Per sopravvivere la Chiesa deve farsi democratica? Il Vangelo non è democratico: Gesù, che non cercava l’approvazione degli uomini non era "democratico"? Egli non è venuto in terra a insegnare una dottrina sociale, ma religiosa
di Francesco Lamendola
Ci siamo già chiesti un'altra volta se il cristianesimo in quanto tale, e la Chiesa cattolica come sua espressione compiuta e perenne, possa o debba adattarsi a fare propria la prospettiva politica della democrazia, con i suoi valori e i suoi ideali, ma anche con le sue aberrazioni e col suo peccato d’origine: esser figlia della Rivoluzione francese, del pensiero di Voltaire e Rousseau, del disegno di scristianizzare la Francia, che ha fatto parlare alcuni storici di una rivoluzione essenzialmente religiosa, o antireligiosa, proprio come quella del protestantesimo di quasi tre secoli prima, ma assai più virulenta e radicale; come, del resto, lo sarebbe divenuto anche il protestantesimo, se la rivolta dei contadini tedeschi e soprattutto movimento pauperisti e livellatori, come quello degli anabattisti, avessero avuto successo (cfr. spec. gli articoli: Ma cristianesimo deve fare rima per forza con democrazia?, e Ma è compito della Chiesa cattolica fare il tifo per la democrazia?, pubblicati sul sito dell’Accademia Nuova Italia rispettivamente il 16/12/17 e il 27/01/18).
Avevamo risposto di no, che né il cristianesimo né la Chiesa cattolica devono immedesimarsi a tal punto nella cultura moderna, né far proprie a tal punto le ideologie politiche moderne, da considerare la democrazia attuale come la sola possibile forma di governo e pertanto, di riflesso, da dover intraprendere una serie di riforme interne che democratizzino le strutture ecclesiali, partendo dalla Curia romana fino all’ultima parrocchia smarrita in partibus infidelium.
Gesù non è venuto in terra a insegnare una dottrina sociale, ma religiosa e morale. Se si perde di vista ciò, anche con le migliori intenzioni e solo per un attimo, si smarrisce il Vangelo…
In questa sede, ciò che vogliamo capire è come sia nata l’idea che cristianesimo e democrazia debbano per forza marciare affiancati; come sia nata, cioè, nella mente dei cattolici, dato che nella mente dei democratici non c’è mai stata, essendo il cristianesimo, nell’ottica democratica, un residuo destinato a sparire con l’avanzare del progresso e di tutte le idee e le forme pratiche della vita moderna. Per rispondere a questa domanda, bisogna tornare ai decenni che vanno dalle rivoluzioni del 1848, ove per un momento – ma fu solo una fiammata – sembrò che dovesse emergere prepotentemente alla ribalta un cristianesimo democratico, agli inizi del 1900, quando la Francia ripeté, con le leggi antiecclesiastiche che sopprimevano o espellevano gran parte degli ordini religiosi, il Kulturkampf bismarckiano, anche se l’uno e l’altro tentativo di spazzar via la presenza organizzata dei cattolici dalla società si sarebbero rivelati fallimentari; ed emise i primi vagiti il movimento denominato democrazia cristiana, che, seppur combattuto e represso da san Pio X, costituì la base sperimentale da cui sarebbero più tardi germogliate importanti forme di organizzazione sociale e politica dei cattolici. Semplificando al massimo, per amor di chiarezza, i termini della questione, possiamo porre così il dilemma dei cattolici “sociali”: come evitare che, dopo aver perso le classi dirigenti, conquistate dal liberalismo, e la classe operaia, conquistata dal socialismo, ora la democrazia, o il socialismo stesso, si portassero via anche il resto del popolo, il mondo contadino e quello della piccola borghesia urbana, degli artigiani, dei commercianti, degli impiegati? E, d’altra parte, come giocare d’anticipo la carta della democrazia, ovviamente in termini cristiani, per bloccare l’avanzata del socialismo e del liberalismo, pur sapendo che la democrazia stessa era nata dalla Rivoluzione francese, e dunque era viziata da una radice atea e anticristiana che rendeva difficilissimo, se non impossibile, trasformarla in uno strumento di difesa e di affermazione dei valori cattolici in seno alla società? In altre parole: come si poteva combattere l’ateismo, servendosi di uno strumento che era stato forgiato allo scopo di distruggere ciò che di cristiano rimaneva nella società moderna, non certo per reintegrarlo e svilupparlo? Né si trattava di una questione meramente teorica e filosofica. La Repubblica francese del 1792, poi quella del 1870, modello e punto di riferimento per tutte le altre repubbliche europee (a parte gli Stati Uniti, nati ancor prima di essa), era sostanzialmente una creazione della massoneria e aveva la lotta contro il cristianesimo nel suo DNA, anche se ammantato da belle espressioni come libertà religiosa e laicità dello Stato. Ora, come potevano i cattolici collaborare lealmente con tali governi repubblicani; come potevano prenderli a modello della nuova realtà politica; come potevano perdonare ad essi la tenace volontà di sopraffazione, come si vide con le leggi anticattoliche francesi del 1905 (pudicamente denominate leggi di separazione dello Stato e della Chiesa) e con le espulsioni di centinaia di religiosi, al termine di un calvario che li aveva posti giuridicamente nella condizione di stranieri in patria?
Gesù non cercava l’approvazione degli uomini, non si metteva su un piede di parità con essi, non dialogava con la folla ma la istruiva, non si rimetteva alle decisioni della maggioranza, non era neppure sfiorato dall’idea della libertà religiosa, intesa come libertà di rifiutare scientemente il Vero: in altre parole, e sappiamo di dire qualcosa di scandaloso nel clima odierno, non era democratico!
Nella sua biografia di padre Dehon, Yves Ledure così rievoca il clima e gli interrogativi che si ponevano alla Chiesa verso gli ultimi anni del XIX secolo (da: Y: Ledure, Un prete con la penna in mano; Leone Dehon; titolo originale: Le Père Léon Dehon, 1843-1925. Entre mystiuque et catholicisme social, Paris, Èditions du Cerf, 2005; traduzione dal francese di Angelo Pedrazzi, Bologna, Centro Editoriale Dehoniano, 2005, pp. 174-176):
Dopo l’enciclica del 1891 e sotto l’influsso dei molteplici circoli di studio delle questioni sociali, ricompare la preoccupazione di situare la Chiesa nella società democratica e repubblicana, perché possa diventare un fermento di giustizia sociale. Per distinguerla dal movimento del 1848, questa nuova iniziativa si chiamerà “la seconda democrazia cristiana”. Padre Dehon ne sarà uno dei grandi propagandisti, con la conseguenza che anch’egli sarà chiamato “prete democratico”, assieme a Six, Lemire, Gayraud, Garnier e alcuni altri.
Padre Dehon aveva iniziato il suo impegno sociale a San Quintino, iscrivendosi all’Opera dei circoli cattolici di operai. Quel movimento sociale si fondava su una concezione gerarchizzata della società, che sottintendeva la monarchia come modello politico. Esso richiamava élite e dirigenti all’impegno e alla responsabilità per riformare la società e restituirle quelle assemblee e quei principi che aveva prima della rivoluzione del 1789. Il movimento, fondato nel 1871 da René de la Tour du Pin e da Albert Mun, si basava sulla volontà di rompere con la società post-rivoluzionaria. Padre Dehon, pur apprezzando lo zelo e l’impegno di questi cristiani, intuisce subito i risvolti politici del movimento che, ai suoi occhi, ne limitano la portata e l’efficacia. “L’opera ha fatto un bene immenso – scrive. – Ha contribuito fortemente al risveglio della vita cristiana. Se nel 1875 avesse potuto evolversi e accettare la Repubblica, ci avrebbe dato una repubblica cristiana, ma non l’ha potuto, perché aveva reclutato il suo personale dirigente fra i più fedeli sostenitori della monarchia”! (NHV, X, 129).
Padre Leone Dehon
Del resto, La Tour du Pin, dopo le conferenze romane di Dehon, ardente patrocinatore della democrazia cristiana, gli scrive per manifestargli il suo totale rifiuto a riconoscere la sovranità del popolo, cosa che conferma il giudizio di Dehon. L’Opera dei circoli nonostante la sua incontestabile azione sociale, non ha potuto impedire che la frattura tra il cattolicesimo e la società del XIX secolo e il popolo si aggravasse. Padre Dehon pensa persino che il fatto che una certa élite di cattolici non possa e non voglia accettare le strutture politiche, ovvero repubblicane, del paese, sia una delle ragioni che spinge il popolo nelle braccia del socialismo. Per porre un argine a questa deriva, bisogna quindi ritornare al popolo, riconoscendogli i poteri che gli sono stati attribuiti dalla rivoluzione francese, come preconizzava già nel 1848 la rivista “Ere Nouvelle”. Per lui, la seconda democrazia cristiana è lo strumento di questo capovolgimento. Certo, l’evoluzione di Dehon in questo campo sarà lenta e soprattutto selettiva: infatti, se l’accettazione della repubblica in quanto forma di governo non gli pone nessun problema, le cose sono completamente diverse in una certa pratica della libertà che, accordandosi con il liberalismo e il rinascimento, secolarizza la società.
Secondo Dehon, la democrazia cristiana è la leva che consente di andare oltre quel liberalismo nel quale egli vede il “male della società civile” per eccellenza. Ai suoi occhi, il liberalismo perturba le relazioni sociali, escludendo la religione dalla sfera politica. La soluzione auspicata da Dehon consiste nel riagganciare direttamente il popolo, esattamente ciò che intende fare la democrazia cristiana. La Chiesa non deve restare sulle sue, non deve più ritenersi come una società strutturata “su” e “per” se stessa, ma deve accettare di essere una componente di questa società democratica.”Se non vogliamo essere trattati da paria, è ora di accettare tutto ciò che la società contemporanea ha di accettabile”, spiega al suo amici Harmel in una lettera del 28 dicembre 1902. Ecco il senso di “!andare al popolo” che Dehon auspica ancora prima che il congresso di Bpurges ne faccia la sua parola d’ordine. E per convincere i cattolici a compiere questo passo, ad accettare la repubblica e la democrazia, egli osa riprendere come titolo di un articolo per “La Chronique du Sud-Est” (luglio 1900) - proprio per evidenziare la strategia della rottura – la famosa formula attribuita al papa Anastasio II, già ripresa da Ozanam nel 1848, “Passiamo ai Barbari”.
Padre Leone Dehon sul letto di morte
Per padre Dehon, spirito ascetico, ma anche dotato di una forte sensibilità sociale (come Frédéric Ozanam e come san Giovanni Bosco) la democrazia cristiana doveva apparire come la quadratura del cerchio e, del resto, come la sola diga che si potesse costruire contro la marea del socialismo, il solo ponte che restasse percorribile in direzione del popolo, col quale la Chiesa aveva visto interrompersi i suoi legami secolari. E tuttavia, l’idea cardine della democrazia, ossia la sovranità popolare, era ed è realmente conciliabile con la visione cattolica della vita e della società, che è, necessariamente, una visione gerarchica? Infatti, tutta la dottrina e tutta la morale cattolica non si basano su qualcosa che è stabilito, o accettato, a maggioranza, secondo ciò che sembra giusto agli uomini, ma su una Legge suprema che scende direttamente da Dio e che gli uomini devono osservare quand’anche risultasse per loro estremamente scomoda.
La chiesa ecologista di Bergoglio? Il pericolo sta nel voler agganciare il popolo a ogni costo, ponendo il messaggio cristiano sul terreno sociale: quello della perdita progressiva della spiritualità e della trasformazione del prete in un agente sociale o in un attivista ecologista, ambientalista!
Il Vangelo, checché ne pensino i progressisti di allora e di oggi (e padre Dehon era un progressista, e come tale guardato da moltissimi cattolici, e tenuto d’occhio da vescovi e teologi), non è democratico. Ciò è talmente evidente che non vi sarebbe bisogno di spiegarlo: basti dire che Gesù non cercava l’approvazione degli uomini, non si metteva su un piede di parità con essi, non dialogava con la folla ma la istruiva, non si rimetteva alle decisioni della maggioranza, non era neppure sfiorato dall’idea della libertà religiosa, intesa come libertà di rifiutare scientemente il Vero: in altre parole, e sappiamo di dire qualcosa di scandaloso nel clima odierno, non era democratico. In fondo, oltre alla sovranità popolare, l’anima della democrazia è la tolleranza: e il Vangelo, giova ricordarlo, non è tollerante. Non lo è, perché non ammettere il principio che l’errore e il peccato possano essere tollerati: in quanto offesa fatta a Dio, sono sempre condannabili e mai potranno essere considerati una forma legittima di comportamento. Inoltre, per fornire un’immagine del mondo pacificato nel Padre, Gesù parla sempre del Regno di Dio, non certo della Repubblica di Dio. E c’è una ragione per questo; come esiste una gerarchia che va dalla terra al Cielo, così la Chiesa da Lui fondata si ispira a quella gerarchia, e fa di san Pietro il suo successore e degli apostoli i suoi sacerdoti. E a chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; e a chi non li rimetterete, non saranno rimessi (Gv, 20,23): dunque gli apostoli sono stati dotati di ampi poteri e non invitati a mettersi su un piano di parità con i convertiti. Tutti i Padri della Chiesa e i grandi teologi sono d’accordo su questo: la condizione sacerdotale è superiore a quella matrimoniale; il clero è superiore ai laici, perché solo il clero ha la facoltà di celebrare il Sacrificio eucaristico.
Come è nata l’idea che cristianesimo e democrazia debbano per forza marciare affiancati?
Per sopravvivere la Chiesa deve farsi democratica?
di Francesco Lamendola
Vedi anche:
Ma cristianesimo deve fare rima per forza con democrazia? - CRISTIANESIMO E DEMOCRAZIA
Ma è compito della Chiesa cattolica fare il tifo per la democrazia? - CHIESA CATTOLICA E DEMOCRAZIA
A proposito della dottrina sociale della Chiesa e del rapporto dei cristiani con la società - CHIESA E DOTTRINA SOCIALE
continua su:
QUALE FU L’ECONOMIA DI SAN FRANCESCO
( in tempi di eresie pauperistiche )
( in tempi di eresie pauperistiche )
Questo secondo articolo sul Convegno di Assisi di marzo 2020 ( Economy of Francesco ), segue un primo pezzo pubblicato su La Verita il 15 maggio . Oggi vorrei limitarmi ad alcune considerazioni di ordine storico-spirituale.
Nel medioevo, nei tempi di San Francesco d’Assisi ( 1182-1226) , dal XII al XIII secolo, si svilupparono molte varietà di eresie pauperistiche , quale reazione alla opulenza delle gerarchie ecclesiastiche .Nacquero vari ordini mendicanti, quali : - fraticelli,- umiliati , -poveri evangelici,- beghine,-patari, - valdesi , e altri , che prepararono progressivamente il terreno per la grande eresia ( apparentemente ) correlata a ragioni economiche : la Riforma Protestante . Gli studiosi di questi problemi spiegano anche che, a partire da fine del trecento, ci si convinse che la povertà, come ideale di vita ,era irrealizzabile e persino poteva pregiudicare i più deboli, ma anche che la chiesa povera era un errore perché non avrebbe avuto risorse per evangelizzare e fare opere di carità . Ne conseguì che la protesta religiosa pauperistica si trasformò , alleandosi alla protesta sociale , contrapponendosi alla Chiesa romana ed arrivando pian piano a concorrere alla preparazione della Riforma Protestante , che generò una seconda chiesa senza Roma. Si rifletta, proprio oggi, su questo punto.
Ispirarsi pertanto a San Francesco, per cercare di “umanizzare” l’economia, pretende molta attenzione, perché San Francesco non si occupò di economia, ma di conversione dei cuori. Non si umanizza l’economia se prima non si converte l’uomo che gestisce l’economia, non sono infatti le strutture e gli strumenti che vanno cambiati, bensì il cuore dell’uomo che li usa. Altrimenti il rischio è di protestantizzare l’uso dello strumento economico che prende autonomia morale. Pertanto, se si è scelto San Francesco quale maestro, si ascoltino davvero le sue lezioni implicite.
San Francesco volle che la povertà, che lui aveva scelto, si rivelasse nella purezza del Vangelo, non pretendeva certo di farne una lezione di economia, soprattutto contro i ricchi. I poveri pezzenti, i mendicanti, non erano i poveri di San Francesco, perché non cercavano, non volevano ed non amavano la povertà, come invece faceva il santo di Assisi. La povertà, utile talvolta alla loro, spesso giusta, ribellione, non era la povertà di San Francesco, la cui povertà non era certo quella dei poveri “per disgrazia”. Ma tantomeno lo era la povertà dei poveri “per rancore polemico”, cioè quella ostentata dagli eretici. San Francesco era povero per vocazione, per amore di Cristo. Solo nel Vangelo la povertà non si lamenta, non protesta, ma si esprime senza rancore, senza lamenti, perché si identifica con Gesù stesso.
Neppure Papa Innocenzo III, il Papa di San Francesco, quello che indisse la crociata contro gli eretici albigesi, quello stesso che scrisse il De Contemptu mundi (nel quale disprezza la miseria della condizione umana ), aveva capito lo spirito della povertà di SanFrancesco. Non doveva esser facile capire questo spirito, perfino san Bernardo aveva già chiamato “santa” la povertà nel mondo, ma San Francesco non parlava di una povertà del mondo che santifica chi, non volendola, la sa sopportare, lui parlava di una povertà che arricchisce e da felicità, volendola e amandola. Ma attenzione, per San Francesco la povertà non era il fine, ma solo un mezzo, grazie al quale, liberamente, egli poneva il proprio pensiero in Dio facendo la volontà di Dio.
In Laudato Si’, quello di San Francesco, tutte le creature son chiamate a lodare Iddio secondo il loro ruolo naturale, solo l’uomo è chiamato a farlo esercitando virtù, con merito, perdonando e soffrendo. Scrive San Francesco « laudato sì mi Signore per quelli che perdonano per il tuo amore e sostengono infermità e tribolazioni». Ecco che San Francescodistingue due livelli di creature, con diversi ruoli e doveri, ed alla creatura umana chiede di esercitare le virtù, guadagnando meriti con le sue azioni. In specifico perdonando e sopportando tribolazioni. Dio è infatti “meritocratico” ( con buona pace dei teologi progressisti che lo considerano una “bestemmia”) .
Pensare pertanto di umanizzare l’economia, ispirandosi ad una (soggettivamente interpretata) spiritualità di San Francesco, presenta rischi. Rischi di illudere con utopie “pauperistiche” moderne che potrebbe anche generare errori irreversibili, orientati alla decrescita economica a beneficio di un culto, neomalthusiano-ambientalista, della natura e in disprezzo dell’uomo, considerato implicitamente invece -cancro della natura-. Magari anche privilegiando indirettamente quelle religioni pagane «più attente all’ambiente di quelle cristiane».
Un’ultima considerazione. Invece di parlare di “casa comune” riferendosi al Creato (ambiente), un cattolico che si ispira a San Francesco, dovrebbe parlare del Creato come di un “bene di famiglia della Casa di Dio”, da trattare con il massimo rispetto. Ma se la teologia prevalente oggi afferma che la Chiesa è -parte del mondo-, essa rischia di venir “evangelizzata dal mondo” e perderà il suo ruolo e compito di concorrere a generare il vero bene comune.
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