Parte II - Ormai solo un Dio ci può salvare risposta a Giorgio Agamben. La scienza è la religione del nostro tempo. L’analogia con la religione va presa alla lettera sia i teologi non sanno chi è Dio che i virologi cos’è un virus
di Roberto Pecchioli
Ormai solo un dio ci può salvare. Fu la risposta data da Martin Heidegger nella famosa intervista uscita postuma alla domanda sul declino del pensiero umanistico, soffocato dalla tecnica e dall’economia. Il tramonto del pensiero meditante, sostituito da psicologia, logica, cibernetica, statistica sembrava a Heidegger inevitabile, a meno che l’umanità non avesse ritrovato le tradizioni legate all’insegnamento dei classici greci o alla visionarietà dei poeti, come l’amato Hoelderlin. Non ci riferiamo ovviamente a un intervento soprannaturale che produca la fine del contagio, ma ai timori espressi da Giorgio Agamben circa il“salto” storico culturale provocato dalle risposte del potere all’emergenza.
Lo stato di eccezione imposto con tanta facilità si può comprendere nell’immediato, ma obbliga a ripensare il rapporto tra vita naturale e esistenza politica. Lo Stato di eccezione , ovvero la sospensione straordinaria e provvisoria dell’ordine giuridico, tende a trasformarsi in normalità di gestione della polis, sino a confondersi con la regola. La categoria di democrazia e il concetto di Stato di diritto assumono contorni opachi. Uno dei rischi esistenziali riguarda la sensazione di provvisorietà, di fine incipiente a cui l’uomo tende a dare la risposta che Tucidide, padre dell’indagine storica, intravide nel comportamento dei greci nella peste durante la guerra del Peloponneso: “nessuno era più disposto a perseverare in quello che prima giudicava il bene, perché credeva che forse poteva morire prima di raggiungerlo”.
La scienza oggi ha ordinato il confinamento, e confinamento sia, per tutto il tempo desiderato dagli alchimisti post moderni. E’ la nuova Vox Dei, voce di una religione politeista!
La banalità del male rischia di avvolgerci e travolgerci, e una delle sue forme può essere il nuovo virtuoso precetto anti contagio, il distanziamento sociale. Si tratta di un eufemismo introdotto nel lessico quotidiano al posto del più crudo “confinamento “. Si moltiplicano dichiarazioni di ambienti di potere tese a farci abituare, rassegnare e persino apprezzare un modo di vivere in cui- virus o non virus- la solitudine diventa la condizione normale di vita. A questo dobbiamo opporre un no convinto. Chiedeva Agamben di non ascoltare “gli stolti che suggeriscono che una tale situazione si può senz’altro considerare positiva e che le nuove tecnologie digitali permettono da tempo di comunicare felicemente a distanza. Io non credo che una comunità fondata sul “distanziamento sociale” sia umanamente e politicamente vivibile.”
Il ruolo degli intellettuali è quello di riflettere sui fenomeni e sulle loro conseguenze. Fu Elias Canetti a indagare sul rapporto tra massa e potere . Lo scrittore bulgaro di lingua tedesca descrive una situazione assai simile a quella che stiamo vivendo in queste settimane; in un brano di Massa e potere analizza la massa che si forma mediante un divieto, “ in cui molte persone riunite insieme vogliono non fare più ciò che fino a quel momento avevano fatto come singoli. Il divieto è improvviso: essi se lo impongono da soli; in ogni caso esso incide con la massima forza. È categorico come un ordine; per esso è tuttavia decisivo il carattere negativo”. Una comunità fondata sul distanziamento sociale è una contraddizione in termini. In più non significa, come si potrebbe credere, solo il trionfo dell’individualismo: “essa sarebbe, proprio al contrario, come quella che vediamo oggi intorno a noi, una massa rarefatta e fondata su un divieto, ma, proprio per questo, particolarmente compatta e passiva.”
Tutto questo senza proteste o opposizioni. Perché ? La diagnosi di Agamben è disperante. “L’ipotesi che vorrei suggerire è che in qualche modo, sia pure inconsapevolmente, la peste c’era già; che, evidentemente, le condizioni di vita della gente erano diventate tali che è bastato un segno improvviso perché esse apparissero per quello che erano – cioè intollerabili, come una peste appunto. E questo, in un certo senso, è il solo dato positivo che si possa trarre dalla situazione presente: è possibile che, più tardi, la gente cominci a chiedersi se il modo in cui viveva era giusto.”
Ormai solo un dio ci può salvare. Fu la risposta data dell'ateo da Martin Heidegger nella famosa intervista uscita postuma alla domanda sul declino del pensiero umanistico, soffocato dalla tecnica e dall’economia!
Agamben pone un’altra domanda, a cui i numerosi detrattori evitano accuratamente di rispondere: che società è quella che non ha altro valore che la sopravvivenza, anzi, per dirla con Curzio Malaparte, la pelle ? Ci siamo così abituati a vivere in crisi perenne e perenne emergenza da non accorgerci di vivere in “una condizione puramente biologica [che] ha perso ogni dimensione non solo sociale e politica, ma persino umana e affettiva. Una società che vive in un perenne stato di emergenza non può essere una società libera. Noi di fatto viviamo in una società che ha sacrificato la libertà alle cosiddette “ragioni di sicurezza” e si è condannata per questo a vivere in un perenne stato di paura e di insicurezza, con grande profitto per il potere.
Infine, ma è forse l’elemento più importante, Agamben getta uno squarcio di luce , mentre i presbiteri tacciono rinchiusi nelle loro sacrestie , sull’enorme bisogno di religione che la circostanza rivela. Ne è indizio, nel discorso martellante dei media, la terminologia presa in prestito dal vocabolario escatologico che, per descrivere il fenomeno, ricorre ossessivamente, soprattutto sulla stampa americana, alla parola “apocalisse” e evoca, spesso esplicitamente, la fine del mondo. “È come se il bisogno religioso, che la Chiesa non è più in grado di soddisfare, cercasse a tastoni un altro luogo in cui consistere e lo trovasse in quella che è ormai di fatto diventata la religione del nostro tempo: la scienza. Questa, come ogni religione, può produrre superstizione e paura o, comunque, essere usata per diffonderle. Mai come oggi si è assistito allo spettacolo, tipico delle religioni nei momenti di crisi, di pareri e prescrizioni diversi e contraddittori, che vanno dalla posizione eretica minoritaria (pure rappresentata da scienziati prestigiosi) di chi nega la gravità del fenomeno al discorso ortodosso dominante che l’afferma e, tuttavia, diverge spesso radicalmente quanto alle modalità di affrontarlo. E, come sempre in questi casi, alcuni esperti o sedicenti tali riescono ad assicurarsi il favore del monarca, che, come ai tempi delle dispute religiose che dividevano la cristianità, prende partito secondo i propri interessi per una corrente o per l’altra e impone le sue misure.”
Un’altra cosa che dà da pensare è l’evidente crollo di ogni convinzione e fede comune. Si direbbe che gli uomini non credono più a nulla – tranne che alla nuda esistenza biologica che occorre a qualunque costo salvare. “Ma sulla paura di perdere la vita si può fondare solo una tirannia, solo il mostruoso Leviatano con la sua spada sguainata.” In una recentissima intervista , Agamben va oltre. “La scienza è la religione del nostro tempo. L’analogia con la religione va presa alla lettera: i teologi dichiaravano di non poter definire con chiarezza che cos’è Dio. (…) I virologi ammettono di non sapere esattamente cos’è un virus, ma in suo nome pretendono di decidere come devono vivere gli esseri umani.“
Ciò che abbiamo imparato oggi è che una democrazia non può combattere un’epidemia senza smettere di essere e chiamarsi tale!
Si torna allo sconsolato ateo Heidegger: solo un Dio, comunque lo si chiami, dovunque lo si rintracci, ci può salvare, anche se la salvezza è circoscritta al salvataggio della “pelle”, qui e adesso. Ancora Malaparte: “null’altro rimane allora se non la lotta per salvare la pelle: non l’anima, come un tempo, o l’onore, la libertà, la giustizia, ma la schifosa pelle. “ Il potere lo sa e agisce di conseguenza. Nel frattempo, lancia i suoi servitori in attacchi forsennati contro chi esprime pensieri divergenti, diventati sbrigativamente fake news, le false notizie come gli untori della peste . Ne è prova la reazione scatenata contro Agamben nel recinto dell’ortodossia culturale.
Un osservatore risolve la contesa affermando che, poiché la “premessa maggiore “di Agamben , ovvero l’evidente errore iniziale di sottovalutazione del Covid19, è risultata falsa, le premesse successive sono altrettanto false. Un ottimo espediente per evitare di confrontarsi nel merito: la consueta demonizzazione dell’Altro, segno certo del razzismo antropologico della kultura che non risparmia neppure i propri, quando si permettono pensieri non fedeli alla linea.
Più interessante è l’opinione di Paolo Flores d’Arcais, il giacobino d’acciaio , l’illuminista incorruttibile come Robespierre, che officia le sue omelie laiche da pulpiti come Micromega, Repubblica e il Fatto. Già il titolo del suo intervento dimostra l’eleganza e l’equilibrio di Flores: le farneticazioni di Giorgio Agamben. Dissentire è farneticare, buono a sapersi. E’ l’autorevole opinione di fieri democratici. Dopo aver citato Walt Whitman per affermare che corpo e anima sono la stessa cosa, definisce sobriamente le idee di Agamben “funambolismi spirituali, esorcismi antiscientifici, addirittura grufolare in mediocri deliri di narcisismo.” Se le parole hanno un senso, Agamben è un pazzo e anche un maiale, giacché grufolare è verbo destinato ai suini. “Più illuminismo, scienza, ricerca. Non se ne può più delle superstizioni, dei guru e dei santoni” si infervora il direttore di Micromega, e sbotta che “il sapere è quello delle scienze, non delle elucubrazioni oniriche e post teologiche.”
La libertà riguarda i nostri corpi e le nostre anime, al di là della vita biologica. Per questo, è sensato ascoltare Giorgio Agamben e sbadigliare alle urla di Flores. Una risata – amara, sardonica, ma sempre una risata – lo seppellirà. Dicevano così i suoi maestri del Sessantotto. Dicevano anche vietato vietare. Altri tempi, altri virus!
Ormai solo un Dio ci può salvare . Risposta a Giorgio Agamben (Parte II)
di Roberto Pecchioli
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REQUIEM A UNA CIVILTA' DEFUNTA
Istupiditi, impecoriti, svirilizzati, sordi a ogni lezione; e nelle mani di un pugno di avventurieri senza scrupoli. Sarebbe bello se gli esseri umani imparassero qualcosa dalle lezioni della vita, ma ciò non è affatto scontato
di Francesco Lamendola
Sarebbe bello se gli esseri umani imparassero qualcosa dalle dure lezioni della vita, ma ciò non è affatto scontato. Un progresso spirituale è possibile solo se vi sono le condizioni per compiere il salto da un livello di consapevolezza più basso ad un livello di consapevolezza più alto. Ai livelli più bassi dominano l’egoismo, la superbia, l’avarizia, la lussuria, l’invidia, l’odio, il rancore; ai livelli più alti brillano la mitezza, la benevolenza, il perdono, la generosità, la compassione e l’amore. La verità è che si soffre, o si gioisce, esattamente come si è abituati a vivere: non sono le cose esterne che provocano un innalzamento o un abbassamento del proprio livello di coscienza, ma dei movimenti interni. Le circostanze esterne possono giocare un ruolo, ma solo come fattori scatenanti, ovvero come occasioni per mettere in moto il meglio e il peggio che giace nell’anima umana. Perché il punto è questo: dentro di noi ci sono tutto il bene e tutto il male del mondo, ovviamente allo stato potenziale; e sta all’educazione – intesa nel senso più ampio della parola – insegnare la disciplina interiore e incoraggiare lo slancio dell’anima verso l’alto, cioè verso il bene e il vero e il bello, e non, al contrario, stimolare e stuzzicare gli istinti più bassi. Va da sé che la civiltà moderna, per sua stessa natura, cioè per il fatto di aver messo al centro di tutto l’uomo, come se fosse dio, e però l’uomo inteso in senso materialista ed edonista, tende naturalmente a spingere gli esseri umani a dare il peggio di se stessi, abituandoli a considerare la vita come un’esperienza sostanzialmente insensata, nella quale la cosa più logica che si può fare è arraffare le occasioni di piacere e di successo e cercar di scansare, con ogni mezzo possibile, le situazioni nelle quali vi siano difficoltà, impegni gravosi, sacrifici, rischi di qualsiasi genere, insomma l’utilitarismo più gretto e meschino e nessuna, nessunissima scintilla d’idealismo. Anzi la civiltà moderna ha fatto e sta seguitando a fare qualcosa di ancor peggiore: la derisione sistematica del bene, del vero e del bello e l’esaltazione, altrettanto sfacciata e brutale, del male, del falso e del brutto.
Perché ci siamo ridotti così? Perché siamo scivolati tanto in basso, al punto da farci trattare come una mandria di mucche terrorizzate, che qualunque mandriano malvagio e mercenario può condurre al macello, senza neanche curarsi di nascondere più di tanto le sue vere intenzioni?
Ma come, dirà qualche anima bella, come è possibile che questo avvenga senza che la gente non se ne accorga? Il fatto è che la gente, lo ripetiamo, si abitua a fare quel che vede fare dalla maggioranza, e si abitua a considerare non solo normale, non solo lecito, ma decisamente opportuno, tutto ciò che viene presentato come tale, soprattutto dai persuasori occulti: il cinema, la televisione, la stampa, la pubblicità di ogni genere, che ormai riesce ad infiltrarsi in ogni sia pur minimo spazio della nostra vita privata. E non solo i persuasori occulti esaltano ciò che è male, ciò che è falso e ciò che è brutto, agendo, spesso, al di sotto della coscienza, e perciò particolarmente in profondità e senza l’assenso della ragione: lo fanno anche gli spettacoli di musica leggera, lo fanno gli urbanisti e gli architetti incaricati di dare un volto alle nostre città e alle nostre abitazioni; lo fanno i poeti e i romanzieri, che poi vengono presentati anche a scuola, agli studenti; lo fanno gli artisti che espongono le loro opere alle mostre, dove le scolaresche vengono accompagnate da zelanti professori. Lo fanno i sedicenti architetti e pittori e scultori di arte sacra, nell’edificare e decorare le nostre chiese; lo fanno i preti modernisti che hanno sostituito la Verità di Cristo con una sua umana contraffazione, ispirata dalla massoneria e resa credibile dal fervore e dalla quasi completa unanimità con cui la presenta il clero, dal papa all’ultimo sacerdote: prima inquinano i seminaristi e gli studenti di teologia, poi tutti costoro, divenuti a loro volta sacerdoti, inquinano il popolo di Dio, facendosi banditori di una falsa verità e di un vangelo che non è quello di Gesù, ma un contro-vangelo ispirato dal diavolo.
C’è qualcuno che crede veramente che il governo agisca come sta agendo, esclusivamente per il nostro bene e che abbia fatto carta straccia delle libertà costituzionali per tutelare un bene più essenziale, la nostra stessa vita?
Un po’ alla volta, giorno per giorno, anno dopo anno, le abitudini di vita della gente hanno subito uno stravolgimento quasi completo, e così i suoi modi di pensare, di sentire, di sognare, di studiare, di educare i propri figli, di svolgere il proprio lavoro o la propria professione. La modernità è entrata nella nostre vite, in tutta la sua forza, all’incirca negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso; prima di quella data, benché l’economia, la finanza e molti intellettuali avessero già imboccato la strada del materialismo e dell’edonismo, la massa della popolazione, specialmente in provincia e nelle campagne, era ancora legata ai vecchi e sani valori di un tempo, incentrati sulla triade Dio, patria e famiglia. Nel giro di alcuni decenni è cambiato tutto: la gente non è più la stessa; i bambini non sono più quelli; gli adulti, i professionisti, i lavoratori, i politici, i professori, i sacerdoti, non sono più quelli. Sono diventati più moderni, appunto: e se ne vantano. Ritengono di aver progredito, di aver realizzato un grande balzo in avanti, un grande miglioramento nel loro modo di porsi di fronte alla vita. I fatti, però, danno torto a questa interpretazione: completamente torto. I numeri dicono che c’è stato un crollo demografico, segno sicuro del disamore generale verso la vita: crollo dovuto sia alla pratica legalizzata dell’aborto, sia al rifiuto deliberato di procreare da parte della donna. Le famiglie si sono progressivamente ristrette, infine si sono sfarinate: non c’è più la famiglia, c’è una convivenza temporanea di soggetti che stanno insieme finché ne hanno la convenienza, poi si lasciano, senza troppo darsi pensiero per le ripercussioni psicologiche e affettive sui figli. Si mettono insieme ad altre persone, fanno altri figli, e dividono il loro tempo, si fa per dire, fra la famiglia di prima e quella di adesso.
Sarebbe bello se gli esseri umani imparassero qualcosa dalle dure lezioni della vita, ma ciò non è affatto scontato!
Le nuove “famiglie” sono formate anche da persone dello stesso sesso che si procurano i “figli” in vario modo, perfino letteralmente acquistandoli su catalogo: perché anche queste coppie sono state afferrate da un bisogno impellente irresistibile di sentirsi e di essere considerati genitori, proprio mentre quel bisogno si è affievolito e quasi spento nelle coppie formate da un uomo e una donna. Tutto viene prima della paternità e della maternità: il lavoro, la carriera, i viaggi, il divertimento, la cura incessante e meticolosa del proprio aspetto fisico. Molte giovani donne non vogliono avere figli per non perdere la linea, per non dover sacrificare le loro abitudini, per poter dedicare tutto il tempo libero alla palestra, allo sport, ai viaggi, all’abbronzatura o alla dieta al carotene. E molti uomini non hanno più alcun desiderio di diventare padri: non ne vedono la ragione, o forse la convenienza; spesso nascondono a se stessi il loro egoismo dietro la considerazione che il mondo è un luogo sempre più difficile e che non vogliono prendersi la responsabilità di gettarvi delle povere creature “innocenti”. Poi, però, i figli nascono: nascono dalle relazioni temporanee, nascono senza essere stato voluti, e ben presto vengono affidati alle cure dei nonni: e crescono senza capir bene chi siano davvero i loro genitori, e perché li vedano così poco, e perché la mamma abbia lasciato il papà per mettersi con un’altra donna, che adesso chiama “amore”; o perché il papà abbia lasciato la famiglia per passare da un’avventura all’altra.
Covid-19: oggi la neochiesa di Bergoglio prega Pachamama? Hanno sostituito la Verità di Cristo con una sua umana contraffazione, ispirata dalla massoneria!
Istupiditi, impecoriti, svirilizzati, sordi a ogni lezione
di Francesco Lamendola
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