Meglio soli che “Insieme”
Finalmente è nato un altro partito di centro. Non potevate più aspettare vero? Bene, dopo lunga gestazione è arrivato. Però attenzione, la nuova formazione non solo è posizionata in strategico e millimetrico equilibrio tra destra e sinistra, ma stavolta ha qualcosa in più degli altri. Il “nuovo” partito è infatti dichiaratamente “di ispirazione cattolica”.
Esattamente, proprio la stessa espressione che possiamo trovare nella testata di “Avvertire”, il famoso organo n°3 dell’episcopato e della ex Santa Sede (posizionato a diverse distanze dopo Repubblica e La Stampa, mi spiace).
Il partito si chiama Insieme, e già dal nome verrebbe voglia di lasciarli immediatamente perdere e andare da soli.
Un partito collocato rigorosamente al centro, perché «una democrazia liberale non può fare a meno di un partito di centro».
Non si capisce perché non ne possa fare a meno, visto che in tutti questi anni di partiti di centro ne sono stati fatti, rifatti e disfatti a decine, e gli elettori non ne hanno mai voluto sapere. Giustamente. Ma forse non erano sufficientemente di centro. E poi, soprattutto, perché dobbiamo dare per scontato che l’unica forma in base alla quale si possa organizzare una società sia costituita dalla democrazia liberale?
Al battesimo della nuova (ma vecchia) formazione c’è il vescovo di Prato, monsignor Gastone Simoni, che evidenzia la felice coincidenza della festa di San Francesco, e il cardinale Giovanni Battista Re che benedice:
È necessario che i cattolici insieme a tutti gli altri moderati diano il loro contributo guardando al futuro con lungimiranza e coraggio.
Tutti gli altri moderati? Significa che i cattolici sono moderati per definizione? Moderati in che senso? Democristiani inclini al compromesso? La nostalgia, al di là delle petizioni di principio, pare proprio quella, e non passa nemmeno per l’anticamera del cervello che vi siano cattolici i quali del moderatismo non sappiano cosa farsene, a parte forse in certe spiacevoli situazioni di emergenza.
Guardiamo il simbolo, con due anelli di catena che si abbracciano, uno blu e uno rosso, la destra e la sinistra si uniscono per annullarsi in una sintesi perfetta: il centrismo redivivo. Il ritorno dello zombie democristianico con le gobbe, le cravatte, gli ammiccamenti, i discorsi paludati, i dico non dico, i vorrei ma non posso, il raccogliere i voti a destra per portarli a sinistra, come sempre.
Alla base non poteva mancare la bandiera UE, imprescindibile per l’estremista di centro cresciuto a pane e Commissione Europea, mortadella e BCE, Moneta Unica e Pensiero Unico.
Esponente di spicco l’economista Stefano Zamagni, già amico di Prodi, collaboratore di Ratzinger e molto, molto vicino anche a Bergoglio, il quale lo ha nominato membro ordinario della Pontificia Accademia delle Scienze: insomma un uomo che va bene, se non per tutte, per molte stagioni, soprattutto quelle in cui vengono riesumati antichi cadaveri in avanzato stato di decomposizione.
“Lavoro e famiglia, solidarietà e pace” sono i valori dichiarati sul simbolo dalla formazione; si fa grande spreco dell’espressione “bene comune” da quelle parti, e a tratti sembrano quasi voler mettere davvero in pratica la DSC. Tuttavia il “Progetto neoumanista” che hanno dichiarato nel loro manifesto del 2019 è quello perfetto per raccogliere tutto ciò che si posiziona nell’intervallo tra Conte e Bergoglio (per non dire tra Renzi e Berlusconi) sotto l’ombrello della fratellanza universale liberomuratoria ed eco-sanitaria sulla quale, tra l’altro, è appena uscita un’enciclica.
Il professor Zamagni e compagni, cui va riconosciuto perlomeno il fatto di non essere neoliberisti, sono comunque antipopulisti e antisovranisti, e tra i loro documenti o discorsi non si trova riferimento di sorta alla improrogabile e fondamentale questione monetaria. Visto che senza un recupero di sovranità da parte degli stati a discapito di entità pubbliche e private di tipo sovranazionale (a partire dalla UE), e senza un ripensamento strutturale delle politiche monetarie che sono alla base di un’economia che non sia viziata alla radice, tutte le buone intenzioni, tutte le cosiddette riforme sono destinate a fallire producendo alla fine effetti opposti, visto tutto ciò, come forse si sarà capito, noi non ci aspettiamo nulla di buono.
Marco Manfredini
Ottobre 8, 2020
https://www.ricognizioni.it/meglio-soli-che-insieme/
Partito dei vescovi? È un nuovo PD senza Cirinnà
Presentato ieri il Manifesto del nuovo partito popolare, cristiano ma non cattolico, che fa riferimento all'economista Stefano Zamagni ma con gli auspici del presidnete dei vescovi italiani, cardinale Bassetti. Un programma per ora generico ma anche pieno di contraddizioni, funzionale al mantenimento del sistema attuale.
L'economista Stefano Zamagni
Agenzie e giornali hanno reso noto ieri, almeno nelle sue linee essenziali, il Manifesto del nuovo partito popolare, cristiano ma non cattolico, aperto a tutti, che sembra per il momento fare riferimento soprattutto al noto economista Stefano Zamagni, attualmente Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali e teorizzatore dell’economia civile. Era tempo che se ne parlava, il cardinale Bassetti ne aveva adombrato la possibilità ed anche la necessità in varie occasioni, nomi e strategie varie erano via via emersi e poi rientrati … ora finalmente sembra che ci siamo.
Il Manifesto non è ancora un programma e di conseguenza è pieno di frasi-contenitore per il momento vuote di contenuto. Che bisogna riformare la scuola e le istituzioni o che occorre puntare alla piena occupazione tutti lo sanno, è facile dirlo, bisogna però capire come e con che finalità. Su molte questioni rilevanti il Manifesto è reticente e quindi bisognerà aspettare più precise indicazioni programmatiche. Detto ciò, è però anche vero che quanto vi si legge è sufficiente per farsi un’idea di cosa si voglia far nascere e di dove si voglia andare a parare.
Il lettore del Manifesto è soprattutto colpito da una contraddizione. Si dice che non è più il tempo di ri-formare ma che si deve tras-formare. Il nuovo partito si ritaglierebbe un ruolo di cambiamento sostanziale, senza mezzi termini, che va alle radici e non ha paura di fare proposte esigenti, giocare duro, dedicarsi non ai dettagli ma ai grandi mutamenti. Ma in realtà il Manifesto fa emergere un nuovo partito di centro, dichiaratamente moderato, che accetta tutti i pilastri della situazione attuale e decide di muoversi dentro di essi e non per trasformarli. La Costituzione posta sullo stesso piano della Dottrina sociale della Chiesa facendo capire che il nuovo partito esprimerà un fedele e timido patriottismo costituzionale, l’Unione europea da proteggere e sviluppare, la legge 194 sull’aborto al cui articolo 1 ispirarsi per le politiche demografiche (accettando quindi la stessa legge), ritorno al proporzionale, l’agenda ONU per il 2030 da accogliere acriticamente e da far propria, le Dichiarazioni sui diritti umani da accettare e a cui fare riferimento indiscusso…
Leggendo il Manifesto, prima ancora di entrare nel merito dei contenuti, uno si chiede se ciò possa veramente essere considerato un tras-formare. Al massimo può venire considerato un timidissimo ri-formare, con l’attenzione di non procurare nessun coccio di cose rotte.
Detto in altri termini più direttamente politici: sembra un Partito Democratico senza la Cirinnà. Ma il futuro di un partito popolare e cristiano di centro, alternativo alla destra e aperto alle alleanze a sinistra, come può realisticamente darsi la missione di tras-formare? Sarà funzionale al sistema. Da dove deduco queste valutazioni? Dalla conclusione del Manifesto, quando si ricorda De Gasperi e il suo aver posto un limite invalicabile a destra alla Democrazia Cristiana, un partito di centro che guarda a sinistra. Proporsi come un Partito Democratico senza la Cirinnà comporta la falsa idea che, concordando sul quadro culturale generale con quella prospettiva di cultura politica, si possa fermare la sua deriva contraria a vita e famiglia. In realtà si finirà per appoggiarla, anche se indirettamente.
Da un nuovo partito che vuole attingere anche al mondo cattolico con l’intenzione di tras-formare ci si sarebbe aspettata la proposta della scuola parentale e non l’ingessatura nella scuola paritaria; una chiara contestazione del processo di unificazione europea almeno per quanto riguarda le radici cristiane e la dignità delle nazioni; una proposta di radicale inversione di tendenza sulle leggi di biopolitica mentre invece ci si ispira addirittura alla 194; proposte per un radicale abbattimento delle tasse in virtù del diritto naturale alla proprietà privata sancito dalla Dottrina sociale della Chiesa e una decisa commisurazione del fisco alle esigenze della famiglia, mentre invece si condanna moralisticamente l’evasione e si vuole de-costituzionalizzare il condono fiscale; una messa in questione dell’agire di giudici e Corte costituzionale che stanno trasformandosi in organi legislativi e per di più sempre meno legati alla concezione del diritto naturale; una chiara presa di posizione per un vero governo delle migrazioni perché anche la conservazione dell’identità culturale dei popoli di accoglienza fa parte del bene comune. Insomma, qualche discorso forte, appunto tras-formatore.
Da un punto di vista di astratta analisi politica e di occupazione di spazi politici lasciati vuoti e seguendo un ragionamento di scuola, si può dire che sia vero che oggi il centro è sguarnito e che chi lo occupa può darsi che qualche voto anche lo prenda. Infatti tanti altri ci stanno pensando. Ma se guardiamo l’urgenza di interventi radicali sia dal punto di vista dell’acutizzarsi drammatico dei problemi sia dal punto di vista di un impegno cattolico decisamente tale, la proposta appare esangue. Dall’esame del Manifesto si vede un partito che, per la paura di non essere questo o quello, alla fine non è.
Stefano Fontana 1-11-2019
https://lanuovabq.it/it/partito-dei-vescovi-e-un-nuovo-pd-senza-cirinna
VUOL RIFARE LA DC CHI E’ STATO ACCUSATO DAI VESCOVI DI NON RISPETTARE LA “LIBERTA’ DI CULTO”
Ora anche il povero san Francesco d’Assisi viene trascinato nelle lotte di potere interne al governo giallorosso. Il paradosso è che a “usare” il santo Patrono d’Italia ieri, ad Assisi, è stato quel Giuseppe Conte che è a capo della coalizione di governo più laicista e anticattolica della storia repubblicana: quella che ha fatto insorgere la Cei per la mancata riapertura delle chiese (scrissero che era minacciata la “libertà di culto”) e che ha fatto insorgere la Cei pure per la legge Zan in cui i vescovi vedono “derive liberticide”.
Il Capo del governo – secondo alcuni – sta preparando il terreno a un suo partito che vorrebbe dirsi addirittura d’ispirazione cattolica. Paradosso tipico di un’epoca e di un premier per cui le parole non hanno più nulla a che fare con la realtà.
Peccato che lo smemorato Conte ieri, ad Assisi, sia incorso in una gaffe clamorosa. Per l’operazione che ha in mente infatti ha coniato uno slogan che invece di rimandare a san Francesco evoca involontariamente Licio Gelli: “Piano di rinascita”.
Il sito della “Stampa” ha titolato: “ ‘Piano di rinascita’. Conte sdogana lo slogan P2”. Perfino sul sito del “Fatto quotidiano”, il giornale più contiano, Antonello Caporale ha commentato desolato: “Chiamatelo come volete, ma non Piano di Rinascita”.
Eppure non è neanche la prima volta. Già il 4 giugno scorso Conte – parlando della ripartenza del Paese dopo il Covid – parlò di “Piano di rinascita nazionale”.
Tanto l’on. Enrico Borghi, deputato Pd, protestò: “Eviterei definizioni tipo ‘Piano di rinascita democratica’ oppure ‘Programma di rinascita nazionale’. Almeno per la memoria di Tina Anselmi”.
Però Caporale ricorda che “anche dalla bocca di Nicola Zingaretti, il segretario del Pd, abbiamo udito questa superficialità lessicale, che è figlia di una colpevole e piuttosto insopportabile smemoratezza”.
Dunque ieri ad Assisi Conte c’è ricascato con il “Piano di Rinascita nazionale”. Però, secondo diversi osservatori e molte voci di palazzo, il premier starebbe caldeggiando un’altra rinascita: quella della Dc o di un partito della “sinistra Dc”.
A dire il vero ci sarebbe già la “sinistra dc” storica che fa parte del Pd (era la Margherita), ma di “cattolico” l’attuale Pd, a guida (post)comunista non ha proprio nulla. E’ piuttosto una sorta di “Partito radicale” di obbedienza tedesco-merkeliana con un’ideologia “politically correct” e la vecchia arroganza comunista.
Il possibile “nuovo” partitello cattoprogressista sarebbe il punto d’incontro di molti viandanti in cerca di alloggio politico. La prima carovana è quella di alcuni esponenti del mondo bergogliano, perlopiù generali senza esercito, in cerca di un qualche protagonismo politico.
Hanno la sponsorizzazione della Cei e infatti ieri “Avvenire”, il giornale dei vescovi, lanciava l’operazione su un’intera pagina con questo titolo: “Cristiani e autonomi, partito al via”. Sottotitolo: “Parte la nuova formazione politica. Zamagni: bipolarismo ha fallito, pensiero cattolico torni protagonista. Oggi, con il documento programmatico, saranno decisi nome e simbolo. Leadership collegiale: 21 membri”.
Ma la cosa più importante era il trafiletto che “Avvenire” affiancava all’articolo: “Tanti guardano al centro. Aspettando Conte”. Effettivamente Conte-Godot è considerato l’aggregatore ideale di questo presunto centro moderato. Ma, dice “Avvenire”, occorre una condizione: la definizione della legge elettorale “e in particolare delle soglie di sbarramento”.
Ad agitarsi attorno al fantasma della Balena Bianca infatti sono in tanti e tutti pesci piccolissimi: da Italia viva di Renzi (reduce da una pesante batosta alle regionali) a quel che è rimasto dell’Udc, da “Noi con l’Italia” di Maurizio Lupi al gruppetto di Bentivogli, da quello di Giro fino al Centro Democratico di Bruno Tabacci (e non dimentichiamo Mastella, Casini, Alfano…).
Potrebbe essere Conte il “federatore” di un partitello “cattoprogressista-ecologista” intenzionato a mettersi sull’onda del papato (al tramonto) di Bergoglio?
Finora il premier aveva sempre tranquillizzato Pd e M5S che, ovviamente, sarebbero i più danneggiati da un’operazione del genere. Ma ultimamente sembra che agitare il fantasma di questo partito gli serva per tenere a bada Zingaretti e il Pd i quali – sentendosi rafforzati dal voto delle regionali – pretenderebbero di dettar legge all’esecutivo.
Il governo in effetti è completamente impantanato, il Pd freme e vorrebbe dargli una scossa, vista la crisi galoppante del paese e il Recovery fund che si allontana, così il premier Conte risponde in due modi: da una parte lo “stato d’emergenza” che gli permette di alimentare la paura collettiva, rendendo molto difficile mettere sotto tiro il governo (magari coltiva pure la speranza di tornare a sermoneggiare in tv e far risalire la sua popolarità).
Dall’altra risponde con la velata minaccia di essere lui stesso a dimettersi e chiedere elezioni anticipate capeggiando un partito che sottrarrebbe voti a Pd e M5S.
E’ quanto fa credere lo scaltro Gianfranco Rotondi, ritenuto molto vicino a Conte, con questo messaggio: “Alle elezioni anticipate – come diceva Prodi – non ci si va. Ci si casca. Nel senso che a Palazzo Chigi saprebbero cosa fare se, al Senato, Renzi e un pezzo del Pd assecondassero un incidente parlamentare: Conte prima salirebbe al Colle per dimettersi, poi denuncerebbe davanti all’opinione pubblica l’agguato e il tradimento, e infine chiederebbe di tornare al voto”.
Magari è solo una minaccia, ma intanto il premier continua a tessere la sua tela, perfino verso certi settori del centrodestra. Infatti il prossimo week end a Saint Vincent concluderà una curiosa tre giorni sul tema: “Laudato si’: la politica cristiana dal bianco al verde”.
Per capire di cosa si tratta basta scorrere i nomi dei partecipanti: l’ex ministro verde Alfonso Pecoraro Scanio, Rocco Buttiglione, Renato Schifani e Michela Vittoria Brambilla. Sembra all’insegna del bergoglismo.
Dal primo dibattito (“L’enciclica Laudato si’ cinque anni dopo: la cura del creato nuova frontiera dell’impegno politico dei cattolici”) al successivo: “Cattolici ed ecologisti: è l’ora di un’alleanza per la terra?”. Le conclusioni dell’11 ottobre – celebrata la Messa – saranno tirate proprio da Conte dopo un discorso di Silvio Berlusconi (sarà interessante sentire cosa ne dicono Marco Travaglio e i grillini).
Che tutto questo possa sfociare in un partito che abbia un senso è difficile immaginarlo. Ma resta lo stupefacente spettacolo di un premier che – non avendo nessuna identità politica – è pronto a “giocherellare” con tutte per restare a Palazzo Chigi (o magari salire su colli più alti). Mentre l’Italia è sull’orlo del baratro.
Antonio Socci
https://sadefenza.blogspot.com/2020/10/vuol-rifare-la-dc-chi-e-stato-accusato.html
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