Sì, nel titolo ho scritto “CEI, se ci sei, batti un colpo!” Ma è proprio questo il problema, l’assenza della Conferenza Episcopale Italiana, una assenza che è oggi certificata dal comunicato emesso ieri dalla Diocesi di Cremona a seguito del noto e, direi pure, inquietante, episodio capitato al sacerdote don Lino Viola nel comune di Soncino. Il povero parroco è stato fatto oggetto di un atto deplorevole, a dir poco, da parte di un carabiniere che irrompe nella sua chiesa mentre lui sta celebrando messa e, interrompendolo durante l’offertorio, dichiarando «La funzione è sospesa!», pretende che parli con il sindaco. La motivazione di questa azione è la notifica di una multa per aver violato il decreto che vieta l’assembramento durante la funzione religiosa in questo periodo di pandemia. La cosa assurda è che durante quella messa, come afferma il parroco, erano presenti solo 13 persone, ben distanziate, tutte con guanti e mascherine, delle quali ben 7 erano con l’autocertificazione in quanto collaboratori del sacerdote, cosa prevista dal decreto. Le altre 6 persone, dice il sacerdote, erano famigliari di persone morte di Coronavirus per le quali si stava celebrando la Messa. Per 6 persone presenti in una chiesa di 300 mq si può parlare di assembramento? Non si pone piuttosto una vera e propria questione di violazione del diritto di culto e di religione? Una questione di democrazia?

Dinanzi a questo che a molti è apparso come un evidente sopruso (si veda il video) da parte delle forze dell’ordine, ci si sarebbe aspettati che la diocesi, quanto meno, deprecasse e stigmatizzasse il comportamento delle forze dell’ordine. E invece, leggendo la nota ufficiale emessa ieri dalla diocesi, non si può far altro che certificarne una completa assenza. 

Ecco il comunicato
L’opinione pubblica locale e nazionale è stata attirata dalla notizia dell’intervento delle forze dell’ordine, domenica 20 aprile, nei confronti di don Lino Viola, parroco di Gallignano, a motivo del mancato rispetto della attuale normativa emergenziale che vieta la celebrazione della messa in presenza dei fedeli.
Riguardo alla vicenda la Diocesi di Cremona, pur consapevole dell’intima sofferenza e del profondo disagio di tanti presbiteri e fedeli per la forzata e prolungata privazione dell’Eucaristia, non può non sottolineare con dispiacere che il comportamento del parroco è in contraddizione con le norme civili e le indicazioni canoniche che ormai da diverse settimane condizionano la vita liturgica e sacramentale della Chiesa in Italia e della nostra Chiesa cremonese.
La Diocesi sente il dovere di ringraziare tutti i presbiteri cremonesi che in questo difficile periodo hanno saputo esprimere un profondo senso di comunione e di appartenenza ecclesiale anche attraverso il rigoroso e puntuale rispetto dell’attuale normativa, consapevoli della responsabilità che la Chiesa ha nei confronti della società civile e della salute dei nostri concittadini. Questo lungo periodo emergenziale ha visto presbiteri e fedeli accomunati nella intelligente e appassionata ricerca di tutti quei mezzi e strumenti che hanno in qualche modo supplito alla dolorosa mancanza della vita liturgica e pastorale ordinaria delle nostre comunità.
La Chiesa Cremonese guarda con ponderata fiducia ma soprattutto con sapienza evangelica al tempo in cui ci sarà dato modo di riprendere con gradualità e prudenza le celebrazioni comunitarie e le altre forme di vita pastorale delle nostre comunità e condivide in spirito di comunione lo sforzo della Conferenza Episcopale Italiana per comprendere, d’intesa con l’autorità pubblica, quali saranno i prossimi passi che la Provvidenza ci chiamerà a fare.
Dunque il parroco, dopo aver subito l’oltraggio e la dissacrazione del luogo sacro, subisce anche la reprimenda del suo vescovo per non aver saputo esprimere quel “profondo senso di comunione e di appartenenza ecclesiale anche attraverso il rigoroso e puntuale rispetto dell’attuale normativa”. 
Oramai sono tanti gli episodi come questi che si stanno ripetendo, tutti dello stesso tenore, tutti che vedono da una parte le forze dell’ordine che irrompono nelle chiese durante la funzione religiosa e dall’altra i sacerdoti che in molti casi vengono intimiditi e financo impauriti. 
Molti imputano ai vescovi italiani una certa remissività ed una mancanza di volontà nel pretendere il rispetto delle prerogative che spettano alla Chiesa italiana. E quali sono queste prerogative? prima di tutto il diritto sacrosanto e costituzionalmente garantito di culto. Infatti, l’art. 19 della Costituzione afferma: 
Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.
Tale diritto non è coercibile, non può essere oggetto di limitazione come può essere quello della libertà di movimento, come avviene in questo periodo di pandemia. Si badi bene, poi, che se un limite in quell’articolo della Costituzione viene posto all’esercizio della libertà religiosa è quello basato su “riti contrari al buon costume”, cosa che per la religione cattolica non si pone, e non anche per ragioni di ordine pubblico.
Inoltre, i vescovi dovrebbero pretendere il rispetto delle norme del Concordato, il trattato bilaterale sottoscritto tra il Vaticano e lo Stato italiano per regolare la situazione giuridica della Chiesa cattolica. E’ un trattato di rango costituzionale, dunque del livello più elevato. E l’accordo di revisione del 18 febbraio del 1984, all’articolo 5, comma 2, prevede:  
Salvo i casi di urgente necessità, la forza pubblica non potrà entrare, per l’esercizio delle sue funzioni, negli edifici aperti al culto, senza averne dato previo avviso all’autorità ecclesiastica.
Questo articolo dice in sostanza che la Chiesa ha piena libertà nell’esercizio del culto. 
Nel caso specifico, la notifica di una multa non può per nulla configurarsi come un “caso di urgente necessità”. Inoltre, a quanto è dato sapere, non sembra sia stato dato preavviso al vescovo.
Infine, il rappresentante delle forze dell’ordine, a quanto dicono vari osservatori ed esponenti della magistratura, come ad esempio il magistrato Dr. Giacomo Rocchi in un video, avrebbe commesso un grave abuso, poiché ha turbato l’esercizio della cerimonia religiosa, violando così l’art. 405 Codice penale che recita: 
Chiunque impedisce o turba l’esercizio di funzioni, cerimonie o pratiche religiose del culto di una confessione religiosa, le quali si compiano con l’assistenza di un ministro del culto medesimo o in un luogo destinato al culto, o in un luogo pubblico o aperto al pubblico, è punito con la reclusione fino a due anni.
Se concorrono fatti di violenza alle persone o di minaccia, si applica la reclusione da uno a tre anni.
E infatti, in questo caso, il sacerdote si è detto scandalizzato da una palese dissacrazione della messa.
Come si vede, di motivazioni perché la Chiesa italiana faccia sentire la sua voce ve ne sono tante. Il punto, però, è proprio questo. La Chiesa sembra non essere interessata a rivendicare le sue prerogative di espressione pubblica della fede, motivando tale atteggiamento con uno spirito di responsabilità pubblica e di collaborazione con il governo. Ma probabilmente non si rende conto che in questo modo, con questo tipo di collaborazione, contribuisce, sicuramente in maniera involontaria, a limitare quello che non è limitabile, ovvero il diritto di partecipazione al culto che è costituzionalmente garantito, aggravando quella che da molti è percepita come una continua cedevolezza. 
di Sabino Paciolla