Le Messe? Vittime di una ignobile farsa
Il Papa a sostegno di Conte; i vescovi di mezza Italia che si ribellano all’accordo della CEI sui funerali e rinunciano alle Messe: il presidente della CEI, Bassetti, che ringrazia Conte annunciando l’accordo sulle Messe ma senza spiegarne il contenuto; le Conferenze episcopali di Marche e Sardegna che rifiutano l’offerta dei rispettivi governatori che davano il via libero immediato alle Messe con popolo. E il colpo di scena finale.... Per la Chiesa italiana quella di ieri è stata proprio una giornata di ordinaria follia, a cui si fa perfino fatica a credere.
Funerali al tempo del coronavirus
Ha cominciato di buon mattino papa Francesco alla messa delle 7, dando il via a una giornata che per la Chiesa italiana è stata di ordinaria follia. Dopo essere già intervenuto in soccorso del presidente del Consiglio Giuseppe Conte il 28 aprile - sconfessando la CEI che aveva pubblicato domenica 26 un comunicato rabbioso per il prolungarsi del divieto di Messa con popolo -, ieri mattina è stato ancora più esplicito: «Preghiamo oggi per i governanti che hanno la responsabilità di prendersi cura dei loro popoli in questi momenti di crisi – ha detto introducendo la Messa -: capi di Stato, presidenti di governo, legislatori, sindaci, presidenti di regioni … (…) che quando ci siano differenze tra loro, capiscano che, nei momenti di crisi, devono essere molto uniti per il bene del popolo, perché l’unità è superiore al conflitto».
Traduzione: anche se non siete d’accordo con Conte – con cui il Papa peraltro si sente spessissimo al telefono – fate quello che dice. L’intervento blocca subito i tentativi di alcuni governatori di venire incontro ai cattolici concedendo la partecipazione del popolo, per quanto contingentato, alle Messe, aggirando il divieto dle governo. Anzi, per essere più precisi blocca i vescovi. Infatti il vescovo di Pesaro, monsignor Piero Coccia, nonché presidente della Conferenza Episcopale marchigiana, e i vescovi della Sardegna ringraziano i rispettivi governatori ma rifiutano l’offerta di riprendere le Messe con il popolo. Dice ad esempio il comunicato dei vescovi sardi, dopo aver declinato l’offerta del governatore Christian Solinas, che si riservano di «leggere e valutare il testo dell'ordinanza regionale che verrà firmata, tenendo conto che non sono stati consultati precedentemente e che decisioni di questo tipo competono unicamente all'Autorità ecclesiastica».
Cioè, fateci capire: se il governo dice no alle messe, bisogna obbedire al governo; se invece un governatore riapre le chiese, allora si afferma che questo è compito dell’autorità ecclesiastica. Cari vescovi, forse fate prima a dire che siete voi a non volere le Messe, così ci si mette l’anima in pace.
Ma ovviamente non finisce qui. Infatti quello che nei giorni scorsi era un mugugno sempre più rumoroso, ieri è diventata una vera e propria rivolta aperta: nell’imminenza del 4 maggio, quando si potranno ri-celebrare le Messe per i funerali, tante diocesi hanno fatto il punto sulle condizioni assurde poste dalla CEI su indicazione del Comitato tecnico-scientifico del governo. E hanno constatato che, su queste basi, la ripresa delle Messe è impossibile. Termometri, mascherine, guanti, gel igienizzanti, sanificazione continua delle chiese (probabilmente anche da certificare): troppe cose da fare, e anche con il rischio – in mancanza di patti chiari – che le forze dell’ordine entrino in chiesa a controllare se tutto è a norma, disturbando la liturgia.
Venezia, Aosta, Alba, Chioggia, lo annunciano ufficialmente: niente Messe, a queste condizioni è impossibile. Ma molte altre diocesi faranno lo stesso, veloce benedizione delle salme al cimitero e basta. Compresi diversi decanati della diocesi di Milano. È una farsa, come dice chiaramente il vescovo di Chioggia, monsignor Adriano Tessarollo: «Allora diciamo alla gente: niente funerale in chiesa, ci hanno gabbato. Abbiano il coraggio di dire alla gente che i loro morti se li portino dritti al cimitero! Non infingimenti! Proibite e basta».
Una vera e propria presa in giro. E nel bel mezzo di queste reazioni senza precedenti, il presidente della CEI che ti fa? Pubblica un bel comunicato in cui fa elogi sperticati di Conte e del suo Comitato tecnico-scientifico – quello delle condizioni capestro per i funerali -, con cui annuncia di aver trovato un accordo per la ripresa delle celebrazioni liturgiche. Si tratta di un «Protocollo di massima», ma non subito, con calma: nel comunicato non si parla di date, ma indiscrezioni dicono che si tratterebbe del 24 o del 31 maggio. Pare che ci sia «la soddisfazione mia, dei vescovi e, più in generale, della comunità ecclesiale», tale che Bassetti non può fare a meno di esprimere “il mio ringraziamento (…) alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con cui in queste settimane c’è stata un’interlocuzione continua e proficua».
Ma non era la stessa presidenza del Consiglio contro cui si era scagliato non più di sei giorni fa? Ah, già, ma il martedì successivo il Papa aveva detto che ci vuole «prudenza» e «obbedienza», e quindi tutti a cuccia. «Questo clima – prosegue il cardinale Bassetti - ha portato un paio di giorni fa a definire le modalità delle celebrazioni delle Esequie, grazie soprattutto alla disponibilità e alla collaborazione del Ministro dell’Interno e del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione». Fantastico, è lo stesso accordo che ha mandato fuori dai gangheri tutti i vescovi, la dimostrazione che la presidenza della CEI vive chiaramente in un mondo separato dalla comunità ecclesiale che intende rappresentare.
Ma il presidente della CEi non vuole dimenticare nessuno: così “un pensiero di sincera gratitudine mi sento in dovere di esprimerlo al Ministro della Salute e all’intero Comitato tecnico-scientifico: questa tempesta, inedita e drammatica, ha posto sulle loro spalle un carico enorme in termini di responsabilità”.
Come sarà venuto in mente a Bassetti di scrivere un tale comunicato mentre la rivolta dei vescovi è diventata pubblica? Semplice, poche ore prima era stato in udienza da papa Francesco, e quindi…. Viva Conte!
Ma i colpi di scena non sono finiti perché in tarda serata esce un altro comunicato della CEI, stavolta firmato dal segretario monsignor Stefano Russo, in cui si annuncia che, dopo tante insistenze, anche i membri del Comitato tecnico-scientifico hanno capito che la faccenda dei termometri non è fattibile (diciamo pure che è ridicola) e che quindi questa incombenza viene abbonata. Basterà questo per far tornare i vescovi sui loro passi e tentare di celebrare i funerali con Messa? Difficile dirlo ora, ma a questo punto è diventato secondario.
Il fatto è che stiamo assistendo a uno spettacolo indecoroso, con i vescovi più preoccupati della politica – civile ed ecclesiale – che non dei sacramenti. Che si genuflettono al governo ignorando la barbarie consumata in questi mesi sulla pelle delle vittime di Covid e dei loro familiari, a cui è stato negato anche un funerale degno. Che si fanno impunemente prendere in giro da presunti “esperti” che rappresentano solo se stessi e li ringraziano pure pubblicamente. Che hanno rinunciato alla libertà della Chiesa e quindi a difendere la libertà di ogni persona. Che accettano di farsi dettare le norme liturgiche dalla politica. Che si sono fatti complici di un disegno tendente a svuotare le Chiese e a svilire la Messa e l’Eucarestia che – come ricorda il cardinale Sarah - «è il cuore della vita della Chiesa».
Così ora aspettiamo con timore e tremore di sapere i termini dell’accordo per le Messe con popolo che riprenderanno a fine maggio (sempre che nel frattempo il governo non ci ripensi). Con questi negoziatori e questa controparte, solo un miracolo potrà renderci una Messa degna del Mistero che riaccade.
Riccardo Cascioli
https://lanuovabq.it/it/le-messe-vittime-di-una-ignobile-farsa
DOMANI LA FASE DUE
Seconda ondata, propaganda di Stato per limitarci la libertà
E’ bastata una preoccupazione di una delegata Oms per la possibilità di nuove infezioni per scatenare il panico: arriverà una seconda ondata. Uno scenario apocalittico, ma il termine non è preso dal linguaggio dell’epidemiologia, bensì da quello della propaganda politica, come del Pci degli anni '50. E il Governo fa di tutto per tenere sulla popolazione una pressione psicologica altissima, per indurre anche in tempi di allentamento del Lockdown ad una “spontanea” rinuncia alle proprie libertà. La Fase due sarà di lacrime e sangue... e di fakenews di Stato.
Nel Dizionario delle Neolingua (ricordate Orwell?) inventata per la Pandemia, negli ultimi giorni uno dei termini più in voga è “Seconda ondata”. Di cosa si tratta? Della possibilità di un nuovo aumento dei numeri dei contagiati, dei ricoverati, dei morti. Si tratta di un termine che non è preso dal linguaggio dell’epidemiologia, ma da quello della propaganda politica. Era un termine usato nel Dopoguerra e fino agli anni ’50 dal Partito Comunista Italiano. La prima ondata era stata la Resistenza, che aveva spazzato via il Fascismo; la seconda - attesissima - era quella che avrebbe dovuto fare il resto, e trasformare l’Italia in una Repubblica Sovietica. Per chi conosce racconti del grande scrittore Giovannino Guareschi, l’espressione è familiare: era lo spauracchio costantemente sventolato da Peppone davanti agli occhi di don Camillo.
Oggi di seconda ondata parlano le istituzioni e la grande stampa. E’ bastato che una esponente dell’ufficio regionale europeo dell’OMS esprimesse la propria preoccupazione per la possibilità di nuove infezioni nei vari Paesi che l’affermazione è stata tradotta in Italia in questo sintetico concetto: arriverà una seconda ondata. Ovvero: il nemico è sempre qui. Poco importa che la curva epidemica sia in discesa, poco importa che siano ormai a disposizione importanti ed efficaci strumenti di cura: il terrore per il Covid deve continuare.
“Non saremo mai a contagio zero” ha dichiarato l’assessore lombardo al welfare, evidentemente in possesso di certezze epidemiologiche non meglio identificate. E ha aggiunto che “dobbiamo convivere con questo virus, davanti al quale siamo indifesi”. Evidentemente l’assessore non è informato che proprio nella sua Regione esistono ospedali – come la NBQ ha documentato- dove si cura e si guarisce.
Ma il maggior utilizzo propagandistico del concetto di Seconda ondata viene dal Governo centrale. Conte lo ripete a ogni piè sospinto. L’allentamento del lockdown può avvenire, ma solo sotto strettissimo controllo, perché l’epidemia può riesplodere, parola del famigerato Comitato tecnico scientifico che nei giorni scorsi ha comunicato che nel mese di giugno potremmo avere oltre 150.000 persone ricoverate in terapia intensiva. Sì, proprio così. Uno scenario apocalittico, specie se si pensa che quando è stato raggiunto il picco ai primi di aprile i ricoverati in tutta Italia in terapia intensiva erano poco più di 4.000. Secondo i consulenti di Conte insomma ci attende qualcosa di paragonabile ad un disastro nucleare, naturalmente se si allentassero le misure restrittive. Questa previsione - non suffragata da alcuna documentazione epidemiologica - è stata peraltro categoricamente smentita da una autorevole società di analisi, Carisma, che ha definito come totalmente sbagliato il Calcolo del Comitato. Un errore addirittura aritmetico, perché avrebbe preso in considerazione una popolazione di 260 milioni di abitanti, anziché 60 milioni come quella italiana.
Il problema del documento, dice Carisma, è di tipo statistico-matematico, con errori anche nel calcolo del tasso di letalità dei contagi.
Insomma: il cenacolo di tecnici e scienziati al servizio di Conte ha preso un abbaglio madornale. Oppure è stata confezionata una bella bufala per una opinione pubblica ormai sommersa da dati contradditori e soprattutto da messaggi terroristici.
La “fase due”, per utilizzare un altro termine della neolingua, dovrà essere caratterizzata da nuove paure. Si deve seminare il panico rispetto, ad esempio, a quella fascia di persone che non è stata toccata dall’epidemia, i bambini. Così assistiamo ad un montare di sospetti nei confronti della possibilità di ammalarsi da parte dei bambini che è assolutamente in contraddizione con le evidenze scientifiche rilevate. In Svizzera, dove ad esempio il Governo ha cominciato ad allentare le misure di lockdown,è stato liberalizzato il contatto tra bambini e tra questi e i nonni. Il responsabile Dipartimento malattie infettive del Ministero della Sanità, Daniel Koch, ha detto che "gli scienziati sono arrivati alla conclusione che i bambini non trasmettono il virus. Sarebbe sbagliato proibire ai nonni, che stanno già soffrendo per questa situazione, di essere abbracciati dai loro nipoti quando si sa che essi non sono contagiosi."
In Italia, al contrario, ci si sta lanciando in ardite ipotesi rispetto a possibili danni ai bambini provocati dal Covid. Una di queste riguarda l’osservazione che è stata fatta da parte del dipartimento Pediatria dell'Ospedale di Bergamo, che recentemente hanno registrato un aumento numero di casi di sindrome di Kawasaki, una vasculite nota da molti anni che colpisce i bambini e la cui origine è sempre stata sconosciuta. Ma ora è stato trovato un colpevole, viene detto: il Coronavirus. L’insorgenza di questi nuovi casi sarebbe (il condizionale è d’obbligo) avvenuta in coincidenza con l’attuale epidemia. Come noto, per la scienza due coincidenze non fanno una prova, eppure questa ipotesi tutta da dimostrare sta trovando un’eco enorme perché è funzionale alla diffusione della paura che il Covid possa colpire i bambini. Trascurando magari altri possibili “indiziati”: la sindrome di Kawasaki infatti è un documentato e provato effetto collaterale del vaccino contro la Meningite B (figura anche nella scheda tecnica del prodotto) che è una vaccinazione facoltativa ma proposta molto attivamente, specie in Lombardia. Forse questo aumento di casi di sindromi di Kawasali potrebbe essere meglio indagato prima di arrivare a conclusioni sbrigative.
Ma come dicevamo in precedenza, in questo momento si sta fecendo di tutto per tenere sulla popolazione una pressione psicologica altissima, per indurre – anche in tempi di allentamento del Lockdown- ad una “spontanea” rinuncia alle proprie libertà.
Insomma: la “fase due” sarà di lacrime e sangue, e di fakenews di Stato.
Paolo Gulisano
https://lanuovabq.it/it/seconda-ondata-propaganda-di-stato-per-limitarci-la-liberta
- COMUNIONE, IN BOCCA O IN MANO NESSUN CONTAGIO di Fabio Sansonna
- MEDICI CUBANI, INTERROGAZIONE DOPO I NOSTRI ARTICOLI di Marinellys Tremamunno
- LA LETTERA DI UNA MAMMA A BASSETTI: CI AVETE TRADITI
https://lanuovabq.it/it
Assistiamo in questi giorni ad una sorta di braccio di ferro tra Conferenza Episcopale e Governo sulla ripresa della celebrazione delle funzioni religiose con la partecipazione del popolo, giocato tra autoritarismo, prudenza, sudditanza, responsabilità e tante altre tensioni. Anche all’interno della Chiesa ci sono posizioni diverse sia su tempi e modalità di riapertura, con chi spinge e chi frena, sia sulla interpretazione di quanto questo periodo di forzata chiusura comporterà per il futuro della Chiesa italiana.
La chiusura stessa, tra l’altro, è stata abbastanza disomogenea in quanto ci sono state Diocesi in cui le chiese erano letteralmente chiuse, altre in cui era addirittura vietato amministrare i Sacramenti nonostante le porte aperte, altre in cui era vietato ricevere i Sacramenti con l’ulteriore divieto anche solo di entrare in chiesa, altre ancora in cui le chiese erano aperte e i sacerdoti erano stati autorizzati o anche incoraggiati dai vescovi a confessare e comunicare i fedeli su richiesta privata.
Possiamo quindi vedere laici, sacerdoti e anche vescovi che chiedono con insistenza una riapertura prudente ma rapida delle chiese alle celebrazioni con la presenza dei fedeli e che sentono questa prolungata chiusura come un abuso di potere da parte dello Stato e una debolezza dei pastori nell’accondiscendere a restrizioni più dure di quanto non sembri davvero necessario per rispettare norme di prudenza e ridurre i rischi di contagio nei luoghi di culto.
Troviamo poi posizioni che valorizzano questo forzato digiuno eucaristico perché ha permesso di sviluppare un più intimo rapporto con Dio e che era prima vissuto, talvolta, in modo superficiale perché dato per “scontato” e che ipotizzano una maggior consapevolezza dei Cattolici del valore della partecipazione alla Messa dopo esserne stati privati tanto a lungo. Anche la grande rete spontanea di solidarietà per sostenere chi più soffre della chiusura è stata da molti interpretata come il modo più autentico di vivere l’essere Chiesa in queste settimane di difficoltà così come l’implementazione di nuovi mezzi di condivisione dei momenti di preghiera attraverso le piattaforme web e i social viene vista come un’ampliamento delle risorse per la pastorale futura. E ci sono stati anche sacerdoti che hanno addirittura rivendicato di non aver mai celebrato la Messa in questo periodo, eccezion fatta e a malincuore, per il Triduo Pasquale perché senza “l’assemblea” l’Eucaristia non avrebbe senso e che hanno criticato il Comunicato stampa della CEI ritenuto troppo frettoloso e addirittura “troppo duro”
Infine ci sono alcuni che, guardandosi intorno sia nel mondo virtuale che in quello reale, invece ipotizzano che questo periodo di astensione forzata dalla partecipazione diretta e l’uso, o forse abuso, di trasmissione delle funzioni religiose su YouTube, in televisione o sui social, gli appelli a vivere la propria fede all’interno della “chiesa domestica” della propria famiglia abbia già avuto un impatto molto negativo sulla partecipazione, anche ove possibile, ai Sacramenti.
L’aveva già fatto un giovane sacerdote prima di Pasqua tramite un video in cui annunciava che avrebbe ridotto fino a quasi eliminare le trasmissioni di lezioni di catechismo, riflessioni, ecc. in streaming proprio perché si rendeva conto di una qualche forma di adagiamento ad un rapporto “virtuale” tra lui e i suoi parrocchiani che, per telefono, gli dicevano di non “aver mai pregato meglio” potendo ora seguire numerose Messe, Rosari e meditazioni quotidiane.
Riportiamo in merito parte delle riflessioni di un altro giovane sacerdote che, partendo dall’aver notato come l’appello della CEI al Governo sia stato giudicato da molti “troppo duro,” riflette su Facebook sulle conseguenze di questa chiusura delle celebrazioni al popolo (grassetto nostro):
È inevitabile che lo sguardo delle pecore sia diverso, se non opposto, allo sguardo dei pastori. Io mi limito a osservare ciò che ho constatato in queste settimane: alla possibilità di accostarsi alla Confessione e all’Eucarestia ha risposto poca, pochissima gente, forse il 5% delle confessioni pasquali abituali è lo 0,005% (se non di meno) rispetto alle comunioni nel giorno di Pasqua.Cosa significa questo? Che la salute sacramentale (non spirituale) dei cattolici è a picco. (..). La stragrande maggioranza dei cattolici ha preferito occuparsi legittimamente di cibo, salute ecc. relegando l’ambito spirituale ad un uso esclusivamente privato (e forse in questo siamo stati anche noi preti a incentivarlo). Con il risultato che quando tutto ritornerà normale ci saranno molti più cristiani che si affiancheranno ad altri che già fanno il ragionamento: io prego Dio da casa, tanto è uguale, non occorre che vada in chiesa. (…) Vi assicuro: noi preti, oltre alle macerie morali di una popolazione giunta allo stremo, ci troveremo a raccogliere soprattutto le macerie spirituali che saranno ancora più forti e più difficili da eliminare. Se continuiamo ancora così e aspettiamo altri due mesi credo che del cristianesimo in Italia rimarrà molto poco.Prima di riaprire il culto pubblico, anche la Chiesa dovrebbe attuare una fase 2 dentro di essa con dei passaggi precisi, mirati, incisivi. Ci sta già pensando Gesù Cristo in persona, donandoci in questi giorni, all’interno delle nostre liturgie, il Suo discorso sul Pane vivo. Gli altri passaggi poi dovrebbero comprendere coraggiosamente una riduzione drastica delle Messe in streaming e in tv, per dire ai fedeli che l’immagine dell’Amato è importante quanto la visione dei filmati della nostra infanzia o dei nostri cari che non ci sono più. (…)Un altro passaggio fondamentale sarà una seria catechesi sull’Eucaristia spezzata, donata e mangiata dicendo con estremo rigore che il “comportarsi bene” senza la Messa è moralismo, l’aiuto ai poveri senza la Messa è volontarismo, pregare a casa senza il desiderio della Messa è intimismo, leggere la Parola senza cercarne il culmine nell’incontro con il Risorto è protestantesimo.Se in questo periodo di emergenza hai avuto più tempo per pregare, ringrazia Dio. Se senza partecipare all’Eucarestia e senza vedere nessuno hai pregato meglio, sei fuori strada. Occorre anche precisare una cosa che forse abbiamo imparato ai tempi del catechismo ma che ora non ricordiamo più: sì, Cristo è presente realmente quando preghiamo, Cristo è presente realmente quando ascoltiamo o proclamiamo la Parola, Cristo è presente realmente nei poveri e negli emarginati; ma nell’Eucarestia Cristo è presente realmente e sostanzialmente (cioè con il corpo tangibile tutto intero), come ricordava san Paolo VI. Ecco perché niente e nessuno può sostituire questa fisicità con il Risorto.(…)Non so se potremo rivederci presto e ritornare a celebrare insieme ma mi addolora che molti preti, molti teologi, molti laici dicono che in fondo Dio non si può ridurre alla celebrazione o al Sacramento. E grazie! Ma perché contrapporre le realtà come se Cristo fosse diviso in se stesso? Perché non ammettere che negandoci l’Eucarestia celebrata e spezzata, il più grande di tutti i sacramenti, ci tolgono tre quarti di cuore?(…) L’emergenza finirà e allora vedremo fisicamente il Risorto. Ma non dimentichiamoci mai quanto ci è mancato in questi giorni, se davvero ci è mancato.
di Annarosa Rossetto
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.