Podcast del 20-07-2020
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GRAZIE A DIO HANNO INCENDIATO UN’ALTRA CATTEDRALE
Che la storia sia magistra vitae è uno spezzone di un concetto di Cicerone che voleva dire tutt’altra cosa rispetto a quelle – moltissime – che hanno cercato per secoli di fargli dire. Qualcuno ha replicato che non solo la storia non insegna un accidente, ma che avrebbe bisogno d’esser lei a imparare un sacco di cose. Ma non è questo l’argomento del giorno. Io direi piuttosto che uno splendido magister vitae è il paradosso.
Prendete gli ultimi mesi. Viviamo in tempi apocalittici. O quanto meno apocalittici sono alcuni segni che vediamo attorno a noi. In quindici mesi, sono andate a fuoco due cattedrali francesi, Notre-Dame di Parigi e Pierre-et-Paul di Nantes. Nell’intervallo c’è stata una pandemia come ai tempi del Boccaccio e a quelli dei Promessi sposi, o comunque molti hanno detto che di ciò si trattava; e gli infedeli saraceni sono rientrati in possesso di Santa Sofia di Costantinopoli, anche se per la verità ne erano padroni da più di mezzo millennio.
Potremmo anche aggiungere che, altro segno mirabile, il Popolo d’Israele sta tornando pienamente padrone della Terra Sancta Promissionis, anche se in modo diverso e inaspettato rispetto alle attese apocalittiche degli ultimi duemila anni.
Ma io, anche se come medievista dovrei intendermene un po’, non ho mai capito granché di letteratura escatologico-apocalittica. Mio intento è un altro. Voglio solo con molta umiltà ringraziare il Signore per aver voluto che la cattedrale di Nantes andasse in fiamme.
E mi spiego.
Decisamente, viviamo tempi densi di simboli. Poco più di un anno fa è andata in fiamme parte almeno di Notre-Dame di Parigi, che aveva passato indenne anche la tempesta della seconda guerra mondiale. Quindi, alcuni mesi fa, siamo stati sfiorati dall’ala nera della pandemìa: e la sua ombra cupa sembra ancora indugiare fra noi senza voglia di andarsene. Poi, alcuni giorni fa, quel meraviglioso monumento che è Santa Sofia di Costantinopoli è tornato ad appassionarci com’era accaduto otto secoli fa quando la presero i crociati, un mezzo millennio fa quando fu conquistata dagli ottomani, una novantina di anni or sono quando un generale turco che aveva studiato in un’Accademia militare tedesca e ch’era un ateo appena appena travestito da musulmano la trasformò in museo.
E ora ecco un altro incendio, a poco più di un anno da quello della cattedrale cara a Victor Hugo e ad Ernest Hemingway. Fiamme sulle chiese, pestilenza nelle città. Che sia l’inizio dell’Apocalisse?
Ma io, anche se come medievista dovrei intendermene un po’, non ho mai capito granché di letteratura escatologico-apocalittica. Mio intento è un altro. Voglio solo con molta umiltà ringraziare il Signore per aver voluto che la cattedrale di Nantes andasse in fiamme.
E mi spiego.
Decisamente, viviamo tempi densi di simboli. Poco più di un anno fa è andata in fiamme parte almeno di Notre-Dame di Parigi, che aveva passato indenne anche la tempesta della seconda guerra mondiale. Quindi, alcuni mesi fa, siamo stati sfiorati dall’ala nera della pandemìa: e la sua ombra cupa sembra ancora indugiare fra noi senza voglia di andarsene. Poi, alcuni giorni fa, quel meraviglioso monumento che è Santa Sofia di Costantinopoli è tornato ad appassionarci com’era accaduto otto secoli fa quando la presero i crociati, un mezzo millennio fa quando fu conquistata dagli ottomani, una novantina di anni or sono quando un generale turco che aveva studiato in un’Accademia militare tedesca e ch’era un ateo appena appena travestito da musulmano la trasformò in museo.
E ora ecco un altro incendio, a poco più di un anno da quello della cattedrale cara a Victor Hugo e ad Ernest Hemingway. Fiamme sulle chiese, pestilenza nelle città. Che sia l’inizio dell’Apocalisse?
Se davvero si sia trattato o no, a Nantes, di un incendio doloso, forse non lo sapremo mai. O forse salterà prima o poi fuori un responsabile esecutivo, vero o presunto. Gli autentici mandanti, pur ammesso che ve ne siano, probabilmente non li conosceremo mai. E tantomeno le ragioni – o dovremmo dire le “sragioni” – dell’insano gesto. Protesta? Intimidazione? Ricatto? Fanatismo religioso o antireligioso?
E se fosse il gesto di un frustrato e annoiato al limite del “sublime della banalità”? Ne ha parlato anche Jean Paul Sartre, ne Il muro.
Duemilatrecentosettantasei anni fa, più o meno oggi – era un 21 luglio –, tal Erostrato dette fuoco al tempio di Artemide in Efeso. Era un vanitoso perseguitato dalla sua pochezza, un anonimo che si chiedeva assicurare il suo nome alla posterità ma era ben conscio del suo non esser Nessuno. Allora ricorse a un incendio sacrilego: e ce la fece. Quanti nipotini di Erostrato vagolano per le strade e i vicoli della Megalopoli del ventunesimo secolo?
Ma, quanto a me, sia chiaro che non voglio né provocare né indignare e tanto meno scandalizzare nessuno. Parlo sul serio: ascoltatemi bene, senza fraintendere.
La cattedrale di Nantes è bruciata. Non credo e voglio sperare che non vi siano state vittime e che i danni siano lievi. Certo, è stata comunque una tragedia; i restauri saranno lunghi e costosi. Abbiamo imparato da quel ch’è successo a Parigi il 15 aprile dell’anno scorso che queste cose sono tutt’altro che indolori.
Ma in realtà e in sostanza, dobbiamo dirlo alto e forte e chiaro. Sia resa lode a Dio. Non solo per ringraziarLo perché tutto poteva andare molto peggio, ma anche e soprattutto per quel che è successo subito dopo e sta accadendo ancora.
L’avevamo già provata, questa sensazione confortante e quasi esaltante, all’indomani del rogo di Notre-Dame di Parigi. Il 18 luglio la cattedrale dei Santi Pietro e Paolo di Nantes ha ripetuto il miracolo; del resto, per tutt’altra ragione, avevamo provato qualcosa di analogo quando magicamente tutti gli occhi del mondo si sono puntati su Santa Sofia d’Istanbul che – dopo essere stata nove secoli cristiana di rito greco, un po’ meno di un secolo (fra 1204 e 1261) cristiana di rito latino, poi di nuovo cristiana greca un paio di secoli, quindi moschea per mezzo millennio, poi ancora museo per una novantina di anni – ci ha comunque ricordato che, in un modo o nell’altro, essa è casa di Dio e della preghiera; e che in questo mondo che, “secolarizzato”, sembra aver finito col perdere ogni senso identitario, c’è sempre prima o poi una dimora divina che ci ricorda chi siamo.
Ma, quanto a me, sia chiaro che non voglio né provocare né indignare e tanto meno scandalizzare nessuno. Parlo sul serio: ascoltatemi bene, senza fraintendere.
La cattedrale di Nantes è bruciata. Non credo e voglio sperare che non vi siano state vittime e che i danni siano lievi. Certo, è stata comunque una tragedia; i restauri saranno lunghi e costosi. Abbiamo imparato da quel ch’è successo a Parigi il 15 aprile dell’anno scorso che queste cose sono tutt’altro che indolori.
Ma in realtà e in sostanza, dobbiamo dirlo alto e forte e chiaro. Sia resa lode a Dio. Non solo per ringraziarLo perché tutto poteva andare molto peggio, ma anche e soprattutto per quel che è successo subito dopo e sta accadendo ancora.
L’avevamo già provata, questa sensazione confortante e quasi esaltante, all’indomani del rogo di Notre-Dame di Parigi. Il 18 luglio la cattedrale dei Santi Pietro e Paolo di Nantes ha ripetuto il miracolo; del resto, per tutt’altra ragione, avevamo provato qualcosa di analogo quando magicamente tutti gli occhi del mondo si sono puntati su Santa Sofia d’Istanbul che – dopo essere stata nove secoli cristiana di rito greco, un po’ meno di un secolo (fra 1204 e 1261) cristiana di rito latino, poi di nuovo cristiana greca un paio di secoli, quindi moschea per mezzo millennio, poi ancora museo per una novantina di anni – ci ha comunque ricordato che, in un modo o nell’altro, essa è casa di Dio e della preghiera; e che in questo mondo che, “secolarizzato”, sembra aver finito col perdere ogni senso identitario, c’è sempre prima o poi una dimora divina che ci ricorda chi siamo.
Una chiesa, una cattedrale: non un palazzo del potere, non la Borsa di Wall Street, non un parlamento, non una banca, non una fabbrica, non una stazione, non un aeroporto, non uno stadio, non caserma, non una clinica. Noi possiamo esserci anche “laicizzati” e magari perfino ateizzati: ma a ricordarci chi e che cosa siamo nel profondo riemerge sempre, prima o poi, una domuns orationis.
Non sappiamo chi e per quale motivo o per quale aberrazione abbia appiccato il fuoco alla cattedrale di Nantes. Se c’è un responsabile, e non ci spiegherà il motivo del suo gesto, esso resterà inesplicabile e quindi inutile. Se ce lo spiegherà, esso si proporrà dinanzi a noi in tutta la sua insignificante pochezza. Il piromane ha già perduto; l’incendiario si è incenerito dinanzi alla storia ben prima dell’edificio che avrebbe voluto distruggere.
Ma noi, dinanzi a quel rogo, abbiamo capito che senza cattedrali non si vive. E ci siamo gettati a capofitto nell’inebriante, costosissima avventura dell’immediata restaurazione, anche se in realtà ci vorranno anni. Perché? Perché ci siamo d’un lampo resi conto di che cosa sono le cattedrali e di quanto e fino a che punto siamo legati a coloro che le hanno edificate. Ci siamo resi conto del senso profondo di un’opera ciclopica. La cattedrale è un monumento alla follia: non a quella banale e insignificante di chi si è illuso di distruggerla, ma a quella santa e sublime di coloro che, edificandola, hanno inteso fondare un luogo calcolato esattamente perché, nei giorni di grande solennità, tutto il popolo di una città potesse trovarvi posto. Questo era il senso della cattedra episcopale, dalla quale il vescovo era chiamato a svolgere il suo còmpito di Padre, di Maestro e di Pastore. Questo era il senso delle dedicazioni che, nelle cattedrali, erano sempre non solo ai patroni ma anche, insieme, alla Vergine Maria come simbolo sacro e unitario della Chiesa.
In questi anni di disorientamento, sembra che l’Europa stia svanendo. Le istituzioni dell’Unione che ha ben due capitali, fra Bruxelles e Strasburgo, non ci convincono e l’idea di esserne cittadini – dopo essere stata un sogno per qualche generazione, compresa la mia – non riesce purtroppo più a entusiasmarci. Ma quando l’Europa era un giovane sogno di primavera, fra XI e XV secolo, il suo simbolo identitario era duplice: la cattedrale e l’università, lo spirito e lo studio, la fede e il sapere. Per decenni e decenni abbiamo inseguito l’esangue fantasia di un debole fantasma, l’Europa dei litigi inutili e dei conti che non tornano, l’Europa che si lascia calpestare dagli eserciti stranieri guardando da un’altra parte e non riesce mai a dire una parola concorde sui temi che contano.
Poi succede un fatto inaudito e incomprensibile. Brucia una cattedrale. Perché? Forse nessuno ce lo spiegherà mai. Noi però ci svegliamo dal nostro insano dormiveglia e ci accorgiamo che quelle pietre, che quelle guglie, che quegli archi siamo noi: è il nostro passato, il nostro linguaggio, la nostra forza, la nostra gloria.
Diciamo la verità. I bislacchi motivi d’un gesto del genere, se è stato doloso e premeditato, possono anche incuriosire qualcuno: ma appartengono a quel genere di gesti che, in realtà, finiscono sempre con il sottolineare la ridicola pochezza di chi li commette. Non sono interessanti.
Non sappiamo chi e per quale motivo o per quale aberrazione abbia appiccato il fuoco alla cattedrale di Nantes. Se c’è un responsabile, e non ci spiegherà il motivo del suo gesto, esso resterà inesplicabile e quindi inutile. Se ce lo spiegherà, esso si proporrà dinanzi a noi in tutta la sua insignificante pochezza. Il piromane ha già perduto; l’incendiario si è incenerito dinanzi alla storia ben prima dell’edificio che avrebbe voluto distruggere.
Ma noi, dinanzi a quel rogo, abbiamo capito che senza cattedrali non si vive. E ci siamo gettati a capofitto nell’inebriante, costosissima avventura dell’immediata restaurazione, anche se in realtà ci vorranno anni. Perché? Perché ci siamo d’un lampo resi conto di che cosa sono le cattedrali e di quanto e fino a che punto siamo legati a coloro che le hanno edificate. Ci siamo resi conto del senso profondo di un’opera ciclopica. La cattedrale è un monumento alla follia: non a quella banale e insignificante di chi si è illuso di distruggerla, ma a quella santa e sublime di coloro che, edificandola, hanno inteso fondare un luogo calcolato esattamente perché, nei giorni di grande solennità, tutto il popolo di una città potesse trovarvi posto. Questo era il senso della cattedra episcopale, dalla quale il vescovo era chiamato a svolgere il suo còmpito di Padre, di Maestro e di Pastore. Questo era il senso delle dedicazioni che, nelle cattedrali, erano sempre non solo ai patroni ma anche, insieme, alla Vergine Maria come simbolo sacro e unitario della Chiesa.
In questi anni di disorientamento, sembra che l’Europa stia svanendo. Le istituzioni dell’Unione che ha ben due capitali, fra Bruxelles e Strasburgo, non ci convincono e l’idea di esserne cittadini – dopo essere stata un sogno per qualche generazione, compresa la mia – non riesce purtroppo più a entusiasmarci. Ma quando l’Europa era un giovane sogno di primavera, fra XI e XV secolo, il suo simbolo identitario era duplice: la cattedrale e l’università, lo spirito e lo studio, la fede e il sapere. Per decenni e decenni abbiamo inseguito l’esangue fantasia di un debole fantasma, l’Europa dei litigi inutili e dei conti che non tornano, l’Europa che si lascia calpestare dagli eserciti stranieri guardando da un’altra parte e non riesce mai a dire una parola concorde sui temi che contano.
Poi succede un fatto inaudito e incomprensibile. Brucia una cattedrale. Perché? Forse nessuno ce lo spiegherà mai. Noi però ci svegliamo dal nostro insano dormiveglia e ci accorgiamo che quelle pietre, che quelle guglie, che quegli archi siamo noi: è il nostro passato, il nostro linguaggio, la nostra forza, la nostra gloria.
Diciamo la verità. I bislacchi motivi d’un gesto del genere, se è stato doloso e premeditato, possono anche incuriosire qualcuno: ma appartengono a quel genere di gesti che, in realtà, finiscono sempre con il sottolineare la ridicola pochezza di chi li commette. Non sono interessanti.
Invece qualche altra cosa c’interessa moltissimo. Al di là del comprensibile scalpore e della ridda delle ipotesi mediatiche – taluna di sconsolante imbecillità –, avete notato il rinascere dell’interesse intorno a qualcosa che quasi tutti noi pensavano di aver dimenticato e credevano irrilevante? Si è scoperto che la cattedrale dei Santi Pietro e Paolo di Nantes fu il prodotto di un gotico ormai maturo, arrivato quasi alla fine della sua parabola. Il duca di Bretagna che edificò il castello a difesa del porto nel 1466, ne affidò il disegno a un architetto ben noto, Mathelin Rodier, che ben da trentadue anni dirigeva i lavori della cattedrale edificata in stile gotico “internazionale”. Ma i cantieri, al pari di quelli del duomo di Colonia in Germania, rimasero aperti ben quattro secoli: e quando si conclusero, nell’Ottocento, il gotico (divenuto “neogotico”) era tornato di moda in tutta Europa. Ci siamo stupiti tutti del candore abbagliante di quella chiesa (che, intendiamoci, è stata restaurata e ripulita di recente). Qualcuno ha ricordato quell’espressione di un cronista dell’XI secolo, Rodolfo il Glabro, che ricordava il “candore delle cattedrali” del suo tempo: un’espressione che tanto piaceva a Georges Duby, il quale però ricordava ch’essa non era poi così vera in quanto nel pieno medioevo le chiese venivano dipinte di dentro e di fuori a colori vivacissimi. Come facevano del resto gli antichi greci e gli antichi romani. Il candore immacolato del marmo è una passione settecentesco-illuministico-neoclassica. Quello della cattedrale di Nantes è bel tufo di Bretagna, candido anch’esso. Com’è bianco il calcare di Parigi e anche quello della “pietra di Giudea” di cui è costruita Gerusalemme.
Riscoprire queste cose significa riscoprire sul serio le nostre autentiche, profonde radici. Forse chi voleva distruggere quella cattedrale col fuoco voleva propri colpirle, quelle ardici, e distruggerle. Si era dimenticato che il fuoco diventa cenere. E che la cenere è un ottimo fertilizzante.
La cattedrale di Nantes rinascerà più bella, come sta rinascendo più bella Notre-Dame di Parigi. Se assicureremo alla giustizia il piromane, tanto meglio: ma egli non c’interessa. C’interessa tornar a godere di quelle guglie, c’interessa tornar a pregare sotto quelle altissime volte: e là riscoprire noi stessi. Gloria a Dio nell’Alto dei Cieli e, sulla terra, pace agli uomini che non temono le fiamme.
di Franco Cardini
Francia, il cristianesimo sotto assedio
Nantes, Francia, sabato 18 luglio. Sono quasi le 8 del mattino quando si diffonde la notizia che è scoppiato un incendio all’interno della cattedrale dei Santi Pietro e Paolo, l’edificio-simbolo di questa piccola città della Loira ed uno dei massimi capolavori dell’architettura gotica francese. Le fiamme sono così violente che per domarle ed evitare che avvolgessero l’intera struttura si è reso necessario l’intervento di una maxi-squadra composta da cento vigili del fuoco, che è durato diverse ore.
La comparsa improvvisa delle fiamme e la sensazione che non si trattasse di un incendio uniforme, ovvero che non avesse un unico punto di origine, hanno contribuito sin dai primi momenti ad alimentare i dubbi sulla sua reale natura. Una volta estinto il rogo, gli inquirenti sono entrati nell’edificio e hanno fatto la macabra scoperta: erano presenti tre inneschi.
L’incendio di Nantes: che cosa sappiamo
Il dipartimento dei vigili del fuoco di Nantes è stato avvisato dell’incendio poco prima delle 8 di mattina e ha rapidamente mobilitato sul posto una squadra di cento pompieri. Nonostante l’impiego immediato e massiccio di personale e di acqua, per contenere l’incendio sono state necessarie più di due ore, durante le quali si è temuto il peggio, ossia che la struttura potesse cedere.
I vigili del fuoco sono poi entrati nella cattedrale alla ricerca di indizi sulle origini del rogo e i dubbi si sono trasformati in certezze: tre inneschi sono stati ritrovati ai lati della navata centrale e nei pressi del grande organo che, naturalmente e conseguentemente, sono anche le parti che sono state maggiormente danneggiate e compromesse. La navata è in pessime condizioni, mentre il grande organo e la piattaforma che lo circonda sembrano essere in procinto di cedere da un momento all’altro.
Alla luce del ritrovamento degli inneschi, la Procura della Repubblica ha annunciato l’apertura di un fascicolo per incendio doloso a carico di ignoti. Negli stessi momenti, il presidente francese Emmanuel Macron affidava a Twitter il proprio cordoglio: “Dopo Notre Dame, brucia un altro gioiello”. In effetti, la cattedrale di Nantes è un vero e proprio gioiello artistico ed architettonico la cui costruzione è durata ben 457 anni, dal 1434 al 1891; prova eloquente della cura, dell’impegno e della mania perfezionista che hanno caratterizzato ed accompagnato la lunga nascita dell’edificio.
Non è la prima volta, comunque, che un luogo di culto cattolico nantese viene avvolto dalle fiamme. Nel 2015 era stato il turno della basilica dei Santi Donaziano e Rogaziano, anch’essa vittima di un incendio scoppiato curiosamente sempre alle 8 del mattino, che da allora è chiusa al pubblico per via dei lavori di restauro.
Lo strano caso delle chiese bruciate
Le immagini provenienti da Nantes hanno riportato la mente del pubblico al 15 aprile 2019, il giorno in cui un incendio apparentemente accidentale, ma le cui cause non sono mai state chiarite, ha distrutto la cattedrale di Notre Dame di Parigi; uno dei luoghi-simbolo della Francia e dell’intera cristianità.
Ma che si tratti un rogo doloso, appiccato in odio alla fede (in odium fidei), oppure accidentale, causato dalla carenza di manutenzione e/o dallo stato di abbandono e degrado, vi è un filo conduttore che lega e spiega gli eventi di Nantes e Parigi: il declino del cristianesimo.
Le chiese in funzione hanno difficoltà a restare in funzione per via della carenza di fedeli, e quindi di donazioni che mantengano in piedi la vita comunitaria e rendano possibile lavori di ristrutturazione e servizi caritatevoli, ed affrontano anche la crescente minaccia rappresentata da crimini d’odio che, nella maggior parte dei casi, restano insoluti, senza un colpevole.
La cattedrale dei Santi Pietro e Paolo è soltanto l’ultima vittima di una lunga scia di attacchi perpetrati nei confronti dei luoghi di culto e dei simboli del cattolicesimo. I roghi di chiese sono ormai una realtà con cui la Francia ha a che fare da diversi anni e, sebbene abbiano registrato un vero e proprio picco nei tempi recenti, le autorità continuano a trascurare la gravità e la portata del fenomeno.
All’indomani dell’incendio di Notre Dame di Parigi, France24 ha indagato sullo strano caso delle chiese francesi date alle fiamme, scoprendo come nei dieci mesi precedenti a quel fatale 15 aprile almeno quattro luoghi di culto cattolici fossero stati colpiti da roghi dolosi: la chiesa di Nostra Signora delle Grazie di Revel, la chiesa di Saint-Jean-du-Bruel di Rodez, la cattedrale di Saint Alain di Lavaur, e la chiesa di Saint Sulpice di Parigi.
Nello stesso periodo preso in considerazione, altre chiese erano state vittime di “strani incidenti”, a volte imputati a dei corto circuiti, come nel caso delle chiese di Villeneuve d’Amont nel Doubs, di Sainte-Thérèse a Rennes e di Saint-Jacques a Grenoble, ed altre volte rimasti senza spiegazione, come nel caso della chiesa di Angoulême, vittima di un rogo il 13 gennaio 2019.
Infine, è degna di nota l’epidemia di vandalismi che ha fatto da preludio a Notre Dame. Nella prima settimana di febbraio, più precisamente dal 3 al 10, cinque chiese erano state assaltate da ignoti in diverse parti del paese: i loro interni erano stati danneggiati e l’oggettistica sacra era stata profanata. Tutto questo accadeva sullo sfondo del fenomeno suscritto degli strani corto circuiti e degli incendi dall’innegabile dolosità.
Profanazioni e vandalismi
Le forze anonime che stanno muovendo guerra alla realtà cristiana di Francia non si stanno limitando al rogo delle chiese; il fenomeno è molto più esteso e multidimensionale.
Ad esempio, fra il 2015 ed il 2019 lungo i Pirenei si è verificata un’ondata di attacchi, compiuti da ignoti che non sono mai stati identificati, contro le croci installate sulle sommità delle montagne. Il costo di riparazione delle croci danneggiate, e della loro sostituzione quando rubate, ad un certo punto è stato ritenuto eccessivo, anche alla luce del costante aumento dei vandalismi. Infatti, in quei quattro anni erano state vandalizzate e rubate più croci di quante il Consiglio Dipartimentale dei Pirenei orientali fosse stato in grado di aggiustare e rimpiazzare; perciò nel settembre del 2019 le autorità hanno deciso di arrendersi, comunicando che sulle vette non sarebbero state installate nuove croci, né riparate in caso di danneggiamento, e che quelle ancora intatte e presenti sarebbero state abbandonate al loro destino.
Vi è, poi, il capitolo delle profanazioni di matrice politica e religiosa. Nel primo caso si tratta delle sempre più frequenti irruzioni, a scopo vandalico, nei luoghi di culto ad opera di attivisti appartenenti al mondo anarchico e del femminismo radicale; nel secondo caso si tratta di episodi riconducibili a gruppi satanisti che dissacrano sia le chiese che i cimiteri per compiere rituali e rubare oggettistica sacra. Secondo il giornale Libération, il 60% delle profanazioni è attribuibile al mondo dell’estrema sinistra, del neonazismo e del satanismo.
La culla dell’anti-cristianesimo in Europa
I numeri forniti dalla polizia francese dipingono una realtà estremamente cupa. Fra il 2008 e il 2019 gli attacchi anti-cristiani sono quadruplicati ed ogni anno viene stabilito un nuovo record. Ad esempio, fra il 2018 e il 2019 il numero delle azioni anti-cristiane è cresciuto da 877 a 1.052. La portata del fenomeno, che è già di per sé esteso e preoccupante, assume una rilevanza ancora maggiore quando si procede ad una comparazione con il resto dell’Europa.
È in Francia, infatti, che avviene il maggior numero degli attacchi anti-cristiani che hanno annualmente luogo nel Vecchio Continente. L’anno scorso, in tutta Europa sono stati commessi circa 3mila attacchi anticristiani, dei quali, come già scritto, 1.052 sono avvenuti nella sola Francia. Questo significa che, numeri alla mano, nel paese si consuma un terzo di tutti gli attacchi anticristiani del continente.
Sarebbe sbagliato, però, credere che l’ondata di anti-cristianesimo che sta travolgendo le strade francesi sia interamente imputabile all’islam radicale. L’indagine di Libération, ad esempio, ha contribuito a ricostruire il fenomeno nella sua complessità, mostrando come la galassia degli attori coinvolti in questi gesti sia molto variegata ed eterogenea.
La consapevolezza di un accerchiamento multi-fronte dovrebbe spingere la comunità cattolica ad organizzare una controffensiva, soprattutto sul piano culturale, mentre le autorità dovrebbero investire maggiori risorse nel tracciamento e nel successivo perseguimento penale degli autori di roghi e profanazioni; altrimenti l’impassibilità dei primi (i fedeli) e la negligenza dei secondi (gli inquirenti) non potranno che esacerbare ed accelerare questa campagna di scristianizzazione coercitiva e violenta.
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