ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 1 luglio 2019

Che cosa rimane della verità?

VERITA' E IL "CONTROLLO TOTALE"


La verità al tempo del controllo totale. Il lavaggio del cervello e le parole-mantra del politically correct: non è vero ciò che è vero ma è vero ciò che racconta Hollywood; cercate di capire se ci riuscite ma quanti capiscono? 
di Francesco Lamendola  

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In una società basata sulla comunicazione, non è vero ciò che è vero, ma è vero ciò che viene detto e ripetuto come vero. Il segreto è ripetere: battere  e ribattere incessantemente, fino a ottenere il totale condizionamento delle mente. Repetita iuvant, dicevamo i romani, anche se in un senso diverso e cioè con riguardo all’educazione: bisogna ripetere una cosa tante e tante volte affinché entri bene nella testa della gente (meravigliosa sinteticità del latino: bastano due parole per esprimere un concetto che, in italiano, ne richiede una quindicina). È il segreto della pubblicità, e la pubblicità è non solo una particolare tecnica commerciale, ma la base di tutto il sistema dell’informazione, comprese le sue finalità: vendere un determinato prodotto, che in questo caso è la notizia, e fare gli interessi di qualcuno, che in questo caso è il proprietario del mezzo d’informazione.
Per i giornali e i telegiornali, per il cinema e la letteratura, per la scuola e l’università, per il sistema sanitario e l’industria farmaceutica, per lo sport e i suoi finanziatori, insomma per tutto, fino alle agenzie per i viaggi nello spazio e alle o.n.g. teoricamente dedite a scopi umanitari, lo schema è sempre quello: c’è qualcuno che paga e che si tiene nell’ombra, non rivelando apertamente i suoi scopi; ci sono dei mezzi d’informazione che ripetono, ripetono determinate cose fino all’ossessione, presentandole come la pura verità; e c’è una massa amorfa e inconsapevole che si comporta come le viene suggerito di fare.

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Quanti cattolici si son resi conto che, dal Concilio Vaticano II, il B’nai B’rith si è insinuato nella loro Chiesa e nella loro fede e che sta dettando ad essi la sua agenda? Il cardinale Augustin Bea, qui nella foto con il rabbi Abraham Joshua Heschel durante il meeting del 1963 con la rappresentanza dell'American Jewish Committee, fu uno dei protagonisti del Concilio Vaticano II, impegnandosi in prima persona alla stesura della dichiarazione Nostra aetate.

Che poi si tratti di una massa di consumatori che acquistano avidamente prodotti firmati, dei quali non hanno alcuna necessità; o una massa di studenti, che impara a memoria e ripete come un disco rotto ciò che sta scritto nei libri di storia, ad esempio che milioni di persone furono liquidate nelle camera a gas naziste, anche se nessuno ha mai visto una camera a gas e anche se la cosa sarebbe stata, e sarebbe, materialmente impossibile; o che si tratti di una massa di risparmiatori, indotti a fidarsi sull’uso dei loro risparmi da quelle stesse agenzie bancarie che impongono al mondo intero le leggi della finanza speculativa, con tutte le naturali conseguenze, specie la formazione del debito pubblico come strumento di ricatto internazionale, è sempre lo stesso schema. Si tratta di operare un tale lavaggio del cervello, un tale condizionamento mentale, da creare, alla fine, dei veri e propri riflessi condizionati, affinché le persone (ma a quel punto non sono più persone: sono bestiame, carne da macello) scattino come cani ammaestrati al suono del campanello, e si comportino esattamente così come sono state programmate per comportarsi. Le parole-mantra del politically correct sono la cartina al tornasole per verificare se il lavaggio del cervello è stato condotto a termine con successo: provate a parlare di razzismo, di fascismo, di populismo e di sovranismo con qualcuno, e osservate come reagisce: se gli si forma istantaneamente la saliva in bocca, se si agita e scatta senza prendersi un secondo per riflettere, se rifiuta di ascoltare un ragionamento pacato e razionale ma si comporta in maniera scomposta e puramente emotiva, come un toro davanti al quale venga agitato un panno rosso, allora ciò significa che il lavaggio del cervello è stato condotto a termine con pieno successo e che costui è diventato un perfetto burattino nelle mani di chi controlla il potere mediatico, cioè il grande capitale finanziario.

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In una società basata sulla comunicazione, non è vero ciò che è vero, ma è vero ciò che viene detto e ripetuto come vero!

C’è una data che segna l’inizio di questo processo di controllo mondiale da parte di un potere occulto, il 1694, allorché venne fondata la Banca d’Inghilterra e prese piede la pratica di creare denaro dal nulla da parte di soggetti privati lasciati liberi di stampare moneta in regime di monopolio (cfr. il nostro articolo Agli esordi della Banca d’Inghilterra, fra tragedie umane e affaristi senza scrupoli, pubblicato sul sito della Accademia Nuova Italia il 17/12/17); tutto il resto, tutto quel che è accaduto poi, non ne è che la naturale conseguenza. Il lavoro, il risparmio, l’amministrazione, la politica, la cultura, l’abbigliamento, l’alimentazione, la tutela della salute, lo svago (“l’industria del tempo libero”), tutto soggiace alle regole (deviate e devianti) dell’assunzione di questo principio. Chi stampa la moneta controlla il mercato e chi possiede i mezzi d’informazione controlla l’immaginario collettivo; le due cose, la finanza e l’informazione, combinandosi, determinano il potere mondiale, quello vero e non quello apparente della politica o degli eserciti. Perciò, ad esempio, per sapere chi ha vinto realmente una guerra, non basta considerare chi ha occupato il territorio di chi, e cosa c’è scritto nei trattati di pace; bisogna osservare chi è padrone delle banche e dell’informazione al termine del conflitto, cioè chi controlla il denaro e le notizie.

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 C’è una data che segna l’inizio di questo processo di controllo mondiale da parte di un potere occulto, il 1694, allorché venne fondata la Banca d’Inghilterra e prese piede la pratica di creare denaro dal nulla da parte di soggetti privati lasciati liberi di stampare moneta in regime di monopolio!

Ora, da molto tempo, sia le banche che i mezzi d’informazione non sono più sotto il controllo, diretto o indiretto, da parte degli stati, ma sono completamente nelle mani di soggetti privati. Questi soggetti privati perciò controllano, direttamente o indirettamente, i governi, e attraverso i governi gli stati, e attraverso gli stati i cittadini, in tutte le forme della loro esistenza, dal lavoro al risparmio e dalla sanità all’istruzione. La superpotenza dei nostri tempi, gli Stati Uniti d’America, si trova completamente sotto il controllo di questi soggetti privati, i quali hanno un potere decisivo sia nell’ambito della finanza, sia in quello dell’informazione. Nulla sfugge al loro controllo perché, con la globalizzazione progressiva dei mercati, processo che inizia appunto dal 1694, tutti gli spazi sono stati occupati e al cittadino non rimane alcuna possibilità di sottrarsi al sistema, neppure se decidesse di fare la vita di Robinson Crusoe, ritirandosi in un’isola deserta. Ciascuno di noi è, di fatto, totalmente controllato, anche se crede di essere libero.

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La verità al tempo del controllo totale? Siamo come nella "Matrix Hollywoodiana": ciascuno di noi è, di fatto, totalmente controllato, anche se crede di essere libero!

Ma, si dirà, si odono pur sempre delle voci dissidenti. È vero, ma sempre all’interno del sistema: sono quelle voci che chi ha il controllo dell’informazione (e del mercato) decide di lasciar parlare, sempre per i suoi scopi reconditi, che sono ben diversi da quelli apparenti. Un esempio eloquente: lo scopo dichiarato delle o.n.g. che agiscono nel Mar Mediterraneo è salvare le vite dei naufraghi. Ma quali naufraghi, quali vite da salvare? Basta riflettere che tali o.n.g, sono finanziate da uomini come George Soros per capire quali sono i loro veri intenti, al di là del grado soggettivo di buona fede, maggiore o minore, di quelli che operano in esse. La capitana del Sea WatchCarola Rackete, da parte sua, può dire ciò che vuole: che non poteva agire diversamente da come ha fatto, non poteva che puntare su un porto italiano (e non libico, maltese o tunisino), non poteva che disobbedire alle intimazioni della Guardia di Finanza e speronare addirittura una sua unità, pur di raggiungere lo scopo: ottenere lo sbarco per la gente che aveva preso a bordo. Anche i giornalisti televisivi, da parte loro, quando fanno i loro servizi strappalacrime sulle condizioni terribili in cui versano i migranti a bordo delle navi che vengono trattenute fuori dai porti a causa della politica del governo giallo-verde, possono raccontarla – e raccontarsela - come vogliono, ma è abbastanza chiaro che essi dicono ciò che vien detto loro di dire. Chi paga lo stipendio ai “volontari” delle o.,n.g., chi paga lo stipendio ai giornalisti per dire quello che stanno dicendo? Il datore di lavoro, chiamiamolo così, è sempre lo stesso: e non ci vuol molto per capire di chi si tratti.

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 Il lavaggio del cervello e le parole-mantra del politically correct: non è vero ciò che è vero ma è vero ciò che racconta Hollywood?

Dunque, sorge un problema che potrebbe sembrare puramente filosofico, ma che in realtà è anche terribilmente pratico: che cosa rimane della verità, in una situazione complessiva di questo tipo? Chi controlla l’informazione, il sistema scolastico e la cultura tende a far passare l’idea che la verità non esiste e che chi sostiene il contrario è un fascista, bramoso d’imporre a tutti quanti la sua verità; perché la verità, in effetti, si riduce al punto di vista dei diversi soggetti, come in un dramma di Luigi Pirandello o come accade nel film Rashōmon (1950) di Akira Kurosawa, tratto da un racconto di Ryūnosuke Akutagawa (1916). Si è ottenuto così lo scopo di abolire l’idea stessa della verità, e, nello stesso tempo, di incoraggiare un modo di pensare puramente soggettivo. Dal soggettivismo all’emotività sistematica e programmata, il passo è breve: al pensiero si sostituiscono le emozioni, alle idee i (buoni) sentimenti, e il gioco è fatto. Non è vero ciò che è vero, ma è vero ciò che racconta Hollywood. Per sapere come nacque lo Stato d’Israele, ignorando del tutto il punto di vista arabo palestinese, la gente pensa al film Exodus (1960) del regista Otto Preminger, interpretato dal bel Paul Newman, dall’aria leale e gli occhi azzurri come un lago ghiacciato. Otto Premiger era ebreo e Paul Newman era ebreo; il film era tratto dal romanzo omonimo di Leon Uris, ebreo anche lui. Per sapere cosa fu il nazismo e come se la passavano gli ebrei nella Germania hitleriana negli anni antecedenti allo scoppio della Seconda guerra mondiale, la mente dell’uomo-massa non ventila neppure la possibilità di andare alla ricerca delle fonti, si accontenta di ripetere quel che ha sentito dire e in particolare quel che ha visto nel film di Charlie Chaplin Il grande dittatore. Chaplin era un omino simpatico e gentile e i nazisti erano degli energumeni irragionevolmente brutali. Pareva che la forza, bruta appunto, fosse dalla loro parte e non dalla parte degli omini simpatici e gentili; ma la forza vera della modernità è quella di chi controlla il denaro e l’immaginario della gente: dunque, la forza era nelle mani dei padroni di Hollywood. Processo che, oggi, prosegue inarrestabile e si è ulteriormente accentuato.

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Il film di Charlie Chaplin Il grande dittatore: la forza vera della modernità è quella di chi controlla il denaro e l’immaginario della gente, dunque, la forza è nelle mani dei padroni di Hollywood. Processo che, oggi, prosegue inarrestabile e si è ulteriormente accentuato!

Ecco cosa dice Barnet Litvinof, uno dei più apprezzarti studiosi dell’ebraismo che è anche, guarda caso, un ebreo, nel suo libro Il roveto ardente, sottotitolo eloquente: Storia dell’antisemitismo (tit. or.: The Burning Bush. Antisemitism and Worl History, London, William Collins, 1988; traduzione dall’inglese di Isabella Farinelli e Francesca Piviotti, Milano, Mondadori, 1988, pp. 511-512):
Metà della popolazione ebraica mondiale è concentrate tra New York e la California, l’altra metà essendo dispersa in piccolo nuclei – e tra questi Israele – distribuiti sul globo. Gli ebrei si sono inseriti nell’industria dello spettacolo e in quelle sussidiarie con una tale autorità da non provare imbarazzo alcuno a esibirsi in caricature o cantare motivetti al cospetto di milioni di occhi. Di solito le macchiette alludono al contesto ebraico e chi le crea se ne vanta. In Woody Allen, nato Allen Königsberg, il mondo osserva l’ebreo sotto tutti gli aspetti del reietto – fisico imperfetto, amante sfortunati, uomo d’affari fallito, intellettuale frustrato – alla continua ricerca di un’ancora spirituale. L’uso eccessivi di simboli ebraici, caratteristico dello humour americano, tradisce una certa arroganza: “Cercate di capire, se ci riuscite”.
Woody Allen appartiene a una scuola cinematografica che trasforma il tradizionale stereotipo dell’ebreo in un’arma satirica sconfiggendo l’antisemitismo con il ridicolo. Altri si sono impadroniti della cultura ebraica per scopi più convenzionali, del tutto allineati con gli imperativi della comunicazione di massa. Nel musical “The Fiddler on the Roof” (Il violinista sul tetto), tratto in modo approssimativo dai racconti yiddish di Sholem Aleichem, dozzine di melomani inglesi indossano il costume da “hassidim” e il pubblico giudica la trovata accettabile sul palcoscenico quanto “La vedova allegra”.

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 Woody Allen appartiene a una scuola cinematografica che trasforma il tradizionale stereotipo dell’ebreo in un’arma satirica sconfiggendo l’antisemitismo con il ridicolo.

Più chiaro di cosìCercate di capire, se ci riuscite. Siamo arrivati a un punto tale che i detentori del potere occulto sfidano il pubblico a leggere le loro reali intenzioni: è quasi un test, per verificare a che punto è giunto il lavaggio del cervello. L’esito è, per loro, alquanto soddisfacente: il 99% della gente non coglie l’antifona, non si pone alcuna domanda e anzi non è neppure sfiorata dall’idea che vi sia un enigma da sciogliere. Non si creda che stiamo parlando solo di un certo ambito politico, economico o culturale: stiamo parlando letteralmente di tuttoPrendiamo il caso della Chiesa cattolica. Quanti cattolici si son resi conto che, dal Concilio Vaticano II, il B’nai B’rith si è insinuato nella loro Chiesa e nella loro fede e che sta dettando ad essi la sua agenda? A stabilire in che cosa dovevano credere: ad esempio, che Gesù Cristo è venuto per la salvezza di tutti gli uomini, ma non per gli ebrei, i quali avevano già la loro particolare “alleanza” con Dio; che cosa devono pensare delle altre religioni: guarda caso, anzitutto del giudaismo (vedi la Nostra aetate); e davanti a chi devono piegare le ginocchia: non davanti a Gesù Cristo (il signor Bergoglio non lo fa mai), bensì davanti alla memoria dei Sei Milioni?

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San Simonino da Trento: il Santo cancellato dal calendario!

La verità al tempo del controllo totale

di Francesco Lamendola
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L'ATTUALITA' DI UN DANNATO

 Oggi che tutto crolla: Preziosi, attualità di un dannato. Il cuore del suo pensiero non furono il razzismo e l'antisemitismo, bensì il complotto mondiale da parte di quella "Usurocrazia giudaico-massonica" che vediamo tutt’oggi 
di Francesco Lamendola 
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 Ho vissuto tutta la mia vita per la grandezza della Patria. Seguii Mussolini perché vidi in lui l'uomo che alla Patria poteva dare grandezza. Dopo il 25 luglio sperai ancora. Oggi che tutto crolla non so fare nulla di meglio che non sopravvivere. Mi segue in questo atto colei che ha condiviso tutte le mie lotte e tutte le mie speranze. Di questo gesto, un giorno, nostro figlio Romano andrà orgoglioso (Milano, 27 aprile 1945).

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Giovanni Preziosi fu veramente l'anima nera del fascismo?

Queste parole di un morituro furono lasciate in una lettera di commiato da Giovanni Preziosi, decisamente la figura più scomoda e sgradevole di tutto il fascismo, al punto che gli storici in vena di essere un po’ equanimi nei confronti di Mussolini credono di rendere un servizio alla memoria del Duce dicendo che lui trovava Preziosi, all’epoca in cui era Ispettore Generale per la Razza nella Repubblica Sociale Italiana, “repellente” (l’americano James Gregor, citando un pettegolezzo dell’allora direttore delCorriere della Sera, Ermanno Amicucci). E a ciò si aggiunga che molti storici non si sono fatti scrupolo di riportare con compiacimento una diceria allora molto diffusa negli ambienti del regime, e cioè che Preziosi fosse un terribile iettatore e che fosse meglio evitarlo, perché aver a che fare con lui significava quasi certamente attirarsi sul capo chissà quali disgrazie. Più maledetto di così… La sua colpa: ufficialmente, essere stato il più coerente, il più determinato, il più intransigente antisemita italiano del XX secolo, nonché amico personale di Alfred Rosenberg, il teorico del razzismo e dell’antisemitismo nazista; e il solo, a detta di Renzo De Felice, che avesse seriamente studiato la “questione ebraica” in tutti i suoi aspetti, culturali, economici, psicologici. La mattina del 27 aprile il suo corpo senza vita fu rinvenuto sul marciapiede di una strada di Milano, accanto a quello della moglie, Valeria Bertarelli, che aveva voluto affrontare il passo estremo insieme al suo uomo: insieme avevano compiuto il salto da un balcone al quarto piano di un palazzo, insieme avevano voluto concludere la loro vita, non potendo o non volendo sopravvivere alla disfatta di quel’Italia per la quale avevano lottato e nella quale avevano strenuamente creduto. Forse, se fossero rimasti rimpiattati qualche giorno, qualche settimana, qualche mese; se avessero fatto come tanti altri fascisti, aiutati da un briciolo di fortuna (per intanto, erano ospiti di amici in quella casa milanese), se la sarebbero cavata senza troppi danni, fino all’arrivo dell’amnistia di Togliatti del 1946. Dopotutto gli altri due maggiori esponenti del razzismo fascista, il giornalista Telesio Interlandi e lo scrittore e compositore Giulio Cogni, oltrepassarono indenni i giorni di Caino, ossia le atroci vendette partigiane dell’aprile e del maggio 1945: il primo visse fino al 1965, il secondo addirittura fino al 1983, e nessuno dei due dovette pagare per quanto aveva detto e scritto durante il Ventennio. Ma anche da questa diversa scelta si capisce che tipo era Preziosi: un piantagrane, un ribelle,  un idealista, un fanatico (secondo i suoi nemici), un uomo coerente con se stesso e coi suoi ideali: come avrebbe potuto adattarsi a vivere nell’Italietta repubblicana e democratica, fondata sulla bolsa retorica e sulla sistematica menzogna dell’antifascismo? Preziosi non era un uomo per tutte le stagioni: la sua stagione era stata quella del fascismo; ci aveva creduto sino in fondo, aveva creduto in Mussolini come nel solo uomo capace di rifare la nazione, di ridare una speranza al popolo italiano.

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Ciò che non viene, né gli verrà mai perdonato a Giovanni Preziosi sono due cose. Primo, aver tradotto i Protocolli dei Savi anziani di Sion fin dal 1920; secondo, aver premuto perché il Gran Consiglio, nel 1923, dichiarasse l’incompatibilità tra fascismo e massoneria. Ci permettiamo perciò una domandina: non sarà proprio perché quei due poteri occulti sono, a tutt’oggi, più forti che mai?

La sua scelta di non sopravvivere al crollo totale delle sue speranze ha qualcosa di nobilmente tragico e, diciamolo pure, d’incongruo. Non è frequente imbattesi in fedeltà di questo genere, nella storia d’Italia; non è frequente imbattersi nel tipo umano Preziosi. Lasciamo stare, per ora, il suo razzismo (ma fra poco ne riparleremo): non siamo forse abituati al tipo umano Badoglio? O, almeno, così ci hanno fatto credere. In realtà uomini d’onore l’Italia ne aveva. Uomini come il valoroso comandante Fecia di Cossato, che decise di non sopravvivere, anche lui, al disonore supremo, che per un marinaio fu l’8 settembre: la consegna della Regia Marina al nemico, senza aver sparato un solo colpo di cannone (cfr. il nostro articolo: Fecia di Cossato: quello era un uomo, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 22/07/18). I benpensanti del politically correct insorgeranno davanti a questo “sacrilego” accostamento: come si può paragonare il razzista Preziosi a un militare cavalleresco e coraggioso come Fecia di Cossato? Ma noi non li stiamo paragonando; stiamo prendendo atto che, di fronte alla sconfitta e al disonore dell’Italia, sia l’uno che l’altro scelsero di non sopravvivere; di testimoniare, col sacrificio della vita, che non erano fatti della pasta dei Badoglio. Ma poi, a partita chiusa, la macchina ideologica dei vincitori ha voluto convincere gli italiani di essere tutti quanti della pasta di Badoglio. Logico: essi volevano giustificare se stessi, gli uomini dell’8 settembre e del disonore. Se fossero riusciti a persuadere gli italiani di essere tutti degli spregevoli voltagabbana, avrebbero tolto da sé quella macchia e reso di nuovo immacolata la loro reputazione. Ci sono riusciti. Sarebbe stato alquanto improbabile che fallissero: avevano, e hanno, il controllo pressoché totale della stampa, del cinema, della televisione, della scuola, dell’università, della politica, della cultura, e si sono applicati al compito stabilito con uno zelo straordinario (ne avessero impiegato la decima parte, dopo che il fascismo li aveva colmati di onori e riconoscimenti, per cercar di vincere la guerra, quando ciò era ancora possibile!; o, almeno, per perderla con un po’ di dignità, dopo che non lo fu più). A forza di battere e ribattere, praticamene ogni giorno e ogni ora, per anni, per decenni, son riusciti a far entrare queste due idee nella testa degli italiani e specie dei giovani nati dopo il 1930, cioè esenti dalla “colpa” di aver combattuto sotto le bandiere del fascismo e contro i generosi liberatori, sia quelli di fuori che quelli di dentro: l’una esplicita, l’altra implicita. Quella esplicita, che il fascismo è stato il Male Assoluto, che in esso non vi è stato nulla di buono, nulla di legittimo, nulla di condivisibile, nulla di onesto e disinteressato, e che Mussolini è stato il peggior brigante nella storia d’Italia; quella implicita: che gli italiani sono un popolo di mangiatori di pastasciutta e suonatori di mandolino; che pensano più a sopravvivere che a difendere il proprio onore nazionale; che hanno manifestato la loro avversione al fascismo combattendo male la guerra e facendo di tutto per perderla; che tutta quella stagione è da scordare e archiviare, senza rendere onore ai caduti, senza chiedersi le ragioni ideali del loro sacrificio, ma, semmai, celebrando solo il valore di quelli che lottarono “per la libertà”: gli eroici partigiani che volarono al soccorso del vincitore ormai certo e che fecero del loro meglio, o del loro peggio, per rendere la disfatta della Patria la più totale, la più umiliante, la più disonorevole e la più truculenta che si potesse dare, con tanto di mattanza finale ai danni dei vinti, dopo il 25 aprile 1945 e cioè dopo che si erano arresi e avevano deposto le armi, sovente con l’ingannevole promessa di aver salva la vita.

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Si può paragonare il razzista Preziosi a un militare cavalleresco e coraggioso come Fecia di Cossato?

Ma Preziosi, si dirà, è stato il teorico del razzismo: una colpa e una vergogna tali, che niente e nessuno le potranno mai cancellare. Sta bene: non intendiamo tentare una riabilitazione di questo aspetto del suo pensiero e della sua opera, in questa sede. Piuttosto domandiamo: siano sicuri che questo sia stato il lato caratterizzante di essi? Preziosi è stato un uomo dalla vita molto attiva: ha viaggiato parecchio (Stati Uniti, Germania), ha fatto un sacco di esperienze, ha conosciuto un mucchio di gente, sia nella cosiddetta democrazia cristiana (come Romolo Murri), sia fra gli emigranti italiani, sua preoccupazione costante, anche quand’era prete (si era spretato nel 1911 per sposarsi con la compagna di tutta la sua vita, ma anche i suoi peggiori nemici hanno riconosciuto che il suo stile di vita rimase ascetico); le sue conoscenze venivano, più che dai libri, dalla conoscenza diretta delle cose e da una serie d’inchieste, quasi sempre scomode e pericolose, che conduceva con fiuto notevole e con coraggio personale. Ad esempio, nel 1922 condusse una serie d’inchieste sulle leghe rosse e sui loro metodi prepotenti e truffaldini, da cui uscirono due libri: Il corporativismo rosso, piovra dello Stato e La cooperativa Garibaldi della gente di mare, che possiamo considerare non solo intelligenti, ma addirittura profetici, visto quel che continuano a fare le cooperative rosse in certe parti d’Italia, ove si sentono e sono di fatto intoccabili a quasi un secolo di distanza dall’avvento del fascismo e a settant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale (e anche i misfatti della rete di amministratori rossi e sedicenti esperti e psicologi nel giro degli affidi abusivi di bambini, in provincia di Reggio Emilia, non sono che uno dei risvolti di quello strapotere sommerso e di quella impunità).

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Massoneria internazionale intrecciata col giudaismo politicizzato e talmudico? Preziosi denunciò un complotto mondiale da parte dei grandi banchieri e profetizzò quella usurocrazia che vediamo tutt’oggi più che mai all’opera contro i popoli e contro le nazioni!


Oggi che tutto crollaPreziosi, attualità di un dannato

di Francesco Lamendola
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