Il multilateralismo diplomatico non è in discussione, dunque Jorge Mario Bergoglio non terrà alcun summit con il segretario di Stato americano Mike Pompeo, che in questi giorni si trova a Roma. La notizia del mancato incontro tra le due autorità potrebbe essere interpretata così: sulla base delle opposte posizione geopolitiche. La gestione Trump è jnfatti, al contrario dei sacri palazzi, centrata sul bilateralismo geopolitico. Oppure, in maniera più verosimile e pragmatica, si può constatare come dal Vaticano abbiano fatto sapere che papa Francesco non usa esporsi a ridosso di elezioni, ricevendo personalità di un certo calibro.
E Mike Pompeo sarà giocoforza uno dei protagonisti della turnata per il rinnovo del mandato presidenziale alla Casa Bianca. Gli americani si esprimeranno nella seconda metà di novembre. Un appuntamento troppo a ridosso, stando magari ai costumi del vescovo di Roma, affinché un’udienza svoltasi in ottobre non venga strumentalizzata.
E Mike Pompeo sarà giocoforza uno dei protagonisti della turnata per il rinnovo del mandato presidenziale alla Casa Bianca. Gli americani si esprimeranno nella seconda metà di novembre. Un appuntamento troppo a ridosso, stando magari ai costumi del vescovo di Roma, affinché un’udienza svoltasi in ottobre non venga strumentalizzata.
La settimana scorsa Mike Pompeo ha tuonato in direzione di piazza San Pietro, domandando al Vaticano di evitare il rinnovo di un accordo con la Repubblica popolare cinese. Si tratta di quel patto, mai pubblicato nei suoi contenuti, che consente al Santo Padre di nominare nuovi vescovi e d’istituire nuove diocesi sul territorio del “dragone”. I tradizionalisti sono contrari, perché pensano che la Santa Sede abbia in sostanza ceduto alle richieste di Xi Jinping e dei suoi. Non solo: i tradizionalisti sostengono pure che in Cina, dalla firma di quell’accordo in poi, le cose non siano affatto migliorate per i cattolici. Comunque sia, le parti si erano date due anni per verificare la bontà dell’accordo, ma la pandemia da Covid-19 ha sostanzialmente impedito alla Cina ed al Vaticano di constatare se e come le novità abbiano funzionato. Il Papa – questo è noto a prescindere dalla mancata pubblicazione degli oggetti dell’accordo – è stato riconosciuto come legittima autorità religiosa dal governo di Pechino. Sempre Bergoglio, poco prima che scoppiasse la pandemia, aveva manifestato il desiderio di recarsi in visita in Cina: sarebbe la prima volta in assoluto di un Papa. Un viaggio che l’ex arcivescovo di Buenos Aires, considerato il blocco biennale dovuto sempre alla diffusione del nuovo coronavirus, non dovrebbe compiere entro il 2021.
Ci sarà invece – come confermato dall’Agenzia Nova – l’incontro tra il segretario di Stato Mike Pompeo ed il “ministro degli Esteri” della Santa Sede, ossia il segretario di Stato e cardinale Pietro Parolin. Il vero teorico del multilateralismo diplomatico avrà dunque modo di chiarire con l’omologo americano le ragioni dell’accordo stipulato dal Vaticano. Pompeo, quando ha espresso ferma contrarietà al rinnovo dell’accordo, ha accusato il Vaticano di essere in procinto di perdere “l’autorità morale”. Una posizione che non è sfuggita ai media internazionali. Ma a Roma non c’è soltanto Pompeo. In questi giorni, è arrivato anche il cardinale Zen, ex arcivescovo di Hong Kong. Zen, tra gli ecclesiastici conservatori, è quello che si è espresso in maniera più scandalizzata rispetto al patto tra Cina e Vaticano. Stando a quanto apprendiamo da fonti riconducibili al “fronte conservatore”, sembra che Bergoglio abbia declinato la richiesta di Zen, che avrebbe voluto incontrare il pontefice argentino per parlare proprio dei rapporti con Pechino. Anzi, Zen sarebbe giunto a Roma proprio per chiedere al pontefice di essere ricevuto.
Queste sono quindi ore calde per gli uffici diplomatici del Vaticano, che dal canto suo continua a rivendicare la storicità dei risultati raggiunti mediante l’accordo biennale. La sensazione è che si stia per procedere verso una sorta di rinnovo tacito. La direzione intrapresa da Bergoglio e Parolin non subirà modifiche di sorta: non sono previsti cambi di passo o di posizione. Ma il fatto che Bergoglio non abbia voluto o potuto incontrare Pompeo fornirà certamente un assist per chi crede che le relazioni tra Donald Trump ed il vertice universale della Chiesa cattolica non siano positive.
Alla vigilia del rinnovo dell'accordo "segreto" tra Cina e Vaticano, il cardinale Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong, è stato quattro giorni a Roma nella speranza di poter incontrare il Papa per spiegargli le situazioni di Hong Kong e della Chiesa in Cina. Ma da Santa Marta non è mai venuta alcuna risposta. E alla Nuova Bussola Quotidiana dice: «Sono venuto per scongiurare la nomina di un vescovo filo-regime cinese a Hong Kong, sarebbe un disastro per i prossimi decenni». E sull'accordo con la Cina afferma: «Pensare di fare accordi con Pechino è folle. È come con il diavolo, non puoi dialogarci, o di qua o di là».
Un cardinale 88enne attraversa mezzo mondo per venire a Roma chiedendo di poter essere ricevuto dal Papa per una questione delicatissima, ma viene lasciato fuori della porta. È successo anche questo nella settimana in cui il Vaticano è stato sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo per il siluramento del cardinale Angelo Becciu. E, probabilmente, la vicenda che ha per protagonista il cardinale Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong, è anche più grave del caso Becciu, almeno per quanto riguarda la posta in gioco per la Chiesa.
Abbiamo incontrato il cardinale Zen a Roma sabato sera, quando ormai anche le ultime tenui speranze di una chiamata da Santa Marta erano svanite. Poche ore dopo si è imbarcato sull’aereo che lo ha riportato ad Hong Kong (da dove si collegherà sabato 3 ottobre in video conferenza per essere presente alla Giornata della Bussola). Cento ore gli erano state concesse in Italia, un permesso speciale per poter incontrare il Papa, e al ritorno nell’ex colonia britannica dovrà farsi l’ormai classico periodo di quarantena. Uno sforzo notevole, ma a casa torna con un pugno di mosche, il Papa non ha avuto tempo di riceverlo, lui è riuscito soltanto a consegnare una lettera a monsignor Gonzalo Aemilius, il segretario personale di papa Francesco.
Alla vigilia del rinnovo del tanto discusso accordo tra Santa Sede e Cina popolare sulla nomina dei vescovi, evidentemente nessuno deve disturbare il manovratore.
Ma non c’è solo la questione dell’accordo sino-vaticano sul tavolo: «Io sono venuto anzitutto per la diocesi di Hong Kong, per la nomina del nuovo vescovo», ci dice Zen. Potrebbe suonare strano mettere il problema della diocesi di Hong Kong davanti all’accordo per la Chiesa in Cina, ma la nomina del nuovo vescovo di Hong Kong sarà cruciale anche nel rapporto tra Cina e Santa Sede. «Sono preoccupato perché ci sono movimenti che fanno credere ci sia l’intenzione di scegliere padre Peter Choi. Sarebbe un disastro per la Chiesa di Hong Kong, un disastro di cui si pagherebbero le conseguenze per decenni». Il motivo è che mons. Choi è il nome gradito a Pechino.
Abbiamo raccontato lo scorso febbraio tutti i retroscena dietro la battaglia per la guida della diocesi di Hong Kong, che dal gennaio 2019 non ha un vescovo titolare. Sullo sfondo la prova di forza di Pechino per prendere il pieno controllo di Hong Kong malgrado l’accordo tra Cina e Regno Unito preveda l’autonomia del Territorio secondo il motto “Un Paese, due sistemi”; e l’accordo tra Cina e Santa Sede già menzionato. Ormai siamo a quasi due anni di stallo: inizialmente sembrava ovvia la nomina a vescovo dell’ausiliare Joseph Ha Chi-shing, ma il nome era fortemente sgradito a Pechino: ha dimostrato troppa simpatia per il movimento democratico che si ribella al colpo di mano del regime cinese.
La cosa rimane in sospeso finché nel febbraio scorso circola la notizia che la scelta sia ricaduta su uno dei quattro vicari della diocesi, monsignor Peter Choi Wai-man: nomina già fatta ma si aspetta per l’annuncio a causa del coronavirus. La sosta serve però alle autorità vaticane anche per rendersi conto che la nomina del filo-regime mons. Choi rischia di spaccare la Chiesa di Hong Kong. E il nome viene ritirato, ma per la nomina si cerca una terza figura.
A un certo punto, nei mesi scorsi, esce fuori il nome del vescovo di Macao, Stephen Lee Bun Sang, come probabile nomina. Ma anche questo nome tramonta. Ed ecco che ci sono segnali da Roma, per cui sembra certo il ritorno su monsignor Choi. Devono essere segnali ben forti e molto grande il pericolo di un vescovo come Choi, se il cardinale Zen, molto anziano e con problemi che gli rendono difficoltoso camminare, si è deciso a prendere un aereo e venire a Roma. È arrivato mercoledì, è riuscito a consegnare la lettera al segretario personale del Papa, e poi la lunga attesa, vana.
Se venisse nominato monsignor Choi - a parte la forte reazione che ci sarebbe nella maggioranza dei fedeli cattolici della diocesi - sarebbe la capitolazione definitiva della Chiesa davanti al potere politico cinese; significherebbe che l’accordo “segreto”, siglato due anni fa, in realtà dà mano libera al regine di Pechino. «Non bastano le buone intenzioni – dice il cardinale Zen -, bisogna capire le cose, bisogna conoscere i comunisti». Per questo voleva incontrare il Papa; spiegargli la situazione, appellarsi a lui perché scongiuri questo disastro per Hong Kong e per tutta la Chiesa. La nomina di un vescovo filo-regime, oltretutto in una diocesi che non rientra nel territorio a cui si applica l’accordo con la Cina, sarebbe un tragico segnale a tutto il mondo e anche ai fedeli cattolici.
Ma intanto si è rassegnati a vedere rinnovato l’accordo “segreto” tra Cina e Santa Sede: «A meno che prevalga l’ala sinistra del Partito comunista cinese - dice il cardinale Zen – che resta contraria a qualsiasi tipo di accordo: “Perché un accordo? Siamo noi che comandiamo e basta”, così ragionano». Ma è solo una differenza di strategia: «Il governo ha voluto che l’accordo rimanesse segreto, così possono imporre qualsiasi cosa dicendo che anche il Papa è d’accordo». Alla fine il risultato non cambia, decide il regime cinese e la Santa Sede è in silenzio.
«Non posso neanche giudicare l’accordo – prosegue Zen – perché non so cosa c’è scritto. Anche questo è incredibile: sono un cardinale cinese e non posso sapere che cosa la Santa Sede ha deciso per la Chiesa cinese». Ma in realtà quando si parla di accordo sino-vaticano, il cardinale Zen è un fiume in piena: «L’accordo riguarda la nomina dei vescovi: ebbene in due anni non c’è stata alcuna nomina nuova. In compenso, con il pretesto dell’accordo sono stati riconosciuti dalla Santa Sede sette vescovi scomunicati». Per non parlare dell’intensificarsi della persecuzione contro i cattolici, di cui abbiamo dato più volte conto: «È tornato il tempo delle catacombe», dice rassegnato Zen.
Quello del vescovo emerito di Hong Kong è un appello accorato, che vuole scongiurare una tragedia per la Chiesa intera: «Il comunismo non è eterno – dice ancora Zen – e quando cadrà si troverà che la Chiesa ha collaborato con questo regime disumano, non avrà più alcuna autorità morale». Non si possono fare accordi con questo regime: «Pensare di fare accordi con Pechino è folle. È come con il diavolo, non puoi dialogarci, o di qua o di là».
Le parole chiare del cardinale Zen risuonano forte e si deve sperare facciano breccia nelle stanze segrete di Santa Marta malgrado la porta sbattuta in faccia dal Papa al vescovo emerito di Hong Kong.
Riccardo Cascioli
https://lanuovabq.it/it/lultimo-appello-del-cardinale-zen-per-la-cina-e-hong-kong
“Pompeo ha ragione, la Cina viola i diritti umani”
(Gian Micalessin, Il Giornale – 25 settembre 2020) «Sono d’accordo con il segretario di Stato americano Mike Pompeo quando denuncia la violazione dei diritti umani in Cina. La situazione è veramente grave.
Le testimonianze che ricevo da tutte le province cinesi lo confermano. Sia i cattolici ufficiali, sia quelli sotterranei – non riconosciuti dal governo – parlano di situazione soffocante. La cacciata di sacerdoti dalle parrocchie è assai frequente e riguarda tutti i preti che rifiutano di firmare i documenti sul riconoscimento della cosiddetta chiesa indipendente. Quel termine nel linguaggio comunista significa non dipendente dal Vaticano, ma dipendente del Partito. Per questo chi non firma viene cacciato».
Su molti punti Padre Bernardo Cervellera, missionario del Pime e Direttore di Asia news, non esita a concordare con Mike Pompeo – il Segretario di Stato americano deciso ad approfittare della visita in Vaticano di martedì 29 settembre per convincere l’omologo monsignor Pietro Parolin a non rinnovare l’intesa segreta con Pechino sulla nomina dei vescovi firmata due anni fa. Quell’intesa a detta di Pompeo impedisce alla Chiesa di esercitare il «potere di testimonianza morale» che negli anni ’80 contribuì a metter fine al comunismo. «Su questo non sono d’accordo – obbietta Padre Cervellera a Il Giornale – e non solo perchè Papa Francesco gode di un’autorità morale altissima, ma perchè è mutata la situazione geopolitica. Negli anni 80 c’era una cortina di ferro da demolire sollecitando il rispetto dei diritti umani e della liberta religiosa. Oggi, invece, bisogna evitare una nuova guerra fredda».
Ma lei stesso è critico sull’accordo…
«É vero sono molto scettico, ma il Papa e il Vaticano cercano di preservare l’unico filo che li lega alla diplomazia cinese nella speranza di allargare il dialogo. Il Cardinale Parolin dice di auspicare un rinnovo dell’intesa per altri due anni pur ammettendo che i problemi non mancano. Quindi spero chiedano più garanzie per la libertà religiosa e per tutti i sacerdoti non ufficiali che rifiutano l’iscrizione alla cosiddetta Associazione Patriottica».
Secondo Pompeo rinnovare l’intesa equivale a mettersi in ginocchio
«Il Vaticano sarà anche di scarso aiuto alla Chiesa cinese, ma quella Chiesa non si farà mai mettere in ginocchio. Il moltiplicarsi di conversioni e battesimi segnala una crescente vivacità religiosa. I tentativi di controllare il cattolicesimo e le altre religioni evidenziano le paure del Partito. Temono di venir abbandonati da una popolazione pronta a preferire la religione al comunismo».
Ma l’accordo con il Vaticano trasforma i sacerdoti in funzionari di stato
«Questo, purtroppo, è vero. E lo confermano sia sacerdoti della chiesa ufficiale, sia quelli della Chiesa sotterranea. Per diventare sacerdoti riconosciuti bisogna accettare la supremazia del Partito, contribuire allo sviluppo del comunismo, evitare i rapporti con gli stranieri – quindi anche con i cristiani stranieri – , vietare ai minori di 18 anni di entrare in chiesa e di ricevere educazione religiosa ed, infine, esercitare il ministero solo tra le mura della parrocchia. Sottoscrivendo quelle regole i sacerdoti finiscono con il propugnare la politica del governo. Si trasformano di fatto in funzionari di stato».
Il Vaticano tace anche su Hong Kong. E lì i cristiani sono più del 12 per cento
«Sì, il Vaticano è molto silenzioso. Ma la Chiesa ad Hong Kong ha sempre parlato. Sia per bocca del Cardinale Joseph Zen che dell’amministratore apostolico John Tong Hon. Fin dalle prime manifestazioni John Tong ha chiarito che la Chiesa sostiene la democrazia e le inchieste indipendenti sulle violenze della polizia. Quindi il Vaticano tace, ma la chiesa di Hong Kong si esprime con molta chiarezza. Non a caso è accusata di diffondere un pensiero eccessivamente liberale».
Ma se le cose dopo la firma di quell’accordo segreto sono andate così male perchè rinnovare l’intesa? Qual’è la convenienza?
«Il Vaticano aspettava da 70 anni di aprire un rapporto con la Cina e vuole tenerselo stretto. Pur di tenerselo è disposto a dare molto. O come dice il cardinale Zen a svendere tanto».
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