Due lettere / “Non siamo presi sul serio perché noi stessi abbiamo ridicolizzato la nostra fede”
Cari amici di Duc in altum, sulla questione delle Messe negate ecco due lettere che ho ricevuto e che mi sono sembrate meritevoli di essere condivise.
A.M.V.
Stiamo dicendo al Signore che è morto invano?
Gentile Aldo Maria Valli, sono un lettore del suo blog e condivido e apprezzo il suo lavoro. Proprio per questo ho deciso di scriverle per proporle alcune considerazioni sulla questione del divieto di celebrare Messe con la presenza di fedeli.
Ho trentuno anni, sono sposato e ho due bambini. In quanto battezzato, penso che se noi avessimo davvero la fede avremmo continuato ad andare a Messa anche durante la pandemia. Certo, avremmo preso alcune precauzioni, come il distanziamento, le mascherine eccetera, ma senza diventare accondiscendenti rispetto allo Stato e al pensiero del mondo.
Nel bene e nel male il cattolico mette al primo posto Gesù. Non ci sono discussioni che tengano. Ed è assurdo che la Chiesa, con il papa in testa, si pieghi alle decisioni di un governo. Non solo e non tanto per una questione di diritti violati o atteggiamenti anticostituzionali verso i cristiani, ma per il fatto che il papa è il vicario di Cristo sulla terra! E il vicario di Cristo non può sottomettersi a nessuna autorità umana!
Gesù dice chiaramente: io sono il pane disceso dal cielo, chi mangia e beve il mio Corpo e il mio Sangue avrà la vita eterna. Ai cattolici che approvano ogni parola del papa e accusano me di tradizionalismo vorrei chiedere: ma se davvero basta la Messa da casa, in streaming e su Facebook, perché il Signore, anziché farsi uomo e morire sulla croce, non ci ha mandato una bella lettera dal cielo?
Vi rendete conto che è come se stessimo dicendo a nostro Signore che è morto invano?
Credo, lo dico umilmente ma con convinzione, che siamo entrati nella lotta finale. Il Signore sta permettendo che tutto questo accada per “testare”, se posso dire così, la nostra fede.
Io sono solo un peccatore, però da quando c’è stata la pachamama in Vaticano ho capito tante cose.
Michele
***
Il problema? Non sappiamo più che cos’è la Messa
Il fatto: un mio amico pubblica una foto in cui si vede un’infermiera che, in polemica con i cattolici che rivogliono le Messe, dice che si può pregare anche in cucina. E tanti cattolici le danno ragione. Perché? Semplice: perché c’è un processo di protestantizzazione della Chiesa cattolica che da tempo ormai si va realizzando sotto i nostri occhi. Un processo che ha, come ultimo e vero bersaglio, l’attacco alla dottrina eucaristica.
Il problema sta tutto lì. Se anche noi cattolici pensiamo che la domenica in chiesa non facciamo altro che pregare, cantare e recitare formule, è chiaro che un posto vale l’altro. Ma se davvero pensiamo che sia così significa che abbiamo perso di vista ciò che veramente facciamo la domenica in chiesa. Anzi, non ciò che facciamo noi, ma ciò che viene fatto per noi.
Se questa, anche tra i cattolici, è la visione, come possiamo far capire che cosa significa la mancata, prolungata partecipazione all’Eucarestia? A chi spiegheremo che cosa stiamo subendo? In un contesto liturgico in cui le nostre celebrazioni sono sempre più spettacoli irriverenti, con preti-showman coadiuvati da tanti registi improvvisati di un rito che neppure conoscono, come possiamo spiegare che con la Messa ci viene tolto il pane, l’alimento insostituibile, il culmine e il centro della nostra vita di fede?
Che beffarda sorte: ridotti a morire di fame eucaristica a pochi mesi da quella pagliacciata chiamata sinodo! Noi, che abbiamo usato la fame eucaristica di popoli desiderosi di Dio per portare avanti un brutale snaturamento dell’ordine sacro, siamo costretti ora a vivere quella stessa situazione di mancanza, di precarietà e di assenza.
Quei vescovi che ora alzano la voce contro gli abusi del governo dov’erano quando si attentava al sacramento dell’ordine? Dov’erano quando nei giardini vaticani si realizzava un osceno rito pagano con la venerazione di idoli, e quando un idolo veniva posto nello stesso Tempio sacro in cui era presente il Corpo del Signore?
Se oggi veniamo additati come bimbi capricciosi, che chiedono l’apertura del tempio in un clima di pandemia e di pericolo per la salute di tutti, se oggi nessuno ci prende sul serio, è perché noi stessi abbiamo ridicolizzato la nostra fede.
Pasquale
SE LA CHIESA CAPITOLA A UN GOVERNO NEOGIACOBINO. DUE VOLTE.
Cari amici e nemici di Stium Curiae, Kafka e Orwell non bastano più a descrivere quello che sta accadendo nel nostro Paese, in particolare – ma non solo – per quanto riguarda le celebrazioni. Una saga che ha conosciuto ieri ulteriori sviluppi, con messaggi e comunicati, del Ministero degli Interni e la Segreteria della Cei. La penna graffiante dell’avvocato Fabio Adernò fa giustizia impietosamente e ironicamente degli uni e degli altri. Buona lettura.
§§§
È davvero troppo tardi.
Constatiamo, simultaneamente, da Avvenire (v. qui) e dalla CEI (v. qui) che il ruggito del micetto dell’ultima Nota è stato l’ennesimo sassolino nello stagno. Un po’ di rumore, giusto per ricordare che ci sono…
Ben presto dimenticati i domenicali boati ai limiti dell’isteria, è tempo di tornare ad allinearsi al neogiurisdizionalismo perfetto.
Nonostante le grandi parole che fatuamente rivendicavano autonomia e libertà di azione (“la Chiesa esige” e tante altre cose belle), la CEI torna subito col cappello in mano dal Governo a pietire spiegazioni circa le nuove irrazionali disposizioni contenute nell’ultimo capolavoro di ingegneria biolegale partorito dall’Esecutivo e, come se non fossero già bastate le umiliazioni ricevute lo scorso 27 marzo con la risposta sui riti della settimana santa (v. qui), gliene chiede un’altra, sollecitando spiegazioni sulle “cerimonie funebri”, le sole ad esser state “consentite” dal Leviatano sanitario nella “fase 2”. Lo stesso che decide chi possiamo incontrare e chi no.
Peraltro, restiamo davvero sorpresi nel constatare con quanta velocità galoppi il bizantinismo acrobatico delle attuali relazioni Stato-Chiesa, visto che non si è ancora finito di polemizzare sulla distinzione delle competenze e con affanno – senza riconoscere la natura diplomatica della questione – si torna sul luogo del misfatto e si propongono dei “quesiti” al Ministero degli Interni. Vien naturale chiedersi se giocare a nascondino rientri nelle tecniche di coordinamento tra due ordinamenti primari.
E la solerte risposta non è tardata ad arrivare (v. qui), firmata nuovamente dal prefetto Michele di Bari, e indirizzata stavolta al Segretario Generale della CEI, mons. Stefano Russo.
Nel documento di oggi, 30 aprile, nel Dipartimento per le Libertà Civili (che già risulta essere ossimorico di questi tempi) torna a farsi nuovamente esercizio di rubricismo e, tra le altre perle di neo-catechismo liturgico, si “concede” all’autorità ecclesiastica la libertà di scegliere quale “forma liturgica” adoperare nelle cerimonie funebri (e noi che pensavamo che ci avrebbero prescritto se usare i paramenti viola o neri… l’abbiamo scampata!).
In più, sacrestanicamente si bisbiglia che i riti finali della “commendatio” e dalla “valedictio” (toh!) sono anch’essi ad libitum, quando invece sono parte essenziale delle esequie (cfr. Rito delle Esequie, Premesse, n. 10); ma questo forse è sfuggito al “Ministero del Culto” di questa grottesca quarta repubblica.
D’altra parte, il contenuto del documento si appalesa davvero anomalo: cosa s’intende per “forma liturgica”? In che senso “forma”? È forse una categoria giuridico-amministrativa conosciuta al Viminale il sintagma “forma liturgica”? Si riferisce per caso alle tre “forme” previste delle premesse del Rito, una delle quali (quella nella casa del defunto) non è peraltro contemplata in Italia? Ma davvero il Ministero degli Interni di uno Stato laico viene a specificare ai sacerdoti cosa devono fare in occasione di un funerale? Ma la cosa più scandalosa è che sia lo stesso Segretario Generale a chiedere lumi in materia al Ministero dell’Internazione del Culto, come si deduce dallo stesso documento nel quale si legge apertis verbis: «come richiesto dall’E.V.» (= Eccellenza Vostra).
E alle ormai litaniche misofobiche raccomandazioni, l’estensore della risposta ne aggiunge un’altra, dal sapore tutto vetero-democristiano, perché viene pure a dire che la cerimonia deve svolgersi «in un tempo contenuto»; non so, vogliamo anche fornire uno schema su cosa dire nella predica, o si possono usare parole proprie?
Poi la stangata: «Nel caso in cui venga celebrata la messa». Ah! Dunque avevamo visto giusto… per “cerimonia funebre” lo Stato dispotico onniregolatore, oltre a indicare chi e quanti possano piangere un morto, non contempla in linea ordinaria la complessiva cerimonia in suffragio del defunto, ma solo, come avevamo sciaguratamente subodorato, il Rito esequiale! A questo punto, tanto valeva dire pure quali letture scegliere e quali orazioni recitare.
«Si avrà cura – leggiamo sbigottiti – che i partecipanti si allontanino quanto prima dal luogo della celebrazione, evitando la formazione di assembramenti ovvero di cortei di accompagnamento al trasporto del feretro».
Ma chiediamo a color che tutto sanno: a piedi o anche in auto? A dorso di mulo o in bici?
Lo Stato laico (lo stesso che non gradisce le ingerenze su argomenti che toccano l’etica e i costumi, lo stesso che legalizza la soppressione di vite innocenti, tanto nel grembo materno quanto sui letti della sofferenza) torna con prepotenza a usare i termini graziosi di nauseante matrice liberale, sprezzanti della libertà della Chiesa, e “concede” solo le cerimonie che possano svolgersi a determinate condizioni: dunque, anche qui, vien legittimamente da chiedersi se non dovremo aspettarci pattuglie di solerti agenti di polizia religiosa che sorveglino anche su questo e magari arrivino a impedire una celebrazione se non considereranno (arbitrariamente, s’intende) idonee le condizioni ambientali. E nei paesini dove la chiesa è quella che è? O così, o niente? È davvero la sagra dell’assurdo, ma anche dell’immoralità.
Epperò, se fosse solo questo torneremmo a dire che, quantunque sollecitato, lo Stato ha tracimato i margini della sua competenza e insiste a normare un aspetto (quello cultuale e propriamente rituale) sul quale non ha alcuna disponibilità, per natura e per scelta istituzionale.
Ma il problema non è solo questo, perché a questa risposta del Viminale segue un perfetto allineamento della CEI a quanto viene imperato. Dopo gli stracci di domenica, ecco uno scambio di amorosi sensi: io con te, tu con me. Perfetta incarnazione plastica del principio massonico-liberale per il quale la Chiesa è libera solo nello Stato, che è libero più di lei, s’intende, ed è gestore e padrone di ogni libertà.
Con una “nota complementare” (che già solo per il nome farebbe ridere, se non facesse piangere) a firma del medesimo mons. Russo, infatti, la CEI informa che «a complemento del testo del Ministero dell’Interno inviato questa mattina, vengono di seguito indicate alcune misure – già condivise – cui ottemperare con cura». O-t-t-e-m-p-e-r-a-r-e. Sia fatta la volontà dell’OMS…
In poche parole la Conferenza Episcopale – che è un ente della “costituzione gerarchica della Chiesa”, soggetto giuridico autonomo, indipendente e sovrano – emette una normativa “complementare” a quella di uno stato secolare, come fosse un qualsiasi organismo della funzione pubblica. Bene.
Ma vediamo insieme cosa dice questo capolavoro mitrato.
Anzitutto: «Prima dell’accesso in chiesa dei partecipanti alle esequie funebri» si dovrà «garantire» (ciò significa che sarà obbligatoria) la presenza di «un addetto alla sicurezza» che si occupi della «misurazione della temperatura corporea, attraverso un termometro digitale o un termo-scanner».
Al di là dell’assurdità della prescrizione, viene da chiedersi se questo “addetto alla sicurezza” sarà il sagrista, o comunque persona scelta dal sacerdote, ovvero se sarà una figura fornita dalle autorità sanitarie; d’altra parte, ci chiediamo anche: 1) il termo-scanner si acquista o viene dato in uso? 2) Se si deve acquistare, a spese di chi? 3) Chi li fornisce? Il servizio sanitario nazionale tramite CEI a tutte le parrocchie e alle chiese d’Italia? Ma seriamente? O è una barzelletta?
Ci piacerebbe ma…c’è poco da ridere, perché il Segretario Generale della CEI è chiaro: «Venga bloccato l’accesso a chi risulti avere una temperatura corporea superiore ai 37,5°C.». Caspita! Un interdetto sanitario in piena regola! È andata meglio all’untore del Manzoni…
Immancabile la conferma dell’asservimento totale alle direttive statali: «Vista la possibilità di celebrare le esequie anche con la Santa Messa». “Anche”… cioè il Segretario Generale della CEI considera con animo grato la concessione dello Stato di poter celebrare la Messa… eccerto, perché avevamo bisogno che lo scrivesse il prefetto che la Messa per i morti si può dire…
Seguono quindi patetiche disposizioni liturgiche: «nel momento della distribuzione della Comunione eucaristica si evitino spostamenti. Sia il celebrante a recarsi ai posti, dove i fedeli – al massimo quindici – sono disposti nel rispetto della distanza sanitaria.». Manca uno schemino però, perché non è molto chiaro se il celebrante – che non abbiamo ben capito se è contemplato o meno nel novero dei “15 uomini sulla bara del morto” – dovrà avvicinarsi ai banchi lateralmente o frontalmente, né se dovrà comunicare prima i fedeli che stanno a destra e poi a sinistra… quanta imprecisione!
«Il sacerdote indossi la mascherina, avendo cura di coprirsi adeguatamente naso e bocca, e mantenga a sua volta un’adeguata distanza di sicurezza.»: quando? Anche durante la Consacrazione per proferire le parole della transustanziazione? Cos’è a rischio di contagio? L’Ostia immacolata che lui stesso consumerà subito dopo? Domine, ut videam!
«La distribuzione dell’Eucarestia avvenga dopo che il celebrante abbia curato l’igiene delle proprie mani; lo stesso abbia cura di offrire l’ostia porgendola sulle mani dei fedeli, senza venire a contatto fisico con esse.». Bene, il secondo lavabo con l’amuchina prima della comunione nemmeno nelle messe pontificali… ma sinceramente la cosa grave è l’obbligo (implicito ma chiaro) della comunione in mano. I Vescovi, cioè, costringono a un atto che è contronatura, sia per l’azione in sé come insegna San Tommaso (cfr. S. Th III, q. 82, a. 13) sia perché la comunione in mano è solo una permissione, ma non può mai costituire un obbligo per tutti i fedeli (cfr. Congregazione per il Culto Divino, Lettera del 3 aprile 1985, n. 7, EV 1539).
«Per quanto concerne la sanificazione, la chiesa sia igienizzata regolarmente, mediante pulizia delle superfici e degli arredi con idonei detergenti ad azione antisettica.»: bene, ma chi paga?
«Al termine di ogni celebrazione si dovrà favorire il ricambio dell’aria»: ma si può usare l’incenso? E l’acqua per l’aspersione della bara? Dev’essere amuchina benedetta?
Tra le chicche finali poi leggiamo: «Si consideri anche l’ipotesi di celebrare le esequie funebri all’aperto nelle aree cimiteriali ove vi sia la possibilità di mantenere un adeguato distanziamento fisico.». Al di là di ogni considerazione di opportunità circa l’adozione di obblighi che hanno solo carattere surreale nemmeno la chiesa fosse una sala operatoria per interventi a cuore aperto, ci chiediamo quante specie di “esequie” vi siano nella liturgia cattolica oltre a quelle “funebri”.
Alla immancabile chiosa di trasparenza («L’Autorità ecclesiastica competente informi tutti i fedeli e chiunque entri in chiesa sulle disposizioni di sicurezza sopraindicate, sia attraverso i suoi canali di comunicazione, sia affiggendo all’ingresso della chiesa stessa appositi cartelli informativi.»), segue l’ennesima raccomandazione sanitaria: «Sia indicato anche l’obbligo di rimanere a casa in presenza di temperatura corporea oltre i 37,5°C o di altri sintomi influenzali. Si raccomandi di non accedere comunque alla chiesa e di non partecipare alle celebrazioni esequiali se sono presenti sintomi di influenza o vi è stato contatto con persone positive a SARS-COV-2 nei giorni precedenti.».
Dunque adesso un mal di testa e un ipotetico starnuto diventano impedimento canonico personale per l’accesso al luogo di culto (sotto forma di interdetto, dunque di censura canonica, a norma del can. 1332 CIC), al netto del fatto che nemmeno a chi è scomunicato è fisicamente impedito entrare in chiesa (cfr. can. 1331). Però, in compenso, al supermercato si entra senza controllo. Giusto! E si chiede addirittura ai fedeli di sostituire “l’esame di coscienza” con “l’esame della conoscenza”, cioè andare a ritroso nella memoria e ricordarsi, sub poena inderdictionis, di aver incontrato qualcuno che forse era stato affetto da covid-19. Facevano prima a chiedere il libretto sanitario con l’elenco delle malattie esantematiche. E se era asintomatico? A volte anche l’intelligenza lo è…
Ci siamo sforzati di prenderla a ridere, ma c’è molto poco da ridere. Siamo davanti all’assurdo, alla somma delle irrazionalità più eclatanti e sconcertanti che si potessero mai contenere in una nota (che grazie a Dio non è una fonte del diritto canonico né costituisce una base legale ma solo, in linea di principio, un indirizzo, anche se i toni non sono poi tanto morbidi come abbiamo visto).
Il problema è che ora, a questa epifania di irrazionalità, seguiranno probabilmente molti decreti singolari dei Vescovi che patriotticamente si sentiranno in dovere di applicare queste assurdità per decreto.
A questo punto sarebbe auspicabile che si evitassero le celebrazioni delle Messe e si svolgessero solo i riti finali, giusto per compiere più cristianamente il pietoso ufficio della sepoltura, senza recare ulteriore offesa al Creatore.
Resta l’amarezza e lo sbigottimento davanti a ciò che accade innanzi ai nostri occhi. Uno spettacolo impietoso, grottesco, gravido di irrazionalità e contraddizioni logiche.
Vero, la norma irrazionale è in sé ineseguibile, e secondo il perenne caposaldo della teologia morale «lex positiva non obligat cum gravi incommodo». Però è anche vero che appare assurdo trovarsi a discutere e commentare simili indicazioni provenienti non da un Soviet ma dalla stessa gerarchia che davvero, alla luce di ciò, pare aver solo starnazzato argomenti ai quali essa stessa sembra sciaguratamente non credere.
E come se non fosse già satura delle offese ricevute da un’autorità secolare che – è evidente – agisce in odium Fidei dando vita a una normativa ossessivamente liberticida; come se non fosse già abbastanza aver ricevuto un trattamento ingiusto – prima ancora che ingeneroso – alla luce del diritto naturale, costituzionale e internazionale; come se difendere i diritti suoi e dei fedeli non fosse logica conseguenza di difendere i diritti di Dio; dimentica dell’esempio di libertà dei martiri e dei santi, essa cosa fa ancora una volta? Va da Cesare, umiliata e prona, a chiedere cosa si può fare e cosa no, cosa è lecito e cosa no, in casa propria. Essa, la stessa istituzione che ha inventato gli ospedali, che ha curato miliardi di ferite, fisiche e spirituali, che è stata presidio ed esempio di civiltà e libertà soprattutto nelle ore più buie della storia dell’umanità, Essa, la Chiesa, la sposa immacolata di Cristo, chiede lumi ad un governo neo-giacobino ed emette una “nota complementare” che la allinea perfettamente all’asse neo-giurisdizionalista decretando la sua capitolazione morale, prima ancora che istituzionale. E per la seconda volta, sorda e cieca. Va bene il “porgi l’altra guancia”, ma come diceva Andreotti «il buon Dio, con molta intelligenza, di guance ce ne ha date soltanto due».
Ora basta!
Fabio Adernò
Marco Tosatti
LE DISPOSIZIONI PER I FUNERALI
Termometro e incenso: Cei sottomessa anche sulla liturgia
Alla Conferenza Episcopale Italiana non è bastato farsi prendere in giro dal Governo. Adesso si fa anche sottomettere sulla liturgia. Il Viminale impone anche tempi e riti dei funerali. E la Cei ricambia inserendo termoscanner in tutte le celebrazioni e proibendo l'ingresso a chi ha più di 37.5°, ignorando che la febbre non è sinonimo di Covid. La Chiesa non è più sovrana, non è più libera di esercitare il culto.
Alla Conferenza Episcopale Italiana non è bastato farsi prendere in giro dal Governo, allorché gli “esperti” – sempre loro - hanno ritenuto di dover negare una presunta autorizzazione a riprendere le Messe con la presenza del popolo. L’errore clamoroso reiterato per due mesi dalla CEI è stato quello di andare a chiedere l’autorizzazione al Governo per una cosa che non è affatto di competenza dello Stato. Poi, il comunicato piccato, che però nascondeva il peccato originale della posizione dei Vescovi italiani (vedi qui): quello di tirare in ballo la libertà di culto dei cittadini. Non che questo diritto non c’entri nulla, ma non era a questo livello che la CEI doveva giocare la partita.
Il Concordato del 1985, all’art. 1 afferma chiaramente che «la Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani». L’articolo seguente specifica che «in particolare è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica».
In altre parole, libera Chiesa e libero Stato; mentre invece l’atteggiamento della CEI si sbilancia drammaticamente verso il principio cavouriano “libera Chiesa in libero Stato”: il che significa semplicemente che la Chiesa è libera come l’uccellino nella gabbia. Questo sbilanciamento è pericolosissimo innanzitutto per la libertas Ecclesiae, prima ancora che per la libertà di culto.
«Niente Dio ama più in questo mondo della libertà della Chiesa»: così Sant’Anselmo di Aosta nell’epistola 235, indirizzata al re Baldovino. Ma non pare che sia questa la preoccupazione principale della CEI, visto l’ultimo clamoroso scivolone nelle sue relazioni con il Governo, che suona non solo come una calata di braghe, ma come l’accettazione del modello cinese di controllo dello Stato sulla Chiesa.
Un documento del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’Interno, firmato dal Capo Dipartimento Michele Di Bari, risponde ad una richiesta del Segretario Generale della CEI, Mons. Stefano Russo, il quale – udite, udite – ha chiesto al Governo dei chiarimenti per la celebrazione dei funerali. Quei funerali già “gentilmente concessi”, purché siano presenti solo 15 persone.
Il tenore della risposta dà l’idea del contenuto della domanda: «La forma liturgica della celebrazione rientra nella competenza dell’autorità ecclesiastica, [...] assicurando che la cerimonia si svolga in un tempo contenuto. In particolare poi, come richiesto dall’E.V., i riti dell’ultima commendatio e della valedictio al defunto, sono rimessi, allo stesso modo, alla competente autorità ecclesiastica, ovviamente da compiersi nel medesimo luogo in cui viene celebrato il rito esequiale».
Avete capito? La CEI è andata a chiedere al Governo se può svolgere il rito della Ultima Commendatio et Valedictio, cioè la parte finale del rito esequiale che prevede l’incensazione e l’aspersione del defunto e l’antifona Subvenite. In pratica, date a Cesare quel che è di Cesare e, già che ci siete, dategli anche quello che è di Dio. La Chiesa italiana non solo va con il cappello in mano a chiedere se ci sia ancora qualche briciola da concedere alla propria autonomia; adesso si rivolge al Ministero dell’Interno anche per questioni prettamente liturgiche, come se fosse un Ufficio della Congregazione per il Culto Divino. Per sentirsi ricordare che la forma liturgica non è di competenza del Governo. Quel Governo che finge di schermirsi di fronte alla generosa e supina cessione di competenze della CEI, ma poi di fatto ha pensato bene di definire chi poteva essere presente e chi no alle celebrazioni del Triduo pasquale; nonché di prendersi l’autorità di impedire che dentro le chiese, la Chiesa cattolica possa fare i riti liturgici che ritiene opportuni compiere, Messa inclusa. Ma le forme liturgiche non sono di competenza della Chiesa, gentile sig. Di Bari?
A questo punto, perché non chiedere al Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione se celebrare in italiano o in latino? Se ad orientem o versus populum? Perché non domandare se, di domenica, si possono fare entrambe le letture, oppure soltanto una, visto che si deve assicurare «che la cerimonia si svolga in un tempo contenuto»? Perché quelli del Governo, ci dettano anche i tempi delle celebrazioni. Probabilmente la CEI si è dimenticata di rassicurarli in anticipo che ormai buona parte dei sacerdoti celebra Messa in 15-20 minuti, preghiere dei fedeli incluse, a prescindere dal Coronavirus.
Ma la vicenda non finisce qui. Perché la CEI ha emesso una Nota complementare al documento del Ministero dell’Interno con delle indicazioni “supererogatorie” (si sa: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei...). La più esilarante è la seguente: «Prima dell’accesso in chiesa dei partecipanti alle esequie funebri, sia garantito da un addetto alla sicurezza la misurazione della temperatura corporea, attraverso un termometro digitale o un termo-scanner. Questa disposizione è richiesta anche per le celebrazioni all’aperto. Venga bloccato l’accesso a chi risulti avere una temperatura corporea superiore ai 37,5°C». Eccessivo? No, è andata grassa. Pensate se avessero specificato che la rilevazione della temperatura doveva avvenire per via rettale; e magari da parte del sacrestano...
Fonti interne alla CEI hanno fatto sapere alla Nuova BQ che questa ulteriore richiesta sarebbe venuta dal comitato tecnico stesso, alla chetichella, senza esporsi con documenti scritti, ma ugualmente imposta come conditio sine qua non per avere i funerali. A ognuno la sua responsabilità: evidentemente, però, gli interlocutori della Chiesa italiana devono aver pensato che piuttosto che niente, meglio piuttosto. Chissà cosa accetteranno per riavere le Messe con popolo.
A parte il fatto che questa storia della rilevazione della temperatura corporea ha la stessa sensatezza di voler prendere le mosche con delle reti da pesca (infatti non tutti gli infetti covid-19 hanno la febbre – i temibili asintomatici -, e, viceversa, non tutti quelli che hanno la febbre hanno contratto il virus), resta da capire perché si debbano accettare condizioni che non sono obbligatorie in tutto il Paese neppure per i supermercati. Probabilmente c’è la paura di poter essere un domani additati come i responsabili di una eventuale crescita dei contagi. E su questa paura il Governo gioca al ricatto.
«La tutela della salute pubblica e l’esigenza di non vanificare gli importanti sforzi fin qui compiuti, ancora nella situazione attuale richiede la limitazione di diversi diritti costituzionali, fra i quali anche l’esercizio della libertà di culto», spiega il Capo Dipartimento. Affermazione che fa il paio con quella allucinante di Stefano Cappellini (vedi qui), pronunciata come se si trattasse del cambiamento del regolamento del campionato di calcio. «La Costituzione è sospesa», ci ha spiegato il giornalista di Repubblica. Adesso però apprendiamo che anche il concordato è sospeso: la Chiesa non è più sovrana, non è più libera di esercitare il culto, fino a quando la task force del Governo non dirà, secondo i suoi “dati” insindacabili, che l’emergenza coronavirus è terminata. Ovviamente, in attesa della prossima. E la CEI cosa fa? Diventa più realista del re. La dittatura cinese è più che mai vicina.
Luisella Scrosati
Messe VO e NO in diretta streaming: a chi la corona senza virus?
Abbiamo ricevuto un interessante contributo del nostro amico Franco Parresio, il quale ha modo di interrogarsi sull’intervento della CEI riguardo alla riammissione dei fedeli alle celebrazioni liturgiche dello scorso 26 aprile. Si è trattato, però, di un breve sussulto di orgoglio, perché non più di un paio di giorni dopo, la stessa CEI ha chiesto, con un parere, all’autorità governativa se potesse svolgere «i riti dell’ultima commendatio e della valedictio al defunto» relativamente ai funerali. Giustamente l’autorità governativa ha subito precisato, nel suo parere, che tali riti sono rimessi all’autorità ecclesiastica, esulando dalla competenza di un’autorità laica. Precisazione superflua. Ma forse non c’era neppure bisogno di richiedere un parere su questi aspetti, giacché la CEI ben doveva sapere che lo svolgimento di questi riti competeva all’autorità della Chiesa (v. sul punto, L. Scrosati, Termometro e incenso: Cei sottomessa anche sulla liturgia, in LNBQ, 1.5.2020).
Buona lettura.
Messe VO e NO in diretta streaming: a chi la corona senza virus?
di Franco Parresio
E sì!, Chi l’avrebbe mai detto!?
I Vescovi italiani hanno – con sorpresa di tutti – protestato formalmente contro l’ultimo DPCM, che «esclude arbitrariamente la possibilità di celebrare la Messa con il popolo» (v. qui).
La CEI ha rivendicato in questo modo la «pienezza della propria autonomia» e «l’esercizio della libertà di culto», ricordando «a tutti che l’impegno al servizio verso i poveri, così significativo in questa emergenza, nasce da una fede che deve potersi nutrire alle sue sorgenti, in particolare la vita sacramentale».
Ma ch’è successo?!
Fino al giorno prima piena sintonia col braccio secolare, al punto da mettere alla gogna quell’anziano sacerdote, colpevole di aver celebrato Messa con pochi fedeli; e ora!?
Dopo aver quasi canonizzato Martin Lutero, riabilitandolo e mettendolo alla stregua dei Dottori della Chiesa, adesso ci si ricorda che la nostra è «una fede che deve potersi nutrire alle sue sorgenti, in particolare la vita sacramentale»!?
È un po’ tardi! Ma… meglio tardi che mai!
Il fondato sospetto, però, è un altro: che le pecore non facciano più ritorno all’ovile!
Un problema da non sottovalutare non soltanto in termini economici, viste le richieste di aiuto postate sui social, come quella del Santuario Beata Vergine Addolorata di Campocavallo (v. qui), ma anche e soprattutto psicologici. Mi riferisco a quei sacerdoti che stanno rivelando nelle loro messe in diretta streaming tutta la propria meschinità, con siparietti patetici e squallidi. E questo perché, come ha giustamente detto lo psichiatra Raffaele Morelli: «Non sappiamo stare con noi stessi, in questi giorni lo stiamo imparando. Non bisogna buttarsi a capofitto nell’incontro con gli altri, smetterla di correre e fare mille cose» (v. qui).
Questo significa che i Vescovi non possono e non devono sottovalutare soltanto la pericolosità del coronavirus, ma temere seriamente – ora più che mai – gli effetti negativi generati dalla entusiastica neoteologia liturgica, esasperatamente antropocentrica e poco o nulla cristocentrica, e dalla autolesionistica propaganda della fin troppo decantata (sino alla nausea) bergogliana “Chiesa in uscita”. E considerare che, se da una parte c’è una Chiesa in uscita… di scena (nonché di senno), dall’altra c’è una sempre più crescente Chiesa in entrata: quella che si identifica, sebbene non interamente, con il Vetus Ordo, le cui funzioni religiose – specie quelle di quest’ultimo Triduo Pasquale trasmesse in diretta streaming sui vari canali social come youtube e facebook – sono state all’insegna della solennità, dell’ordine e del decoro: esattamente come raccomanda l’Abate Caronti; ma anche l’Abate Schuster, sottolineando il fatto che l’azione liturgica è “a gloria di Dio e ad edificazione dei presenti”: «Spesso, infatti, nelle chiese delle abbazie benedettine assistono dei protestanti, degli ebrei, delle persone senza alcuna religione. L’esperienza dimostra che un coro ben eseguito, delle funzioni celebrate con ordine, con maestà, con devota pompa possono fare su quelle anime una profonda impressione».
Imparino i modernisti e fautori della teologia della chiesa in uscita … e smettano di tacitare chi non la pensa come loro infamandoli come tradizionalisti.
Briefing: Bestiario episcopale
Giuda Iscariota era un vero apostolo quindi, molti vescovi, sono suoi successori.
Chiesa, abbiamo un problema: l'episcopato (https://lanuovabq.it/it/chiesa-abbiam...)
Presbiteri scaricati dai vescovi: vergogna! (https://anticattocomunismo.wordpress....)
Il vescovo partigiano: https://www.agensir.it/quotidiano/202...
Il kardinale partigiano (https://lanuovabq.it/it/kompagno-zupp...)
Cooperatores Veritatis
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