Le autorità della Chiesa in ottemperanza alle norme sanitarie dei governi hanno chiuso le chiese e sospese le funzioni religiose. Grande il dolore dei fedeli. Ecco una riflessione del prof. Stephen A. Hipp, docente di teologia dogmatica presso il Seminario Saint Paul e l’Università di San Tommaso a Saint Paul, Minnesota (USA), pubblicata su First Thing, che vi propongo nella mia traduzione.
Abbiamo tutti l’obbligo morale di compiere sforzi prudenti per proteggere il bene della vita umana. Non c’è dubbio che ci sono giustificazioni di diritto naturale per la risposta della Chiesa a questa pandemia: la sospensione delle messe pubbliche e, in alcune diocesi, la sospensione dei sacramenti. Ma il quadro generale dovrebbe influenzare il nostro approccio alle questioni morali e spirituali. Naturalmente, dovremmo errare sul versante della sicurezza quando si tratta della vita umana. Ma dovremmo farlo anche quando si tratta della vita soprannaturale.
La “sicurezza” dell’anima, ci insegna il Signore, a volte richiede di rinunciare alla nostra sicurezza fisica. La fede cristiana dà a queste priorità in modo rigoroso. La prudenza è formalmente definita ed esercitata solo in riferimento al fine, in particolare al fine ultimo dell’uomo. La prudenza cristiana subordina ogni fine naturale a quello della vita soprannaturale. Come dice Gesù: “E se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geenna.” (Matteo 5,30). “Un discepolo gli disse: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Ma Gesù gli rispose: «Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti». (Matteo 8:22). Questi non sono consigli generali per l’auto-mutilazione o non curanza della morte, ma avvertimenti che la nostra fine soprannaturale può richiedere di sacrificare i fini naturali.
Nostro Signore ha stabilito criteri e un modello di azione che non annulla la legge naturale, ma ci chiede di andare oltre. Questo è l’insegnamento radicale e l’esempio stesso di Gesù. Ma non possiamo fare questo da noi stessi. “In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio.” (Gv 3,5). “In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita” (Gv 6, 53; cfr. Gv 6, 56). Nostro Signore ci ha detto che i sacramenti sono necessari per la salvezza e necessari per avere vita spirituale. Nessuna quantità di visione della Messa alla televisione o del fare la comunione spirituale può sostituire una vera vita sacramentale.
Il bisogno dei sacramenti è più urgente che mai. I figli spirituali della Chiesa hanno pianto a gran voce con richieste di aiuto. E non hanno pianto per la protezione dal COVID-19, ma per la protezione da un’altra, molto più reale, forma di morte che ci circonda sempre. Il pericolo della morte spirituale è cresciuto sempre più dal momento in cui coloro che detengono il potere sulla presenza sacramentale di Cristo hanno scelto di ritirarsi.
L’accesso frequente ai sacramenti è l’arma principale contro le forze demoniache del mondo. Non sorprende che i tassi di abuso di alcol e di pornografia siano saliti alle stelle da quando le porte della chiesa sono state chiuse. Il lupo sta disperdendo l’ovile e sta portando via le pecore. Se tutto ciò che abbiamo da dimostrare è che sopravviviamo, è questa la vera prudenza? “Che giova infatti all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?” (Marco 8:36). “Non temete ciò che uccide il corpo ma non può uccidere l’anima; temete piuttosto colui che può distruggere sia l’anima che il corpo” (Matteo 10:28; Luca 12:45).
Per questo la Chiesa insiste sul diritto dei fedeli a ricevere i sacramenti, un diritto che si fonda su una corrispondente necessità. Questo diritto non è semplicemente canonico, ma dell’ordine divino. Dove c’è più bisogno, inoltre, maggiore è l’obbligo di portare a chi ha bisogno la forza salvifica di Cristo. È difficile concepire parametri in base ai quali un vescovo o un pastore possa vietare a un sacerdote di farlo. Quale padre (naturale o spirituale) priverebbe volentieri i suoi figli del suo aiuto quando sono in pericolo? In virtù del loro rapporto, sarebbe una grave ingiustizia. Molti sacerdoti continuano a portare i sacramenti ai fedeli in una varietà di modi innovativi. Questo non solo assicura il flusso della misericordia salvifica di Dio, ma è di grande consolazione per coloro che servono, e una lezione per tutti su nostro Signore.
Perché si ritiene razionale che i supermercati, i negozi di liquori, i negozi di marijuana e le cliniche per gli aborti rimangano aperti mentre le nostre chiese sono chiuse e le liturgie e le pie devozioni sono sospese? Non il cibo naturale, ma i sacramenti (soprattutto l’Eucaristia) sono in grado di sostenerci in modo soprannaturale. È ironico che possiamo comprare le ciambelle al supermercato ma non possiamo ottenere dai nostri vescovi e dai nostri sacerdoti la messa e l’accesso regolare alla Comunione, che dovrebbe essere la “fonte e il culmine” della vita cristiana (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1324).
Questo non vuol dire che l’intenzione alla base della politica della Chiesa sia stata quella di chiudere direttamente la vita liturgica, o che questa vita liturgica si sia completamente fermata. Ma la nostra vita liturgica è stata sminuita, ed è difficile conciliare questo con l’insegnamento della Chiesa stessa sulla centralità della liturgia nella vita spirituale, l’esercizio della nostra dignità battesimale e la nostra lotta contro il principe di questo mondo.
Naturalmente, dobbiamo prendere precauzioni e usare mezzi prudenti per portare Cristo sacramentalmente a tutti i bisognosi. Ma la vigilanza prudenziale non può soppiantare il dovere primario della Chiesa di condurre il gregge, per evitare che essa cessi di essere prudente del tutto. In alcuni Stati, le autorità secolari hanno tenuto conto dei leader religiosi e delle attività religiose, e i sacerdoti hanno trovato molte soluzioni creative per presentare le sfide. La vita di santi come Carlo Borromeo, Damiano di Molokai, Aloysius di Gonzaga e Giovanni Bosco, che si occupavano di malattie molto più mortali di COVID-19, ci mostrano come agire.
Numerosi sacerdoti si trovano ora combattuti tra il loro amore per Cristo e il suo corpo e i loro obblighi di obbedienza canonica al loro ordinario. Per molti, la fedeltà ai vescovi comporta un conflitto di coscienza. Noi cattolici crediamo, naturalmente, che l’obbedienza a Cristo si compie attraverso l’obbedienza all’autorità ecclesiastica. “I sacerdoti guardino sinceramente il vescovo come loro padre e gli obbediscano con riverenza” (Lumen gentium, 28). “I laici devono… accettare prontamente le decisioni di obbedienza cristiana dei loro pastori spirituali, in quanto rappresentanti di Cristo” (Lumen gentium, 37).
Ordinariamente, un cattolico dovrebbe abbracciare la guida dei vescovi in tutte le sue forme. “Chi ascolta voi ascolta me, e chi respinge voi respinge me” (Lc 10,16). Questa fedeltà non è però necessariamente ritirata quando, a causa di circostanze straordinarie, si è obbligati ad opporsi alle direttive di un superiore ecclesiastico. Ci sono occasioni in cui non si devono seguire questi dettami a causa di un falso esercizio dell’autorità che è contrario al Vangelo. Ad esempio, l’ex cardinale Theodore McCarrick (ridotto allo stato laicale per abusi sessuali anche su minori, ndr), il vescovo Michael J. Bransfield, il vescovo Pierre Cauchon (1371-1442) e il patriarca Nestorio, alcune delle cui decisioni ecclesiastiche avrebbero dovuto essere contrastate o ignorate, illustrano questo punto.
Ci sono dei limiti alla richiesta di obbedienza ad un vescovo, prima di tutto la legge divina, seguita dalla legge naturale e dalla legge canonica. Qualsiasi ordine di compiere un atto intrinsecamente cattivo, o qualsiasi ordine contrario alla legge divina, per esempio, deve essere disobbedito. Allo stesso modo, qualsiasi ordine contrario alla legge canonica può essere rifiutato. I sacerdoti hanno doveri e diritti che le esigenze della disciplina ecclesiastica non possono abolire, ma devono, in linea di principio, proteggere. La fedeltà al Vangelo di Gesù Cristo e l’obbedienza all’autorità della Chiesa non possono essere separate; e seguire l’esempio di nostro Signore è garanzia di vera unità con i propri superiori ecclesiastici. Tutti noi dobbiamo pregare per i nostri vescovi in questo momento, affinché ricevano la luce e la forza per affrontare l’avversario e aderire alle esigenze del Vangelo.
Vorrei condividere qui qualcosa di personale. Come persona che ha praticato l’allontanamento sociale negli ultimi 20 anni, e per la quale, sotto molti aspetti, le sfide di COVID-19 non sono una novità, ciò che ho sperimentato nel curare le straordinarie esigenze di salute dei miei figli può gettare luce sulla situazione attuale.
Nel giugno 1999 abbiamo avuto il nostro figlio maggiore. Gli è stata diagnosticata una rara immunodeficienza genetica nota come malattia granulomatosa cronica (CGD), una malattia che compromette gravemente la capacità dell’organismo di difendersi dalle infezioni batteriche e fungine. Da allora, mia moglie ed io siamo stati benedetti con altri quattro figli, due dei quali, come il nostro primogenito, soffrono della stessa malattia. L’incessante vita ospedaliera, che comprende due trapianti di midollo osseo e un altro trapianto da eseguire, insieme al meticoloso allontanamento sociale dovuto ai rischi letali del contagio, riassumono la routine della mia famiglia da oltre vent’anni. Ogni filosofia di trattamento che i medici professionisti ci hanno presentato ha sottolineato l’estrema cautela nell’interazione sociale, le misure di isolamento, le pratiche sanitarie e numerose altre osservazioni per proteggere la salute dei nostri figli.
Ciò che la nostra nazione sta vivendo in questo momento non è per molti versi una novità per la mia famiglia. Nel prenderci cura dei nostri figli negli ultimi 20 anni, mia moglie ed io abbiamo dovuto correre certi rischi, abbiamo imparato a bilanciare bisogni contrastanti e, al meglio delle nostre capacità, abbiamo dato prudenzialmente priorità alle scelte difficili.
Alcune delle nostre pratiche possono essere sconsigliate dal punto di vista strettamente medico. Ma questa prospettiva è incompleta e, come ogni buon genitore capisce, ci sono altri e più importanti fattori da considerare. Questi fattori includono lo sviluppo psicologico di un bambino e il suo semplice bisogno di sapere che è amato e fa parte di una famiglia che si prende cura di lui. Così un genitore terrà conto, come noi, delle visite in ospedale di un caro amico mentre un bambino malato è in isolamento, o del fatto che a volte giochi all’aperto con altri bambini, anche se ciò può esporre i nostri figli a malattie.
Preminente per noi, tuttavia, è stata la salute spirituale dei nostri figli. Nutrire e preservare la loro vita soprannaturale, come nostro primo dovere di genitori, ha sempre significato superare certi limiti relativi alla loro salute fisica. La Messa, e la vita liturgica in generale, è stata un punto non negoziabile, anche se ha significato prendere le distanze dagli altri sedendosi in angoli remoti delle chiese, astenendosi dal segno della pace e prendendo altre precauzioni simili.
Eppure non abbiamo fatto nulla di eroico o di straordinario. Qualsiasi altro approccio al benessere generale dei nostri figli sarebbe spiritualmente negligente. Naturalmente, il nostro sforzo di assicurare una vita spirituale attiva e sacramentalmente sostenuta ai nostri figli ha comportato sacrifici e rischi attentamente considerati, ma questo è molto più fonte di gioia che di dolore.
Ogni sacerdote dovrebbe avere la libertà di fare lo stesso nella situazione attuale. Ogni vero padre e ogni vera madre lo attestano senza esitazioni: Noi daremmo con gioia cento volte la nostra vita per la vita dei nostri figli. Se questo sentimento può plasmare il legame naturale tra un genitore e un figlio, quanto più deve definire il rapporto tra un padre spirituale e i suoi figli? Vivere in una bolla potrebbe essere un modo sicuro di agire per il corpo, anche prudenza agli occhi del mondo. Ma non è una soluzione per il bene dell’anima.
Di Sabino Paciolla
Ricevo e volentieri pubblico.
Non sappiamo deciderci se sia più adeguato provare a sdrammatizzare l’argomento oppure entrare direttamente nella polemica sulla cosiddetta “fase 2”. Certo si fatica a vedere emergere delle posizioni chiare sulla possibilità di frequentare di nuovo le celebrazioni religiose.
Questa l’ultima notizia: il governo danese propone di fare scuola nelle chiese. Sarebbero fra i pochi luoghi sicuri in grado di rendere rispettabili le norme di sicurezza.
Ecco il nostro stupore: lo stesso luogo fisico considerato dal governo italiano inidoneo per ospitare degli adulti durante lo svolgimento di celebrazioni liturgiche, celebrazioni che possono facilmente prevedere tempi minimi, debite precauzioni e il necessario distanziamento, dal governo danese viene considerato come il luogo più sicuro dove accogliere, per ore e ore, dei bambini per fare scuola. Proprio così: chiese non sicure per fare da chiese. Chiese sicure per fare da scuole.
L’articolo chiosa: “Come idea tuttavia non sembra peregrina e se venisse applicata in Italia potrebbe salvare tante lezioni in presenza, sperando che, alla minima distrazione del docente, gli stucchi artistici e i dipinti e gli affreschi delle nostre chiese non vengano bullizzati dalle immancabili scritte”.
Abbiamo già visto come le chiese, mura e panche, siano state utilizzate in tempi recenti per qualunque tipo di attività: culturale, associativa, artistica, politica.
Riteniamo ancora necessario e non scontato sottolineare l’esclusività che sarebbe richiesta dalla sacralità del luogo, ossia: in chiesa si celebra la Santa Messa, il Rosario, ci si raccoglie per la preghiera comunitaria e personale. Altri “riti”, come lotterie, pizzate, cori da stadio, o l’utilizzo dei marmi come piste da skateboard, non sarebbero opportuni, anzi, a dirla tutta, leciti.
Con la pandemia abbiamo dovuto soffrire ulteriormente: quella funzione esclusiva che appartiene alla chiesa come luogo fisico ci è stata tolta, sottratta, e con un certo stupore ci siamo visti fermati come criminali della peggiore specie per il fatto di recarci in quel luogo per compiere una piccola visita privata, una preghiera (leggi qui)
Lasciamo a ognuno le considerazioni del caso.
A noi sovviene la lettura de Il mondo, la carne e Padre Smith di Bruce Marshall:
«…finché non ricomparvero un’altra volta i giornalai, poi i quartieri popolari e il porto, e finalmente il mercato della frutta, che i cattolici avevano preso in affitto dal municipio per la domenica, perché si potesse offrire il santo sacrificio della messa e Cristo potesse venire ancora, traversando il mattino, nel sacramento bianco e rapido del suo amore. I muri esterni del mercato erano spesso coperti di scritte oscene, ma a questo il Padre Smith non faceva mai grande attenzione, perché sapeva che non erano intese come insulti a Dio.»
Nella Scozia Presbiteriana per niente tollerante con i cattolici ai primi del 1900, le mura da imbrattare erano quelle del mercato della frutta.
Siamo certi che sarà sempre possibile un dialogo all’interno del popolo cristiano, chierici e laici, su questioni importanti come questa, di cui probabilmente non ve n’è di più fondanti. Così come siamo certi che sono duemila anni che il mondo, a seconda della sua convenienza, cerca di imporre alla Chiesa, non solo mura e panche, quello che Ella deve o non deve fare o essere. Dimenticarlo sarebbe da ingenui:
«C’è per aria qualche novità poco bella, Padre», (…) «Niente paura!», fece il Padre Smith. «Se vengono dei guai, serviranno a preservare la nostra fede dalla ruggine. È un gran vantaggio della persecuzione, questo: ci fa stare in gamba. La vera nemica della Chiesa di Dio non è l’odio, è l’abitudine».
In Danimarca, in Italia, oggi.
di Pietro Gargiulo
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