Vittorio Colao guiderà la ricostruzione. Se la Fase Uno vi ha fatto paura, preparatevi alla Fase Due
Mentre il Parlamento Italiano è in naftalina – e viene tirato fuori ogni tanto a prender aria, ma opportunamente imbavagliato sui temi che contano – la sgangheratissima cosca al comando di una nazione neutralizzata dall’emergenza si è potuta esprimere in tutta la sua proterva inadeguatezza. Incontenibile e incontrastata.
Sospese, insieme alle libertà costituzionali, anche le prerogative degli organi rappresentativi, quel che restava della democrazia è “democraticamente” evaporato (ovvero si è potuto cancellare in via monocratica col tacito consenso di un popolo atterrito) per lasciare il posto, come da copione, alla dittatura dolce fondata sulla pandemia. Intanto, in giro, tutti i reclusi sono pregati di mantenere le distanze di sicurezza e un rispettoso silenzio: non sta bene disturbare il manovratore. Soprattutto, è da irresponsabili divulgare fake news nocive all’unità di pensiero e all’obbedienza cieca e generalizzata (dove il criterio per identificare le fake news coincide ovviamente con il puro arbitrio del più forte).
SOSTITUZIONE DEL PREMIER D’EGITTO? Ma, nonostante sia stato pompato con ogni espediente mediatico, il dictator pro tempore, forse inebriato dal potere di tenere chiusi in casa ad libitum milioni di cittadini italiani, ha cominciato a perdere troppi colpi, a farfugliare, a sbagliare nomi, date e bersagli politici, persino a straparlare a reti unificate di felici Pasque egiziane. Ha cominciato cioè, oltre che a tradire come da mandato, a tradirsi. Annaspa troppo per conservare quel minimo di credibilità che resta necessaria anche per tenere in piedi un palco i cui impresari abitano altrove.
Forse che l’élite dai pochi eletti e dai molti camerieri stia percependo un rischio reale per la propria sopravvivenza causa incremento di povertà, compressione e ingiustizia sociale diffuse, una miscela potenzialmente esplosiva?
Forse che dunque, vista la malaparata, sia nell’aria un cambio della guardia al vertice dell’esecutivo? Nel frattempo, potrebbe darsi che il sostituto designato stia già a bordo campo a scaldarsi i muscoli, così che il pubblico possa intanto cominciare a digerirlo. Ovviamente la presentazione al popolo dell’homo novus deve avvenire nell’abito gradito per le occasioni straordinarie: signori e signore, ecco a voi il supertecnico. Perché nel mondo che non crede più a niente, se non alla tecnica, il salvatore non può che essere un tecnico, e la salvezza la sottomissione dell’umanità al verbo indisputabile del progresso.
L’UOMO DELLA FASE DUE Non si sa bene a quale titolo formale sia stata nominata –ormai gli abusi di potere non si contano più – fatto sta che ha preso corpo la
task force per la ripartenza (o ricostruzione, o “Fase Due”), una specie di squadra di supereroi che a quanto pare deciderà del futuro degli italiani. Per ripartire servono gli esperti, giammai la politica; urgono i tecnocrati, giammai gli eletti. Il capo dell’inedito organismo extra-istituzionale chiamato a gestire il ritorno alla vita extra-domestica – non chiamiamola “normalità” – di tutti noi, porta il nome di Vittorio Colao. Ufficialmente voluto da Palazzo Chigi, più di
qualcuno vocifera che sia uscito dal cilindro del Quirinale, sopra alla testa del primo.
Il vuoto di potere ingenerato dal fantastico duo Conte-Casalino, con il concorso esterno dei protettori civili, sarà dunque colmato dal supermanager di Verizon, già capo assoluto della Vodafone mondiale: curioso che in una temperie in cui il mondo intero parla di de-globalizzazione post-COVID-19, spunti fuori un personaggio globale per eccellenza.
Per il momento costui viene parcheggiato nella nuova struttura cucita su misura per lui, secondo lo schema, mutatis mutandis, per cui Napolitano regalò a Monti lo scranno di senatore a vita prima di catapultarlo al posto del presidente eletto Silvio Berlusconi. Potrebbe essere una manovra di avvicinamento, insomma. Lo vedremo presto. Intanto, cerchiamo di capire meglio chi sia la nuova star della cosiddetta ricostruzione.
Il
cursus honorum è sempre il solito e fa un po’ sbadigliare. Bocconi. MBA ad Harvard. Banca Morgan Stanley. Consulente McKinsey. Consigliere RCS, cioè Corriere della Sera, da cui ora infatti pontifica alla grande.
Bilderberg, ovviamente (insieme, tra gli altri, al Segretario di Stato vaticano Parolin).
Gli sbadigli finiscono quando si incappa in un articolo di
Bloomberg del 2010 che racconta come il nostro
si sarebbe accompagnato con il direttore generale dell’MI-6 (i servizi segreti esteri britannici) John Sawer nei locali della British Petroleum per organizzare il supporto al grande capo Tony Hayward allora nei guai per il disastro del greggio nel Golfo del Messico. Ma andiamo oltre.
Vent’anni alla guida di Vodafone, Colao scala l’azienda fino al ruolo di vertice assoluto. Questo lo porta ad avere
«rapporti professionali e personali» con Bill Gates, al punto che si parlava di un suo coinvolgimento nelle Fondazioni della quattrocchia di Microsoft. Filantropie che oggi, tra vaticini di pandemie magicamente avverate e centinaia di milioni versati all’OMS e alle ricerche vaccinali, appaiono quantomeno enigmatiche. Di lui, Bill Ford, l’amministratore delegato del colosso General Atlantic, dice: «condivide la nostra costante convinzione nelle macro tendenze che stanno guidando la crescita, compresa la transizione verso un’economia digitale e l’effetto trasformativo che avrà il 5G sul settore tecnologico». Non parleremo qui del 5G, che comunque è un’altra grossa partita sul tavolo, con o senza Cina. Una partita per il controllo del XXI secolo. Cioè, una partita per il dominio della popolazione che si gioca dentro ai suoi dati, e quindi ai suoi intimi pensieri.
TRACCIARE E TESTARE I CONTATTI SOCIALI
Voilà, ecco che il
Corriere della Sera, l’
house organ dell’oligarcato ormai completamente irrancidito, già a fine marzo
gli fa scrivere in prima pagina un editoriale sulla necessità di usare i telefonini degli utenti per tracciarli, e tracciarne capillarmente i dati individuali, ovviamente tutto per il bene della nuova società ai tempi del Coronavirus. I concetti gli sono fatti ribadire il giorno di Pasqua,
repetita iuvant.
Si tratta di un vero e proprio manifesto. Non solo di ciò che si appresterà a fare il Nostro nella task force di cartapesta che verosimilmente serve a lanciarlo verso il premierato, ma per l’effettivo start del totalitarismo elettronico italiano, su modello di quello cinese e coreano – espressamente citati, infatti, quali esempi virtuosi.
Vi si parla con grande disinvoltura di «hi–tech decisivo contro la crisi»; di «individuazione di nuovi modelli organizzativi e relazionali»; di «tracciare e testare i contatti sociali», cosa «possibile solo se si utilizzeranno i dati delle reti mobili insieme a una app dedicata con GPS». Testuali parole. Nero su bianco.
Il Corriere di oggi, 15 aprile, ci informa tra l’altro che il comitato di salute pubblica ha deciso di «sostituire l’autocertificazione su carta che abbiamo imparato a conoscere in queste settimane di quarantena con un’app da scaricare sul telefonino».
Lo stesso Corriere il 29 marzo intervistava presso il Museo della scienza di Milano per la realizzazione di un documentario dal titolo Italia paese sempre in crisi. Ma è vera crisi? e il Nostro dichiarava: «La gestione della crisi greca, la gestione della crisi Italiana del 2011… dimostrano che dobbiamo essere contenti di come strutturalmente questo meccanismo europeo gestisce le crisi».
Non c’è bisogno di aggiungere molto altro. Vale piuttosto la pena di tornare a chiedersi da dove salti fuori il nuovo salvatore della patria piazzato a sorpresa al comando della task force, bella struttura narrativa nel momento in cui le squadre di supereroi tirano molto nei film proiettati ai prigionieri.
2011 RELOADED
Dagospia non ha dubbi e batte il flash: è un commissariamento di Conte e la scelta proviene da Mattarella che passa sopra la testa di un premier tanto col fiato sul collo da perdere ripetutamente il controllo in diretta televisiva.
La manovra, come abbiamo detto, ricorda molto il ben noto precedente del 2011, ovvero quel golpe rimosso solo nella mente un po’ confusa del Conte furioso. Mario Monti fu portato in Senato ad vitam dall’allora Presidente della Repubblica. Non molti giorni dopo, spread e panico, Berlusconi viene costretto a dimettersi, mentre qualche parallelo più sotto viene trucidato Muhammar Gheddafi.
L’esecutivo è occupato da un esercito di tecnocrati più o meno sconosciuti, più o meno legati a un gruppo bancario il cui presidente emerito, democristiano di Brescia (per combinazione stessa città di Colao) del giro montiniano, di recente
è stato pure lui intervistato in ginocchio sul Corrieree, come l’oracolo, ha dato segni: Conte nì, Draghi no, prelievo forzoso,
ops scusate no, non obbligato sui conti correnti degli italiani, no, non chiamatela patrimoniale, è un prestito che gli italiani fanno al loro Stato tramite le banche che poi ridanno indietro il danaro dei risparmiatori con gli interessi.
Al di là di questo, nell’intervista colpisce la bocciatura di Draghi, il quale secondo l’intervistato – l’onnipotente Bazoli – «non ha una base elettorale». Conte e Colao evidentemente ce l’hanno, anche se non ce ne eravamo accorti.
Il dato interessante è che l’establishment, quello che controlla i soldi di tutti e da cui si pescano i papi massoni, aveva già votato la sfiducia sia a Draghi sia a Monti, e aveva già pronta la carta Colao.
Bruciato (quasi letteralmente) Draghi –
la sua casa in Umbria è andata nei giorni scorsi misteriosamente a fuoco – il quale significava Euro, BOT, banche etc, ecco materializzarsi l’uomo delle telecomunicazioni che, come detto senza veli nell’editoriale del
Corriere, significa sostanzialmente controllo sociale informatico, orwellismo applicato nella sua forma più spinta.
TOTALITARISMO ELETTRONICO L’azienda che Colao oggi dirige, il colosso delle TLC americano Verizon, fece parlare di sé ai tempi dello scandalo Snowden, in epoca Obama.
Emerse allora un ordine del tribunale top secretche richiedeva all’azienda di consegnare tutti i dati delle chiamate degli utenti alla NSA, la CIA della sorveglianza elettronica.
Insomma, il modello cinese, con o senza Cina, è servito. Quello che ci attende è una società totalitaria che Eric Arthur Blair detto George Orwell – il quale come massimo della distopia concepiva i microfoni nei boschi – deve andare a nascondersi. Con i vostri movimenti tracceranno le vostre vite, le vostre frequentazioni, i vostri gusti; grazie alle pagine che leggete, grazie ai vostri messaggi, conosceranno i vostri pensieri, anche quelli più intimi, persino quelli in embrione e prossimi venturi. Già anni fa qualcuno si accorse che Facebook conosceva la situazione sentimentale degli utenti meglio degli utenti stessi, sapeva se un rapporto stava per scoppiare semplicemente osservando il comportamento online delle persone.
Qualcuno oggi lo chiama
capitalismo di sorveglianza, ma anche nella terra del Partito Comunista Cinese il totalitarismo elettronico è realtà: se scrivi cose non gradite ti viene prima cancellato il commento e poi la possibilità di viaggiare, di ottenere autorizzazioni o permessi, di accedere a mutui, a carte di credito, eccetera eccetera; ad assicurare l’efficienza del regime repressivo-preventivo nell’era dell’algoritmocrazia, già funzionano sistemi di sorveglianza con telecamere a riconoscimento facciale e persino tecnologia di ricostruzione del volto a partire dal DNA (
DNA phenotyping).
Sono le meraviglie di Big Data: grazie ai vostri
like e ai vostri
click, le multinazionali vi conoscono meglio dei vostri famigliari più stretti, e non è un’iperbole, ma
uno studio americano di 5 anni fa sulle capacità predittive delle intelligenze artificiali combinate ai social.
In fondo, si tratta del vecchio sogno di Gianroberto Casaleggio: il suo partito è finito, ma l’incubo distopico di una società della trasparenza totale guidata da un computer e di un’umanità ridotta a un insieme di punti terminali sulla rete si sta tragicamente realizzando, con o senza Cina. In
Gaia, il video-manifesto della Casaleggio associati, la democrazia informatica è previsto si realizzi proprio con questa trasparenza assoluta, in un mondo totalmente interconnesso (
Internet of Things, 5G). Soprattutto, come dice il video, in un mondo in cui solo una miliardata scarsa di terrestri sopravvive ad una micidiale guerra batteriologica…
NON IL DENARO, MA IL CONTROLLO Tornando a noi, Colao pare proprio l’uomo di questo futuro, che è il presente cinese (e americano) non ancora completamente – o forse solo ufficialmente – distribuito. Un cambio di paradigma nel Nuovo Ordine Mondiale, ora invocato persino da un sempre più grottesco
Avvenire («
Coronavirus. È il momento di gettare le basi per un nuovo ordine mondiale») ufficialmente diventato la dépendance redazionale di
Repubblica.E
Conte ringrazia i fratelli dell’episcopato: corrispondenze di amorosi sensi.
A chi ha intronizzato Colao, quindi, non interessano più (solo) i soldi e le banche (per quello, ripetiamo, sarebbe stato perfetto Draghi): interessa il controllo capillare, intimo e profondo della società e dell’individuo che la abita. Interessante come i 17 “esperti” – lo scrive sempre il Corriere – abbiano sottoscritto «un obbligo di riservatezza che vieta loro di fare qualsiasi dichiarazione pubblica». Cioè, elaborano ed emettono decisioni che riguardano la vita e la libertà di milioni di cittadini, e lo fanno protetti dalla più assoluta segretezza.
Riprendendo ancora quanto ha scritto nel Corriere: «La bozza di progetto che circola (chiamata Trace, Test, Treat) va nella giusta direzione e potrebbe esser anche più coraggiosa. I dati possono essere pseudoanonimizzati (che vuol dire: non anonimi, ma neanche trasparenti) e si potrebbe prevedere per le forze dell’ordine la possibilità di intervenire individualmente e assicurare la rapidità e l’efficacia della “danza” dei prossimi mesi».
Il discorso non fa una grinza, se si conosce il meccanismo del bipensiero orwelliano, quello per cui si può sostenere simultaneamente un concetto ed il suo contrario («la guerra è pace», «la libertà è schiavitù», «l’ignoranza è forza»): sei anonimo, ma ti manderemo le forze dell’ordine ad «intervenire direttamente» con «rapidità ed efficacia».
In teoria non sappiamo chi sei, ma verremo a cercarti. E stai sicuro che ti staneremo.
Tutto sommato, crediamo si tratti di una buona notizia. I padroni del vapore, quelli veri, cercano il controllo non più di numeri finanziari, ma dei corpi e dei destini umani. Può essere una definitiva – e davvero anticristica – sete di potere sull’umanità. Tuttavia c’è anche un’altra spiegazione: essi non sanno come reagiranno le genti dopo la peste. Hanno paura. E fanno benissimo.
Elisabetta Frezza e Roberto Dal Bosco
Aprile 15, 2020
di Bilbo Baggings.
Il dibattito su come riaprire l’Italia (la cd. fase due) si avviluppa in un groviglio di contraddizioni, in cui le partigianerie ideologiche sono più forti dei dati di fatto e dei vincoli costituzionali.
Si discute, giustamente, su chi debba decidere sulle riaperture, se ci voglia un provvedimento unico dello Stato o se possano intervenire, in modo anche differenziato, le Regioni.
I mainstream media non sembrano nutrire dubbi. Hanno ormai messo nel mirino le Regioni, in nome della necessaria uniformità; invocano la clausola di supremazia, lamentano la babele delle regolazioni diverse, ridicolizzano le scelte fatte a macchia di leopardo sul territorio nazionale.
A parte il fatto (ovviamente ignorato) che la babele in questione è il frutto della riforma costituzionale voluta nel 2001 dalla sinistra, i nostri giornaloni avrebbero anche una certa fetta di ragione. Ma guardate invece come ragionano, gli stessi giornaloni, quando analizzano la vicenda negli Stati Uniti. Sono schieratissimi con i governatori dei singoli Stati che vogliono fare da sé, e che perciò si oppongono a Trump, che vorrebbe invece utilizzare poteri federali uniformi e validi per tutti.
Non importano nulla, ai nostri media, le ragioni storiche e costituzionali che militano, per quanto riguarda gli USA, in favore dei singoli Stati. A loro interessa solo andare contro Trump, e così fanno: senza però rendersi conto che, così facendo, stanno assumendo una posizione del tutto incoerente con quella che proclamano con riferimento alla vicenda italiana.
Il fatto è che, per quanto riguarda l’Italia, l’obiettivo dell’informazione partigiana è uno solo: prendersela con la Lombardia, accusandola di ogni nefandezza, fornendo materiale di supporto al colpo definitivo che, sperano, verrà sferrato dalla Procura di Milano. Purtroppo, ed è fonte di grande rabbia e amarezza, non è difficile prevedere che andrà proprio così: e dopo la desertificazione umana ed economica prodotta dal virus, il motore economico italiano verrà così azzerato anche politicamente, per via giudiziaria, nel solco della tradizione italiana di questi ultimi quarant’anni.
Se si volessero analizzare le cose correttamente bisognerebbe dire e fare altro.
La babele delle regole, che abbiano sperimentato in queste settimane, e che rischiamo di sperimentare anche per la fase due, è frutto sia delle regole costituzionali volute dal centro-sinistra nel 2001, sia della sconsiderata, recentissima, normativa, approvata dal governo Conte (dl n. 19 del 2020), che nella sostanza dice: “sono io Stato a decidere come si fa per tutto il territorio nazionale, ma intanto, finché non vengano approvati dei nuovi decreti del Presidente del Consiglio (i famigerati dpcm!), voi Regioni potete anche decidere diversamente, sempre che vogliate approvare regole più rigorose”.
Qui nasce la babele. Cosa si intende per regola più rigorosa? E come ci si regola con i nuovi dpcm che nel frattempo il buon Conte ha approvato? Come, dunque, si conciliano, alla fine, le scelte statali con quelle regionali? Cittadini comuni costretti a improvvisarsi giuristi si affannano a interpretare. Nell’inevitabile incertezza fiorisce l’arbitrio, che mette a rischio serio le nostre più sacre libertà.
Non dovrebbe proprio funzionare così. É ovvio, ad esempio, che la riapertura a Bergamo, Brescia e Milano è cosa diversa dalla riapertura in Molise o in Basilicata. Perché fare il lockdown o impedire le riaperture dove i contagi sono pochissimi o non ci sono proprio? Il rigore uniforme è altrettanto illogico della babele irresponsabile. Dipende dal contesto. E il contesto lo possono meglio valutare le autorità più vicine al territorio, nel quadro di alcuni principi fondamentali necessariamente validi per tutti. Così, le aperture differenziate avrebbero un senso ragionevole, collegato e adeguato al contesto reale di riferimento.
Bastava allora convocare una bella Conferenza Stato-Regioni, e poi, all’esito di questa, fare una disciplina complessiva, che tenesse conto dell’accordo raggiunto in quella sede. Invece il nostro Winston Conte vuole fare tutto da solo a suon di cervellotici dpcm, senza il Parlamento e senza la conferenza Stato-Regioni, ascoltando oscuri esperti scelti da lui solo, di cui nessuno sa poco o niente.
Ci piacerebbe avere anche qui in Italia un Andrew Cuomo, che (come ha fatto quest’ultimo rivolgendosi a Trump) gli dicesse: non abbiamo mica un “Conte Re!”
COLAO ARRIVA COME GAULEITER . DI BILL GATES.
Vittorio Colao e la sua “task force” di tecnici sopraffini che farà rifiorire l’Italia, per prima cosa ha preteso l’immunità penale e civile per sé e i suoi tecnocrati. Vuole insomma l’esenzione anticipata da ogni responsabilità criminale per gli atti e le decisioni che prenderà lui e la “task force”.
Il solo a lanciare l’allarme è stato Claudio Borghi. Silenzio, naturalmente, del Quirinale.