I castighi continueranno. Forse l’epidemia, come è sempre accaduto nella storia, passerà, ma arriverà qualcos’altro. “Eh, che pessimista!” mi si dirà. Invece è il contrario. Il Buon Dio continuerà, penso, a permettere delle prove perché sa che in questo momento è l’unica strada per evitarci mali peggiori. Mali peggiori?? Cosa c’è di peggio della morte fisica? Per molti uomini moderni nulla: la salute è tutto, “basta avere la salute” è uno degli slogan più in voga. Eppure peggio della morte corporale c’è quella dell’anima, cioè lo snaturamento totale della ragione stessa per cui siamo stati creati. Fatti per la vita e la felicità eterna, “molti uomini muoiono e vanno all’inferno perché non c’è nessuno che preghi e si sacrifichi per loro”, dissero i pastorelli di Fatima.
L’umanità è su un piano inclinato pericolosissimo e rotola a velocità crescente verso il baratro. Il “fai ciò che vuoi”, motto delle sette sataniche, è diventato in realtà il leitmotiv delle nostre società odierne. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
I castighi continueranno. Continueranno perché Dio è un Padre Buono, come ci ha insegnato e testimoniato Gesù Cristo. E un padre non può restare indifferente di fronte a un figlio che sta distruggendo la propria vita e quella degli altri. Lo so, ci sono tanti teologi e non pochi esponenti ecclesiastici di rilievo che dicono che Dio non punisce, che è misericordioso e alla fine passerà tutto in cavalleria, ma io non sono convinto che sia così. È una idea –mi pare- che affonda le proprie radici in una concezione di Dio disincarnata. La stessa concezione per cui si può tranquillamente sospendere la partecipazione dei fedeli alla Messa, tanto “a Dio va bene anche se preghi da casa”, tanto “hai la Parola, cosa vuoi di più?”. È, in fin dei conti, una rivisitazione della dottrina protestante, che da qualche anno a questa parte, non a caso, si sta cercando di sdoganare anche in Vaticano.
“Ma come -dirà qualcuno- il Papa ha fatto alcune settimane fa una mega benedizione Urbi et Orbi e oggi c’è l’atto di affidamento dell’Italia a Maria dal Santuario di Caravaggio! Cosa vuoi di più?”
Beh, senza nulla togliere a questi gesti, credo che a poco serviranno se non si inizia seriamente a chiedere perdono e – come accade nella confessione- a fare il proposito serio di cambiare vita.
Cambiare vita, rimettere Dio al centro, riconoscere che solo in Cristo c’è salvezza. Invece tutti vogliono tornare alla vita di prima, cancellare questa parentesi infausta e ricominciare da dove si era interrotta la pellicola. Di più: convinti che il coronavirus si tratti solo di una reazione della natura (madre e buona…. ) alle improvvide aggressioni dell’uomo, ci si permette apertamente di prefigurare scenari in cui l’incarnazione, passione, morte e resurrezione di Cristo non saranno più centrali, come ha ben illustrato mons. Paglia in occasione di una intervista a Radio Vaticana sul “dopo pandemia”: “l’unica risposta possibile, guardando al futuro, è quella costruita sulla fraternità e sulla solidarietà, intesi non come valori cristiani…La fraternità è un termine che io credo debba coinvolgere in maniera radicale tutte le nostre scelte. Una fraternità tra i popoli, all’interno delle realtà associative delle città, la fraternità tra l’uomo e il creato, la fraternità come riscoperta del destino comune di tutti. Attuare una bioetica globale è come recuperare il sogno di Dio all’inizio della creazione. Tutto il creato è la casa comune degli uomini.”
La bioetica globale al posto della Croce! Et voilà, il gioco è fatto: al primo spegnersi della epidemia la corsa sul piano inclinato riprenderà, con nuovo e convinto entusiasmo.
La cosa che preoccupa di più, è che mons. Paglia non parla solo a titolo personale, ma dà voce senza veli (appunto, senza veli, come nel famigerato affresco della chiesa di Terni da lui fatto realizzare…) alla linea della nuova chiesa, quella che piace alla gente che piace…
No, i castighi non cesseranno. Il Buon Dio, che è Buon Padre, farà di tutto –nel massimo rispetto della loro libertà- perché i suoi figli tornino a casa, perché si ravvedano, perché possano vivere. Vivere la vita vera, quella davvero felice per cui li ha creati. E perché la sua Chiesa, che Suo Figlio ha fondato per aiutare l’umanità a compiere il proprio destino, non sia come sale che ha perso sapore e lampada sotto il moggio. Prepariamoci alla battaglia, mettendoci sotto il manto di Maria.
di Marco Lepore
di Giorgia Brambilla
L’idea di una “Bioetica globale” non mi ha mai convinta. Né come cattolica, nè come bioeticista.
Come cattolica, perché il cattolicesimo non ha bisogno di attingere a valori laici e illuministi; non ha bisogno di “fraternità” perché ha la carità; non ha bisogno di “umanesimo” perché conosce il valore della persona umana dall’atteggiamento che Dio ha nei suoi confronti; non ha bisogno di “sogni”, perché ha la virtù della speranza; non ha bisogno di costruire un “dialogo interculturale” perché ha la Rivelazione che avanza la pretesa irrinunciabile di dire la verità sull’uomo e una verità da proporre e annunciare pubblicamente ad ogni uomo e per questo già universale, senza bisogno di farsi “globale”.
Come bioeticista, perché l’accezione “globale” fa riferimento sì al padre del neologismo “Bioethics”, ma fondamentalmente a un’idea di Bioetica molto distante, non solo da come siamo abituati a considerarla oggi, ma soprattutto dalla ricchezza della morale cattolica, sulla quale essa dovrebbe costitutivamente fondarsi.
Fatto sta che, invece, stando all’intervista per Radio Vaticana sul dopo pandemia, mons. Paglia avrebbe ribadito la necessità di costruire una “Bioetica globale” (qui) riprendendo, di fatto un’idea precedentemente proposta (qui) che già faceva riferimento ad una «nuova Bioetica globale nell’era della robotica». Ciò che colpisce di più è l’assenza di riferimenti fondativi legati alla fede – visto che peraltro se ne sta parlando all’interno di un contesto cattolico e non laico o laicista. Nessun accenno al valore della vita terrena considerato non in sé, ma in relazione a quella eterna – tanto più che il discorso è calato all’interno della pandemia – e nemmeno un riferimento alla legge morale naturale, caposaldo del giudizio etico sull’atto che la Bioetica è chiamata a svolgere.
Proviamo a ragionare sui rischi di una revisione di questo tipo per la disciplina della Bioetica e soprattutto per il suo ruolo. Oggi è lampante il fatto che un’etica costruita alla luce della sola ragione sarà in grado soltanto di stabilire dei limiti approssimativi alla oggettivazione dell’altro che però risulta di per sé inevitabile. L’uomo, infatti, è sempre tentato da una forma di utilitarismo. Del resto, se egli da solo deve garantirsi la sua esistenza, il suo futuro non potrà mai essere completamente disinteressato: l’altro gli apparirà sempre in qualche modo come un mezzo per la sua felicità, un mezzo per sé, per garantirsi la sua esistenza (J. Ratzinger, La Bioetica nella prospettiva cristiana). La delimitazione formale della Bioetica come etica filosofica, antropologicamente e metafisicamente fondata, ma separata dalla Teologia, presuppone la stessa concezione razionalistica e riduttivistica della ragione di stampo moderno.
È impossibile non rendersi conto che c’è bisogno di quella sapienza sull’uomo senza cui le soluzioni morali non soddisfano. Infatti, la questione alla radice delle problematiche bioetiche è quella di senso; e forse è proprio per sfuggire a tale angosciante domanda che l’uomo cerca di assicurarsi un controllo completo sulla vita attraverso la pretesa di assoluta libertà illudendosi di avere potere su di essa, ricalcando l’antico sogno di autofabbricarsi.
Dunque, non si può costruire la morale a partire dall’etica, cioè a partire dalla ricerca di soluzioni particolari, senza confrontarsi sulla scelta fondamentale che tutte le sostiene e le motiva. Ed è per questo che non solo l’esclusione della Teologia dal dibattito pubblico, ma anche la separazione dalla Teologia persino da parte di quei bioeticisti della parte cattolica – i quali rifiutano la qualifica di “cattolica” per la Bioetica da loro elaborata, preferendo dedurla da una metafisica garantita nel suo valore universale dal rigoroso riferimento alla sola ragione – ha comportato un notevole prezzo da pagare (L. Melina, Riconoscere la vita. Problematiche epistemologiche della Bioetica). Invece, il discorso rigorosamente razionale della Bioetica trova un suo naturale prolungamento nella Teologia, e nella fattispecie in quella morale. Questa, occupandosi delle questioni riguardanti la vita umana e la sua integrità, riceve dalla Bioetica lo status quaestionis, cioè l’analisi del problema etico – che comprende la definizione delle componenti biomediche e le interpretazioni fornite da altre discipline – insieme alle conclusioni della riflessione propria della filosofia morale, il che ordinariamente facilita un primo discernimento fra il lecito e l’illecito, il bene e il male.
Diversamente, il rischio è quello di cadere in un umanesimo secolarizzato, in cui l’uomo è considerato nell’orizzonte immanentistico e temporale, in un’ottica riduzionista e in chiave individualista e punta a una specie di salvezza terrena.
E, in effetti, era proprio questa l’idea di “Global Bioethics” dell’ideatore del neologismo “Bioetica”. Il cancerologo V.R.Potter, che quando scrisse “Bioethics: bridge to the future” pensava a una «biologia combinata con le varie forme del sapere umanistico in modo da forgiare una scienza che stabilisse un sistema di priorità mediche e ambientali per la sopravvivenza» (V. R. Potter, Global Bioethics. Building on the Leopold Legacy). Dicevo, infatti, che la Bioetica nacque con un’accezione completamente diversa da come siamo abituati a pensarla oggi. Lo stesso inventore del termine chiamò “primo bioeticista” Aldo Leopold, un ecologista americano che, dopo la rivoluzione darwinista e quella freudiana, sosteneva la necessità di promuovere “costumi antropologici” per l’equilibrio dell’ecosistema, nella convinzione che certi stili di vita avrebbero potuto favorire un’evoluzione negativa del mondo e della specie umana. Questo stampo promuoveva una “nuova etica della sopravvivenza” dove la qualità della vita fisica (Medical Bioethics) fosse coordinata alla qualità della vita ambientale ed ecologica (Ecological Bioethics), da cui si formulò una sorta di criterio di eticità secondo cui un comportamento è giusto o sbagliato in funzione della sopravvivenza e della protezione della biosfera e dove solitamente l’essere umano è uno degli esseri viventi e solitamente il più dannoso.
Dunque, sebbene probabilmente l’intervista non volesse riprendere in toto questi contenuti, per noi costituisce un’occasione per riflettere e per chiederci se sia opportuno fare riferimento a una fetta di storia della Bioetica così lontana dal bagaglio già ricco della nostra morale cattolica in cui, invece, il valore della persona umana è inalienabile e fondativo nei confronti dei cosiddetti “principi non negoziabili”.
In altre parole, se la Bioetica ha qualcosa da dire in questa pandemia, è in riferimento al valore dell’essere umano a scanso di derive riduttiviste ed eugenetiche, che invece, purtroppo, sono state numerose. Basti pensare al rifiuto dei ventilatori polmonari ai disabili in USA (qui) o all’eutanasia preventiva proposta agli anziani in Olanda (qui). In tempi così difficili, la Bioetica ha il compito di aiutare a comprendere il ruolo fondamentale della famiglia per il bene comune o quello di mostrare il vero volto della libertà che è la responsabilità e non la cieca autodeterminazione. Deve, oltre a questo, smascherare le strumentalizzazioni della malattia stessa in favore di abusi contro la vita umana, come la spinta sull’aborto chimico (qui) e sulla maternità surrogata (qui).
Perché tanta insistenza sulla «fraternità e sulla solidarietà, intese non come valori cristiani», come riporta l’intervista? Spesso, siccome le tematiche bioetiche si svolgono nell’arena pubblica, in cui si incontrano culture e religioni differenti, si crede che il dialogo sarebbe favorito da una discussione impostata sulla sola ragione e la morale si dovrebbe accontentare di una “grammatica minima” e di un’antropologia debole. Ma c’è un pericolo; il pluralismo rischia di essere un “paravento”, se non addirittura uno strumento ideologico, per escludere a priori la verità fino a considerarla dannosa, compromettendo la ragione stessa fino all’implosione dell’Etica – e in questo caso della Bioetica – che diventa incapace di indicare chiaramente cosa è giusto e cosa è sbagliato e viene meno al suo mandato più profondo, diventando non una “Bioetica-per tutti”, ma una “Bioetica-per nessuno”.
Resto fermamente convinta, invece, che sia urgente oggi più che mai riscoprire la Bioetica (qui) come disciplina costruita sulla “roccia” più sicura e stabile, cioè quella del Magistero perenne della Chiesa, per combattere la “buona battaglia” per la vita, specialmente in momenti così drammatici come quello che stiamo vivendo.
Bisogna diffidare in Bioetica dalla pretesa moderna di creare un piano di morbida tolleranza che si mette a “dialogare” con il male morale, anziché denunciarlo, e spende sofisticamente tante parole quando ne basterebbero due, quelle indicate da Nostro Signore: “Sì” e “No”.
In Germania alcuni vescovi sono stati più governativi del governo. Hanno impedito la partecipazione dei fedeli alle messe eucaristiche anche quando il governo la consentiva. Il vescovo Jung ha persino rifiutato di permettere la celebrazione della Santa Messa con i fedeli disponibili ad astenersi dal ricevere la Santa Comunione per motivi igienici. Tali Messe “contraddicono il significato della celebrazione liturgica”, ha affermato.
Franz Jung di Wurzburg è colui che nel 2018, da poco nominato vescovo da Papa Francesco, invitò tutti i coniugi protestanti, presenti e partecipanti alla due giorni di Messe giubilari di matrimonio nella sua diocesi, a farsi avanti e a ricevere la Comunione.
Ecco un articolo di Martin Bürger, pubblicato su Lifesitenews. Ve lo propongo nella mia traduzione.
La diocesi tedesca di Würzburg permette solo servizi di culto non eucaristici, anche dopo l’allentamento delle restrizioni governative sui raduni religiosi a partire dal 4 maggio. “La cosa più importante nella situazione della crisi del coronavirus è proteggere la salute dei fedeli”, ha annunciato la diocesi, guidata dal vescovo Franz Jung.
Né il comunicato stampa ufficiale né il decreto e le relative linee guida si riferiscono alla salute spirituale come più importante della salute fisica.
Il governo dello Stato della Baviera aveva dichiarato che i servizi di culto possono durare solo un’ora, richiedendo ai partecipanti di indossare maschere e di praticare “l’allontanamento sociale”. Gli incontri religiosi erano proibiti dal 21 marzo.
Mentre il governo non ha chiesto alla Chiesa cattolica di offrire solo servizi di culto non eucaristici, comunemente chiamati “liturgia della parola”, il vescovo Jung ha deciso, senza spiegazioni convincenti, di introdurre nella sua diocesi servizi di culto per fasi, che culminano con l’eventuale celebrazione dell’Eucaristia.
“Dopo un certo periodo di tempo, oltre alla raccolta di esperienze e alla loro valutazione, si terrà una nuova consultazione sull’ammissione della celebrazione pubblica dell’Eucaristia”, secondo la diocesi. Nel frattempo, “la Santa Messa può continuare ad essere celebrata tramite servizi in streaming”.
Il vescovo Jung ha persino rifiutato di permettere la celebrazione della Santa Messa con i fedeli che si astengono dal ricevere la Santa Comunione per motivi igienici. Tali Messe “contraddicono il significato della celebrazione liturgica”, ha affermato.
Jung non ha tenuto conto del fatto che per secoli i cattolici hanno ricevuto la Santa Comunione molto raramente, a volte solo per la Pasqua, pur continuando a partecipare alla Messa almeno ogni domenica.
“Tutto sommato – affermano le linee guida – si pone la questione se la forma di celebrazione dei servizi di culto possa essere mantenuta nel suo significato o se sia quasi ostacolata dalle linee guida e dalle restrizioni che devono essere fatte. Questo riguarda soprattutto la celebrazione dell’Eucaristia. La ripresa dei servizi di culto pubblico a livello locale deve quindi essere ben considerata”.
Nessuno dei vescovi tedeschi ha protestato o addirittura messo sostanzialmente in discussione le misure imposte dal governo federale e statale. Al contrario, il Tribunale amministrativo bavarese ha sostenuto poco prima di Pasqua che il divieto delle Messe pubbliche andava bene, in quanto la Chiesa (in questo caso l’arcidiocesi di Monaco e Frisinga) aveva già cancellato comunque tutte le Messe pubbliche.
I cattolici in Germania cominciano ad attribuire ai vescovi almeno in parte la colpa delle attuali difficoltà nell’andare a Messa e nel ricevere l’Eucaristia.
Benjamin Leven ha chiesto nell’edizione di maggio dell’Herder Magazin: “Non potrebbe la fretta e il silenzio con cui le diocesi cattoliche, prima ancora che lo Stato, hanno proibito i loro servizi pubblici e organizzato soluzioni alternative, avere la loro parte nel creare l’impressione che tutto andasse bene con le “devozioni private” e i servizi di culto televisivi?
“Forse le autorità ecclesiastiche – naturalmente senza negare le necessità di fatto – avrebbero dovuto esprimere un po’ più di costernazione per le misure che si vedevano costrette a prendere. Oppure avrebbero potuto semplicemente presentare la decisione alle autorità statali che, poco dopo, avrebbero comunque emesso le relative norme”, ha aggiunto Leven.
Durante tutte le “liturgie della parola” in mezzo alla pandemia di coronavirus nella diocesi di Würzburg, il canto è scoraggiato a causa del maggiore rischio di piccole gocce di saliva potenzialmente portatrici del virus. Le linee guida non sono riuscite a spiegare lo scopo delle maschere in questo contesto.
Oltre alle linee guida per la situazione attuale che consente solo servizi di culto non eucaristici, la diocesi ha fatto riferimento anche alle future celebrazioni della Santa Messa. A quel punto, ai fedeli sarebbe ancora proibito ricevere l’Eucaristia sulla lingua.
Come riferito da LifeSiteNews, diverse diocesi hanno sottolineato che la ricezione della Comunione sulla lingua non è più rischiosa che in mano. “Il rischio di toccare la lingua e di passare la saliva ad altri è ovviamente un pericolo, ma la possibilità di toccare la mano di qualcuno è altrettanto probabile e le mani sono più esposte ai germi”, ha sottolineato l’arcidiocesi di Portland, Oregon.
Il vescovo Jung di Würzburg non è l’unico vescovo in Germania che ha tentato di ritardare la celebrazione delle Messe pubbliche.
Piuttosto che chiedere l’accesso ai sacramenti, il vescovo Gerhard Feige di Magdeburgo ha sostenuto: “Non dovremmo piuttosto noi cristiani prenderci cura in modo responsabile e solidale di contenere il pericolo mortale dell’infezione da coronavirus e di prevenire un’eccessiva pressione medica sulla nostra società, piuttosto che, come i vari lobbisti, cercare di far passare i nostri interessi particolari?
Feige ha anche espresso la sua irritazione per un presunto “risentimento” per non poter andare a Messa e ricevere i sacramenti, che, secondo il vescovo, “alcuni credenti e leaders della Chiesa stanno ora esprimendo in modo lamentoso o belligerante”.
L’unico Stato tedesco che alla fine non ha vietato le messe pubbliche è stato il Nordreno-Vestfalia. Come riconosciuto, ad esempio, dall’arcidiocesi di Colonia, il governo statale “ha ritenuto sufficiente accettare gli impegni volontari” dei vescovi di non tenere riunioni religiose.
In altre parole, sono stati i loro vescovi, non il governo, a vietare ai fedeli della Renania Settentrionale-Vestfalia di partecipare alla Santa Messa nel giorno più sacro dell’anno, la domenica di Pasqua.
Di Sabino Paciolla
https://www.sabinopaciolla.com/in-germania-alcuni-vescovi-sono-piu-governativi-del-governo/
Secondo Foucault, si tratta di un passaggio chiave per comprendere il passaggio dal Medioevo alla Modernità. Nel Medioevo, il lebbroso era escluso per preservare le libertà della comunità. Nell’epoca moderna, la peste impone il principio di sorveglianza e disgregazione della comunità: ogni individuo (sano o malato) è isolato dagli altri, ognuno è confinato, esaminato, testato, controllato e sottomesso alla delazione altrui, tutti diventano ausiliari di polizia.
Il testo di Foucault torna di attualità, oggi, perché è proprio questo modello che il nostro governo ha scelto per gestire l’epidemia del coronavirus. Il modello disciplinare del XVII secolo si impone su tutta la comunità: siamo tutti isolati. Il nostro governo non ha alcuna alternativa da proporre. Siamo tutti confinati.
Secondo Lenin il socialismo era: l’elettricità più i soviet, ben presto (grazie a Pd e 5stelle) avremo: la quarantena più la geolocalizzazione.
Foucault aveva visto giusto. La modernità non corrisponde per forza a un rafforzamento della libertà, al contrario, essa offre al potere l’occasione di un’inedita invadenza dello Stato nelle nostre vite, in nome della protezione della salute, della vita puramente biologica delle persone. L’unica vita che ormai sta a cuore alle masse, dopo il tramonto dell’uomo animale religioso del Medioevo e l’avvento dell’uomo animale economico della Modernità, come affermava Georges Bernanos (1945, La France contre les Robots).
L’uomo del Medioevo avrebbe accettato con la stessa nostra docilità la stritolante limitazione delle libertà fondamentali che il governo ci impone da ormai due mesi? Avrebbe accettato di essere rinchiuso in casa, senza poter lavorare, senza messa?
Avrebbe accettato di essere prigioniero in 30 metri quadrati, lontano dai propri affetti, lontano da Dio (cioè privato dei sacramenti)? Avrebbe accettato un potere i cui principi inderogabili sono la sfilata del 25 aprile e l’aborto a domicilio?
Quanto siamo ancora in grado di riflettere sul nostro rapporto con la libertà, sull’uso che facciamo abitualmente della nostra libertà? noi, figli della società liberale.
Non dobbiamo scadere nel complottismo, quest’epidemia non è un’invenzione del nostro governo, e la teoria del biopotere non dice questo.
Tuttavia, il governo ha saputo cogliere nella crisi l’occasione di imporre un permanente stato di sorveglianza/punizione. Pensiamo, ad esempio, alla circostanza dell’auto-attestazione derogatoria per poter uscire, senza la quale anche il semplice fatto di recarsi al supermercato pone in essere l’eventualità (e la paura) della sanzione. Certo, il potere si scusa affermando che tali misure estreme sono temporanee, che tutto ciò è per il nostro bene, eppure la tentazione di estendere il controllo totale al di là della pandemia appare evidente (vedi le app di geolocalizzazione e autocertificazione immunitaria, la tracciabilità).
Appare anche evidente, come abbiamo già accennato, che la circostanza del confinamento collettivo permette al potere di spingere (sempre in nome della salute, del nostro benessere e della nostra libertà) verso nuove frontiere i propri progetti ideologici. È il caso dell’aborto a domicilio, promosso sui media prevalenti dai vate del pensiero progressista (Saviano, Boldrini, ecc.). Nella crisi, la politica agisce senza ostacoli imponendo i propri dogmi, approfittando dell’incertezza e dell’inquietudine delle masse (come già affermava Max Weber in Politica e scienza come professioni, 1919).
Proprio la scienza si sta rivelando, in questa situazione sconcertante, la grande complice del biopotere. In un momento di crisi come questo, in cui la scienza (che da anni divinizziamo) avrebbe dovuto apportare risposte chiare, semplici e inequivocabili (magari anche un inequivocabile: “per ora non sappiamo nulla di certo” sarebbe bastato), essa ha mostrato tutto il suo dogmatismo, il suo settarismo, il suo carrierismo, il suo protagonismo e, purtroppo, la sua intolleranza. Virologi, epidemiologi, comitati tecnico scientifici non hanno fatto altro che incoraggiare il biopotere. Incuranti delle devastanti conseguenze delle loro scriteriate azioni sul futuro del paese.
È davvero un progresso il fatto che la politica abbia abdicato, o anche solo stretto un abbraccio mortale, con questo tipo di scienza? Davvero la politica deve abbandonare il timone della società al profitto di un biopotere che è in fin dei conti una commistione di politicanti e pseudo-esperti autoproclamati, privi di ogni legittimità che non hanno alcun conto da rendere all’elettorato?
Durante una tempesta non sono gli ingegneri che hanno costruito i motori a essere chiamati a portare in salvo la nave, è il capitano che sceglie la rotta.
Luca Costa
Fonte dell’articolo: Eugénie Bastie, LeFigaro, 21 aprile 2020 : Faut-il craindre le biopouvoir ?
https://www.culturacattolica.it/attualit%C3%A0/in-rilievo/abbiamo-detto-gli-editoriali/chi-ha-paura-del-biopotere
Chi ha paura del Biopotere?
- Autore:
- Curatore:
- Fonte:
Negli anni 70, il filosofo francese Michel Foucault anticipa le tentazioni totalitarie dei regimi liberali che si determineranno in nome della protezione della salute dei cittadini
Se c’è un termine nel lessico delle scienze sociali in grado di aiutarci a riflettere sul momento che viviamo è quello di biopotere. Coniato da Michel Foucault negli anni 70, il biopotere è un nuovo regime politico in grado di comprimere all’estremo le libertà degli individui, in nome della tutela della salute.
Il filosofo francese utilizza per la prima volta il neologismo nel capitolo “panoptisme” del suo celebre saggio di filosofia del diritto: Sorvegliare e punire (1975). Viene presentato il caso dell’epidemia come occasione ideale per l’avvento del biopotere.
Foucault apre il capitolo presentando un tipico modello di quarantena del XVII secolo:
Se c’è un termine nel lessico delle scienze sociali in grado di aiutarci a riflettere sul momento che viviamo è quello di biopotere. Coniato da Michel Foucault negli anni 70, il biopotere è un nuovo regime politico in grado di comprimere all’estremo le libertà degli individui, in nome della tutela della salute.
Il filosofo francese utilizza per la prima volta il neologismo nel capitolo “panoptisme” del suo celebre saggio di filosofia del diritto: Sorvegliare e punire (1975). Viene presentato il caso dell’epidemia come occasione ideale per l’avvento del biopotere.
Foucault apre il capitolo presentando un tipico modello di quarantena del XVII secolo:
Innanzitutto un rigido controllo spaziale, al giorno x viene ordinato a tutti di rinchiudersi in casa: divieto di uscire sotto pena di sanzioni. Per i bisogni di prima necessità si uscirà soli, a turni, evitando ogni incontro. Solamente la polizia, i soldati e il personale sanitario potranno circolare più o meno liberamente. Lo spazio sarà immobile, fisso, ognuno al suo posto, e chi esce, lo farà a rischio della vita: contagiato o punito.
Secondo Foucault, si tratta di un passaggio chiave per comprendere il passaggio dal Medioevo alla Modernità. Nel Medioevo, il lebbroso era escluso per preservare le libertà della comunità. Nell’epoca moderna, la peste impone il principio di sorveglianza e disgregazione della comunità: ogni individuo (sano o malato) è isolato dagli altri, ognuno è confinato, esaminato, testato, controllato e sottomesso alla delazione altrui, tutti diventano ausiliari di polizia.
Il testo di Foucault torna di attualità, oggi, perché è proprio questo modello che il nostro governo ha scelto per gestire l’epidemia del coronavirus. Il modello disciplinare del XVII secolo si impone su tutta la comunità: siamo tutti isolati. Il nostro governo non ha alcuna alternativa da proporre. Siamo tutti confinati.
Secondo Lenin il socialismo era: l’elettricità più i soviet, ben presto (grazie a Pd e 5stelle) avremo: la quarantena più la geolocalizzazione.
Foucault aveva visto giusto. La modernità non corrisponde per forza a un rafforzamento della libertà, al contrario, essa offre al potere l’occasione di un’inedita invadenza dello Stato nelle nostre vite, in nome della protezione della salute, della vita puramente biologica delle persone. L’unica vita che ormai sta a cuore alle masse, dopo il tramonto dell’uomo animale religioso del Medioevo e l’avvento dell’uomo animale economico della Modernità, come affermava Georges Bernanos (1945, La France contre les Robots).
L’uomo del Medioevo avrebbe accettato con la stessa nostra docilità la stritolante limitazione delle libertà fondamentali che il governo ci impone da ormai due mesi? Avrebbe accettato di essere rinchiuso in casa, senza poter lavorare, senza messa?
Avrebbe accettato di essere prigioniero in 30 metri quadrati, lontano dai propri affetti, lontano da Dio (cioè privato dei sacramenti)? Avrebbe accettato un potere i cui principi inderogabili sono la sfilata del 25 aprile e l’aborto a domicilio?
Quanto siamo ancora in grado di riflettere sul nostro rapporto con la libertà, sull’uso che facciamo abitualmente della nostra libertà? noi, figli della società liberale.
Non dobbiamo scadere nel complottismo, quest’epidemia non è un’invenzione del nostro governo, e la teoria del biopotere non dice questo.
Tuttavia, il governo ha saputo cogliere nella crisi l’occasione di imporre un permanente stato di sorveglianza/punizione. Pensiamo, ad esempio, alla circostanza dell’auto-attestazione derogatoria per poter uscire, senza la quale anche il semplice fatto di recarsi al supermercato pone in essere l’eventualità (e la paura) della sanzione. Certo, il potere si scusa affermando che tali misure estreme sono temporanee, che tutto ciò è per il nostro bene, eppure la tentazione di estendere il controllo totale al di là della pandemia appare evidente (vedi le app di geolocalizzazione e autocertificazione immunitaria, la tracciabilità).
Appare anche evidente, come abbiamo già accennato, che la circostanza del confinamento collettivo permette al potere di spingere (sempre in nome della salute, del nostro benessere e della nostra libertà) verso nuove frontiere i propri progetti ideologici. È il caso dell’aborto a domicilio, promosso sui media prevalenti dai vate del pensiero progressista (Saviano, Boldrini, ecc.). Nella crisi, la politica agisce senza ostacoli imponendo i propri dogmi, approfittando dell’incertezza e dell’inquietudine delle masse (come già affermava Max Weber in Politica e scienza come professioni, 1919).
Proprio la scienza si sta rivelando, in questa situazione sconcertante, la grande complice del biopotere. In un momento di crisi come questo, in cui la scienza (che da anni divinizziamo) avrebbe dovuto apportare risposte chiare, semplici e inequivocabili (magari anche un inequivocabile: “per ora non sappiamo nulla di certo” sarebbe bastato), essa ha mostrato tutto il suo dogmatismo, il suo settarismo, il suo carrierismo, il suo protagonismo e, purtroppo, la sua intolleranza. Virologi, epidemiologi, comitati tecnico scientifici non hanno fatto altro che incoraggiare il biopotere. Incuranti delle devastanti conseguenze delle loro scriteriate azioni sul futuro del paese.
È davvero un progresso il fatto che la politica abbia abdicato, o anche solo stretto un abbraccio mortale, con questo tipo di scienza? Davvero la politica deve abbandonare il timone della società al profitto di un biopotere che è in fin dei conti una commistione di politicanti e pseudo-esperti autoproclamati, privi di ogni legittimità che non hanno alcun conto da rendere all’elettorato?
Durante una tempesta non sono gli ingegneri che hanno costruito i motori a essere chiamati a portare in salvo la nave, è il capitano che sceglie la rotta.
Luca Costa
Fonte dell’articolo: Eugénie Bastie, LeFigaro, 21 aprile 2020 : Faut-il craindre le biopouvoir ?
https://www.culturacattolica.it/attualit%C3%A0/in-rilievo/abbiamo-detto-gli-editoriali/chi-ha-paura-del-biopotere
Arriva Bill....come funestamente preconizzato:
RispondiElimina"Per il vaccino Patto Ue firmato da Conte, Macron e Merkel: si parte da 7,5 mld"
"Vaccino coronavirus, Bill Gates chiama Giuseppe Conte. Bill Gates e il premier Conte in videochiamata per parlare del vaccino contro il coronavirus"
D'altronde dopo tanto lavoro in profezie, dobbiamo pur dargli un tornaconto!