Vincenzo Paglia

di Sabino Paciolla

Vincent Lambert è morto.
Era un uomo gravemente disabile, ma che mostrava riflessi di risposta quando veniva chiamato. È stato fatto morire per fame e sete per volontà di alcuni parenti, di alcuni medici e di alcune corti giuridiche dello Stato francese, ma non dei genitori, del fratello e della sorella che, invece, lo volevano vivo, e avrebbero voluto continuare a prendersi cura di lui, come hanno sempre fatto.
Riposi in pace. Che il Signore lo accolga in Paradiso.
Qualche ora prima di sapere della morte di Lambert, avevo letto un articolo che mons. Vincenzo Paglia ha vergato ieri sul settimanale Famiglia Cristiana. Mons. Paglia è, per volontà di Papa Francesco, il presidente della Pontificia accademia per la vita e gran cancelliere del Pontificio istituto Giovanni Paolo II. 
Non so come definire questo articolo. Lascio ai lettori ogni giudizio.
Dinanzi a questo quadro drammatico, che si è concluso con la tragedia di oggi, da un pastore della Chiesa Cattolica uno si aspetterebbe le parole di un padre, il riferimento alla sacralità della vita, un cenno al timor di Dio o al suo giudizio, che un giorno tutti affronteremo. E invece no. 
Ecco alcuni dei passaggi che mons. Vincenzo Paglia ha scritto:

“Autorevoli assise giuridiche”
L’affannoso rincorrersi di ripetuti ordini e contrordini da parte di autorevoli assise giuridiche indica con chiarezza la difficoltà della situazione.”

“delicata l’elaborazione di un giudizio etico”
“Si intrecciano molteplici piani: familiare, medico, giuridico, politico, comunicativo. Tutto ciò rende molto delicata l’elaborazione di un giudizio etico, anche perché le informazioni cliniche sono assai complesse e non direttamente accessibili in tutti i loro dettagli.”

“non avere la competenza per esprimersi”
“Dal canto suo, la Conferenza episcopale francese ha sottolineato di non avere la competenza per esprimersi sul caso specifico, (…) Si è pertanto limitata ad alcune considerazioni generali, senza la pretesa di entrare nella valutazione del caso concreto, ”

esasperato conflitto”
“La questione etica si intreccia poi con la sfera giuridica. Il ricorso alle vie legali ha irrigidito ed esasperato il conflitto.”

“lunga e logorante polemica”
“Ma in questa lunga e logorante polemica, la contrapposizione ha invaso la sfera pubblica, con ampie risonanze mediatiche, prendendo la fisionomia di una battaglia tra chi è favorevole e chi è contrario all’eutanasia.” 

“Convivenza sociale”
I vescovi hanno anzitutto riaffermato con chiarezza la negatività di questa pratica. Inoltre hanno richiamato l’importanza dell’attenzione al più debole per la costruzione della convivenza sociale. (Come se il problema principale fosse la “convivenza sociale” e non l’affermazione della sacralità della vita, dono di Dio, dalla quale discende una ordinata convivenza sociale, ndr)

“Cercare la riconciliazione più che la controversia”
“Davanti a queste drammatiche lacerazioni, si tratta di assumere anzitutto un atteggiamento di raccoglimento e di preghiera vicendevole, perché si possano trovare vie di comunicazione che favoriscano la riconciliazione più che la controversia, sul piano familiare e sociale.”

“cercare un accordo più ampio possibile”
“Dovremmo inoltre evitare di affidare la soluzione solo a un gesto tecnico o giuridico per cercare insieme un accordo più ampio possibile.”

“Risvegliare espressioni simboliche che offrano ragioni per vivere”
“Si tratta di risvegliare le forze che la cultura ha sempre mobilitato nella storia dell’umanità, in tutte le sue espressioni simboliche, da quelle artistiche a quelle religiose, offrendo ragioni per vivere.”

L’ultimo capoverso a me sembra una espressione molto curiosa se consideriamo che è stata proferita da un alto prelato della Chiesa cattolica.
Una persona semplice potrebbe osservare che se mons. Paglia trova tutto così complicato, se per lui “Le informazioni cliniche sono assai complesse e non direttamente accessibili in tutti i loro dettagli”, forse sarebbe stato il caso di deporre la penna da presidente della Pontificia Accademia per la Vita e far silenzio. 
Per noi, invece, la situazione di Vincent Lambert, prima che iniziasse il processo che lo ha portato alla morte, non lasciava dubbi: egli era vivo! Fino “all’inizio del protocollo eutanasico, dieci giorni fa, era clinicamente stabile e niente affatto in fin di vita”, ha sottolineato don Roberto Colombo, docente della Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università Cattolica del Sacro Cuore, e membro ordinario della Pontificia accademia per la vita.
Qualunque cosa dirà il suo certificato di morte, Vincent Lambert non è morto per cause naturali, né come conseguenza del suo grave handicap e danni cerebrali. La sua morte è stata volutamente causata da una decisione medica di privarlo di cibo e fluidi approvata, avallata o facilitata dalle più alte corti francesi e dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Perciò, a noi semplici fedeli, non abituati ai “tecnicismi”, “ai quadri complessi”, alla “autorevoli assise giuridiche”, alle “delicate elaborazioni di un giudizio etico”, alle “espressioni simboliche” che ci danno le ragioni per vivere (sic!!!), su cui ama discettare mons. Paglia, ci piacciono le parole semplici di San Giovanni Paolo II: 
“Niente e nessuno può autorizzare l’uccisione di un essere umano innocente, feto o embrione che sia, bambino o adulto, vecchio, ammalato o agonizzante. Nessuno, inoltre, può richiedere per se stesso o per un altro affidato alle sue responsabilità questo gesto omicida, né può acconsentirvi esplicitamente o implicitamente. Nessuna autorità può legittimamente imporlo, né permetterlo” [Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Evangelium Vitae 57, 5]
Per tutto questo, in tanti continuiamo a pensare che mons. Vincenzo Paglia sia “unfit”, inadeguato, come presidente della Pontificia Accademia della vita.



L’uccisione di Vincent Lambert non è “la sconfitta di tutti”, ma la vergogna di chi lo ha abbandonato

I giornali titolano tutti, senza eccezione, che è morto Vincent Lambert. Sbagliano tutti profondamente. La verità è che Vincent Lambert è stato ammazzato. E non si dica che sono sottigliezze. A nessuno sarebbe saltato in mente, quando assassinarono Kennedy, di uscire col titolo: morto Kennedy. Oppure, dopo l’attentato a Falcone: deceduto Falcone. Oppure, ancora, dopo che Alì Agca ha sparato a Woytila: il papa ricoverato.
Si tratta di dire la verità, oppure di nasconderla, in religioso ossequio alla propaganda che vuole imporre il paradigma della dipartita obbligatoria per i soggetti non abbastanza produttivi. La stessa propaganda che vuole farci credere all’inganno della morte munita del prefisso “dolce”, quella graziosamente concessa al sofferente per motivi umanitari.
Vincent Lambert, come Eluana, come Terry Schiavo, come tutti gli innocenti sacrificati sull’altare della democrazia del terzo millennio, frutto maturo della triade rivoluzionaria (libertéegalitéfraternité) hanno patito un’agonia atroce sotto gli occhi impotenti di chi implorava pietà. Sono stati barbaramente uccisi dai solerti funzionari di apparato che popolano ospedali, aule di “giustizia”, stanze della politica, e sagrestie, pontificie accademie, sacri palazzi.
Non è una semplice morte, quella di Vincent. È un assassinio, aggravato dalla circostanza della particolare crudeltà verso la vittima. Un assassinio politico, se volete. Un assassinio di Stato, certamente. Combinato con la spinta prepotente della cosiddetta medicina moderna, che ha pervertito Ippocrate sino a divenire il suo contrario e si è fatta, senza resistenze, distributrice non più di cura, ma di morte a volontà.
Un assassinio compiuto con il placet corale della nuova generazione cresciuta inconsapevolmente nel modello utilitarista ed edonista che pretende di eliminare il dolore: sei malato, meglio che tu muoia. La moglie che chiede la morte per Vincent è la fotocopia del marito di Terry Schiavo. Poveretti – dicono oggi i benpensanti – meritano di guardare avanti, di rifarsi una vita: di ottenere lo scioglimento del vincolo matrimoniale via eutanasia. Un’alternativa come un’altra alla Sacra Rota, nel tempo dell’amoris laetitia.
Un assassinio compiuto grazie alla “giustizia” francese, non diversa da quella di qualsiasi altro Paese, che ha ballato il suo valzer intorno al “problema”, in pilatesca attesa che arrivassero tutti gli altri, i medici, la politica, l’opinione pubblica, per pronunciare in coro la condanna a morte dell’innocente indifeso.
Un assassinio compiuto, soprattutto, grazie al silenzio della chiesa. Quando non lanciano spot promozionali per il programma massonico, i suoi impiegati o tacciono obbedienti o apparecchiano l’ormai consueto siparietto di opposizione sintetica: ma sempre con un identico obiettivo, giusto per rimestare un po’ le acque e tenere al guinzaglio coloro che vogliono illudersi sull’impegno per la vita della neochiesa e del suo capo. In realtà, a tutti stava bene che andasse esattamente come è andata, cioè come comandano i veri padroni. Doveva morire, Vincent, senza fastidiose interferenze.
Da Santa Marta in giù, sono stati tutti zitti per lasciare che la macchina della morte compisse indisturbata la sua marcia. Solo quando la clessidra era agli sgoccioli, dopo otto giorni di agonia per fame e per sete, ma guarda che tempismo, Bergoglio ha emesso un flebile tweet. Lo ha fatto in incertam personam – «preghiamo per i malati che sono abbandonati e lasciati morire», senza nemmeno nominare il figlio di Dio che in quelle ore veniva finito sotto la nuova ghigliottina. A sacrificio avvenuto, qualche prefica si è battuta il petto, ad pompam, come si usa. E in Vaticano hanno battuto un telegramma di condoglianze con nome e cognome. Tanto ormai, tutto era compiuto.
Nel frattempo Paglia, plenipotenziario vaticano sui temi della vita e della famiglia, spiega con misericordia dal pulpito di Famiglia Cristiana che «nel dramma il conflitto non aiuta» e che «la Conferenza episcopale francese ha sottolineato di non avere la competenza per esprimersi sul caso specifico, evitando di sostituirsi alla coscienza di coloro cui spetta la decisione, ma fornendo piuttosto il proprio contributo per istruire il cammino che conduce al giudizio». Essa «si è pertanto limitata ad alcune considerazioni generali, senza la pretesa di entrare nella valutazione del caso concreto, anche per l’impossibilità di disporre di tutta l’informazione necessaria. Il doloroso conflitto familiare circa l’ipotesi di sospendere alimentazione e idratazione artificiali, essendo precluso l’accesso alla volontà del paziente – elemento indispensabile per la valutazione della proporzionalità delle cure –, ha condotto a una situazione di stallo che dura ormai da anni».
Ricorda, il presidente della Pontificia Accademia per la vita (?) le parole del suo superiore, secondo cui «occorre evitare un indiscriminato prolungamento delle funzioni biologiche, perdendo di vista il bene integrale della persona (Discorso al Convegno sul suicidio assistito della Associazione medica mondiale, 16 novembre 2017)». E conclude dicendo che «davanti a queste drammatiche lacerazioni, si tratta di assumere anzitutto un atteggiamento di raccoglimento e di preghiera vicendevole, perché si possano trovare vie di comunicazione che favoriscano la riconciliazione più che la controversia, sul piano familiare e sociale».
Non abbiamo commenti, né per i cinguettii, né per gli sproloqui di contorno. Prevale un senso di orrore. Nel giorno dedicato a San Benedetto, patrono dell’Europa, un figlio di questa, sacrificato agli idoli della tecnocrazia cui la neochiesa cede volentieri i suoi altari, è stato accolto tra le braccia del Padre. Altri pagheranno per averlo ucciso o abbandonato.
Elisabetta Frezza e Roberto Dal Bosco Luglio 11, 2019