Don Lino Viola, il parroco che ha fermato il carabiniere sull'altare, vuole ricorrere al Prefetto. I carabinieri giustificano la loro irruzione in chiesa: «Abbiamo fatto quello che si doveva fare». Ma l'interruzione della Messa è legittima solo in casi di urgente necessità, ad esempio fermare un omicidio, non per notificare una multa. Nel frattempo il sacerdote viene scaricato dal suo vescovo: «Il comportamento del parroco è in contraddizione con le norme civili».
Il caso lo ha risolto lo stesso don Lino Viola: «E’ abuso di potere». Più chiaro di così si muore, eppure il sacerdote che ha stoppato il carabiniere salito sull’altare per interrompere la Messa a Soncino (CR), sta passando lui per furfante della peggior specie. Per alcuni giornali, ad esempio, i quali ribaltano la frittata dicendo che è il prete a non aver ascoltato l’autorità e non invece il carabiniere a interrompere – sacrilegamente – la Messa. Ma anche per il vescovo di Cremona Antonio Napolioni che in una nota stampa lo ha letteralmente scaricato dandogli la responsabilità del misfatto.
E come se non bastasse anche per gli stessi Carabinieri che ieri hanno difeso l’operato dei loro militari.
L’ARMA SI DIFENDE
«I Carabinieri hanno fatto quello che dovevano fare», spiega alla Nuova BQ il Maggiore Lorenzo Carlo Maria Repetto, comandante provinciale dell’Arma a Cremona. «Sono state sanzionate delle persone le quali hanno la facoltà di ricorrere nei modi di legge». Ma il fatto rischia di avere conseguenze e non solo perché don Lino ieri ha espresso la volontà di ricorrere al Prefetto contro il provvedimento. A cominciare dal fatto che un’interruzione della Messa c’è stata e questa potrebbe costituire un reato.
«Discutibile – precisa il Maggiore Repetto – forse che se dovessi impedire un omicidio in chiesa non potrei entrare? È evidente che ci sono circostanze in cui si possono interrompere le Messe».
Per la verità, la questione non è così automatica. La turbatio sacrorum è disciplinata dall’articolo 405 del codice penale e prevede due anni di reclusione per chi turba o impedisce una funzione religiosa alla presenza di un ministro di culto ed è un reato procedibile d’ufficio.
Il punto è stabilire se vi sia stato davvero un turbamento/interruzione e se questo caso rientrasse nei pieni poteri dei carabinieri.
Il turbamento della Messa e la
mancanza di necessità sono
evidenti
MESSA TURBATA
Sul primo punto è evidente che un turbamento sia avvenuto. Il secondo video comparso ieri al momento dell’omelia mostra chiaramente il carabiniere mettersi di fronte al presbiterio e intimare nell’ordine la sospensione della Messa, l’uscita dei fedeli e la ripresa della celebrazione con la sola presidenza del sacerdote e del «chierichetto». Ma don Lino gli ha resistito parlando di «abuso di potere».
A quel punto, all’Orate fratres (dopo l’Offertorio) il carabiniere è salito in presbiterio, ma prima c’era stata anche l’incursione della perpetua con il telefono e il sindaco dall’altra parte. È evidente che un’interruzione c’è stata così come una turbativa, la quale si determina a norma di legge anche con il solo distogliere l’attenzione dei fedeli denigrando la figura del sacerdote.
NESSUNA URGENTE NECESSITA’
D’accordo, ma il Maggiore ha giustificato l’intervento dei suoi sottoposti. E qui entra in gioco il secondo tema e cioè se l’irruzione in chiesa fosse giustificata. L’esempio dell’omicidio non può essere preso a modello in questo caso perché questo è un reato mentre, a partire dal 25 marzo, l’eventuale violazione delle prescrizioni del governo è una semplice violazione amministrativa: equiparare le due cose è errato dal punto di vista giuridico, oltre che piuttosto grottesco. Ma c’è di più: l’articolo 5, comma 2 dell’accordo tra Santa Sede e Repubblica Italiana, che modifica le norme del Concordato dice che «salvo casi di urgente necessità, «la forza pubblica non potrà entrare per l’esercizio delle sue funzioni negli edifici aperti al culto, senza averne dato previo avviso all’autorità ecclesiastica».
Si badi bene: qui si parla della sola entrata, per la quale deve essere informato il vescovo. Ma il vescovo non è stato informato.
Un altro elemento che può far cadere il principio dell’urgente necessità è il fatto che il carabiniere volesse passare la telefonata del sindaco a don Lino, che poi il prete ha rifiutato. Che cosa c’entra? Perché i carabinieri dovrebbero avere il compito di favorire la telefonata tra il sindaco e il parroco? Anche fosse urgente la notifica della violazione, sarebbero comunque scattati i 90 giorni di tempo.
Codice penale e Concordato: la legge è chiara
LA CHIESA COME IL BINGO?
Ma che il fatto sia giuridicamente chiaro lo dimostra il decreto legge n. 19 del 25 marzo che non permette l'interruzione di una cerimonia; prevede la chiusura di attività commerciali (cinema, sale giochi, sale scommesse, negozi, fiere) aperte nonostante i divieti. Ma le chiese non sono sale bingo.
È STATO UN REATO?
Insomma: se reato c’è stato, questi è stato un reato di turbamento di cerimonie religiose (procedibile d'ufficio) da parte di Carabinieri che, entrati in chiesa come Forza pubblica senza avere avvisato l'autorità ecclesiastica e senza che ve ne fosse necessità urgente, hanno tentato di interrompere la cerimonia e l'hanno comunque turbata senza alcuna giustificazione. Le norme dettate per l'emergenza Coronavirus infatti, non permettevano questo turbamento, né permettono affatto di impedire la celebrazione delle cerimonie religiose.
APPOGGI LEGALI PER DON LINO
Resta da vedere poi se don Lino fosse a sua volta responsabile di una violazione, celebrando con le porte aperte e vedendosi entrare in chiesa dei fedeli non autorizzati. Difficile dimostrare una sua colpa dato che il parroco non è responsabile della condotta delle persone, le quali, tra l’altro, erano tutte a distanza e con mascherina. Oltre che in un numero davvero esiguo per giustificare quello che don Lino ha chiamato «un pandemonio». Per il resto vale sempre il buonsenso. Si trattava di sei persone in più rispetto all’autorizzato in una chiesa di 300mq.
Resta da vedere poi se don Lino fosse a sua volta responsabile di una violazione, celebrando con le porte aperte e vedendosi entrare in chiesa dei fedeli non autorizzati. Difficile dimostrare una sua colpa dato che il parroco non è responsabile della condotta delle persone, le quali, tra l’altro, erano tutte a distanza e con mascherina. Oltre che in un numero davvero esiguo per giustificare quello che don Lino ha chiamato «un pandemonio». Per il resto vale sempre il buonsenso. Si trattava di sei persone in più rispetto all’autorizzato in una chiesa di 300mq.
Ora il parroco dovrà ricorrere al Prefetto cercando di far valere le sue ragioni per non pagare la sanzione, ben sapendo però che, mentre diversi avvocati si stanno facendo vivi per offrirgli appoggio legale, gli verrà a mancare forse l’appoggio istituzionale più importante: quello del suo vescovo.
IL VESCOVO LO SCARICA
Il vescovo di Cremona ieri pomeriggio ha preso posizione scaricando l’anziano sacerdote al suo destino: «La Diocesi di Cremona, pur consapevole dell’intima sofferenza e del profondo disagio di tanti presbiteri e fedeli per la forzata e prolungata privazione dell’Eucaristia, non può non sottolineare con dispiacere che il comportamento del parroco è in contraddizione con le norme civili e le indicazioni canoniche che ormai da diverse settimane condizionano la vita liturgica e sacramentale della Chiesa in Italia e della nostra Chiesa cremonese».
La nota del vescovo è stata subito rilanciata da Avvenire, l'organo dei vescovi, che non aveva nemmeno raccontato la vicenda il giorno prima. Nessun accenno all’irruzione sacrilega – e illegittima – dell’Arma in chiesa. Nessuna presa di distanza e nessuna difesa d’ufficio del sacerdote che ha provato in tutti i modi a difendere prima tutto il Sacramento e la Messa, prim’ancora della sua persona. È così che lo Stato si prenderà sempre più libertà nel porre limiti all’accesso ai luoghi di culto. La persecuzione nei Paesi comunisti è iniziata con molto meno.
Andrea Zambrano
- CARD. RANJITH: STOP ALLE MESSE, ECCO COME FARE, di Nico Spuntoni
- LA COSTITUZIONE NON PUO' ESSERE SOSPESA di A.E. Andronico
- RICCIARDI E BURIONI, SCIVOLONI DA STAR di Paolo Gulisano
https://lanuovabq.it/it/messa-interrotta-tra-reato-e-abuso-di-potere-ma-il-vescovo-scarica-don-lino
Sì, nel titolo ho scritto “CEI, se ci sei, batti un colpo!” Ma è proprio questo il problema, l’assenza della Conferenza Episcopale Italiana, una assenza che è oggi certificata dal comunicato emesso ieri dalla Diocesi di Cremona a seguito del noto e, direi pure, inquietante, episodio capitato al sacerdote don Lino Viola nel comune di Soncino. Il povero parroco è stato fatto oggetto di un atto deplorevole, a dir poco, da parte di un carabiniere che irrompe nella sua chiesa mentre lui sta celebrando messa e, interrompendolo durante l’offertorio, dichiarando «La funzione è sospesa!», pretende che parli con il sindaco. La motivazione di questa azione è la notifica di una multa per aver violato il decreto che vieta l’assembramento durante la funzione religiosa in questo periodo di pandemia. La cosa assurda è che durante quella messa, come afferma il parroco, erano presenti solo 13 persone, ben distanziate, tutte con guanti e mascherine, delle quali ben 7 erano con l’autocertificazione in quanto collaboratori del sacerdote, cosa prevista dal decreto. Le altre 6 persone, dice il sacerdote, erano famigliari di persone morte di Coronavirus per le quali si stava celebrando la Messa. Per 6 persone presenti in una chiesa di 300 mq si può parlare di assembramento? Non si pone piuttosto una vera e propria questione di violazione del diritto di culto e di religione? Una questione di democrazia?
Dinanzi a questo che a molti è apparso come un evidente sopruso (si veda il video) da parte delle forze dell’ordine, ci si sarebbe aspettati che la diocesi, quanto meno, deprecasse e stigmatizzasse il comportamento delle forze dell’ordine. E invece, leggendo la nota ufficiale emessa ieri dalla diocesi, non si può far altro che certificarne una completa assenza.
L’opinione pubblica locale e nazionale è stata attirata dalla notizia dell’intervento delle forze dell’ordine, domenica 20 aprile, nei confronti di don Lino Viola, parroco di Gallignano, a motivo del mancato rispetto della attuale normativa emergenziale che vieta la celebrazione della messa in presenza dei fedeli.Riguardo alla vicenda la Diocesi di Cremona, pur consapevole dell’intima sofferenza e del profondo disagio di tanti presbiteri e fedeli per la forzata e prolungata privazione dell’Eucaristia, non può non sottolineare con dispiacere che il comportamento del parroco è in contraddizione con le norme civili e le indicazioni canoniche che ormai da diverse settimane condizionano la vita liturgica e sacramentale della Chiesa in Italia e della nostra Chiesa cremonese.La Diocesi sente il dovere di ringraziare tutti i presbiteri cremonesi che in questo difficile periodo hanno saputo esprimere un profondo senso di comunione e di appartenenza ecclesiale anche attraverso il rigoroso e puntuale rispetto dell’attuale normativa, consapevoli della responsabilità che la Chiesa ha nei confronti della società civile e della salute dei nostri concittadini. Questo lungo periodo emergenziale ha visto presbiteri e fedeli accomunati nella intelligente e appassionata ricerca di tutti quei mezzi e strumenti che hanno in qualche modo supplito alla dolorosa mancanza della vita liturgica e pastorale ordinaria delle nostre comunità.La Chiesa Cremonese guarda con ponderata fiducia ma soprattutto con sapienza evangelica al tempo in cui ci sarà dato modo di riprendere con gradualità e prudenza le celebrazioni comunitarie e le altre forme di vita pastorale delle nostre comunità e condivide in spirito di comunione lo sforzo della Conferenza Episcopale Italiana per comprendere, d’intesa con l’autorità pubblica, quali saranno i prossimi passi che la Provvidenza ci chiamerà a fare.
Dunque il parroco, dopo aver subito l’oltraggio e la dissacrazione del luogo sacro, subisce anche la reprimenda del suo vescovo per non aver saputo esprimere quel “profondo senso di comunione e di appartenenza ecclesiale anche attraverso il rigoroso e puntuale rispetto dell’attuale normativa”.
Oramai sono tanti gli episodi come questi che si stanno ripetendo, tutti dello stesso tenore, tutti che vedono da una parte le forze dell’ordine che irrompono nelle chiese durante la funzione religiosa e dall’altra i sacerdoti che in molti casi vengono intimiditi e financo impauriti.
Molti imputano ai vescovi italiani una certa remissività ed una mancanza di volontà nel pretendere il rispetto delle prerogative che spettano alla Chiesa italiana. E quali sono queste prerogative? prima di tutto il diritto sacrosanto e costituzionalmente garantito di culto. Infatti, l’art. 19 della Costituzione afferma:
Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.
Tale diritto non è coercibile, non può essere oggetto di limitazione come può essere quello della libertà di movimento, come avviene in questo periodo di pandemia. Si badi bene, poi, che se un limite in quell’articolo della Costituzione viene posto all’esercizio della libertà religiosa è quello basato su “riti contrari al buon costume”, cosa che per la religione cattolica non si pone, e non anche per ragioni di ordine pubblico.
Inoltre, i vescovi dovrebbero pretendere il rispetto delle norme del Concordato, il trattato bilaterale sottoscritto tra il Vaticano e lo Stato italiano per regolare la situazione giuridica della Chiesa cattolica. E’ un trattato di rango costituzionale, dunque del livello più elevato. E l’accordo di revisione del 18 febbraio del 1984, all’articolo 5, comma 2, prevede:
Salvo i casi di urgente necessità, la forza pubblica non potrà entrare, per l’esercizio delle sue funzioni, negli edifici aperti al culto, senza averne dato previo avviso all’autorità ecclesiastica.
Questo articolo dice in sostanza che la Chiesa ha piena libertà nell’esercizio del culto.
Nel caso specifico, la notifica di una multa non può per nulla configurarsi come un “caso di urgente necessità”. Inoltre, a quanto è dato sapere, non sembra sia stato dato preavviso al vescovo.
Infine, il rappresentante delle forze dell’ordine, a quanto dicono vari osservatori ed esponenti della magistratura, come ad esempio il magistrato Dr. Giacomo Rocchi in un video, avrebbe commesso un grave abuso, poiché ha turbato l’esercizio della cerimonia religiosa, violando così l’art. 405 Codice penale che recita:
Chiunque impedisce o turba l’esercizio di funzioni, cerimonie o pratiche religiose del culto di una confessione religiosa, le quali si compiano con l’assistenza di un ministro del culto medesimo o in un luogo destinato al culto, o in un luogo pubblico o aperto al pubblico, è punito con la reclusione fino a due anni.Se concorrono fatti di violenza alle persone o di minaccia, si applica la reclusione da uno a tre anni.
E infatti, in questo caso, il sacerdote si è detto scandalizzato da una palese dissacrazione della messa.
Come si vede, di motivazioni perché la Chiesa italiana faccia sentire la sua voce ve ne sono tante. Il punto, però, è proprio questo. La Chiesa sembra non essere interessata a rivendicare le sue prerogative di espressione pubblica della fede, motivando tale atteggiamento con uno spirito di responsabilità pubblica e di collaborazione con il governo. Ma probabilmente non si rende conto che in questo modo, con questo tipo di collaborazione, contribuisce, sicuramente in maniera involontaria, a limitare quello che non è limitabile, ovvero il diritto di partecipazione al culto che è costituzionalmente garantito, aggravando quella che da molti è percepita come una continua cedevolezza.
di Sabino Paciolla
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