In morte di Vincent, tra l’abbandono dei Pastori e il gregge che lotta
Vincent Lambert è entrato nelle nostre vite. La sua vicenda mostra che c’è una Chiesa viva, che prega e combatte. Come i genitori Viviane e Pierre, i fratelli David e Anne, gli avvocati e tutte le persone che hanno sostenuto la battaglia di Vincent. Consapevoli che in gioco non c’era “solo” la sua vita bensì la resistenza a un totalitarismo che ipnotizza le coscienze. Il caso Lambert mostra anche che il popolo è stato abbandonato dalla maggior parte dei Pastori, che sembrano divenuti i precursori della logica dell’anticristo. Il Cielo lo sa, ed è per questo che ha previsto, in questi tempi, una presenza “straordinaria” della Madonna.
In preghiera per Vincent a Parigi
La nostra avventura con Vincent era iniziata il 16 aprile 2018, una manciata di giorni prima dell’assassinio di Alfie. Benedetta Frigerio seguiva con fede, passione e competenza la vicenda del bimbo inglese e quotidianamente ci sfornava notizie “calde”: un cibo che, però, veniva sempre più condito da lacrime amare. Nel frattempo in Francia, il dottor Vincent Sanchez dell’ospedale CHU di Reims rendeva noto ai familiari che il 19 aprile avrebbe iniziato la procedura per sospendere l’idratazione e l’alimentazione a Vincent Lambert.
Da allora, per oltre un anno, Vincent è entrato nelle nostre vite, con un crescendo di affetto e comunione nella preghiera. Fino alle ultime battaglie: il colpo di scena del 20 maggio scorso, alle 22.30, l’ennesimo e definitivo avvio del processo eutanasico il 2 luglio e l’inizio di una vita nuova, la vera vita, ieri mattina.
Che cosa è emerso in tutta questa vicenda? Che c’è una Chiesa viva, che prega, che combatte, che si espone. L’abbiamo vista in Viviane, Pierre, David, Anne; l’abbiamo incontrata negli avvocati Paillot e Triomphe e in tutte le persone che cercavano in ogni modo di sostenere la famiglia e Vincent con la preghiera, con dei messaggi, con la propria presenza fisica alle iniziative organizzate. In tutte queste persone è emersa chiaramente una consapevolezza: in gioco non c’era “solo” Vincent e nemmeno “solo” quelle migliaia di persone che si trovano nella sua stessa condizione. In gioco c’era e c’è la resistenza a un totalitarismo sempre più forte, che cerca prima di ipnotizzare le coscienze e poi di bloccare con tutti i mezzi quelli che non sono caduti nella rete.
In tutti questi mesi, soprattutto gli ultimi, è stato penoso, a volte al limite della sopportazione, dover seguire per ore la stampa e la televisione francesi, in una ripetizione incessante e martellante di menzogne e mezze verità; principi evidenti ridotti a opinioni, e opinioni false o discutibili elevate al rango di verità indiscutibili; riti sacrificali (dell’intelligenza e del buonsenso, oltre che della vita umana) compiuti in onore delle nuove divinità: la Scienza, la Tecnica, il Progresso, la Libertà.
Eppure c’è un popolo, il popolo di Dio che resiste, che combatte. Ma si tratta ormai di un popolo senza pastori, o quasi. È triste, è doloroso, ma bisogna avere il coraggio di dirlo. Nelle piazze, sui giornali, nelle azioni concrete, i grandi assenti sono stati loro: i pastori. Quando ci fu il caso di Alfie - di fronte all’intollerabile assenza dell’episcopato inglese, tempestivo solo nell’allontanare l’unico sacerdote (italiano) che facesse il proprio dovere - la Santa Sede tentò almeno di giocare la carta dell’ospedale Bambin Gesù. Con Vincent praticamente nulla. Qualche timido intervento di alcuni vescovi francesi, poi rientrati in buon ordine nel loro silenzio, mentre Vincent andava incontro al suo destino.
Da Roma, una pietà. Un breve appello l’anno scorso, quando papa Francesco, trovatosi davanti un papà disperato che lo supplicava di dire qualcosa (Thomas, il padre di Alfie), si è sentito in dovere di lanciare un appello, includendo anche Vincent. Poi un lungo silenzio, fino al 21 maggio scorso, con un breve tweet e una dichiarazione congiunta del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita e la Pontificia Accademia per la Vita. Anche qui, un compitino per richiamare alcuni principi generali, a tempo abbondantemente scaduto. Come se, sotto di due reti, al 94’ si decidesse di sostituire un difensore con un altro difensore, tanto per non rompere gli equilibri della squadra.
E poi ieri e oggi. Ancora due tweet del Papa: il primo che neppure nomina Vincent, il secondo di condoglianze; e infine un intervento di monsignor Paglia su Famiglia Cristiana, da far perdere la pazienza a un santo.
Il popolo ci mette la faccia, rischia e paga di persona, per difendere la vita, la famiglia, i diritti di Dio, mentre i pastori si nascondono dietro a qualche tweet o comunicato, giusto per marcare il cartellino delle presenze.
Qualche anno fa, nel 2014, Papa Francesco aveva dichiarato che l’espressione “valori non negoziabili” non la capiva proprio; spiegava che “i valori sono valori e basta, non posso dire che tra le dita di una mano ve ne sia una meno utile dell'altra”. In effetti, lui non aveva capito l’importanza del concetto, visto l’esempio addotto, mentre noi avevamo ben compreso che questa impostazione sarebbe stata la fine della presenza attiva della Chiesa per frenare la dittatura del pensiero unico, che avrebbe colpito anzitutto vita e famiglia. E oggi raccogliamo i frutti di quella “incomprensione”. Questo quasi totale silenzio su un uomo al quale non è stato concesso di approdare in altre strutture, che pure si erano offerte di accoglierlo, per il quale non c’è stato soccorso umanitario per fornire cibo e acqua, non è certo consolante.
Dunque, siamo soli: i pastori - o almeno la maggior parte - non ci aiuteranno in questa battaglia contro la bestia che sale dal mare (cfr. Ap 13). Il Cielo lo sa e per questo ha previsto una presenza “straordinaria” della Santissima Vergine in questi tempi; e la di Lei opera si vede: il frutto è proprio questo popolo che spontaneamente, radunato da nessuno, con pochissimi mezzi a propria disposizione, combatte e cresce.
Bisogna però aggiungere anche un’altra considerazione, a costo di sembrare ingrati e catastrofisti. All’assenza dei pastori ci stavamo tristemente abituando. Adesso però ci vengono anche a dire che la contrapposizione non va bene, che non bisogna costruire muri per difendersi, che non bisogna esasperare le situazioni. Detto in altri termini: non basta più che veniamo lasciati da soli sul campo di battaglia, mentre i generali condividono allegramente la tavola con quelli che ci stanno facendo fuori; adesso ci ordinano persino di deporre le armi e uscire dalle trincee con dei bei mazzi di fiori verso quelli che sono lì coi mitra spianati; le nuove parole d’ordine sono: appianare i conflitti, discutere sulla complessità delle situazioni, imparare che non esistono mai una scelta giusta e una sbagliata, ma molte scelte, tutte motivate e parziali. Versione ecclesiastica del “fate l’amore e non fate la guerra”. Bisogna prepararsi: questi pastori faranno di tutto per convincerci che siamo dei paranoici che vedono nemici dappertutto, dei guerrafondai che non hanno capito la beatitudine degli operatori di pace.
“Il Cristo, come moralista ha diviso gli uomini secondo il bene e il male, mentre io li unirò con i benefici che sono ugualmente necessari ai buoni e ai cattivi. Sarò il vero rappresentante di quel Dio che fa sorgere il suo sole e per i buoni e per i cattivi e distribuisce la pioggia sui giusti e sugli ingiusti. Il Cristo ha portato la spada, io porterò la pace. Egli ha minacciato alla terra il terribile ultimo giudizio. Però l’ultimo giudice sarò io e il mio giudizio non sarà solo un giudizio di giustizia, ma anche un giudizio di clemenza. Ci sarà anche la giustizia nel mio giudizio, ma non una giustizia compensatrice, bensì una giustizia distributiva”. Questa era, secondo Soloviev, la logica dell’anticristo: che i nostri pastori ne siano diventati i precursori e i profeti?
Luisella Scrosati
-MARTIRE DEL NUOVO TOTALITARISMO
-SUICIDIO ASSISTITO E CONSULTA: CATTOLICI A CONFRONTO di Nico Spuntoni
http://www.lanuovabq.it/it/in-morte-di-vincent-tra-labbandono-dei-pastori-e-il-gregge-che-lotta
LE GIRAVOLTE DI PAGLIA
Dovevamo tacere mentre uccidevano un uomo?
Il vescovo Paglia parla di “esasperato conflitto” e “logorante polemica”. Ma cosa avrebbero dovuto fare i genitori di Vincent? Stare a guardare mentre gli ammazzavano il figlio per non urtare le lerce coscienze di giudici, medici e familiari che lo volevano morto? Una risposta all'inconcepibile commento del presidente della Pontifica Accademia per la Vita.
Mons Vincenzo Paglia, presidente della Pontifica Accademia per la Vita (Pav), interviene dalla pagine di Famiglia Cristiana sul caso Lambert. Mons Paglia descrive in sintesi la vicenda giudiziaria che ha coinvolto il paziente francese e sottolinea che questa vicenda ha assunto complessi risvolti sociali, politici e massmediatici. “Tutto ciò – scrive il Nostro - rende molto delicata l’elaborazione di un giudizio etico, anche perché le informazioni cliniche sono assai complesse e non direttamente accessibili in tutti i loro dettagli”. Ecco un primo inciampo. Dunque, ogni giudizio morale riguarda un fatto. Per giudicare correttamente occorre, tra le altre cose, conoscere esattamente i fatti. Nel caso Lambert i fatti vengono narrati da tutti nello stesso modo, sia da parte di coloro che lo volevano morto, sia da parte di coloro che si opponevano alla sua uccisione: si trattava di un paziente fortemente disabile che per vivere, come tutti noi, necessitava di acqua e cibo. Quindi il quadro clinico era chiaro, non complesso come afferma Mons Paglia, ed è stato chiaro a tutti.
Ciò su cui c’era divergenza era il giudizio morale sul quadro clinico. Per alcuni idratazione e nutrizione assistita rappresentavano mezzi terapeutici sproporzionati perché, secondo costoro, tenere in vita un paziente disabile era accanimento terapeutico; per altri idratazione e nutrizione assistita erano mezzi di sostentamento proporzionati al loro scopo perché tenevano in vita il paziente. Per i primi esiste una soglia della qualità della vita al di sotto della quale per la persona non è più degno vivere e dunque è lecito ucciderla; per i secondi non è mai moralmente lecito assassinare un innocente, al di là delle sue condizioni fisiche. Dunque Mons Paglia non doveva dire che è delicato, difficile e complesso esprimere un giudizio etico, bensì che, ancora vivente Lambert, non era eticamente lecito ucciderlo. Questo era il giudizio etico che ci saremmo aspettati che venisse pronunciato dal Presidente dell’Accademia per la Vita, l’accademia che a livello mondiale dovrebbe tutelare la vita umana innocente senza se e senza ma. Ci saremmo aspettati un parlare franco e schietto, senza infingimenti e obliquità, vista la posta in gioco.
Mons Paglia così prosegue: “Il doloroso conflitto familiare circa l’ipotesi di sospendere alimentazione e idratazione artificiali, essendo precluso l’accesso alla volontà del paziente – elemento indispensabile per la valutazione della proporzionalità delle cure –, ha condotto a una situazione di stallo che dura ormai da anni”. Due rilievi critici. Primo: Lambert, anche relativamente al dolore, era paziente responsivo, seppur non pienamente, e ci sono anche i video a testimoniarlo, quindi è falso affermare che era “precluso l’accesso alla volontà del paziente”. Secondo: il riscontro del paziente nella valutazione relativa alla proporzionalità delle cure è elemento importante, ma non sempre necessario. Se io sottopongo a radioterapia total body un paziente terminale di cancro che presenta metastasi multiorgano, questo intervento il più delle volte configurerà accanimento terapeutico e non servirà di certo raccogliere il parere del paziente per rendersene conto, anzi costui nella maggioranza dei casi non sarà nemmeno in grado di esprimere un giudizio competente a tal riguardo. Il feedback del paziente è indispensabile in alcuni casi, ad esempio quando gli interventi sono dolorosi e il paziente è responsivo. Ma laddove il paziente fosse impossibilitato a comunicare, si tenterà di valutare il livello di sofferenza con altri parametri e dunque, anche con paziente completamente incosciente, si potrà giungere a comprendere se una certa terapia fa soffrire inutilmente il malato.
In realtà il passaggio dell’articolo di Mons. Paglia appena citato si incardina proprio su questo punto: dato che Lambert non ci poteva dire se alimentazione e idratazione erano per lui eccessivamente gravose, cioè dolorose, allora sospendiamo il giudizio. Ma innanzitutto Lambert, cartella clinica alla mano che registrava le sue reazioni, non soffriva a causa di questi mezzi di sostentamento vitali che nel suo caso prendono il nome di peg (Gastrostomia Endoscopica Percutanea), ossia un ago-cannula, posizionato nella parete addominale, che lo alimentava e lo idratava costantemente. Ha sofferto invece in modo atroce quando è lentamente morto per fame e per sete. In secondo luogo anche ammesso e non concesso che ci sia stata sofferenza, tale effetto negativo veniva certamente superato dall’effetto assai maggiore di carattere positivo dato dal vivere, dal non morire. Cosa facciamo? Non sottoponiamo più a chemioterapia nessun paziente oncologico per gli sgradevoli e spesso pesanti effetti collaterali di questa terapia?
Proseguiamo con l’articolo di Paglia: “Il ricorso alle vie legali ha irrigidito ed esasperato il conflitto. […] In questa lunga e logorante polemica, la contrapposizione ha invaso la sfera pubblica, con ampie risonanze mediatiche, prendendo la fisionomia di una battaglia tra chi è favorevole e chi è contrario all’eutanasia. […] Davanti a queste drammatiche lacerazioni, si tratta di assumere anzitutto un atteggiamento di raccoglimento e di preghiera vicendevole, perché si possano trovare vie di comunicazione che favoriscano la riconciliazione più che la controversia, sul piano familiare e sociale”. D’accordo sul fatto che è meglio far l’amore che far la guerra, a patto che gli altri vogliano far l’amore, perché se invece vogliono uccidere un disabile è giusto, come extrema ratio, fare la guerra, è giusto salire sulle barricate, è giusto con la forza opporsi ad un assassinio. Si vis pacem, para bellum, se vuoi la pace, preparati alla guerra, recita un vecchio brocardo latino. La pace può essere sì scopo finale di ogni nostro impegno, ma a volte la pace non si ottiene solo con il dialogo zuccheroso e i buoni sentimenti da ape Maia, bensì battagliando, scontrandosi, ferendosi, dividendosi. Cosa avrebbero dovuto fare i genitori di Vincent? Stare a guardare mentre gli ammazzavano il figlio? E tutto questo per non urtare le lerce coscienze di giudici, medici e familiari che lo volevano morto? I pacifisti ad oltranza si augurino che nessun malvivente possa mai puntare una pistola alla loro tempia o alla tempia dei loro cari, perché queste loro graziose teorie sulla pace, per niente cattoliche, evaporerebbero in un battito di ciglia.
Infine Mons Paglia auspica quanto segue: “Dovremmo inoltre evitare di affidare la soluzione solo a un gesto tecnico o giuridico per cercare insieme un accordo più ampio possibile”. Ecco l’etica convenzionale, partecipata e condivisa, i principi negoziabili, la verità morale decisa per alzata di mano, il collettivismo etico, la morale democratica, i valori a contratto. Altro che assoluti morali, azioni intrinsecamente malvagie, doveri negativi assoluti. Tutta roba buona solo per la vecchia Pav.
Tommaso Scandroglio
http://www.lanuovabq.it/it/dovevamo-tacere-mentre-uccidevano-un-uomo
L’uccisione di Vincent Lambert non è “la sconfitta di tutti”, ma la vergogna di chi lo ha abbandonato
di Sabino Paciolla
Vincent Lambert è morto.
Era un uomo gravemente disabile, ma che mostrava riflessi di risposta quando veniva chiamato. È stato fatto morire per fame e sete per volontà di alcuni parenti, di alcuni medici e di alcune corti giuridiche dello Stato francese, ma non dei genitori, del fratello e della sorella che, invece, lo volevano vivo, e avrebbero voluto continuare a prendersi cura di lui, come hanno sempre fatto.
Riposi in pace. Che il Signore lo accolga in Paradiso.
Qualche ora prima di sapere della morte di Lambert, avevo letto un articolo che mons. Vincenzo Paglia ha vergato ieri sul settimanale Famiglia Cristiana. Mons. Paglia è, per volontà di Papa Francesco, il presidente della Pontificia accademia per la vita e gran cancelliere del Pontificio istituto Giovanni Paolo II.
Non so come definire questo articolo. Lascio ai lettori ogni giudizio.
Dinanzi a questo quadro drammatico, che si è concluso con la tragedia di oggi, da un pastore della Chiesa Cattolica uno si aspetterebbe le parole di un padre, il riferimento alla sacralità della vita, un cenno al timor di Dio o al suo giudizio, che un giorno tutti affronteremo. E invece no.
Ecco alcuni dei passaggi che mons. Vincenzo Paglia ha scritto:
“Autorevoli assise giuridiche”
“L’affannoso rincorrersi di ripetuti ordini e contrordini da parte di autorevoli assise giuridiche indica con chiarezza la difficoltà della situazione.”
“delicata l’elaborazione di un giudizio etico”
“Si intrecciano molteplici piani: familiare, medico, giuridico, politico, comunicativo. Tutto ciò rende molto delicata l’elaborazione di un giudizio etico, anche perché le informazioni cliniche sono assai complesse e non direttamente accessibili in tutti i loro dettagli.”
“non avere la competenza per esprimersi”
“Dal canto suo, la Conferenza episcopale francese ha sottolineato di non avere la competenza per esprimersi sul caso specifico, (…) Si è pertanto limitata ad alcune considerazioni generali, senza la pretesa di entrare nella valutazione del caso concreto, ”
“esasperato conflitto”
“La questione etica si intreccia poi con la sfera giuridica. Il ricorso alle vie legali ha irrigidito ed esasperato il conflitto.”
“lunga e logorante polemica”
“Ma in questa lunga e logorante polemica, la contrapposizione ha invaso la sfera pubblica, con ampie risonanze mediatiche, prendendo la fisionomia di una battaglia tra chi è favorevole e chi è contrario all’eutanasia.”
“Convivenza sociale”
I vescovi hanno anzitutto riaffermato con chiarezza la negatività di questa pratica. Inoltre hanno richiamato l’importanza dell’attenzione al più debole per la costruzione della convivenza sociale. (Come se il problema principale fosse la “convivenza sociale” e non l’affermazione della sacralità della vita, dono di Dio, dalla quale discende una ordinata convivenza sociale, ndr)
“Cercare la riconciliazione più che la controversia”
“Davanti a queste drammatiche lacerazioni, si tratta di assumere anzitutto un atteggiamento di raccoglimento e di preghiera vicendevole, perché si possano trovare vie di comunicazione che favoriscano la riconciliazione più che la controversia, sul piano familiare e sociale.”
“cercare un accordo più ampio possibile”
“Dovremmo inoltre evitare di affidare la soluzione solo a un gesto tecnico o giuridico per cercare insieme un accordo più ampio possibile.”
“Risvegliare espressioni simboliche che offrano ragioni per vivere”
“Si tratta di risvegliare le forze che la cultura ha sempre mobilitato nella storia dell’umanità, in tutte le sue espressioni simboliche, da quelle artistiche a quelle religiose, offrendo ragioni per vivere.”
L’ultimo capoverso a me sembra una espressione molto curiosa se consideriamo che è stata proferita da un alto prelato della Chiesa cattolica.
Una persona semplice potrebbe osservare che se mons. Paglia trova tutto così complicato, se per lui “Le informazioni cliniche sono assai complesse e non direttamente accessibili in tutti i loro dettagli”, forse sarebbe stato il caso di deporre la penna da presidente della Pontificia Accademia per la Vita e far silenzio.
Per noi, invece, la situazione di Vincent Lambert, prima che iniziasse il processo che lo ha portato alla morte, non lasciava dubbi: egli era vivo! Fino “all’inizio del protocollo eutanasico, dieci giorni fa, era clinicamente stabile e niente affatto in fin di vita”, ha sottolineato don Roberto Colombo, docente della Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università Cattolica del Sacro Cuore, e membro ordinario della Pontificia accademia per la vita.
Qualunque cosa dirà il suo certificato di morte, Vincent Lambert non è morto per cause naturali, né come conseguenza del suo grave handicap e danni cerebrali. La sua morte è stata volutamente causata da una decisione medica di privarlo di cibo e fluidi approvata, avallata o facilitata dalle più alte corti francesi e dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Perciò, a noi semplici fedeli, non abituati ai “tecnicismi”, “ai quadri complessi”, alla “autorevoli assise giuridiche”, alle “delicate elaborazioni di un giudizio etico”, alle “espressioni simboliche” che ci danno le ragioni per vivere (sic!!!), su cui ama discettare mons. Paglia, ci piacciono le parole semplici di San Giovanni Paolo II:
“Niente e nessuno può autorizzare l’uccisione di un essere umano innocente, feto o embrione che sia, bambino o adulto, vecchio, ammalato o agonizzante. Nessuno, inoltre, può richiedere per se stesso o per un altro affidato alle sue responsabilità questo gesto omicida, né può acconsentirvi esplicitamente o implicitamente. Nessuna autorità può legittimamente imporlo, né permetterlo” [Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Evangelium Vitae 57, 5]
Per tutto questo, in tanti continuiamo a pensare che mons. Vincenzo Paglia sia “unfit”, inadeguato, come presidente della Pontificia Accademia della vita.
I giornali titolano tutti, senza eccezione, che è morto Vincent Lambert. Sbagliano tutti profondamente. La verità è che Vincent Lambert è stato ammazzato. E non si dica che sono sottigliezze. A nessuno sarebbe saltato in mente, quando assassinarono Kennedy, di uscire col titolo: morto Kennedy. Oppure, dopo l’attentato a Falcone: deceduto Falcone. Oppure, ancora, dopo che Alì Agca ha sparato a Woytila: il papa ricoverato.
Si tratta di dire la verità, oppure di nasconderla, in religioso ossequio alla propaganda che vuole imporre il paradigma della dipartita obbligatoria per i soggetti non abbastanza produttivi. La stessa propaganda che vuole farci credere all’inganno della morte munita del prefisso “dolce”, quella graziosamente concessa al sofferente per motivi umanitari.
Vincent Lambert, come Eluana, come Terry Schiavo, come tutti gli innocenti sacrificati sull’altare della democrazia del terzo millennio, frutto maturo della triade rivoluzionaria (liberté, egalité, fraternité) hanno patito un’agonia atroce sotto gli occhi impotenti di chi implorava pietà. Sono stati barbaramente uccisi dai solerti funzionari di apparato che popolano ospedali, aule di “giustizia”, stanze della politica, e sagrestie, pontificie accademie, sacri palazzi.
Non è una semplice morte, quella di Vincent. È un assassinio, aggravato dalla circostanza della particolare crudeltà verso la vittima. Un assassinio politico, se volete. Un assassinio di Stato, certamente. Combinato con la spinta prepotente della cosiddetta medicina moderna, che ha pervertito Ippocrate sino a divenire il suo contrario e si è fatta, senza resistenze, distributrice non più di cura, ma di morte a volontà.
Un assassinio compiuto con il placet corale della nuova generazione cresciuta inconsapevolmente nel modello utilitarista ed edonista che pretende di eliminare il dolore: sei malato, meglio che tu muoia. La moglie che chiede la morte per Vincent è la fotocopia del marito di Terry Schiavo. Poveretti – dicono oggi i benpensanti – meritano di guardare avanti, di rifarsi una vita: di ottenere lo scioglimento del vincolo matrimoniale via eutanasia. Un’alternativa come un’altra alla Sacra Rota, nel tempo dell’amoris laetitia.
Un assassinio compiuto grazie alla “giustizia” francese, non diversa da quella di qualsiasi altro Paese, che ha ballato il suo valzer intorno al “problema”, in pilatesca attesa che arrivassero tutti gli altri, i medici, la politica, l’opinione pubblica, per pronunciare in coro la condanna a morte dell’innocente indifeso.
Un assassinio compiuto, soprattutto, grazie al silenzio della chiesa. Quando non lanciano spot promozionali per il programma massonico, i suoi impiegati o tacciono obbedienti o apparecchiano l’ormai consueto siparietto di opposizione sintetica: ma sempre con un identico obiettivo, giusto per rimestare un po’ le acque e tenere al guinzaglio coloro che vogliono illudersi sull’impegno per la vita della neochiesa e del suo capo. In realtà, a tutti stava bene che andasse esattamente come è andata, cioè come comandano i veri padroni. Doveva morire, Vincent, senza fastidiose interferenze.
Da Santa Marta in giù, sono stati tutti zitti per lasciare che la macchina della morte compisse indisturbata la sua marcia. Solo quando la clessidra era agli sgoccioli, dopo otto giorni di agonia per fame e per sete, ma guarda che tempismo, Bergoglio ha emesso un flebile tweet. Lo ha fatto in incertam personam – «preghiamo per i malati che sono abbandonati e lasciati morire», senza nemmeno nominare il figlio di Dio che in quelle ore veniva finito sotto la nuova ghigliottina. A sacrificio avvenuto, qualche prefica si è battuta il petto, ad pompam, come si usa. E in Vaticano hanno battuto un telegramma di condoglianze con nome e cognome. Tanto ormai, tutto era compiuto.
Nel frattempo Paglia, plenipotenziario vaticano sui temi della vita e della famiglia, spiega con misericordia dal pulpito di Famiglia Cristiana che «nel dramma il conflitto non aiuta» e che «la Conferenza episcopale francese ha sottolineato di non avere la competenza per esprimersi sul caso specifico, evitando di sostituirsi alla coscienza di coloro cui spetta la decisione, ma fornendo piuttosto il proprio contributo per istruire il cammino che conduce al giudizio». Essa «si è pertanto limitata ad alcune considerazioni generali, senza la pretesa di entrare nella valutazione del caso concreto, anche per l’impossibilità di disporre di tutta l’informazione necessaria. Il doloroso conflitto familiare circa l’ipotesi di sospendere alimentazione e idratazione artificiali, essendo precluso l’accesso alla volontà del paziente – elemento indispensabile per la valutazione della proporzionalità delle cure –, ha condotto a una situazione di stallo che dura ormai da anni».
Ricorda, il presidente della Pontificia Accademia per la vita (?) le parole del suo superiore, secondo cui «occorre evitare un indiscriminato prolungamento delle funzioni biologiche, perdendo di vista il bene integrale della persona (Discorso al Convegno sul suicidio assistito della Associazione medica mondiale, 16 novembre 2017)». E conclude dicendo che «davanti a queste drammatiche lacerazioni, si tratta di assumere anzitutto un atteggiamento di raccoglimento e di preghiera vicendevole, perché si possano trovare vie di comunicazione che favoriscano la riconciliazione più che la controversia, sul piano familiare e sociale».
Non abbiamo commenti, né per i cinguettii, né per gli sproloqui di contorno. Prevale un senso di orrore. Nel giorno dedicato a San Benedetto, patrono dell’Europa, un figlio di questa, sacrificato agli idoli della tecnocrazia cui la neochiesa cede volentieri i suoi altari, è stato accolto tra le braccia del Padre. Altri pagheranno per averlo ucciso o abbandonato.
Elisabetta Frezza e Roberto Dal Bosco Luglio 11, 2019
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.