Fuoco amico contro il card. Ruini che paga l’aver osato incoraggiare la Chiesa al dialogo con Matteo Salvini, un politico demonizzato da gran parte della gerarchia e dell’intelligenza cattolica che s’identifica con l’ideologia dei democratici
Si da il caso tuttavia che, nel nostro paese, esistano diversi motivi per credere che la gerarchia ecclesiastica (non solo i cosiddetti “preti di strada”) s’identifichi con un particolare partito: quello “democratico” (evoluzione moderata e contestualizzata del Partito Comunista Italiano). Ma questo non è il punto, o per lo meno non è il punto di questa riflessione (se non altro le infuocate polemiche “domestiche” confermano questo sospetto).
Il punto è che rattrista vedere un’alzata di scudi da parte cattolica contro le parole del venerando cardinale, per motivi politici. Perché affermare che è possibile e necessario dialogare con un partito politico (per quanto antipatico risulti il suo leader e per quanto discutibili possano sembrare le sue idee politiche) desta così tanta irritazione in casa cattolica?
Sacerdoti, professori, leader spirituali, esperti e inesperti (ma pur sempre ben ammanicati) vaticanisti hanno gridato allo scandalo dopo le parole rilasciate dal cardinale Ruini al Corriere della Sera.
Se da una parte si può capire l’indignazione della sinistra politica (in qualche modo comprensibile e giustificabile), potrebbe risultare più difficile comprendere l’indignazione di una parte della élite cattolica. Potrebbe… ma conoscendo i pulpiti, la predica non sorprenderebbe più di tanto un uditorio attento. In casa cattolica sono in molti ad aver abbandonato la fede come criterio di discernimento, abbandonato Dio per dedicarsi alla cosa pubblica, alla cosa (o alla casa) comune; in tanti hanno confuso il Credo con la Costituzione e la Chiesa con un’associazione finalizzata alla diffusione della pace nel mondo e dell’amore tra gli uomini; hanno sostituito il “Credo in Dio” con il “Credo nell’uomo” (quel “restiamo umani” che nella pratica contraddice il piano di Dio per l’uomo: quello di divinizzarlo, di donarle la sua natura divina a la vita immortale. Niente male, o no?). La loro ostentata superiorità morale li rende incapaci di mettere in pratica ciò che predicano dagli altari, dalle cattedre o dai giornali. Proclamano dialogo ma non con tutti; invocano ponti ma all’occorrenza innalzano muri; auspicano pace ma provocano guerriglie urbane sul web; predicano amore ma seminano odio; invitano a non giudicare mentre puntano il dito; elogiano la tolleranza ma criticano le diverse sensibilità. Sull’altare della democrazia e del rispetto umano sacrificano le opinioni (quelle altrui). Si dicono cristiani e offrono lezioni di vita cristiana, ma spesso si comportano come “atei anonimi”.
Vittima di questo tipo di censura è stato qualche mese fa niente meno che un Sommo Pontefice, Benedetto XVI. Durante il suo pontificato gli fu impedito di parlare all’Università La Sapienza di Roma e dovette umilmente incassare il duro colpo e rinunciare al tanto atteso incontro (ma il discorso che avrebbe pronunciato chiariva il senso della sua presenza in ambito universitario). Era il gennaio del 2008. A censurarlo fu un rigurgito di rivolta comunista (la testa è mia… e pure l’università, anche se l’ha fondata un papa) misto a un ondata di intolleranza laicista in salsa giacobbina. Ce lo si poteva e doveva aspettare. Ma qualche mese fa (ad aprile del 2019) quando papa Benedetto pubblicò degli appunti come un contributo al Summit sugli abusi sessuali promosso da papa Francesco in Vaticano, venne colpito da fuoco amico. A scatenarsi contro il denso memorandum del papa Emerito non furono infatti i centri sociali (che, tra l’altro, poco si interessano di abusi o di violenze sui minori) o l’Unione Atei Razionalisti Anonimi. Ad alzare la voce furono professori di teologia e giornalisti vaticanisti che ricordarono il ruolo di un papa emerito: quello di tacere. Un’alzata di scudi da parte dei cosiddetti “guardiani della rivoluzione”, autoproclamati difensori (più tifosi) della “Chiesa di Francesco”, con la sindrome apocalittica del “faccio nuove tutte le cose”.
Memorabile, a questo proposito, il tweet di Stefania Falasca – giornalista che con suo marito Gianni Valente (anch’egli giornalista) vanta una lunga amicizia col Pontefice regnante – che dopo la pubblicazione del testo di Benedetto XVI si precipitò a precisare il ruolo di un Emerito: documenti alla mano, lo invitò al silenzio con una (poco velata) accusa di voler interferire nella guida della Chiesa minando l’autorità di papa Francesco con un “magistero parallelo”.
Vittima della stessa “censura democratica” è oggi il cardinale Camillo Ruini che fu braccio destro di papa Giovanni Paolo II, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (dal 2001 al 2007) e Vicario per la Diocesi di Roma (dal 1991 al 2008). Titoli (o meglio, responsabilità) che basterebbero per concedergli – sia pure ogni tanto – la parola e il beneficio della libertà di esprimersi su temi ecclesiali e politici, in quanto persona (ben) informata sui fatti.
Eppure le sue parole (in realtà molto di più di quella frase su Salvini) hanno provocato un vespaio di polemiche. Paragonato, dal novantenne padre gesuita Bartolomeo Sorge e dallo storico progressista Alberto Melloni, alla Chiesa che ha “benedetto” Hitler e Mussolini (la reductio ad Hitlerum è diventata una moda nella lotta politica contro Salvini) e accusato dal professore di teologia Andrea Grillo di “ridurre il cattolicesimo ad un mostro” per cui varrebbe la pena “fare apostasia” (!), l’anziano cardinale romagnolo è diventato bersaglio dei pacifici difensori del “non giudicate”.
Vale la pena domandarsi: perché le posizioni del cardinale sono scomode? Sicuramente perché ha osato riabilitare la figura di un politico demonizzato da più parti anche all’interno della Chiesa Cattolica (il famoso “Vade retro…”, ma non solo…). Ma soprattutto perché – come ha fatto Benedetto XVI – Ruini parla di Dio, di una Chiesa che – pur contrastata e criticata – è chiamata ad essere segno di contraddizione e per questo ad incidere e influire sulla società proponendo un messaggio autorevole anche se scomodo. Vale la pena ricordare che i due ultimi libri di Ruini puntano in alto trattando argomenti sui quali la Chiesa dovrebbe tornare a parlare: il primato di Dio e il destino finale dell’uomo (foto).
La “stagione” di Ruini in cui la Chiesa era contrastata ma restava influente è decisamente superata. Oggi di Dio si parla poco, il primato sembra esserselo preso l’uomo e il suo agire (la religione si è convertita in etica, come riconosce compiaciuto il teologo spagnolo José María Castillo nel suo recente “Evangelio marginado“); la Chiesa ha perso autorevolezza nel dibattito pubblico, complice (doveroso sottolinearlo) una società che non riconosce alcun tipo di autorità (neanche alla natura stessa delle cose). Oggi la Chiesa è poco contrastata e molto poco influente (ricevendo dalla società più applausi che ascolto). Una strategia vincente ai fini della missione che Cristo ha affidato agli apostoli (“Andate ed annunciate il Vangelo, chi crederà sarà salvo”)? Si conceda, quantomeno, il diritto di dissentire.
Le parole di Ruini su Salvini.
Ecco le parole del cardinale Camillo Ruini sul leader della Lega Matteo Salvini (intervista rilasciata il 19 novembre ad Aldo Cazzullo per Il Corriere della Sera):
Salvini è così cattivo come lo dipingono? È possibile il dialogo con lui? O deve cambiare linea sui migranti?«Non condivido l’immagine tutta negativa di Salvini che viene proposta in alcuni ambienti. Penso che abbia notevoli prospettive davanti a sé; e che però abbia bisogno di maturare sotto vari aspetti. Il dialogo con lui mi sembra pertanto doveroso, anche se personalmente non lo conosco e quindi il mio discorso rimane un po’ astratto. Sui migranti vale per Salvini, come per ciascuno di noi, la parola del Vangelo sull’amore del prossimo; senza per questo sottovalutare i problemi che oggi le migrazioni comportano».Sbaglia a baciare il rosario?«Il gesto può certamente apparire strumentale e urtare la nostra sensibilità. Non sarei sicuro però che sia soltanto una strumentalizzazione. Può essere anche una reazione al “politicamente corretto”, e una maniera, pur poco felice, di affermare il ruolo della fede nello spazio pubblico».
Di Miguel Cuartero Samperi
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