Vi presento un articolo dello scrittore e giornalista George Weigel, biografo e amico di Papa San Giovanni Paolo II, pubblicato su Ethics & Public Policy Center, che presenta le sue considerazioni sul complesso del Sinodo dell’Amazzonia. E’ un articolo interessante ma lungo. Pertanto vi presento immediatamente alcuni passi che trovate immediatamente di seguito. Per capire meglio la questione, vi consiglio di leggere tutto l’articolo che trovate oltre i brani che metto in evidenza. La traduzione è mia. 
Lo scrittore George Weigel
Lo scrittore George Weigel
“…il Sinodo-2019 ha avuto l’utilissimo scopo di mettere in netto rilievo le gravi questioni dottrinali e teologiche che la Chiesa deve affrontare oggi e nell’immediato futuro. Durante il Sinodo sono state prese posizioni, sono stati individuati gli orientamenti teologici e le posizioni pastorali di varie personalità e, a partire dal 28 ottobre 2019, è impossibile per chiunque si trovi in una posizione di responsabilità ecclesiastica negare ciò che è in gioco, se non per motivi di disattenzione, indifferenza o paura. 
E qual è, appunto, la posta in gioco, dopo questo sinodo e i suoi predecessori durante l’attuale pontificato? I colloqui con gli anziani della Chiesa e gli osservatori esperti suggeriscono che abbiamo raggiunto diversi risultati.
È in gioco la realtà e l’autorità vincolante della rivelazione divina, come ci viene trasmessa dalla Scrittura e dalla Tradizione. La rivelazione giudica la storia – compreso questo momento storico e le sue legittime preoccupazioni per l’ambiente – o la storia giudica la rivelazione (e quindi esige, per esempio, che il cattolicesimo del XXI secolo butti via la visione biblica della posizione unica, e straordinariamente responsabile, dell’umanità nel mondo naturale)? 
La posta in gioco è il magistero di Papa San Giovanni Paolo II e Papa Benedetto XVI come autentica interpretazione del Concilio Vaticano II, un’interpretazione che garantisce la vitalità della Nuova Evangelizzazione nelle parti vive della Chiesa mondiale. 
In gioco è l’insegnamento dell’enciclica Veritatis Splendor del 1993 sulla realtà degli atti intrinsecamente malvagi – azioni che non possono mai essere giustificate da alcun calcolo di intenzioni e conseguenze. 
In gioco è l’insegnamento della lettera apostolica Ordinatio Sacerdotalis del 1994, sulla quale la Chiesa è autorizzata ad ammettere agli Ordini sacri. 
In gioco è l’insegnamento della Congregazione per la Dottrina della Fede, nella dichiarazione Dominus Iesus, sul ruolo unico di Gesù Cristo come Salvatore, dichiarazione che è stata personalmente affermata da San Giovanni Paolo II durante il Grande Giubileo del 2000.
In gioco è il rapporto della Chiesa universale con le chiese locali: Il cattolicesimo è una federazione di chiese nazionali o regionali, o il cattolicesimo è una Chiesa universale con espressioni locali distintive?”
La posta in gioco è la natura stessa della Chiesa: La Chiesa cattolica è una comunione di discepoli in missione, sacramentalmente costituita e gerarchicamente ordinata, o la Chiesa si deve intendere innanzitutto per analogia con il mondo, come organizzazione non governativa (ONG) dedicata alle opere di bene in aiuto dei poveri, dell’ambiente, dei migranti, ecc. 
In gioco è la realizzazione il Grande mandato di Matteo 28,19-20: “Andate, dunque, e fate discepoli di tutte le nazioni”.    
Questa è la posta in gioco. Coloro che hanno la responsabilità primaria per il futuro della Chiesa secondo l’insegnamento della Lumen Gentium (Costituzione dogmatica sulla Chiesa del Vaticano II) hanno l’obbligo solenne, assunto quando hanno accettato l’ordinazione episcopale, di affrontare tali questioni. La reticenza, nella speranza che “Dio provvederà”, non è un’opzione in questo momento cattolico.”
Pachamama ai piedi dell'altare di una chiesa cattolica
Pachamama ai piedi dell’altare di una chiesa cattolica
 Secondo il suo consigliere di lunga data, Edwin Meese, il presidente Ronald Reagan deve aver raccontato la “barzelletta dei pony” almeno mille volte. La storia riguarda il bambino super-ottimista i cui genitori lo portano da uno psichiatra, insieme al suo gemello super-pessimista, in modo che il medico possa valutare le loro personalità estreme. Il bambino pessimista viene portato in una stanza piena di giocattoli e scoppia immediatamente in lacrime. “Non vuoi giocare con i giocattoli” chiede lo psichiatra. “Sì,” urla il giovane, “ma se lo facessi, li romperei solamente”. Il bambino ottimista viene portato in una stanza piena di letame di cavallo. Il bambino alza il naso? No, il bambino inizia a scavare. “Cosa stai facendo?” chiede lo psichiatra sorpreso. “Beh, con tutto questo letame”, risponde il bambino, “qui deve esserci un pony da qualche parte!”
Tra i detriti del Sinodo-2019, che comprendeva di tutto, dall’eterodossia palese al teatro di guerriglia, a un ecclesiastico anziano che denunciava coloro che responsabilmente criticavano il Sinodo come fucili al soldo delle compagnie petrolifere, c’è, infatti, un pony da trovare. Per qualsiasi altra cosa abbia o meno realizzato, il Sinodo-2019 è stato un momento inequivocabile di chiarimento e un severo richiamo alla responsabilità. Questo è il pony in mezzo al letame.  
Per capire cosa tutto ciò possa significare, offro alcune sintetiche conclusioni sul Sinodo-2019, cercando di mettere insieme molti dei fili di conversazione e di polemica che si sono svolti a Roma in queste ultime tre settimane. 
Le carte sono ora scoperte sul tavolo. Soprattutto, il Sinodo-2019 ha avuto l’utilissimo scopo di mettere in netto rilievo le gravi questioni dottrinali e teologiche che la Chiesa deve affrontare oggi e nell’immediato futuro. Durante il Sinodo sono state prese posizioni, sono stati individuati gli orientamenti teologici e le posizioni pastorali di varie personalità e, a partire dal 28 ottobre 2019, è impossibile per chiunque si trovi in una posizione di responsabilità ecclesiastica negare ciò che è in gioco, se non per motivi di disattenzione, indifferenza o paura. 
E qual è, appunto, la posta in gioco, dopo questo sinodo e i suoi predecessori durante l’attuale pontificato? I colloqui con gli anziani della Chiesa e gli osservatori esperti suggeriscono che abbiamo raggiunto diversi risultati.
È in gioco la realtà e l’autorità vincolante della rivelazione divina, come ci viene trasmessa dalla Scrittura e dalla Tradizione. La rivelazione giudica la storia – compreso questo momento storico e le sue legittime preoccupazioni per l’ambiente – o la storia giudica la rivelazione (e quindi esige, per esempio, che il cattolicesimo del XXI secolo butti via la visione biblica della posizione unica, e straordinariamente responsabile, dell’umanità nel mondo naturale)? 
La posta in gioco è il magistero di Papa San Giovanni Paolo II e Papa Benedetto XVI come autentica interpretazione del Concilio Vaticano II, un’interpretazione che garantisce la vitalità della Nuova Evangelizzazione nelle parti vive della Chiesa mondiale. 
In gioco è l’insegnamento dell’enciclica Veritatis Splendor del 1993 sulla realtà degli atti intrinsecamente malvagi – azioni che non possono mai essere giustificate da alcun calcolo di intenzioni e conseguenze. 
In gioco è l’insegnamento della lettera apostolica Ordinatio Sacerdotalis del 1994, sulla quale la Chiesa è autorizzata ad ammettere agli Ordini sacri. 
In gioco è l’insegnamento della Congregazione per la Dottrina della Fede, nella dichiarazione Dominus Iesus, sul ruolo unico di Gesù Cristo come Salvatore, dichiarazione che è stata personalmente affermata da San Giovanni Paolo II durante il Grande Giubileo del 2000.
In gioco è il rapporto della Chiesa universale con le chiese locali: Il cattolicesimo è una federazione di chiese nazionali o regionali, o il cattolicesimo è una Chiesa universale con espressioni locali distintive?
La posta in gioco è la natura stessa della Chiesa: La Chiesa cattolica è una comunione di discepoli in missione, sacramentalmente costituita e gerarchicamente ordinata, o la Chiesa si deve intendere innanzitutto per analogia con il mondo, come organizzazione non governativa (ONG) dedicata alle opere di bene in aiuto dei poveri, dell’ambiente, dei migranti, ecc. 
In gioco è la realizzazione il Grande mandato di Matteo 28,19-20: “Andate, dunque, e fate discepoli di tutte le nazioni”.    
Questa è la posta in gioco. Coloro che hanno la responsabilità primaria per il futuro della Chiesa secondo l’insegnamento della Lumen Gentium (Costituzione dogmatica sulla Chiesa del Vaticano II) hanno l’obbligo solenne, assunto quando hanno accettato l’ordinazione episcopale, di affrontare tali questioni. La reticenza, nella speranza che “Dio provvederà”, non è un’opzione in questo momento cattolico.
 Salvare “il progetto”
 Un collega dell’America Latina, profondo conoscitore del continente in tutta la sua diversità e ben informato sulle manovre prima e durante il Sinodo-2019, ha riferito questa settimana scorsa che uno degli architetti brasiliani del Sinodo, lasciando l’Aula Paolo VI pochi giorni prima, aveva detto ad alta voce (con più passione che discrezione): “Questa è la nostra ultima occasione”. Alla quale la risposta ovvia è “l’ultima possibilità per cosa?”
La risposta a questa domanda non riguarda semplicemente alcune questioni a lungo agitate dalla sinistra cattolica, come l’ordinazione degli uomini sposati (viri probati) al sacerdozio e l’ammissione delle donne a una sorta di “ministero”. L'”ultima possibilità” a cui quel padre sinodale indiscreto si riferiva era l'”ultima possibilità” di realizzare un progetto globale, ideologicamente guidato, tipicamente ritenuto originario dell’America Latina, ma che in realtà è stato esportato in quel continente dalle facoltà teologiche di un cattolicesimo in via di estinzione nel Nord Europa nel decennio e mezzo dopo il Concilio Vaticano II.
Secondo questo osservatore e altri, in quella che mi sembra un’analisi incisiva, cioè quello che è stata fatta a Roma in ottobre è: un ultimo sforzo per salvare “il progetto”. Quel “progetto” è spesso indicato sotto la rubrica “teologia della liberazione”, e “il progetto” è stato certamente informato ad un certo punto da varie teologie della liberazione. Ma “il progetto” è sempre stato, ed è ora, più ambizioso dello sforzo di riallineamento politico della Chiesa in America Latina. Lo scopo del “progetto” è stato colto ordinatamente dal prelato latinoamericano che ha affermato, mesi fa, che dopo il Sinodo sull’Amazzonia, “niente sarà mai più lo stesso”. 
Questo non è certamente vero. Ma l’ambizione mozzafiato della pretesa suggerisce la grandezza del “progetto” per il quale il Sinodo-2019 è stato l'”ultima possibilità”. 
Il “progetto” era, ed è, niente di meno che la creazione di un Nuovo Modello del Cattolicesimo, in cui la Chiesa è concepita principalmente come un’organizzazione non governativa internazionale che promuove l’agenda progressista a livello globale. Varie forme di teologia della liberazione, sposate ad una certa interpretazione della nozione di Karl Rahner del non evangelizzato come “cristiano anonimo”, hanno informato i primi tentativi di realizzare “il progetto”. L’aggiunta dell’eco-teologia al mix (essa stessa una importazione di una quasi-religione dalle élite occidentali), e una nuova riverenza per la religiosità indigena, sembrano aver riempito la comprensione del “progetto” di ciò che la Chiesa è, e a cosa serva la Chiesa. 
Il fatto che “il progetto” sia un’esportazione del Nord Europa è stato a lungo chiaro, anche se scavare a fondo nella storia delle idee del cattolicesimo moderno è necessario per capire il punto. Da oltre quarant’anni, la presentazione da parte dei media mondiali della teologia della liberazione come fenomeno indigeno e populista originario dell’America Latina – un po’ di notizie false amplificate dagli appassionati cattolici per “il progetto” – ha fatto un buon lavoro di oscuramento di chi-ha-insegnato-cosa-a-chi. Il fatto è però che praticamente nulla delle varie teologie latinoamericane della liberazione criticate da san Giovanni Paolo II alla conferenza di Puebla dell’episcopato latinoamericano del 1979, o respinte nell‘Istruzione su alcuni aspetti della teologia della liberazione del 1984 della Congregazione per la dottrina della fede, è originario dell’America Latina. La lettura della storia, l’ecclesiologia, il concetto dei sacramenti e il ministero che ha plasmato la maggior parte delle teologie della liberazione sono stati esportati in America Latina dalle facoltà teologiche belghe, francesi e tedesche attraverso le quali i venti hegeliani e marxisti avevano soffiato con notevole forza alla fine degli anni Sessanta. Quei radicali ripensamenti della natura della Chiesa, della sua missione, e del suo rapporto sia con i non convertiti che con la politica – in parte opera di uomini molto intelligenti ma profondamente maldestri – furono portati a casa da giovani sacerdoti latinoamericani romantici e appassionati che avevano studiato in quelle facoltà, e che sarebbero diventati vescovi nell’ultima parte del XX secolo. Queste correnti di pensiero hanno avuto una grande influenza soprattutto nella Conferenza episcopale brasiliana. 
Con la suddetta sovrapposizione di “coscienza” ecologica ed eco-teologia, originaria anche dell’Europa occidentale e del suo cattolicesimo morente, questi temi sono stati una potente forza nel plasmare il documento di lavoro (Instrumentum laboris, ndr) e i dibattiti del Sinodo-2019, un processo reso più facile perché l’elenco dei partecipanti al Sinodo è stato accuratamente selezionato al fine di far riflettere questa mentalità mediante una schiacciante maggioranza. 
Così il crollo della fede cattolica nel Nord Europa, che ha portato in quelle terre alla sostituzione della Chiesa-come-Corpo-mistico-di-Cristo-che-converte-il-mondo con una Chiesa-ben-finanziata-da-organizzazioni-non-governative-che-riflettono-le-preoccupazioni-non-governative-globali, ha creato metastasi in America Latina. Questo è il vero “nuovo colonialismo”. Eppure è stato raramente identificato come tale al Sinodo-2019, se non da alcune anime coraggiose che hanno deplorato il dirottamento del Sinodo da parte delle agende progressiste dell’Europa occidentale, il che ha frustrato il tentativo di alcuni membri del Sinodo di pensare seriamente all’evangelizzazione dell’Amazzonia e di trovare risposte alla domanda: “Perché i Pentecostali crescono mentre noi cattolici decliniamo?”
 Ancora attaccata alla “gabbia del potere” 
 Questa forma ideologica di globalizzazione – “il progetto” per il quale il Sinodo-2019 è stato una “ultima possibilità” – non solo ha avuto un effetto deleterio sullo zelo evangelico della Chiesa latinoamericana. Ha avuto anche un effetto negativo sulla politica dell’America Latina e sulla capacità della Chiesa di plasmare un ordine pubblico decente. In questo senso, il Sinodo-2019 è stata una massiccia, seppur tacita, confessione di fallimento. 
Il cattolicesimo è presente in America Latina da oltre mezzo millennio, spesso come forza vitale. Eppure, in tutto il continente, si assiste oggi a una pandemia di fallimento nel formare e sostenere società civili capaci di rafforzare l’autogoverno democratico, e capaci di sostenere uno sviluppo economico responsabile che crea ricchezza e dà potere ai poveri. E poiché il compito primario della Chiesa nella vita pubblica è quello di formare la società civile formando gli uomini e le donne che compongono la società civile, il cattolicesimo ha una grande parte di responsabilità per questo fallimento culturale. 
La brillante promessa della “terza ondata” di rivoluzioni democratiche e di mercato in America Latina negli anni Ottanta è stata vanificata da questa incapacità civile – sociale – e dall’incapacità della Chiesa di fare molto al riguardo. Al Sinodo del 2001, molti vescovi latinoamericani mi hanno detto che il problema più grave che la dottrina sociale della Chiesa ha affrontato nel loro continente nel XXI secolo è stata la corruzione – questo, dopo più di cinquecento anni di vita cattolica in America Latina. Eppure la corruzione politica ed economica rimane una pandemia dal Rio Grande alla Tiera del Fuego, frustrando la costruzione di società dignitose e lo sradicamento della povertà più o meno ovunque (eccezioni notevoli al momento sono Costa Rica e Uruguay, come mi ha detto un osservatore veterano della scena mondiale). E qualche misura di responsabilità per quella piaga della corruzione si trova ai piedi di ecclesiastici latinoamericani che non sono riusciti a prendere sul serio la chiamata del loro stesso Documento Aparecida del 2007 per una robusta Nuova Evangelizzazione del continente. Perché quella Nuova Evangelizzazione avrebbe certamente dovuto includere la proclamazione delle virtù necessarie per sostenere la società libera e virtuosa del XXI secolo.
L’incapacità di affrontare questa cosa durante il Sinodo-2019 è stata, o dovrebbe essere, profondamente inquietante. Si è fatto riferimento, durante i dibattiti generali del Sinodo o nei suoi gruppi di discussione in lingua, ai colossali fallimenti dei regimi corrotti di sinistra in Bolivia, Ecuador e Venezuela (da cui sono fuggiti circa 4 milioni di persone, il 13 per cento della popolazione, durante il regime “bolivariano” di Hugo Chavez e Nicolas Maduro)? Ha qualche padre sinodale o qualche auditor fatto notare pubblicamente che il tanto diffuso deterioramento delle condizioni ambientali e umane in Amazzonia brasiliana ha avuto luogo negli ultimi due decenni durante le presidenze di Luis Inácio Lula da Silva (2003-2010) e Dilma Roussef (2011-2016), sia corrotti, sia tenaci di sinistra della stessa posizione culturale  generale di Evo Morales della Bolivia (quello della famosa falce e martello a forma di croce dato a Papa Francesco), e di Rafael Correa dell’Ecuador, e i suddetti tiranni venezuelani? In caso affermativo, è sfuggito all’attenzione del pubblico.
In diverse grandi città dell’America Latina, in particolare le antiche capitali vicereali, il visitatore non può fare a meno di notare la vicinanza del palazzo vicereale alla cattedrale, di solito in una grande piazza. Questo legame storico tra la Chiesa e il potere statale, qualunque siano le sue conquiste storiche, è diventato un ostacolo alla realizzazione della missione evangelizzatrice della Chiesa nel XXI secolo, specialmente quando l’alleanza di oggi è con regimi socialisti falliti? Questo avrebbe certamente dovuto essere un argomento di discussione in un sinodo dedicato a “nuove vie per la Chiesa”. Lo è stato? Se è così, i suoi echi al di fuori dell’aula sinodale sono stati deboli.
Il che ci riporta a un punto precedente, che chiarisce ulteriormente. L'”ultima possibilità” di cui parlava così imprudentemente quel presule brasiliano comportava l’ennesimo tentativo di diventare una Chiesa di potere: in questo caso, un potere organizzativo non governativo ben finanziato, alleato a regimi politici di sinistra e organizzazioni internazionali per i quali le realtà delle nazioni e degli Stati significano poco (e le convinzioni della Chiesa cattolica sulle questioni di controllo della popolazione significano ancora meno). Sicuramente, sicuramente, è passato molto tempo perché la Chiesa in America Latina riconosca che tali alleanze con il potere politico sono inutili a lungo termine e svantaggiose per la proclamazione del Vangelo qui e ora. Ci deve essere un’alternativa latinoamericana alla scelta tra il progressismo (politico ed ecclesiastico) importato dell’Europa occidentale e il tradizionalismo, altrettanto non evangelico e nostalgico, di alcuni ricchi cattolici latinoamericani. 
Una volta si pensava che la dottrina sociale di Giovanni Paolo II potesse fornire questa alternativa. Potrebbe ancora farlo. Ma quella dottrina sociale deve essere compresa, incarnata e attuata sia dai leader che dal popolo della Chiesa cattolica. Questa comprensione, incarnazione e attuazione non era evidente al Sinodo-2019, non da ultimo tra gli ecclesiastici più anziani che erano venuti alla ribalta sotto il papa polacco, al quale una volta avevano promesso la lealtà. 
 I soldi tedeschi e la Chiesa come ONG
 Non solo qui, ma in tutto il mondo, la Chiesa cattolica in Germania – attualmente in rianimazione come comunità sacramentale ma immensamente ricca – sta avendo un effetto sproporzionato sulla vita cattolica. Molte delle riunioni preparatorie che hanno preceduto il Sinodo-2019 sono state finanziate dalle agenzie di sviluppo cattoliche tedesche “Adveniat” e “Miserior”, e così è stato spesso per l’attività di promozione mediatica delle ONG durante il Sinodo, compresi i vari riti indigeni e le manifestazioni presso la Chiesa di S. Maria in Traspontina sulla Via della Conciliazione, l’ampio viale (e ora, ahimè, discarica) che conduce a Piazza San Pietro.
L’attività di lobbying da parte di gruppi di interesse ha fatto parte della vita cattolica per molto tempo. Le varie forze in lotta per o contro una definizione di infallibilità papale al Concilio Vaticano I (1869-1870) avevano gruppi di lobbying e pubblicazioni; tra queste ultime spiccava la rivista gesuita La Civiltà Cattolica, che ha promosso la definizione più ampia possibile di infallibilità papale (e continua a farlo ancora oggi, anche se da una posizione ideologica drammaticamente diversa). C’è stata considerevole attività di promozione mediatica al Concilio Vaticano II (1962-1965), con varie organizzazioni cattoliche, riviste e istituti che hanno sponsorizzato conferenze e discussioni che spesso hanno avuto risonanza nei dibattiti conciliari. Il Sinodo-2014, il Sinodo-2015, il Sinodo-2018 e il “summit sugli abusi” all’inizio di quest’anno sono stati oggetto di analoghe pressioni da parte di vari gruppi di interesse cattolici.
Questa attività di lobbying sembra essere cresciuta di un ordine di grandezza al Sinodo-2019. Roma è stata inondata di denaro cattolico tedesco, che ha pagato per molte cose, dal trasporto delle popolazioni indigene dall’Amazzonia al Tevere, alle attività di lobbying a favore di questa o di altre cause ambientali, politiche o ecclesiastiche. Questi finanziamenti e questi sforzi organizzativi sono stati spesso coordinati con l’attività di lobbying di ONG laiche e INGOs (organizzazioni non governative internazionali) interessate a questioni ambientali, di sviluppo e di controllo della popolazione: ONG e INGOs che tipicamente hanno una notevole presenza alle Nazioni Unite, all’Unione Europea e ad altri forum internazionali. 
Naturalmente, si possono immaginare alcuni benefici per tutta questa attività di lobbying. Ma tende anche a creare un’atmosfera, dentro e fuori dal sinodo vero e proprio, che è più politica che ecclesiale, più una questione di potere che di discernimento spirituale e di seria riflessione teologica. Quando questo fenomeno incontra i legami storici del cattolicesimo latinoamericano con il potere politico, il quadro non è esattamente quello di una Chiesa povera per i poveri, ma di una Chiesa benestante, diventata non governativa, che cammina al passo con programmi che hanno poco a che fare con l’annuncio del Vangelo a coloro che non hanno mai incontrato Gesù Cristo e che non sono mai stati invitati alla comunione degli amici di Cristo.  
La moneta cattolica tedesca, l’attività di lobbying che sostiene e i messaggi che porta con sé sono intessuti della vita cattolica contemporanea con implicazioni che vanno ben oltre il Sinodo-2019. Le agenzie di sviluppo cattoliche tedesche, e i doni dei vescovi tedeschi ai loro confratelli del Terzo Mondo provenienti dai fondi arcidiocesani raccolti dalla tedesca Kirchensteuer (tassa ecclesiastica), sono anch’essi cruciali per il sostegno finanziario del cattolicesimo in Africa e in Asia. Questo finanziamento non viene veicolato senza un certo messaggio (che questi messaggi vengano ricevuti con piacere o meno [è da vedersi]). Né vengono veicolati senza l’assunzione di una certa influenza nelle future deliberazioni della Chiesa, compreso il prossimo conclave, ogniqualvolta ciò sia possibile. 
C’è un’ironia profonda, anche dolorosa, qui: La generosità cattolica tedesca – la ricchezza di una Chiesa morente che, come ha detto una volta il cardinale Joseph Ratzinger, è una “task force per vecchie idee” – sta aiutando a costruire le infrastrutture del cattolicesimo nelle aree più evangelicamente vivaci della Chiesa mondiale, specialmente in Africa. In un’altra ironia, però, è diventato chiaro al Sinodo-2019 che gli ecclesiastici africani non condividono l’entusiasmo per le “religioni indigene” manifestato da molti dei loro omologhi latinoamericani finanziati dalla Germania, e trovano qualcosa di scandaloso in un vescovo missionario austriaco (si riferisce a Krautler, ndr) con trentacinque anni di esperienza nella natura selvaggia dell’Amazzonia brasiliana che si è vantato di non aver mai battezzato un solo indigeno.
Il cattolicesimo africano non sembra molto interessato alla Chiesa come ONG; è troppo impegnato nell’evangelizzazione. Eppure il cattolicesimo africano dipende in gran parte dalla generosità della Chiesa locale più ricca del mondo, la Chiesa in Germania, che è saldamente ancorata al modello della Chiesa come ONG nella propria vita burocratica e nella propria presenza pubblica. Questa tensione, e la sua risoluzione, avrà un ruolo considerevole nel determinare il futuro della Chiesa cattolica negli anni a venire.   
Un’ultima nota su questo fronte. La penultima domenica del Sinodo, il Relatore Generale del Sinodo-2019, il cardinale brasiliano Claudio Hummes, OFM, ha predicato un sermone nelle Catacombe di Domitilla in cui si è scagliato contro il denaro come fonte di tutti i mali del mondo. Eppure sono stategrandi somme di denaro – spesso tedesche – che hanno reso possibile gli anni di lavoro che il cardinale Hummes e i suoi colleghi della Rete ecclesiale pan-amazzonica (REPAM) hanno dedicato alla preparazione del Sinodo-2019. Ed è stato il denaro – ancora una volta, in gran parte tedesco, e non avaro – che ha reso possibile l’attività di lobbying e di propaganda mediatica che è stata una parte cruciale della strategia del cardinale Hummes e dei suoi compatrioti per il Sinodo-2019. C’è qualcosa che non funziona bene qui. Un critico più severo potrebbe chiamarla ipocrisia. La chiamerò solo grave confusione.
 La questione sul celibato 
 Mentre durante il Sinodo c’è stata una certa resistenza contro la richiesta di ordinazione di uomini sposati fidati – i cosiddetti viri probati -, c’è stato molto più sostegno per questa pratica di quanto non ci sia stata un’opposizione di principio ad essa. Il Rapporto finale del Sinodo ha raccomandato con ampio margine che il Papa autorizzasse l’ordinazione a sacerdoti di diaconi sposati in Amazzonia dopo un’adeguata formazione. 
Tre sfaccettature tipicamente non segnalate di questa questione dovrebbero essere segnalate per il futuro, e certamente dovrebbero essere prese in considerazione dal Santo Padre mentre prepara la sua esortazione apostolica post-sinodale. 
La prima mi è stata segnalata da un esperto latinoamericano che ha ammesso, con notevole tristezza, che ci sono stati gravi problemi di concubinato clericale nel presbiterato latinoamericano, specialmente in Amazzonia: sacerdoti che hanno le amanti e hanno figli con loro. Che effetto avrebbe, si è chiesto questo leader cattolico, il distacco de facto del celibato dal sacerdozio di rito latino sulle sfide alla castità celibe vivente affrontate dagli uomini che già non rispettano gli obblighi che si sono assunti quando sono stati ordinati diaconi? L’impatto sul problema del concubinato clericale, ha suggerito, non sarebbe salutare. È difficile immaginare che si sia sbagliato. 
Il secondo aspetto della questione riguarda quella delle chiese locali e della Chiesa universale. Il Sinodo-2019 è stato un sinodo regionale che ha riguardato gli affari di una piccola percentuale della popolazione cattolica mondiale e che ha coinvolto un gruppo di partecipanti accuratamente selezionati per produrre un certo risultato. Eppure, in più di una parte dei dibattiti del Sinodo-2019, i padri sinodali hanno agito come se stessero conducendo un concilio ecumenico – un atteggiamento che esprime ulteriormente l’affermazione, già nota in precedenza, che dopo il Sinodo-2019, nulla sarà più lo stesso. Questa è un’ecclesiologia molto, molto cattiva e ha conseguenze globali. Infatti, se si concedesse un’esenzione ai vescovi amazzonici per ordinare viri probati, non c’è dubbio che, per quanto forzato nel linguaggio dell’esenzione, i vescovi dei Paesi europei, dove l’ordinazione degli uomini sposati è stata a lungo una causa progressista, richiederebbero esenzioni simili, adducendo ragioni pastorali simili.
La disciplina del celibato nel cattolicesimo di rito latino coinvolge l’intera Chiesa. Nessuna decisione adeguata su possibili esenzioni da tale disciplina può essere presa sulla base di una piccola parte della Chiesa mondiale, perché una tale decisione avrebbe vaste implicazioni per l’intera Chiesa. Pertanto, è imperativo che i vescovi preoccupati per l’impatto di un’esenzione dal celibato per l’Amazzonia sui loro programmi di reclutamento vocazionale e sui loro attuali seminaristi dovrebbero sembrare essere sotto il serio obbligo di far conoscere queste preoccupazioni al Santo Padre, esercitando il loro ruolo di membri del collegio episcopale che governa la Chiesa “con e sotto” il Vescovo di Roma.  
Infine, va notato che l’attacco al celibato è un altro aspetto del “progetto”. Il celibato ha senso solo come espressione dell’autocoscienza escatologica della Chiesa: la fiducia della Chiesa nell’annuncio del Signore che il Regno di Dio è ora tra noi (Mc 1,15), e la fede della Chiesa nella capacità dei battezzati di vivere qui e ora, con l’aiuto della grazia divina, la forma più radicale di vita del Regno. Abbandonare il celibato come [obbligo] normativo per il ministero ordinato sarebbe così un altro passo verso la trasformazione della Chiesa in una ONG globale. Le ONG, per definizione, non hanno un orizzonte escatologico per il loro lavoro; lavorano per il cambiamento ora, per il cambiamento qui, e il cambiamento ottenuto attraverso la politica, non attraverso la rottura del Regno di Dio.
 Le donne cattoliche e il nuovo/vecchio clericalismo 
 C’è stata una notevole agitazione all’interno e all’esterno del Sinodo-2019 circa la possibile raccomandazione sinodale che le donne siano inserite in qualche forma di “servizio diaconale” nella Chiesa, con alcuni che insistono sull’inclusione delle donne nel diaconato come attualmente costituito e altri che sostengono una nuova forma di “ministero istituito”. La relazione finale ha chiesto che venga creato e riconosciuto un ministero per la “leadership femminile della comunità”, alla luce delle mutevoli esigenze dell’evangelizzazione e dell’assistenza comunitaria.
C’è stato più di un piccolo soffio di clericalismo buono (in verità, cattivo) vecchio stile nel dibattito sinodale e le agitazioni sinodali di promozione mediatica su questo fronte, come se nulla “contasse” nel cattolicesimo senza un collare clericale. Questo cattivo vecchio clericalismo è stato contraddetto dalla testimonianza di quelle donne e uomini che hanno descritto tutte le cose che le donne già fanno nel cattolicesimo amazzonico, compreso il battesimo (come ogni cattolico laico può fare in caso di necessità). Non si è mai parlato seriamente di cosa aggiungerebbe questa patina di lucentezza clericale a questo vasto lavoro – che include evangelizzazione, catechesi, servizi medici, educazione laica e servizi sociali – se non rafforzare una mentalità clericale (deplorata da Papa Francesco), mentre si grattano i pruriti di alcune élite occidentali tra le donne cattoliche. 
C’è stata una certa irrealtà su tutto questo dibattito, cosa che spesso avviene. Se il diaconato fa parte di un triplice sacerdozio composto da vescovi, sacerdoti e diaconi (come è stato a lungo insegnato dalla Chiesa), allora seguono necessariamente alcune conclusioni: Se la Chiesa è autorizzata a ordinare solo gli uomini al sacerdozio, come insegna definitivamente San Giovanni Paolo II in Ordinatio Sacerdotalis, come potrebbe essere autorizzata a ordinare le donne a un diaconato che fa parte dello stesso sacerdotium del sacerdozio? E se – contro la testimonianza della Tradizione della Chiesa – il diaconato non fa parte di un triplice sacerdotium, ma sta a parte e si distingue dal sacerdozio e dall’episcopato, perché dovrebbero essere interessati coloro che si agitano per l’ordinazione delle donne a diaconi?
Nel frattempo, si dovrebbe sperare che l’opera eroica delle donne cattoliche in Amazzonia e nel mondo intero sia continuamente innalzata e affermata dall’autorità ecclesiastica e dalla cultura cattolica, senza alcuna sovrapposizione di clericalismo. Non è necessario indossare un collare clericale per essere un cattolico devoto, un cattolico impegnato, un cattolico evangelico, un servo cattolico dei diseredati, o un cattolico influente. Coloro che pensano diversamente potrebbero passare qualche momento a studiare la vita e l’opera di Caterina da Siena, Teresa d’Avila, Teresa di Lisieux, Edith Stein, Teresa di Calcutta; o considerare le decine di migliaia di religiose che hanno costruito (e gestito) un vivace cattolicesimo negli Stati Uniti; o riflettere sul generoso lavoro di milioni di madri cattoliche in tutto il mondo.
 Intendere correttamente l’”Ecologia Integrale”
 Il dibattito sinodale sulle questioni ambientali si è distinto per la sua scarsa profondità. Affermazioni sull’imminente catastrofe ecologica sono state fatte senza alcun sostegno empirico. Si è prestata poca, se non nessuna attenzione agli inevitabili compromessi, quando lo sviluppo economico e le legittime preoccupazioni ambientali si intersecano, come inevitabilmente fanno. (La raccomandazione di Robert Royal circa un articolo dell’ambientalista danese Bjorn Lomborg non è stata presa sul serio dal sinodo, ahimè, ma dovrebbe essere presa sul serio da chiunque sia serio sull’empowerment dei poveri e la protezione dell’ambiente.)
Mentre l’impegno della Chiesa mondiale sulle questioni ambientali si sviluppa alla luce dell’enciclica di Papa Francesco Laudato Si’, si dovrebbero osservare diverse cautele, non in gioco al Sinodo-2019, se si vuole che il cattolicesimo non venga letto da questi dibattiti cruciali come un attore marginale che sostiene posizioni assolutistiche non ancorate ai dati reali.
Forse la più urgente di questi ammonimenti riguarda il legame ormai consolidato tra l’estremismo ambientale e il controllo radicale della popolazione. Questa non è un’alleanza alla quale la Chiesa cattolica può partecipare senza abbandonare il suo patrimonio biblico. Le persone non sono inquinanti, e la Chiesa deve insistere su questo, in qualsiasi momento.
La seconda cautela che vorrei sollevare è la necessità che la Chiesa eviti una eco-versione del Terzomondismo – il privilegiare l’esperienza del Terzo Mondo – che è stato a lungo parte integrante del suddetto “progetto”. Perché il fatto è che i luoghi del pianeta con l’acqua più pulita, l’aria più pulita, l’industria più ecologica e le più rigorose misure di salvaguardia ambientale sono le nazioni sviluppate con economie di mercato, compresa la Svezia di Greta Thunberg, che è un paese “socialista” solo nell’immaginazione di Bernie Sanders. Ignorare tutto questo significa ignorare ciò che effettivamente contribuisce alla protezione e alla gestione delle risorse ambientali. Osservare questa cautela non sarà facile per i partigiani anti-mercato nel “progetto”, ma la realtà è realtà, e la realtà ha un suo valore negli affari umani. 
 Il coraggio necessario 
 Così, all’indomani del Sinodo-2019, la Chiesa cattolica si trova in un momento di crisi, nel tipico significato di grave pericolo e nel senso etimologico di grande opportunità. La posta in gioco post-sinodale è molto alta, non solo su una serie specifica di questioni controverse, ma per la comprensione stessa della Chiesa e del suo rapporto con la rivelazione di Dio. È quindi imperativo che l’ampiezza delle espressioni responsabili di grave preoccupazione circa la direzione in cui il cattolicesimo sembra diretto sia notevolmente ampliata. Questa preoccupazione non si limita a coloro che da tempo dubitano del Vaticano II. Essa si estende molto, molto più in là di quello che alcuni hanno inteso (come sostengo nel libro L’Ironia della storia cattolica moderna)  il Sinodo-2019 come l’ultima possibilità per realizzare “il progetto”, e “la posta in gioco” identificata all’inizio di questo saggio, riflette un tradimento dell’insegnamento del Vaticano II e un rifiuto della sua interpretazione autentica data da due papi che sono stati essi stessi protagonisti consequenziali del Concilio come uomini più giovani, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.   
Data la dura realtà delle comunicazioni vaticane di questi giorni, questo fatto – l’ampiezza della preoccupazione per lo stato della Chiesa cattolica mentre ci prepariamo a celebrare Ognissanti 2019 – diventerà chiaro solo quando sempre più leader cattolici si esprimeranno, sfidando le false idee e le prescrizioni imprudenti che hanno dominato il Sinodo-2019. Questa sfida non è all’ufficio papale; dato l’ambiente ricco di target lanciato dal Sinodo-2019, la sfida può essere sollevata con riferimento ai soli problemi. E deve essere sollevata.
Un anziano ecclesiastico profondamente preoccupato per le idee che hanno dominato al Sinodo-2019 e il loro effetto mortificante sulla missione evangelica della Chiesa mi ha detto, all’inizio dell’ultima settimana del Sinodo, che questa potrebbe essere l'”ora dei laici” nella Chiesa. Perché, come ha detto lui stesso, i laici spesso vedono le cose più chiaramente degli ecclesiastici. L’ho ringraziato per la sua fiducia, ma ho detto che pensavo che la prescrizione, pur lusinghiera, fosse del tutto insufficiente. 
Il Signore Gesù ha istituito una Chiesa governata da vescovi. Il Concilio Vaticano II ha insegnato che ogni vescovo condivide la responsabilità per la Chiesa mondiale; le sue responsabilità non si fermano ai confini della sua diocesi. È giunto il momento per quei vescovi che condividono la comprensione della “posta in gioco” descritta all’inizio di questo saggio di far conoscere le loro preoccupazioni, sia nelle loro diocesi che a Roma. 
Sì, ci vuole coraggio. Sicuramente, però, i leader ordinati e consacrati della Chiesa cattolica non hanno perso di vista la promessa di addio e la sfida del Signore nel suo discorso dell’Ultima Cena: 
Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!” (Gv 16,33). 

George Weigel è Distinguished Senior Fellow del Washington’s Ethics and Public Policy Center, dove tiene la William E. Simon Chair in Catholic Studies. Il suo libro più recente è L’ironia della storia cattolica moderna.
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