La lettura del “Manifesto delle sardine”, disponibile qui, è imbarazzante per la pochezza politica che palesa. Ognuna delle “tesi” (?) sostenute potrebbe essere presa a esempio dell’orientamento culturale espresso, ma un paragrafo in particolare mi è sembrato rappresentativo, laddove si afferma:
“Siamo un popolo di persone normali, di tutte le età: amiamo le nostre case e le nostre famiglie, cerchiamo di impegnarci nel nostro lavoro, nel volontariato, nello sport, nel tempo libero. Mettiamo passione nell’aiutare gli altri, quando e come possiamo. Amiamo le cose divertenti, la bellezza, la non violenza (verbale e fisica), la creatività, l’ascolto”.
Questo paragrafo secondo me descrive plasticamente il ceto sociale di provenienza dei redattori: la nicchia privilegiata che negli ultimi dieci anni ha avuto la fortuna di vedere la crisi dal di fuori ed è convinta di averla scampata per intrinseci meriti. Il suprematismo morale che trasuda la colloca direttamente nell’area della sinistra rosée: quella politicamente corretta, compassionevole “quando e come può” e comunque quanto basta per sentirsi in pace con la propria coscienza; convinta che la propria bolla di riferimento sia accessibile a chiunque, purché dotato di buona volontà e merito.
Al di là della stucchevolezza, da concorso Miss Italia, lo trovo offensivo: per tutti i disoccupati e i precari che riempiono questo paese, per gli indigenti che si sono triplicati, per tutti coloro che la “durezza del vivere” di questa eurocomunità costringe a fare i conti ogni giorno con il rischio di precipitare nella povertà da un momento all’altro. In breve, la vasta umanità di disagiati che l’ordoliberismo eurocomunitario ha creato, e che guarda caso è del tutto assente nell’orizzonte cognitivo che il manifesto illustra.
E allora mi chiedo se queste sedicenti sardine non siano poi solo dei pesciolini rossi, che immemori nuotano in tondo nella loro boccia di vetro presumendo di essere in mare aperto.
Mauro Poggi
Fonte: https://mauropoggi.wordpress.com
Link: https://mauropoggi.wordpress.com/2019/11/22/sardine-e-pesci-rossi/
SARDINE. PERUCCHIETTI SPIEGA: SONO UN METODO CONSOLIDATO….
Marco Tosatti
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, e soprattutto voi troll piddini, aguzzate le lunghe orecchie e i nasini trinariciuti per un off topic, una piccola deviazione dai temi che ci sono abituali. Oggi Stilum Curiae vi offre un articolo tratto dal blog di Enrica Perucchietti, scrittrice e studiosa, dedicato alle sardine. E alla genesi, in passato, di movimenti consimili. Buona lettura, e grazie alla dott.ssa Perucchietti.
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Negli ultimi giorni è diventato virale il movimento delle sardine che ha organizzato i flash mob contro Matteo Salvini a Bologna e a Modena a cui hanno partecipato migliaia di persone.
Le “sardine” sono il simbolo scelto per protestare contro il leader della Lega, presente in Emilia-Romagna per la campagna elettorale in vista delle elezioni regionali del 26 gennaio 2020.
A uno sguardo distaccato questo movimento di protesta civile, giovane, non violento che fa ricorso a flash mob e all’ironia, sembra molto simile alle tecniche utilizzate in precedenti moti di protesta (dalla Serbia alla Primavera araba) che coincidono con quanto teorizzato da Gene Sharp in Come abbattere un regime.
Si tratta cioè di movimenti di protesta civile lontano dai tradizionali partiti, che sembrano ispirarsi al metodo Canvas, utilizzato da Otpor!, il movimento studentesco che divenne protagonista della rivolta contro Slobodan Milošević. Il gruppo scelse come simbolo un pugno chiuso stilizzato su fondo nero e si dotò dell’ironia come arma principale.
Queste tecniche sono state teorizzate da Srđa Popović e prima ancora dal politologo americano Gene Sharp, autore di Come abbattere un regime. Quest’ultimo è stato duramente attaccato nel 2007 dal presidente venezuelano Hugo Chavez e nel 2008 dal regime iraniano che in un video di propaganda l’ha definito «un agente della CIA».
Sharp parte dal presupposto che «sia possibile prevenire la tirannia e lottare con successo contro le dittature senza ricorrere a colossali bagni di sangue, e che sia possibile estirpare i regimi dittatoriali in modo che dalle loro ceneri ne sorgano di nuovi[1]», ben sapendo che «la caduta di un regime non sfocia nell’utopia. Piuttosto apre la strada a un duro e faticoso lavoro per costruire relazioni sociali, economiche e politiche, sradicare altre forme di ingiustizia e oppressione[2]».
Da questa speranza, l’autore desume le azioni di ribellione non violenta che si devono intraprendere in vista di una sommossa, che elenca come segue:
dileggio dei funzionari di regime;
marce, parate, cortei motorizzati;
boicottaggio da parte dei consumatori;
non collaborazione personale generalizzata;
ritiro totale dei depositi bancari;
disobbedienza civile contro leggi illegittime.
Queste azioni costituiscono la base della protesta non violenta, in quanto «la guerriglia non è una soluzione scontata, soprattutto se si considera la sua tendenza a incrementare paurosamente la quantità di vittime nella popolazione stessa […] Persino quando ha successo la guerriglia comporta conseguenze strutturali negative[3]».
Per questo Sharp è chiaro: per abbattere una dittatura nel modo più efficace e con perdite minime, bisogna intervenire subito su quattro fronti:
rafforzare la determinazione, la sicurezza nei propri mezzi e la resistenza della popolazione oppressa;
rafforzare i gruppi sociali indipendenti e le istituzioni di quella stessa popolazione;
creare una potente forza di resistenza interna;
sviluppare e implementare un piano di liberazione[4].
OTPOR!
Il libro nasce clandestino ma si diffonde velocemente su internet in quasi trenta lingue. Nel 1993 esce in Thailandia, due anni dopo il regime birmano cerca inutilmente di contrastarne la diffusione: nel 2005 chiunque venga trovato in possesso di una copia del libello viene arrestato e condannato a sette anni di prigione.
Durante il governo di Milošević una copia arriva anche a Belgrado. Viene tradotta in serbo e adottata dal movimento locale di resistenza, Otpor!. Il movimento giovanile di Belgrado diventerà poi il punto di riferimento per il gruppo di protesta egiziano nel 2011.
In entrambi i casi, però, come spiegava il giornalista Alfredo Macchi in Rivoluzioni S.p.A, troviamo «finanziamenti milionari a questi gruppi studenteschi che arrivano direttamente da Washington e da società di consulenza che insegnano agli aspiranti rivoluzionari di ogni paese attraverso veri e propri workshop».
IL METODO CANVAS
Così il fondatore di Otpor! e poi dell’istituto Canvas (Center for applied nonviolent action and strategies) con sede a Belgrado, Srđa Popović spiega:
«Noi non insegniamo quando o perché fare la rivoluzione, ma forniamo gli strumenti utili per organizzarla».
Costoro infatti insegnano agli aspiranti attivisti un modus operandi basato sulla non violenza, la guerra psicologica e la manipolazione mediatica, che è stato ribattezzato “metodo Canvas”.
Come per la rivoluzione bolscevica e prima ancora quella francese, dietro alle sommosse organizzate di piazza troviamo una regia occulta che muove le proteste come pedine per scopi ben diversi da quelli civili, di libertà e uguaglianza. Nulla di più diverso, dunque, dall’idea romantica di rivoluzione che abbiamo appreso sui banchi di scuola, perché, come osserva Macchi,
«Le insurrezioni però non nascono quasi mai dal nulla, soprattutto in zone con un controllo poliziesco capillare come il Nord Africa e il Medio Oriente. Dietro a cortei e proteste c’è il lavoro faticoso, rischioso e spesso ricco di delusioni di pochi attivisti. E c’è anche lo zampino di chi, dall’interno e dall’esterno, li aiuta, li finanzia e li indirizza. Qualcuno insomma che ha interesse a soffiare sul fuoco del malcontento, ad alimentarlo e a spingerlo verso esiti in certi casi ben diversi da quelli che sogna chi manifesta»[5].
Nel caso della rivolta contro Milošević,
«Il piccolo e combattivo gruppo studentesco “Otpor!” riceve anche importanti finanziamenti da benefattori negli Stati Uniti per centinaia di migliaia di dollari, confermati da alcuni ex leader della formazione serba. I soldi arrivano a Belgrado attraverso una rete inestricabile di fondazioni e organizzazioni americane, finanziate a loro volta dal governo di Washington. Andando a spulciare i bilanci ufficiali si scopre per esempio che il National Endowment for Democracy, diretta emanazione del Congresso degli Stati Uniti, ha effetto donazioni ad “Otpor!” per 237 mila dollari nel 2000. Una delle varie associazioni non governative coinvolte nel sostegno all’opposizione serba in nome della “democrazia” ha un nome evocativo, Freedom House e dopo la caduta di Milošević assume due attivisti di “Otpor!”, Alexander Maric e Stanko Lazendic come consulenti per i movimenti in Ucraina e Bielorussia»[6].
Arriviamo così alle insurrezioni in Medio Oriente del 2011 e ancora alle proteste degli indignados e di Occupy Wall Street tra i quali si infiltrano e confondono proprio gli attivisti di Otpor! Anche questi ultimi due gruppi, infatti, hanno utilizzato in maniera massiccia i social network per organizzare le proteste e attirare il più vasto numero di partecipanti.
Oggi, invece, in Italia tocca alle sardine organizzare una azione di dissenso e protesta contro un politico di opposizione che viene additato da molti come un pericolo per la tenuta della democrazia.
Il movimento di protesta è pronto ad approdare a Roma, in piazza del Popolo, sabato 21 dicembre alle 10.30. L’appello è stato lanciato su Facebook e ha raccolto in poche ore migliaia di consensi.
La differenza rispetto alle proteste del passato è però l’obiettivo stesso contro cui combattono le sardine: il “nemico” questa volta non è il despota di turno e non è nemmeno alla guida del Paese, ma all’opposizione. Si tratta cioè di una specie di “guerra preventiva” per impedire appunto a Salvini di vincere le elezioni anche in Emilia Romagna.
Vedremo con che modalità, consenso ed efficacia le sardine continueranno la loro protesta.
[1] Gene Sharp, Come abbattere un regime, 2011, Chiarelettere, Milano, pag. 7. Titolo originale: From Dictatorship to Democracy, traduzione di Massimo Gardella.
[2] Ivi, pag. 8.
[3] Ivi, pag. 15.
[4] Ivi, 19.
[5] Alfredo Macchi, Rivoluzioni S.p.A Chi c’è dietro la Primavera Araba, Alpine studio, 2012, pag. 17.
[6] Ivi, pag. 47, 48.
La sinistra a pesci in faccia
Ma chi sono, da dove spuntano le sardine, questi pesci miracolosi che si moltiplicano nelle piazze, lontano dal mare e sono esaltati dai media italiani come un fenomeno spontaneo, genuino, dietetico, salvifico?
Io le conosco, le sardine. Conosco i loro padri che cinquant’anni fa si concentravano nelle piazze adiacenti e antagoniste a quelle in cui c’era una manifestazione tricolore o un comizio di Giorgio Almirante. E inveivano, a volte tentavano di impedire che lui parlasse, gridavano minacciosi slogan. Conosco poi i loro fratelli maggiori che diciassette anni fa dettero vita ai girotondini, scendendo in piazza come un movimento di resistenza a Silvio Berlusconi, non legato ai partiti e alla sinistra storica. Mutano di colore negli anni, i resistenti, in una progressione cromatica precisa: erano rossi cinquant’anni fa, erano viola 17 anni fa, sono pesce azzurro in questi giorni.
Da che cosa deduci che siano la stessa piazza? Da tre indizi. Il primo è che cantano oggi come cantavano ieri e l’altro ieri Bella Ciao, è la loro sigla e il loro marchio di fabbrica, non sanno andare oltre l’antifascismo, di cui sono orfani e scorfani; ogni nemico è sempre la reincarnazione del fascista tornante. Il secondo indizio è che non sanno concepire un’idea positiva, non sanno indicare una leadership positiva, tantomeno hanno un programma concreto che li unisce; sono uniti solo dall’odio verso qualcuno, Almirante o Craxi, Cossiga o Berlusconi, Salvini o Meloni. Il terzo indizio è che la cupola dell’informazione li adotta, li coccola, come un fenomeno nuovo, fresco, giovane, spontaneo, popolare da opporre all’Orco di turno. E la stampa si fa pescivendola, piazzando le sardine.
Qualcuno le apparenta alle madamine torinesi scese in piazza per la Tav. Si può avere un giudizio negativo o positivo sulle Madamine ma i tre requisiti predetti non erano presenti in quel movimento: le Madamine non volevano ostacolare qualcuno o impedire qualcosa, ma volevano che si facesse l’Alta Velocità. Poi non cantavano Bella Ciao, semmai si opponevano ai movimenti radicali contro l’Alta Velocità, i devoti di Erri de Luca, i compagni antagonisti, anarco-insurrezionalisti (più grilloidi) che intonavano Bella Ciao nella loro guerra di resistenza al treno veloce. Si certo, anche le Madamine facevano i flash mob, ma le sardine in quanto pesci fanno piuttosto i fish mob.
Ma torniamo a bomba. Dal modo con cui sono presentati sui media, con un’onda di commozione celebrante collettiva, si capisce lontano un miglio che sono usati per rilanciare l’antisalvinismo da postazioni fintonuove, che alludono alla solita società civile. Sono usati soprattutto per scongiurare la caduta dell’Emilia rossa, senza però usare i vecchi arnesi del pd e senza andare al traino degli inetti i grillini. Il sottinteso è: non pensate al governo, spostatevi sulla piazza di città, ci sono i ragassi, con la doppia esse, c’è un’aria nuova. Ma no, ragassi, è aria fritta e rifritta; del resto, le sardine più gustose finiscono in friggitoria. Non c’è dietro di loro un pensiero. L’unico libro dedicato alla filosofia delle sardine l’ha scritto un intellettuale conservatore, Robert Hughes che anni fa attaccò il bigottismo progressista, politically correct, ne La cultura del piagnisteo.
La svolta ittica della sinistra ha poi un pericoloso contorno. Sono i centri sociali che autonomamente scendono in piazza ogni volta che si affaccia Salvini o la Meloni. E vorrebbero impedire coi loro modi facinorosi di esprimersi. Voi direte: ma le sardine, le innocue, dietetiche sardine, cosa c’entrano con gli estremisti dei centri sociali? Nulla, per carità, marciano divisi anche se poi colpiscono uniti lo stesso obiettivo, e magari cantano da ambo le parti Bella Ciao.
Ma vorrei far notare cosa succede quando Salvini va in piazza. È uno schema fisso, naturalmente casuale, che però si ripete puntuale. Si mobilitano le sardine da una parte e le murene dall’altra. Le une presentano una piazza dalla faccia pulita e senza curriculum politico; c’è un popolo, er valoroso popolo de sinistra, a piede libero, non di partito, non di corrente, se non marina. E le altre, le murene, servono a intimidire coloro che hanno intenzione di andare ad ascoltare Salvini. Si temono scontri, assalti, incidenti, lanci di roba, picchetti, così ti passa la voglia di andarci, soprattutto se sei una persona mite, un moderato, uno che non ha alcuna voglia di trovarsi coinvolto in qualche scontro tra polizia e manifestanti. Insomma s’innesca una tenaglia perversa in cui le sardine hanno il compito di persuasori, le murene fungono da dissuasori.
Ero in tour di conferenze tra l’Emilia e Romagna, e mi sono trovato nei luoghi in cui avrebbe parlato Salvini e in cui sarebbero usciti dalle scatole le sardine; i giornali locali tappezzavano le città di locandine sul pericolo di centri sociali in rivolta contro l’arrivo di Salvini. Si alimentava una psicosi, e naturalmente la colpa era di Salvini che con la sua presenza provoca e profana una terra antifascista.
Insomma vedi i ragazzi-sardina, pensi che siano merce nuova e poi ti ritrovi in versione marina, proprio nelle zone che furono il triangolo rosso della guerra civile, il vecchio fantasma dell’Anpi e dei nuovi partigiani fosco-emiliani. Vuoi vedere che la i finale dell’Anpi sta ora per partigiani ittici?
E il Pd come risponde alle sardine? Si fa piatto come una sogliola, per non farsi notare. Ma rischia di finire in padella. Indorato e fritto.
MV, La Verità 21 novembre 2019
Le sardine, ovvero il vero populismo in salsa establishment
Forse le sardine sono il vero “populismo” e non se ne sono accorte. Non ce ne stiamo accorgendo manco noi. A tal proposito, ci sono due scritti che dovrebbero inquietare assai il “nuovo” pescato da paranza e fargli capire il “senso” di un movimento senza senso. Il primo è un articolo di Giuliano Ferrara su “Il Foglio” che magnifica il movimento delle sardine e si toglie il cappello, stupefatto, davanti ai contenuti del loro manifesto. Il secondo è proprio il manifesto in questione.
Quanto al pezzo di Ferrara, c’è poco da dire. Parliamo di un opinionista campione dell’establishment il cui giornale gronda, letteralmente, di spasmodica adesione allo status quo. La mission del Foglio e del suo fondatore è fare da cane da guardia alla sedicente democrazia. E qualsiasi governo si allinei ai diktat delle cancellerie, dei mercati, della finanza, delle borse, del bon ton istituzionale che tutto (dal basso) digerisce, in ossequio a chi tutto (dall’alto) dirige, va bene. Non c’è nulla da cambiare, forse neanche nulla da capire, dal momento che viviamo nel migliore dei mondi possibili. Ma fosse anche il meno peggio, va bene lo stesso. È sufficiente che esso sia “liberale”, “liberista”, “moderato”, “occidentale”.
Insomma, care sardine, se c’era un sostenitore da cui tenersi alla larga – per un movimento “di piazza”, “giovane” e “spontaneo” – era proprio il Foglio di Ferrara. Verrebbe da aggiungere: meditate, sarde, meditate. Ma non lo diciamo perché ci sembra di chiedere troppo: la meditazione esige un minimum di intelligenza non eterodiretta. E poi, meditare su cosa? Sul fatto di aver dato vita, con la compiaciuta e untuosa adesione di tutta la stampa italiana, a una sollevazione “popolare” contro l’opposizione? In questo senso, le sardine hanno tutte le caratteristiche di altri fenomeni sintetizzati in provetta e spacciati per genuino ribellismo prepuberale o tardoadolescenziale come quello di Greta Thumberg: sono allineate (proprio come le sardine), fedeli a una logica di branco (proprio come le sardine), mute (proprio come le sardine). In tre parole: prone al Sistema. Questo certifica la loro assoluta inutilità. A che serve una “sollevazione” di massa a sostegno del re? Nel 1789 una roba del genere avrebbe evitato la rivoluzione francese. Oggi, evita la rivoluzione contro il Regime.
Ma veniamo al secondo scritto, il loro Manifesto (senza offesa per quello del 1848): da morir dal ridere. Inizia così: “Cari populisti, lo avete capito. La festa è finita”. Come se i Gracchi e Marx avessero detto: “Cari plebei, cari proletari, lo avete capito. La festa è finita.” Il servo che fa la voce del padrone. Poi, questa sorta di tazebao digitale prosegue sempre sulla stessa falsariga, senza manco il barlume di un progetto politico antitetico a quello miserabile in cui siamo costretti (proprio come sardine) e si conclude così: “Siamo un popolo di persone normali, di tutte le età: amiamo le nostre case e le nostre famiglie, cerchiamo di impegnarci nel nostro lavoro, nel volontariato, nello sport, nel tempo libero. Mettiamo passione nell’aiutare gli altri, quando e come possiamo. Amiamo le cose divertenti, la bellezza, la non violenza (verbale e fisica), la creatività, l’ascolto”.
Ci stanno dicendo questo: vogliamo continuare a occuparci del nostro tranquillo tran tran quotidiano di gente perbene, tartufa, codarda e piccolo borghese, e senza essere costretti a pensare, ad analizzare, a “vedere”. E, quindi – non sia mai! – a capire in che mondo siamo finiti. È un urlo autenticamente “populista” nel senso etimologico di qualunquista, banalotto e sonnacchioso. Vogliono continuare a dormire. E non sopportano chi gli rompe il cazzo mettendo in discussione la “Matrice” all’interno della quale essi vorrebbero continuare a dedicarsi, in santa pace, a “sport, volontariato, lavoro e tempo libero”. Forse, le sardine rappresentano davvero – a loro insaputa e loro malgrado –la più atroce messa in scena degli ultimi anni. I registi, dietro le quinte, si fregano le mani, soddisfatti. Loro lo sanno benissimo che il popolo vuole una cosa sola, come insegnava il Cardinal Carafa: vulgus vult decipi; ergo decipiatur. Il popolo vuole essere ingannato; e dunque lo sia.
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com
Le sardine raggiungono la loro"maturità sessuale"ad un anno,massimo due di età;ogni anno milioni di sardine nuotano verso la costa per deporre le uova:durante il loro viaggio nutrono una vasta schiera di predatori,tra cui squali,otarie e balene!!!
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