AVVENIRE / CLAUSTRUM ADDIO: IN SCENA LE FANTERIE ORANTI ANTI-SALVINI
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Fermento nella piazza d’armi di ‘Avvenire’. Mobilitazione generale in nome di Carola Rackete (santa subito!) e contro i critici del turpe business dell’accoglienza. Mobilitate perfino le oranti truppe claustrali e i teologi dal petto in fuori, pronti a immolarsi per la ‘buona causa’. Ciak, si gira!
Ci chiedono alcune lettrici: com’è che da ben 17 giorni non ti occupi di Avvenire….hai deciso di diventare buonista? Risposta: da una parte volevamo dare un po’ di riposo sia ai nostri lettori che alla pressione arteriosa del Turiferario Direttore, dall’altra attendevamo l’occasione giusta (certi che si sarebbe ripresentata) per riprendere l’argomento. E stamattina, mercoledì 24 luglio 2019, Tarquinio il Superbo ce l’ha offerta, succosa come sempre… Forse spera di guadagnare copie, perché (se stiamo alle vendite in edicola) l’Avvenire non si schioda dal ventesimo posto – esclusi i quotidiani sportivi - neanche nella classifica di maggio 2019. Prima del quotidiano catto-fluido troviamo sempre Libero (23.308 copie) e La Verità (23072); Avvenire arranca a quota 20734 (il distacco è aumentato) ed è insidiato dall’Eco di Bergamo (20524) e dall’Arena di Verona (20368).
Pagina 2 di oggi (“Il direttore risponde”) è infatti aperta dal titolo “Quel prezioso appello dalle clausure: tantissime condivisioni e una macchia” . Già il titolo incuriosisce… siccome la macchia non può essere che ‘nera’, ci chiediamo se il Marco per caso non sia un lettore di fumetti della Disney e se non conosca anche Macchia Nera, un bandito tra i peggiori, nemico di Topolino… Un lettore esterna “dolore e disgusto” per un articolo apparso lunedì 22 luglio su Il Giornale (e allora dev’essere proprio, nella psiche del Tarquinio, una macchia perlomeno tendente al nero…), a firma Francesco Maria del Vigo. Qual era l’argomento? La lettera che clarisse e carmelitane scalze di 62 (sessantadue) monasteri hanno inviato all’Alto Colle e al Devotissimo di Palazzo Chigi per fustigare i sostenitori dei ‘porti chiusi’ e per invocare la tutela del popolo italiano da tali truci figure anche istituzionali. Di quale orribile delitto (sempre per la psiche del Tarquinio in veste di Torquemada) si sarà mai macchiato il collega? Abbiamo letto e riletto l’articolo ‘incriminato’, in cui si ‘punge’ con brio la lettera dei 62 monasteri, ma l’abbiamo trovato un’espressione anche divertente di un’opinione critica verso un intervento politico come tale lettera. Niente a che vedere, ad esempio, con le pesantezze contenute in certe vignette dell’amico (del Marco) Staino o in dichiarazioni di Gad Lerner, Roberto Saviano, Michela Murgia e premiata compagnia di giro.
Ma, si sa, lo humour non è il forte dei sinistri e neppure dei loro compagni di strada, i catto-sinistri. Che, se possibile, sull’argomento mostrano un’intolleranza ancora maggiore. Della serie: per gli insulti ai truci non c’è limite, ma guai a toccare anche solo con un’ombra di unghia gli amici e gli amici degli amici…
Prima di giungere all’esternazione tarquinesca di stamattina, ricapitoliamo… per chi si fosse persa qualche puntata del feuilleton.
Nella guerra scatenata contro Salvini e i ‘cattivisti’ si è pensato in alto loco di chiamare a raccolta le fanterie assai raccogliticce sparse tra istituti teologici e monasteri. Per natura non sono persone abituate a combattere, riscuoterebbero pernacchie se urlassero il motto risorgimentale napoletano (di cui si appropriarono poi il ventennio, i suoi nostalgici e anche altri di colore diverso) “Boia chi molla/è il grido di battaglia”. Eppure queste fanterie di anime belle, piamente intenzionate, nei proclami ci vanno giù duro.
IL CINQUE LUGLIO: L'ORA DEI TEOLOGI
Il 5 luglio 2019, sempre a pagina 2 e sotto il titolo “Il dovere di salvare e di obiettare a guerre contro i poveri e tra poveri”, Avvenire pubblica due lettere-appello di teologi e teologhe all’Alto Colle, con commento entusiastico di Tarquinio Il Superbo. La prima è di 32 insegnanti della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, sezione san Luigi. L’incipit è tutto da assaporare: “Signor Presidente, le scriviamo per manifestarle la nostra totale condivisione con le scelte compiute da Carola Rackete (…) sia per aver salvato la vita a dei naufraghi nel Mediterraneo sia per aver deciso, dopo 17 giorni di vana attesa, di farli sbarcare in Italia dopo le lunghissime sofferenze patite nei loro viaggi precedenti (…). Signor presidente, se la solidarietà sta divenendo in Italia un reato, allora noi le comunichiamo che vogliamo compiere ogni reato di umana solidarietà e che ci associamo a quanto ha fatto la comandante Rackete e desideriamo essere indagati e processati anche noi per apologia di reato e ci offriamo di ricevere la pena prevista per questo reato. Troviamo inaccettabili le parole dell’attuale ministro dell’Interno il quale, mentre agita a scopo elettorale il Vangelo e il Rosario, parla di atto di guerra compiuto dalla comandante Rackete. Carola (santa subito!) ha salvato la vita a dei naufraghi? Carola (santa subito!) ha fatto bene a infrangere le leggi dello sbarco? Petto in fuori, pronti alle manette (così da darvi soddisfazione mediatica)? Care anime pie, perché avete buttato via tanti anni per studiare teologia, quando – iscrivendovi al Leoncavallo e simili – avreste potuto fare una carriera molto rapida?
La seconda lettera del 5 luglio – tremate, tremate! – è sottoscritta dalla presidenza dell’Associazione teologica italiana per lo studio della Morale (Atism). Addirittura… c’è da chinarsi riverenti! Questi otto pii cervelli giuridicamente superiori scrivono tra l’altro (a proposito della mancata convalida dell’arresto della Rackete da parte di tale Alessandra Vella, Gip di Palermo). “Desideriamo (…) esprimere profonda soddisfazione per le motivazioni della decisione del già citato Gip di Palermo, che sottolineano come persino la resistenza a pubblico ufficiale da parte della comandante Rackete debba essere valutata alla luce del suo sforzo di adempiere il dovere di salvare vite umane in mare”. Anime belle, magari, ma anche presuntuose. Oltre che istigatrici (alla disobbedienza civile verso le norme di uno Stato democratico). Povera Atism… è forse il caso che la sua presidenza appenda la teologia al chiodo ed entri a far parte gratuitamente del collegio difensivo di qualche cellula anarchica…
IL QUATTORDICI LUGLIO: L'ASSALTO DELLE CLAUSTRALI ALLA BASTIGLIA
Colpo grosso per Avvenire il 14 luglio (Dansons la Carmagnole, vive le son du canon!) che a pagina 2 nella solita rubrica, sotto il titolo “Noi, sorelle, preoccupate e in preghiera per questo Paese e i migranti senza voce”, pubblica una lettera all’Alto Colle e al Devotissimo di Palazzo Chigi firmata da 62 (sessantadue) monasteri di clarisse e carmelitane scalze. Ecco altre anime pie che dalla preghiera contemplative irrompono con gran frastuono mediatico e svolazzo di veli e tonache nell’agone politico. “Siamo sorelle di alcuni monasteri di clarisse e carmelitane scalze, accomunate dall’unico desiderio di esprimere preoccupazione per il diffondersi in Italia di sentimenti di intolleranza, rifiuto e violenta discriminazione nei confronti dei migranti e rifugiati che cercano nelle nostre terre accoglienza e protezione”. A parte che la frase sembra uscita dalla stampante di una sezione del Pd, ma – ci chiediamo – tutte queste sorelle clarisse ecc… sono sicure di conoscere bene la società in cui vivono, loro che hanno scelto di dedicarsi alla contemplazione e alla preghiera? Hanno deciso di entrare in politica? E allora siano meno sprovvedute e sappiano almeno distinguere i rifugiati (cui una protezione deve essere accordata) dai migranti. Oppure non sono proprio del tutto anime belle (almeno le capoccione, perché le altre sono abituate a seguire senza eccepire, come ai bei tempi in cui, per fortuna dell’Italia, si recavano in massa alle urne per votare contro il Pci)?
Tiremm innanz. Si legge ancora nella lettera invita all’Alto Colle e al Devotissimo di Palazzo Chigi: “Anche noi, quindi, osiamo supplicarvi: tutelate la vita dei migranti. Tramite voi chiediamo che le istituzioni governative si facciano garanti della loro dignità, contribuiscano a percorsi di integrazione e li tutelino dall’insorgere del razzismo e da una mentalità che li considera solo un ostacolo al benessere nazionale (…) Desideriamo dissociarci da ogni forma di utilizzo della fede cristiana che non si traduca in carità e servizio”. Ma quante ne sanno queste sorelle oranti! E come indovinano il Bersaglio Grosso! E come sono misericordiose… che Tarquinio tenga lezione in convento?
La lettera pubblicata da Avvenire il 14 luglio (Aux armes, mes chères soeurs, formez vos bataillons… marchons marchons… qu’un sang impur abreuve nos sillons!), ma scritta l’11, ha trovato subito l’adeguata accoglienza quirinalizia, come da Lassù ci si è premurati di comunicare al quotidiano di casa: “Fonti del Quirinale hanno fatto sapere che il presidente Sergio Mattarella ha visto la lettera aperta e l’ha accolta ‘con interesse’ “.
VENTUN LUGLIO: ARRIVANO I RINFORZI
Non solo, ma il 21 luglio Avvenire ha pubblicato a pagina 10 una lista di adesioni da parte di 273 (duecentosettantatre) istituti e congregazioni , compresi quelli secolari, oltre che di singoli religiosi e laici. Si incomincia con il CIIS (Conferenza Italiana Istituti Secolari della diocesi di Milano e della Lombardia) e si finisce con le Suore Terziarie Francescane Elisabettine di Aviano (povero Marco d’Aviano… chissà come si rivolta nella tomba colui che l’11/12 settembre 1683 contribuì con le sue esortazioni battagliere a cacciare i turchi accampati sotto le mura di Vienna) . Si è poi aggiunta la Federazione delle donne evangeliche in Italia (FDEI).
VENTIQUATTRO LUGLIO: TARQUINIO SI STRACCIA LE VESTI
Il cerchio si chiude e torniamo all’edizione di Avvenire di oggi, mercoledì 24 luglio. Dicevamo del lettore inviperito (Antonio Latela) per l’articolo de Il Giornale (“L’ho trovato veramente vergognoso!”) e della condivisione del Turiferario Direttore: “Capisco il suo sconcerto e la sua indignazione, caro signor Latela. Ma ci sono persone, e anche giornalisti, che pur di sfoderare un gioco di parole (“Dalla clausura ai porti aperti”) farebbero qualunque cosa”. Povero Tarquinio, parla forse per se stesso? Casomai avesse perso la memoria, vada a rileggersi i titoli di prima pagina dedicati dal suo giornale ai casi Diciotti e Sea Watch (in questo sito www.rossoporpora.org ne abbiamo fornito ampio riscontro). Dopo aver rievocato i tempi dei rifugiati razziali e politici ebrei e l’accoglienza da loro ricevuta in molti conventi (il paragone tra loro e i migranti di oggi, storicamente demenziale, è lì… sulla punta della penna!), Tarquinio il Misericordioso si dice convinto che le clarisse e le carmelitane scalze hanno perdonato il collega de Il Giornale. E aggiunge: “Io sono molto meno buono di loro e francamente non riesco ad accettare che il corsivista del giornale che fu di Montanelli le abbia accusate di aver contribuito, proprio loro, a un dibattito ‘sguaiato’. Caro Marco, un po’ di pudore: mica vorrai appropriarti anche di Montanelli, magari arruolandolo tra i catto-sinistri in pectore?
IL VANGELO DI DOMENICA 21 LUGLIO 2019: MARIA E MARTA
In conclusione ci piace richiamare un brano del Vangelo di Luca (10, 38-42), letto domenica scorsa 21 luglio 2019: In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: ‘Signore, non t'importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti’. Ma il Signore le rispose: ‘Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c'è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta’. E’ un brano evangelico non facile da condividere, però Vangelo è. Ed è molto chiaro. Allora, sorelle, chi ve l’ha fatto fare di entrare in politica a gamba tesa per assecondare – come truppa di complemento – la guerra in atto contro Salvini e i suoi da parte dei vertici della Cei e delle loro propaggini mediatiche, in unità d’intenti con i buonisti interessati di ogni risma e colore? Siamo in uno Stato democratico, per imperfetto che sia: non in uno di quei regimi con cui nella storia avete dovuto spesso confrontarvi. Riconoscete la vostra imprudenza, non tradite il Vangelo e tornate a fare quello che avete scelto in gioventù come attività fondamentale per la vostra vita: contemplare e pregare. Almeno fino a quando ve lo consentirà il cardinale novatore Joāo Braz de Aviz, prefetto del Dicastero per i religiosi intenzionato – in nome della ‘Chiesa in cammino’-a rivoluzionare la vita claustrale, cambiando ad esempio “il modo di pregare, di vestire”… (vedi intervista a Ultima Hora, 14 luglio 2019).
AVVENIRE / CLAUSTRUM ADDIO: IN SCENA LE FANTERIE ORANTI ANTI-SALVINI - di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 24 luglio 2019
Da poco in libreria un volumetto agile di Luigi Accattoli e Ciro Fusco, un’antologia di 110 ‘parabole’ di papa Francesco scelte e analizzate nelle loro dinamiche comunicative dai due colleghi vaticanisti…
Duro, roccioso, tremendamente difficile da digerire per stomaci catto-buonisti il libro di Marco Politi su “La solitudine di Francesco” di cui ci siamo occupati nell’ultima recensione (vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/papa-francesco/882-libri-marco-politi-la-solitudine-di-francesco.html ).
Oggi cerchiamo di riequilibrare il metabolismo di tali stomaci sinistri traendo qualche spunto di riflessione da un’antologia ragionata di verba bergogliani, “Cera un vecchio gesuita furbaccione” compilata da due noti e amabili colleghi vaticanisti. Il primo è il marchigiano Luigi Accattoli, ben conosciuto dai lettori anche come nostro sfidante nella serie di confronti che ha preso avvio nel gennaio del 2017 (e che riprenderà dopo l’estate). Vera icona del vaticanista paludato, ‘istituzionale’ (alcuni anni a Repubblica seguiti dai decenni al Corriere della Sera), Accattoli – ben corazzato in scienze bibliche e conoscenze ecclesiali – nei dibattiti è un Maestro nel far girare la palla, nascondendola con abile gioco di parole; nel contempo però soffre assai l’avversario che con decisione gli carpisca il pallone involandosi verso rete. E in tal caso non esita se necessario a spedire senza tanti complimenti il cuoio in angolo, scuotendosi per un momento dalla sua ieraticità. Insomma Accattoli è sostanzialmente un pragmatico, che non raramente – per non capitolare – accoglie pubblicamente almeno in parte le ragioni dell’avversario, se difficili da contestare. Non è certo il classico turiferario, ma sa anche assumere una posizione cordialmente critica verso certi atteggiamenti di un pontefice che pur sta molto a cuore a un catto-piddino naturale come lui. Ciro Fusco invece è un giornalista napoletano (nato ad Ercolano) dotato di grande fantasia e spirito di iniziativa: l’abbiamo conosciuto negli anni della preparazione del Grande Giubileo del Duemila e l’abbiamo ritrovato in particolare come prezioso aiuto nell’organizzazione e nello svolgimento dei dibattiti con Accattoli.
“C’era un vecchio gesuita furbaccione” è un agile volumetto di 200 pagine edito dalle Paoline. Comprende “100 + 10 parabole”, precedute –dopo una breve introduzione comune - da una introduzione di Accattoli e seguite da diverse considerazioni di Fusco su circostanze, modalità e temi dei testi bergogliani.
Il potenziale acquirente è attirato dal titolo, che inevitabilmente induce a pensare a un giudizio sbarazzino dei due autori su papa Francesco. In realtà la frase è del pontefice (pronunciata a Bologna il primo ottobre 2017 in un incontro con i religiosi), ma riferita a un suo confratello che l’aveva consigliato quand’era studente di filosofia. Quel furbaccione è poi stato modificato ufficialmente in furbacchione. Notano maliziosamente Accattoli e Fusco che anche lo stesso Bergoglio ormai è “un vecchio gesuita”, che nella mega-intervista a padre Spadaro pubblicata il 19 settembre 2013, disse tra l’altro: “Posso dire che sono un po’ furbo, so muovermi”.
Ci viene spontaneo pensare che il titolo non abbia entusiasmato almeno inizialmente le Paoline, sensibilissime a tutto ciò che possa apparire anche lontanamente irriverente verso Casa Santa Marta… Pure il sottotitolo “100+10 parabole di papa Francesco” appare inusuale e comunque ‘muove’ la copertina, come la caricatura (autore: Fabrizio Zubani) di un Francesco che sembra uscire da una drastica cura dimagrante che gli ha però ingrandito le mani…
LA PREFAZIONE DI ACCATTOLI E FUSCO: QUEL PARAGONE INSISTITO TRA BERGOGLIO E GESU’…
Il volumetto non è polemico e non si inserisce direttamente nel confronto molto aspro che si registra oggi nel mondo ecclesiale tra entusiasti e critici anche durissimi del pontificato bergogliano. Certo si pone positivamente verso il magistero del papa argentino. Gli autori riportano le ‘parabole’ e le situano e/o commentano direttamente a piè di pagina. Per comprendere le intenzioni di Accattoli e Fusco giova evidenziare qualche passo della loro prefazione: “Questo libretto raccoglie alcuni tra i racconti più vivi usati da papa Francesco nella predicazione, a supporto del suo magistero narrativo, a similitudine delle parabole di Gesù. Crediamo di poter dimostrare che gli esempi del Papa costituiscono la forma più contagiosa con cui egli propone il ritorno al Vangelo. Le parabole gli servono per farsi capire, ma anche per scuotere e per dire qualcosa quando non può dire tutto. (…) Come Gesù, Francesco parla ma anche agisce in parabole”.
Accattoli e Fusco qui scrivono cose condivisibili, ma non possiamo non notare che quel loro insistere sul paragone tra il magistero di Bergoglio e quello di Gesù (un paragone a dir poco impegnativo, prescindendo da altre considerazioni) può apparire come un’ inutile forzatura. Tanto più che è facile per le anime belle o interessate estendere il paragone dal magistero agli stessi Gesù e Bergoglio nella loro integralità… C’è poi un’altra questione: si è poi così sicuri che le parabole tramandate dal Vangelo siano state realmente pronunciate da Gesù? Non sappiamo se, prima di incominciare la selezione dei testi, i due autori si siano prudentemente confrontati con padre Arturo Sosa Abascal, generale dei gesuiti, che nella famosa e sempre e ancora sempre citata intervista a ‘Rossoporpora’ del febbraio 2017 aveva osservato come a quel tempo non c’erano i registratori… ( vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/interviste-a-personalita/672-gesuiti-padre-sosa-parole-di-gesu-da-contestualizzare.html).
L’INTRODUZIONE DI LUIGI ACCATTOLI
Nell’introduzione Accattoli individua “quattro livelli di audacia” nella comunicazione papale per parabole: “La vicinanza, la spinta a non accontentarsi di quanto già si fa, la necessità di andare al nuovo, l’incontro con Dio che è sempre nuovo”. L’intenzione è chiara: “Il messaggio diretto o indiretto della narrazione permette di affermare qualcosa che nel discorso diretto gli uditori non accetterebbero”. La narrazione bergogliana ha un obiettivo fondamentale: “Scuotere gli uditori”. Nelle parabole ‘narrate’ Accattoli individua parallelismi tra Gesù e Bergoglio. Un solo esempio basta: “Il ruolo svolto dalla cavalcatura del samaritano che porta l’uomo ferito e mezzo morto alla locanda (Luca 10) è ora affidato al taxi sul quale una signora fa salire un rifugiato senza scarpe (parabola 65).
Le parabole bergogliane non sono però solo quelle ‘narrate’, ma quelle “vissute e attualizzate, che sono numerose e significative almeno quanto quelle narrate” e che si potrebbero definire come “atti con una loro concretezza e novità, che hanno come protagonista il Papa in persona e sono svolti con finalità di insegnamento”. Un esempio: “Battezza la bambina di una coppia sposata civilmente (12 gennaio 2014) ed è parabola vissuta che completa le parabole narrate che dedica alle dogane pastorali imposte a chi vive in situazione irregolare”. Un altro: “Visita la moschea di Bangui che raggiunge avendo come ospite l’imam sulla papamobile (29 novembre 2015)”. Un altro ancora: “Incontra in un appartamento romano un gruppo di preti che hanno lasciato il ministero e si sono sposati (11 novembre 2016) e lo fa perché ‘questi spretati sono guardati con disprezzo’ ”. Atti come quest’ultimo “dicono – rileva Accattoli – misericordia verso gli irregolari o i feriti dalla vita”. Di più: “Se si attua una compiuta ermeneutica si può notare come essi alludano a possibili cambiamenti del diritto o della prassi o a una nuova interpretazione degli stessi”. Ed è qui il punto fondamentale, perché “Francesco, con la sua parabola vissuta, ci provoca a guardare oltre ogni norma escludente”.
L'ANALISI DI CIRO FUSCO
Le considerazioni che concludono il volumetto sono invece affidate a Ciro Fusco, che ha analizzato da vicino le 110 parabole scelte. “E’ significativo che la stragrande maggioranza siano state enunciate nel corso di omelie durante le messe, prevalentemente nella celebrazione mattutina presso Santa Marta, nelle predicazioni di altre cerimonie religiose e nel corso di incontri, dove con questa espressione sono da intendersi le udienze a gruppi particolari o i discorsi ad assemblee e raduni specifici”. Se ne ritrovano, “con una certa frequenza”, anche nelle interviste giornalistiche. Invece le parabole sono poco utilizzate nelle udienze generali del mercoledì e negli Angelus/Regina Coeli della domenica; ancora meno nei testi magisteriali (una sola volta in Amoris laetitia 119). Se ne può trarre una deduzione: “Francesco inserisce le parabole nel contesto di allocuzioni pubbliche, davanti a interlocutori in carne ed ossa, molto spesso parlando a braccio”.
Ciro Fusco cita poi alcuni paragrafi dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, in cui Bergoglio si occupa della predicazione: “Uno degli sforzi più necessari è imparare ad usare immagini nella predicazione, vale a dire parlare parlare per immagini. A volte si utilizzano esempi per rendere più comprensibile qualcosa che si intende spiegare, però quegli esempi spesso si rivolgono solo al ragionamento; le immagini, invece, aiutano ad apprezzare e ad accettare il messaggio che si vuole trasmettere (…) Altra caratteristica è il linguaggio positivo. Non dice tanto quello che non si deve fare, ma piuttosto propone quello che possiamo far meglio” (NdR: per la verità ci sembra di ricordare che in una serie quasi infinita di occasioni Francesco ha utilizzato ampiamente la categoria del rimbrotto e della fustigazione. In qualche caso poteva anche avere ragione, come nella parabola numero 75 che riportiamo alla fine della recensione…)
UN PAIO DI SIGNIFICATIVE ‘PARABOLE’ BERGOGLIANE CONTENUTE IN “C’ERA UN VECCHIO GESUITA FURBACCIONE” (EDIZIONI PAOLINE)
IL NONNO MANGIAVA IN CUCINA DA SOLO (numero 26): “C’era un nonno che abitava con il figlio, la nuora e i nipotini. Ma il nonno invecchiò e alla fine, poverino, quando mangiava, prendeva la zuppa e si sporcava un po’. Un giorno il papà ha deciso che il nonno non avrebbe più mangiato alla mensa della famiglia perché non era una bella figura, non potevano invitare gli amici. Ha fatto comprare un tavolino e il nonno mangiava in cucina da solo. La solitudine è il veleno più grande per gli anziani. Un giornoil papà torna dal lavoro e trova il figlio di quattro anni che ta giocando con il legno, i chiodi e un martello. E gli dice: ‘Ma cosa fai?’ ‘Un tavolino, perché quando tu diventi anziano, potrai mangiare lì!. Quello che si semina, si raccoglie!” (Incontro con i giovani e le famiglie a Napoli, 21 marzo 2015)
PRETE GIOVANE CHE PROVA IL ‘SATURNO’ (cappello circolare a larga tesa usato dai sacerdoti) (numero 75): “Con la rigidità c’è pure la mondanità. Un sacerdote mondano, rigido, è uno insoddisfatto perché ha preso la strada sbagliata. E’ successo tempo fa: è venuto da me un anziano monsignore della curia, che lavora, un uomo normale, un uomo buono, innamorato di Gesù, e mi ha raccontato che era andato all’Euroclero (negozio di abiti ecclesiastici e paramenti sacri a Roma, via del Sant’Uffizio) a comprasi un paio di camicie e ha visto davanti allo specchio un ragazzo – lui pensa non avesse più di venticinque anni, che fosse un prete giovane o uno che stava per diventare prete – con un mantello grande, largo, con il velluto, la catena d’argento e si guardava. E poi ha preso il ‘saturno’, l’ha messo e si guardava: un rigido mondano. Quel sacerdote anziano – è saggio quel monsignore, molto saggio – è riuscito a superare il dolore con una battuta di sano umorismo e ha aggiunto: E poi si dice che la Chiesa non permette il sacerdozio alle donne. Il mestiere che fa il sacerdote quando diventa funzionario, finisce nel ridicolo, sempre” (omelia a Santa Marta, 9 dicembre 2016)
LIBRI/ ‘C’ERA UN VECCHIO GESUITA FURBACCIONE’ DI ACCATTOLI E FUSCO – di GIUSEPPE RUSCONI - www.rossoporpora.org – 20 luglio 2019
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