluto la diversità delle religioni – ossia il pluralismo religioso? Non si corre il rischio di un adattamento ed una conformazione a senso unico alla cultura amazzonica, dimenticando il proprium trascendente della fede in Cristo?
Il dubbio che il Signore Gesù sia l’unico salvatore dell’uomo serpeggia nella Chiesa dal post-concilio; per alcuni settori della Chiesa, l’evangelizzazione si è rovesciata in “farsi evangelizzare”. Così, fa tendenza invitare, nelle parrocchie e nei seminari, pensatori atei o dubbiosi, invece che cattolici chiari e distinti; imam musulmani e rabbini ebrei. Ciò ha prodotto disorientamento e confusione, perché si è ignorato che la gran parte dei cattolici praticanti è dotata di un catechismo generico, ricevuto da piccoli, dove le verità di fede e di morale sono malamente e parzialmente comprese, se non sconosciute. Non si spiegherebbe altrimenti lo spettacolo di vizi e di corruzione che attanaglia la società italiana ed europea, pur cristiana all’anagrafe. Fa’ specie che si chieda da parte dei pastoralisti e liturgisti, rigore nell’ammettere catecumeni piccoli e grandi ai sacramenti dell’iniziazione, poi, al contrario, si chiede che tutti facciano la comunione nella messa, a prescindere dallo stato di grazia, e si fanno entrare nelle liturgie eucaristiche, i protestanti, i musulmani e quant’altri, che non sono iniziati ai sacramenti.
I pastori della Chiesa devono esporre la dottrina nella forma apostolica alla quale sono stati affidati (Rm 6,17) .Come ha risposto recentemente nell’intervista mons. Carlo Maria Viganò: “Ribelli in modo non onorevole sono coloro che presumono di rompere o cambiare la perenne tradizione della Chiesa”. Altrimenti ci si fa del male da soli e si demolisce dall’interno la Chiesa. L’inculturazione di cui parla l’Instrumentum Laboris è presentata in modo rovesciato: si vuol far tornare la Chiesa in Amazzonia all’animismo e allo spiritismo, facendola arretrare rispetto al Verbo che le è stato annunciato coll’evangelizzazione. “Una religione naturale con maschera cristiana”, l’ha definita il card. Brandmüller nel suo recente intervento.
Nel documento si parla molto spesso della “cosmovisione amazzonica”, e si ha molto spesso la sensazione che l’Instrumentum sia pervaso da un certo panteismo che sembra indistinguibile dal giusto rispetto per l’ordine del creato. Ritiene fondata questa sensazione?
Siamo all’offuscamento della ragione, si torna indietro alla religione naturale, allo spiritismo, scambiandola per dialogo con la natura. Eppure, proprio lo sviluppo della natura, che avviene in modo organico, – per cui, quello che era falso ieri, non può esser vero oggi – dovrebbe aiutare a capire che l’insegnamento della Chiesa, costituisce un corpus dottrinale, organico. Invece i chierici sono infettati da una sorta di darwinismo che sfocia – come ha scritto Brandmüller – nell’evoluzionismo dottrinale e morale; proprio il contrario dello sviluppo organico di un soggetto che rimane fedele alla propria identità. Soltanto questo corpo può essere chiamato Chiesa, almeno in base alle Costituzioni del Vaticano.I e II, Dei Filius, Lumen Gentium e Dei Verbum.
Prendiamo i Sacramenti: l’Ordine sacro. Dopo tutto il dibattito preconciliare e post sull’inscindibilità tra potere d’ordine e di giurisdizione, l’Instrumentum Laboris avanza il contrario, al fine di giustificare il ministero ordinato per la donna. Così, ci si allontana ancora di più dagli orientali. Le cosiddette diaconesse – termine greco che vuol dire ‘servitrici’ – aiutavano le battezzande a svestirsi e rivestirsi, non potendolo fare gli uomini; talvolta ricevevano una benedizione, non una ordinazione; poi sono scomparse. L’identità episcopale, sacerdotale e diaconale deve essere compresa a partire da Dio che li chiama e la Chiesa conferma con l’ordinazione; non a partire dalla comunità, quasi che la Chiesa sia una democrazia. L’accusa fatta nel post-concilio al sacramentalismo della Chiesa preconciliare, viene dimenticata. La proposta dei viri probati – laici ai quali si vorrebbero attribuire funzioni sacerdotali – è una ripresentazione del tanto deprecato clericalismo. Invece, la storia della Chiesa insegna che la crisi di vocazioni sacerdotali si risolve con la vita di fede: dove c’è la fede, nascono le vocazioni missionarie, fino al sorgere di istituti per la formazione del clero indigeno. Il Signore chiama sempre alla sua sequela!
I sacramenti non sono beni a nostra disposizione, al punto che si possano immaginarne nuovi creati dal basso, fino al mutamento della materia dell’eucaristia. Il rito romano è stato trasmesso a vari popoli, ed è espressione della comunione di tutti i credenti in Cristo al di là di lingua, nazione e razza. Pur rispettando le culture, la liturgia le invita a purificarsi e santificarsi. In verità, si tratta di una malcelata opposizione alla Chiesa di Roma: non si vuole celebrare come a Roma, ci si vuole distaccare, marcando la differenza. E’ strano che si voglia fare questo dopo tanti secoli dall’evangelizzazione del continente americano e dall’assunzione del rito romano. Chi ha fatto accorgere gli indigeni dell’Amazzonia “che erano nudi” di un proprio rito? La rottura col rito romano implica un distacco-rottura dal simbolismo liturgico della rivelazione biblica e della tradizione ecclesiale (per es. san Cipriano spiega che i cristiani pregano senza agitare le mani come fanno i pagani, perché la preghiera cristiana è umile e composta). I segni sacramentali si possono comprendere solo attraverso la Scrittura e la vita della Chiesa. L’uso del frumento per l’eucaristia non è derivato dalla cultura in uso presso i popoli mediterranei, ma da quello che Gesù ha compiuto di invisibile servendosi di esso. L’adozione di usi religiosi diversi da quelli cristiani, è incompatibile, perché contraddittoria, salvo a voler compiere ibridazioni e sincretismi che inducono in errore i fedeli. Come ha affermato il card. Brandmüller, viene violato il depositum fidei. Siamo dinanzi al tentativo di mutare geneticamente la Chiesa, mettendo in questione la fede e l’unità del rito romano che la esprime (cfr Sacrosanctum Concilium nn 37-38).
Secondo alcuni l’Instrumentum laboris apre le porte alla Teologia India e alla Ecoteologia, due derivati latinoamericani della Teologia della Liberazione. Cosa ne pensa in merito?
La cosa incredibile è che si giunge a ritenere l’Amazzonia “luogo teologico”, cioè vuol dire fonte speciale della Rivelazione. Mettendo in discussione la divina Rivelazione, come ha scritto Brandmüller, il documento si distacca dalla verità della fede cattolica, in gergo tecnico ‘apostasia’. Infatti ritiene l’Amazzonia, non una semplice area geografica e culturale, ma addirittura “luogo teologico”, “luogo epifanico” e “fonte della rivelazione di Dio” (n° 2, 18 e 19). E’ significativo che abbia ricevuto il gradimento entusiasta – e forse la consulenza – di Leonardo Boff, ex sacerdote francescano, esponente storico della teologia della liberazione che, negli anni ’70, fu ammonito dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Anche il fratello, Clodovis Boff, sacerdote servita, venne rimosso dall’insegnamento nella Pontificia Università Cattolica di Rio de Janeiro. Nel 1984, l’allora cardinal prefetto Joseph Ratzinger, su richiesta del card.Eugenio A. Sales, chiese a don Luigi Giussani un sacerdote di chiara dottrina cattolica che arginasse in positivo l’assunto per cui la comunione ecclesiale non possa essere soggetto necessario e sufficiente della liberazione dell’uomo, in primis dal peccato. La proposta fu fatta a don Filippo Santoro, docente di teologia e iniziatore di Comunione e liberazione in Puglia, che accettò. Così egli ha speso circa 27 anni in missione nel Brasile. In ragione di ciò, ha conosciuto da vicino le diverse teologie della liberazione. Dopo essere stato eletto vescovo ausiliare di Rio e poi vescovo di Petropolis, è stato nominato da Benedetto XVI arcivescovo di Taranto. Va detto infine che egli, subentrato a Clodovis Boff sulla cattedra di teologia di Rio, è lo stesso che ha anche ispirato e seguito la sua evoluzione (che lo ha portato a prendere le distanze dal fratello Leonardo), col saggio pubblicato nel 2003 sulla “Revista Eclesiàstica Brasileira”. Dunque don Santoro, vescovo ratzingeriano, è tra i più idonei a pronunciarsi su questo Instrumentum Laboris e sulle sue affermazioni che viaggiano tra l’eresia e l’apostasia.
Nell’Instrumentum laboris si legge: “L’Amazzonia è il luogo della proposta del ‘buon vivere’, della promessa e della speranza di nuovi cammini di vita”. Nel complesso del documento si fa un elogio a senso unico della “saggezza ancestrale”, degli “spiriti” e della bontà dei popoli dell’Amazzonia in contrapposizione alla corruzione portata dalla civiltà occidentale. Non le sembra questo una impostazione che si avvicina molto al mito del “buon selvaggio” di rousseauiana memoria? E quali rischi e danni una tale impostazione potrebbe arrecare alla fede?
Don Giussani col suo celebre libro sul Il senso religioso ha, a mio avviso, offerto il metodo cattolico per avvicinarsi a quel mondo latino-americano, e non solo. Egli ha combattuto tenacemente perché Comunione e liberazione – a cominciare dal Brasile, dove inviò i primi missionari del movimento – annunciasse che il soggetto della liberazione cristiana è la Chiesa, che è cattolica perché abbraccia tutti i popoli attraverso la conversione a Gesù Cristo. Non c’è liberazione senza conversione a Cristo. L’Instrumentum Laboris non accenna mai a questo termine, che è al principio del Vangelo di Gesù Cristo, ma, come hanno già osservato cardinali, sacerdoti e fedeli, contraddicendo in punti decisivi l’insegnamento vincolante della Chiesa – al quale cioè ogni vero cattolico è tenuto – è qualificabile come eretico. Un attacco ai fondamenti della fede, che riduce la religione cattolica a puro soggettivismo. Sembra quasi che debba essere Gesù Cristo a convertirsi alla neo-divinità Amazzonica. Ma è questa “la fede cattolica trasmessa dagli Apostoli”, come prega il Canone romano?
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