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lunedì 20 luglio 2020

Il fronte della banalità

Un vescovo e teologo rompe il silenzio contro le “banalità” di Viganò e soci


“Di fronte a molte banalità che circolano, l’onestà intellettuale del cardinale Walter Brandmüller introduce un criterio di storicità che vale per tutti i Concili e ancor di più per il Vaticano II”.
Questo scrive l’autorevole teologo e vescovo Franco Giulio Brambilla nella lettera riprodotta più sotto.

Il riferimento è al confronto offerto pochi giorni fa da Settimo Cielo tra il temerario attacco al Concilio Vaticano II lanciato in queste settimane dall’arcivescovo Carlo Maria Viganò da un lato, e dall’altro lato la “lectio magistralis” del cardinale Brandmüller sulla corretta interpretazione teologica e storica di questo e degli altri Concili:
Brambilla, 71 anni, nato e cresciuto nell’arcidiocesi di Milano, è dal 2011 vescovo di Novara e dal 2015 vicepresidente della conferenza episcopale italiana, oltre che eletto nel 2017 nella terna proposta al papa per la presidenza della stessa.
Ma è anche teologo di primissimo piano. Ha insegnato cristologia e antropologia teologica alla facoltà teologica di Milano e ne è stato preside dal 2006 al 2012. È figlio di quella grande scuola teologica milanese che ha avuto tra i suoi maestri, nella sua stagione d’oro, Carlo Colombo, il teologo più vicino a Paolo VI durante e dopo il Concilio, Giuseppe Colombo e Giacomo Biffi, poi arcivescovo di Bologna e cardinale.
Tra i teologi del Novecento da lui più studiati vi sono Edward Schillebeeckx, Karl Rahner e Hans Urs von Balthasar, non certo classificabili fra i tradizionalisti, dai quali anche lui è sempre stato lontano. Un motivo in più per cogliere la serietà del suo apprezzamento delle argomentazioni del cardinale “conservatore” Brandmüller riguardo al Concilio Vaticano II, a fronte delle “molte banalità” oggi in circolazione.
Alla lettera, Brambilla ha allegato un suo saggio del 2013 che tratta proprio dell’interpretazione del Concilio Vaticano II.
Il saggio è troppo lungo e specialistico per essere qui riprodotto per intero. Muove dalla premessa che anche per i Concili cristologici dei primi secoli è sempre stato necessario coniugare l’interpretazione teologica del dogma con la ricostruzione del contesto storico. E altrettanto deve essere fatto per il Vaticano II. La sua interpretazione teologica “deve fare i conti con la storia che lo precede, lo accompagna e lo segue”.
Dopo di che il saggio analizza criticamente le principali operazioni interpretative del Vaticano II prodotte in questi decenni, da quella della “scuola di Bologna” diretta da Giuseppe Alberigo sul Concilio come “evento”, a quella dell’università di Tubinga diretta da Peter Hünermann e B.J. Hilberath sul Concilio come atto “costituzionale”, a quella infine del gesuita francese Christoph Theobald sul Concilio come magistero “pastorale”. Ed è proprio nel “principio di pastoralità” rettamente inteso che Franco Giulio Brambilla individua l’architettura originale del Vaticano II e la sua eredità per la Chiesa di oggi e di domani.
Di questo saggio, Settimo Cielo si limita a pubblicare un breve estratto, nel quale l’autore rimanda al discorso capitale di Benedetto XVI del 22 dicembre 2005, con la proposta di un’ermeneutica “della riforma” come mediazione tra le due ermeneutiche del Concilio in conflitto in quegli anni, quella della “discontinuità” e quella della “continuità”.
Ecco dunque qui di seguito la lettera e l’estratto.
*
1. LA LETTERA DI FRANCO GIULIO BRAMBILLA
Caro Sandro Magister,
siccome vedo che sul suo blog Settimo Cielo sta introducendo distinzioni molto importanti e opportune sul Vaticano II, mi è caro inviarle questo contributo sull’ermeneutica del Vaticano II (pur non adatto alla pubblicazione integrale perché troppo lungo e teoretico), che forse è il mio canto del cigno teologico. Un contributo scritto nel passaggio di pontificato da Benedetto XVI a papa Francesco.
Di fronte a molte banalità che circolano, l’onestà intellettuale del cardinale Walter Brandmüller introduce un criterio di storicità che vale per tutti i Concili e ancor di più per il Vaticano II.
Un Concilio, infatti, esprime un discernimento autorevole (dogmatico e/o pastorale) su una negazione dottrinale e/o una questione pastorale (vedi libertà religiosa ed ecumenismo) che va ricostruita per leggere e interpretare in modo corretto il senso autentico dell’intervento conciliare.
Basta leggere e confrontare due o tre commenti scritti senza preclusioni ideologiche per sapere qual è l’autentico tenore del testo conciliare.
La abbraccio e saluto cordialmente. Grazie!
Franco Giulio Brambilla
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2. UN ESTRATTO DAL SUO SAGGIO SUL CONCILIO
(Da: “L’interpretazione teologica del Vaticano II. Categorie, orientamenti, questioni”, in “Il Concilio e Paolo VI. A cinquant’anni dal Vaticano II”, XII Colloquio Internazionale di Studio, Concesio, Brescia, 27-29 settembre 2013, a cura di E. Rosanna, Istituto Paolo VI-Studium, Brescia-Roma, 2016, pp. 148-179).
La ricezione del Concilio Vaticano II e la sua eredità
di Franco Giulio Brambilla
[…] La terza tappa della ricezione del Concilio Vaticano II è dominata dal conflitto delle interpretazioni, dal 2000 fino ai nostri giorni.
Essa suppone a mio avviso alcuni elementi di novità di carattere diverso, di cui il più decisivo è il venir meno della generazione che ha fatto il Concilio. Gli attori del Vaticano II scompaiono: la nuova generazione di vescovi e di teologi non è stata impegnata nel dibattito conciliare e non è segnata allo stesso modo da quell’evento; lo riceve attraverso i suoi documenti, le realizzazioni istituzionali e le pratiche effettive.
Per questa generazione il Vaticano II è accessibile solo attraverso un gesto di “memoria critica”: essa è possibile come un’operazione che ricupera l’intenzione pastorale e pratica dell’evento conciliare mediante la valutazione delle sue ricezioni e attuazioni; non si dà più un rapporto diretto con l’evento conciliare e i suoi documenti, ma esso è mediato da una situazione inedita, segnata dalla secolarizzazione, dal multiculturalismo, e del pluralismo religioso.
Tale situazione propone prepotentemente il problema dell’identità cristiana e quindi del legame con la tradizione. Si è passati da una tradizione postridentina (nell’ultima versione neoscolastica), dalla quale la prima generazione postconciliare ha tentato di affrancarsi interpretando il Concilio come una “liberatoria” per tale superamento, al bisogno di una tradizione “identitaria”, di cui la nuova generazione fatica però a identificare i tratti qualificanti, e in ogni caso cavalca il “ritorno del sacro”, delle forme che sembravano imprudentemente liquidate da una pratica liturgica spregiudicata, dall’esigenza di una continuità con la coscienza cristiana di sempre.
In questa fase, si colloca il generoso tentativo di Benedetto XVI, che affonda le sue radici già nell’ultima fase del pontificato di Giovanni Paolo II (del quale è stato consigliere teologico di primo piano), che ha operato su due leve: il discernimento del lascito del Vaticano II, proponendo un’”ermeneutica della riforma”, al di là della contrapposizione tra discontinuità e continuità; e il rapporto critico con la modernità, con il manifesto del suo pontificato proposto nell’enciclica “Deus caritas est” e nel discorso di Ratisbona.
La sua proposta potrebbe essere formulata in sintesi così: l’identità cristiana porta con sé le ragioni della sua rilevanza ed esige, dunque, un rapporto con la ragione moderna, affrancata dalla sua angustia razionalista e antitradizionale. Tentativo ardito che si colloca proprio sul crinale di un passaggio, iscritto per così dire nella venerabile figura di quel papa: di essere l’ultimo testimone dell’evento del Concilio (per quanto in veste di perito) e il primo pontefice che deve farsi carico della trasmissione del Vaticano II alla nuova generazione.
Per questa il Concilio è un momento della storia, è già un’eredità che impone il compito di essere raccolta. In ogni caso l’intervento papale del 2005 ha prodotto indirettamente una concentrazione benefica di studi sul Vaticano II, che ci consente di operare il passaggio ad una nuova fase della ricezione e dell’ermeneutica teologica che ha bisogno forse di una nuova denominazione.
La nuova fase può, dunque, definire un tempo nuovo che si apre davanti a noi. Il tempo in cui il Concilio deve essere trasmesso alla seconda generazione postconciliare: quella che non è vissuta nel cono di luce del Vaticano II, ma che è nata in un mondo secolarizzato, senza segni identitari e che perciò fatica a sentirlo come un punto di partenza promettente. […]
Di fatto questo è il contributo degli interventi più significativi di questo ultimo decennio, prima durante e dopo l’intervento di papa Benedetto nel 2005.
Potremmo delineare il tema dell’eredità in tre mosse:
a) il Vaticano II come stile: riprendere il modo originale dei padri conciliari (che gli studi storici ci hanno fatto conoscere) di porre i problemi con il metodo e le risorse che essi hanno messo in opera per prospettare una risposta alle sfide del loro tempo nella interazione tra soggetti, “corpus” testuale e nuovi lettori;
b) il principio di pastoralità: far emergere l’originalità del Vaticano II, le sue idee creative e le sue intuizioni basilari sia sul versante metodologico che contenutistico;
c) il futuro del Concilio: ritrovare lo stato d’invenzione che ha caratterizzato quella svolta epocale e che ha bisogno oggi, all’inizio del terzo millennio, di una ripresa creativa e di una nuova pragmatica ecclesiale.
Con queste tre mosse avviene il passaggio dall’interpretazione teologica del Vaticano II al Concilio come ermeneutica del futuro dell’annuncio cristiano per la Chiesa del XXI secolo. […]
Settimo Cielo
di Sandro Magister 20 lug

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