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lunedì 7 settembre 2020

La banda Bassetti

Nuovo messale in Italia. Che cosa cambia e che cosa no


È stato consegnato il 28 agosto a papa Francesco il primo esemplare del nuovo messale della Chiesa italiana, che entrerà obbligatoriamente in uso a partire dalla domenica di Pasqua del 2021.

Questo nuovo messale riguarda naturalmente in primo luogo l’Italia, ma non solo. Già la sua precedente edizione del 1983, infatti, è stata guardata da altri episcopati nazionali come un modello da seguire, sia per la varietà e ricchezza delle preghiere eucaristiche, sia per le circa duecento nuove orazioni d’inizio messa ispirate ciascuna al Vangelo della domenica, sia per le antifone di comunione, anch’esse legate al Vangelo del giorno.
Ma quali sono le novità di questo nuovo messale, approvato dalla conferenza episcopale italiana nel novembre del 2018 con 195 “placet” e 5 “non placet” e confermato in via definitiva da papa Francesco il 16 maggio 2019?
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La novità più vistosa, ma anche la più controversa, è la modifica nel “Pater noster” della traduzione della domanda: “et ne nos inducas in tentationem”.
La traduzione “e non ci indurre in tentazione” finora in uso in Italia – al pari della versione inglese in uso negli Stati Uniti: “and lead us not into temptation” – è un preciso ricalco delle parole latine, a loro volta aderentissime all’originale greco: “kai me eisenénkes hemás eis peirasmón”.
Ma a papa Francesco questa traduzione non è mai piaciuta. In più occasioni ha detto che a “tentare” è il diavolo, non Dio, e che quindi era meglio optare per la traduzione già presente nella versione ufficiale della Bibbia edita dalla CEI nel 2008: “e non abbandonarci alla tentazione”, analogamente a come giù si prega in Francia e in altri paesi francofoni: “et ne nous laisse pas entrer en tentation”, o in vari paesi di lingua spagnola, Argentina compresa: “e no nos dejes caer en la tentación".
È vero che, a rigor di logica, se Dio non ci può “indurre” nella tentazione, non si vede nemmeno perché invece gli sia consentito di “abbandonarci” ad essa. Per due millenni la Chiesa non si è mai sognata di cambiare questo difficile passo del Vangelo, ma piuttosto di interpretarlo nel suo significato autentico. Come ha fatto anche un biblista dei più autorevoli, il gesuita Pietro Bovati, su “La Civiltà Cattolica” del 3 febbraio 2018, in un dotto articolo che al papa non può essere sfuggito, nel quale spiegava che “il mettere alla prova è nell'intera Bibbia ciò che Dio fa con l'uomo, in vari momenti e modi talora insondabili, ed è ciò che Gesù ha sperimentato al sommo grado nell'orto degli Ulivi prima della passione, quando pregò con le parole: ‘Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice!’”.
Sta di fatto che quando la CEI arrivò al voto sul nuovo messale, nel novembre di quello stesso 2018, a chi chiedeva di tener fermo il “non ci indurre in tentazione” fu comunicato dal tavolo della presidenza che la vecchia traduzione andava in ogni caso abbandonata, perché “così era stato deciso”. E il pensiero di tutti, in aula, andò a papa Francesco.
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Sempre nel “Pater noster”, i fedeli saranno inoltre chiamati in Italia a una seconda variante, per maggiore fedeltà sia all’originale greco che alla versione latina. Dovranno inserire un “anche” in quest’altra domanda: “E rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”.
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Un’altra variazione rilevante sarà introdotta nel “Gloria in excelsis Deo”. Invece di “e pace in terra agli uomini di buona volontà” – che ricalca il latino “et in terra pax hominibus bonae voluntatis” – si dirà: “e pace in terra agli uomini amati dal Signore”, con formula ritenuta più fedele all’originale greco del Vangelo, ove “eudokía” non è la “buona volontà” degli uomini ma la “benevolenza” di Dio per loro.
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Immediatamente prima del “Gloria” torneranno inoltre in uso le invocazioni classiche in lingua greca “Kyrie eleison” e “Christe eleison”, ferma restando la possibilità di continuare a dire: “Signore pietà” e “Cristo pietà”.
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Nel “Confiteor” d’inizio messa, ai “fratelli” si aggiungeranno le “sorelle”, in ossequio agli odierni imperativi linguistici: “Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli e sorelle, che ho molto peccato…”. E così ogni volta che nell’edizione tipica latina del messale compare la parola “fratres”.
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Alla comunione, subito dopo l’”Agnus Dei”, sarà tradotta con molta più proprietà la formula che nel messale latino dice:
“Ecce Agnus Dei,
ecce qui tollit peccata mundi.
Beati qui ad cenam Agni vocati sunt”.
Attualmente la traduzione in uso in Italia è la seguente:
“Beati gli invitati alla cena del Signore.
Ecco l’Agnello di Dio,
che toglie i peccati del mondo”.
Dalla domenica di Pasqua del 2021 invece si dirà:
“Ecco l’Agnello di Dio,
ecco colui che toglie i peccati del mondo.
Beati gli invitati alla cena dell’Agnello”.
Come si può notare, nella nuova formulazione il celebrante, nell’atto di presentare ai fedeli il pane e il vino consacrati, si riallaccerà al triplice “Agnus Dei” cantato o recitato subito prima, per aggiungervi – con un doppio “ecco” – le parole di Giovanni il Battista nel quarto Vangelo, e poi ancora la benedizione di Apocalisse 19, 9: “Beati gli invitati alla cena di nozze dell’Agnello”, purtroppo con l’omissione del riferimento alle nozze escatologiche – cancellato anche nel testo latino –, opportunamente presente invece nell’ultima edizione del messale francese: “Heureux les invités au repas des noces de l’Agneau”.
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Infine, tra le altre principali varianti, ne vanno segnalate quattro nella preghiera eucaristica II, la più in uso di tutte le anafore del messale italiano.
La prima variante è nelle parole iniziali, quelle che si riallacciano al canto del “Sanctus” e attualmente suonano: “Padre veramente santo…”. Dalla prossima domenica di Pasqua diventeranno, più in conformità con il “Vere sanctus” delle antiche anafore latine: “Veramente santo sei tu o Padre, fonte di ogni santità. Ti preghiamo: santifica questi doni…”.
La seconda variante è immediatamente successiva. La formula che finora dice: “santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito” si arricchirà della suggestiva immagine presente nell’espressione latina “Spiritus tui rore sanctifica” e diventerà: “santifica questi doni con la rugiada del tuo Spirito”.
La terza variante è all’inizio del racconto dell’istituzione dell’eucaristia. Dove attualmente si dice: “Egli, offrendosi liberamente alla sua passione…”, si dirà: “Egli, consegnandosi volontariamente alla passione…”, con maggiore fedeltà al senso biblico e liturgico del verbo “tradere” e dell’avverbio “voluntarie” del testo latino.
Nella quarta variante l’espressione “per averci ammessi alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale” sarà mutata in “perché ci hai resi degni di stare alla tua presenza…”, più aderente alla classica formulazione latina: “stare coram te et tibi ministrare”.
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Nessuna modifica è invece prevista riguardo al “pro multis” nelle parole di consacrazione del calice “qui pro vobis et pro multis effundetur in remissionem peccatorum”, che in italiano continuerà ad essere tradotto non con “per molti” ma con “per tutti”.
Joseph Ratzinger, da papa, aveva cercato di ricondurre tutti i messali in uso nel mondo nelle varie lingue a una traduzione fedele e uniforme dell'originale "pro multis” del canone romano, a sua volta ripreso testualmente dalle parole di Gesù nel Nuovo Testamento.
Nel 2006 tramite la congregazione per il culto divino e poi nel 2012 con una sua lettera personale ai vescovi tedeschi Benedetto XVI sostanzialmente ordinò a tutte le conferenze episcopali di uniformare su questo punto i rispettivi messali, spiegandone le ragioni:
Ma quando un anno dopo papa Benedetto si dimise, alcune conferenze episcopali, tra cui l'italiana, ancora non si erano allineate all'indicazione e mantenevano nei loro messali la dizione "per tutti", entrata in uso dopo il Concilio.
Con l'avvento di Francesco, si è diffusa l'idea che tale dizione sia più consona all'estensione universale della "misericordia" incessantemente predicata dal nuovo papa.
E così sulla questione, pur molto seria, è calato il sipario.
Settimo Cielo
di Sandro Magister 07 set

1 commento:

  1. Invece di apportare variazioni ai messali per questioni di lana caprina (quando non per eresie belle d buone), non farebbero meglio a pensare a custodire il deposito della fede, che è attualmente buttato a cani e porci?

    Inoltre: tutto 'sto grande SCIALO di soldi, di lavoro, di carta, di inchiostro eccetera eccetera per la MONUMENTALE QUANTITÀ di nuovi messali non fa per caso A CAZZOTTI con tutto quanto viene predicato - fino alla noia - da questo papa su 'povertà' - 'sobrietà' - 'ecologia' - 'rispetto del creato' eccetera eccetera eccetera???

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