Anche Biden divide la Chiesa. Libertà sì, ma per fare che cosa?
La copertina di “Time” sopra riprodotta porta la data del 12 dicembre 1960. Nel mese precedente John F. Kennedy era stato eletto come primo presidente cattolico degli Stati Uniti. E il gesuita in copertina, John Courtney Murray, vi figurava come il grande teorico di una visione cattolica della libertà religiosa finalmente compatibile con il pluralismo della società americana.
Era a Murray che la squadra di Kennedy aveva chiesto consiglio per redigere il celebre discorso poi rivolto dal futuro presidente il 12 settembre a Houston a una platea di pastori protestanti, per fugare i timori – all’epoca molto diffusi nella società americana – di una sua subalternità ai dettami di una gerarchia cattolica ostile alle moderne libertà.
In quello stesso 1960, infatti, Murray aveva pubblicato un libro che puntava dritto a sciogliere questi timori, fin dal titolo ricalcato sull’esordio della Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America del 1776: “We Hold These Truths. Catholic Reflections on the American Proposition” [“Noi crediamo in queste verità. Riflessioni cattoliche sul ‘principio americano’”].
Quel libro fece molta strada. Nel 1965, in pieno Concilio Vaticano II, fu tradotto in Italia dalla Morcelliana, l’editrice di Brescia vicina a papa Paolo VI. E Murray, emigrato a Roma come perito dei vescovi americani, fu il principale ispiratore ed estensore della dichiarazione conciliare “Dignitatis humanae”, approvata il 7 dicembre di quell’anno, che sulla libertà religiosa segnò una svolta epocale.
Della giustezza di quella svolta lo stesso Paolo VI era talmente convinto che volle far preliminarmente votare e approvare dal concilio, il 21 settembre, le linee generali di quel testo, per potersi recare negli Stati Uniti e all’ONU, pochi giorni dopo, forte di quel “passaporto”.
A conferma della rilevanza di “Dignitatis humanae” c’è il fatto che è divenuta anche il documento più contestato del Concilio Vaticano II, ancora ai giorni nostri.
Sul suo rifiuto è maturato persino uno scisma, quello dei seguaci dell’arcivescovo tradizionalista Marcel Lefebvre e, oggi, del suo emulo ben più scatenato, l’arcivescovo Carlo Maria Viganò, la cui ultima mansione fu curiosamente quella di nunzio apostolico negli Stati Uniti.
Non stupisce, quindi, che Benedetto XVI, nel memorabile suo discorso del 22 dicembre 2005, abbia scelto proprio “Dignitatis humanae” per esemplificare la corretta interpretazione del Concilio Vaticano II, come “vera riforma” fatta “insieme di continuità e discontinuità”.
E una delle ragioni del distacco della Chiesa dalle sue posizioni antiliberali dell’Ottocento e del Novecento era individuata da papa Joseph Ratzinger proprio nel modello americano:
“Ci si rendeva conto che la rivoluzione americana aveva offerto un modello di Stato moderno diverso da quello teorizzato dalle tendenze radicali emerse nella seconda fase della rivoluzione francese”.
Il modello americano è quello che ha i suoi due cardini nel primo emendamento della costituzione degli Stati Uniti: “no establishment”, il rifiuto di una religione di Stato, e “free exercise”, la libertà di professare pubblicamente la propria fede.
Per Murray, all’origine di questi principi c’era il filosofo del Seicento John Locke, che a sua volta risaliva a san Tommaso e a Sant’Agostino.
Mentre per Benedetto XVI l’ispirazione prossima proveniva anch’essa dai principi di libertà di alcuni Stati moderni, ma in radice da “Gesù stesso” e dai “martiri della Chiesa primitiva”, che “sono morti per la libertà di professione della propria fede, una professione che da nessuno Stato può essere imposta, ma invece può essere fatta propria solo con la grazia di Dio, nella libertà della coscienza”.
Ebbene, quel libro di Murray che svolse un ruolo così rilevante prima e durante il Concilio esce oggi di nuovo in Italia, in coincidenza perfetta con l’ingresso alla Casa Bianca del secondo presidente cattolico degli Stati Uniti, Joe Biden:
L’introduzione a questa riedizione del libro, curata da Stefano Ceccanti – professore di diritto pubblico comparato all’Università di Roma “La Sapienza” e deputato del partito democratico, nonché in gioventù presidente degli universitari cattolici –, è stata riprodotta integralmente su “L’Osservatore Romano”, nelle stesse ore del giuramento e del discorso inaugurale di Biden, il 20 gennaio:
> Noi crediamo in queste verità
*
Tutto in ordine e in pace, dunque, tra la Chiesa cattolica e il nuovo presidente americano, nel solco nobile di Murray e di “Dignitatis humanae”?
Niente affatto. Perché con Biden si è ancora una volta palesato che il problema non è solo la libertà religiosa, ma il che cosa fare con questa libertà.
Che la disputa sia reale e lontana dall’essere risolta lo si è visto anche nella divergente intonazione dei due più alti messaggi ecclesiastici che hanno salutato l’ingresso di Biden alla Casa Bianca: quello di papa Francesco e quello del presidente della conferenza episcopale degli Stati Uniti, l’arcivescovo di Los Angeles José Horacio Gómez.
Papa Francesco si è limitato brevemente a invocare dal nuovo presidente la costruzione di “una società caratterizzata da autentica giustizia e libertà, insieme all'immancabile rispetto per i diritti e la dignità di ogni persona, specialmente dei poveri, dei vulnerabili e di coloro che non hanno voce”.
L’arcivescovo Gómez invece, in un messaggio molto più ampio e articolato diffuso in inglese e in spagnolo, dopo aver riconosciuto la sincera fede cattolica del nuovo presidente e il suo costante impegno “per il primato evangelico per i poveri”, ha così proseguito:
“Come pastori, i vescovi di questa nazione hanno ricevuto il mandato di proclamare il Vangelo in tutta la sua verità e forza, a tempo e fuori tempo, anche quando l’insegnamento è scomodo o quando la verità del Vangelo è contraria alla direzione prevalente della società e della cultura. Pertanto, non posso non rilevare che il nostro nuovo presidente ha preso l’impegno di perseguire alcune politiche che implicherebbero dei mali morali e minaccerebbero la vita e la dignità umana, in modo particolarmente grave nei campi dell’aborto, della contraccezione, del matrimonio e del genere. La nostra profonda preoccupazione è la libertà della Chiesa e la libertà dei credenti di vivere secondo le loro coscienze”.
E ancora:
“Per i vescovi di questa nazione, la continua ingiustizia dell’aborto rimane la ‘priorità preminente’. Preminente non significa ‘sola’. Siamo profondamente preoccupati per le molte minacce alla vita e alla dignità nella nostra società. Ma come papa Francesco insegna, noi non possiamo stare in silenzio quando quasi un milione di vite non nate sono gettate via nel nostro paese anno dopo anno con l’aborto”.
Nel concludere, Gómez ha detto di sperare che “il nuovo presidente e la sua amministrazione lavoreranno con la Chiesa e altri uomini di buona volontà” per “affrontare i complessi fattori culturali ed economici che portano all’aborto” e per “mettere in opera una coerente politica della famiglia”, nel “pieno rispetto della libertà religiosa della Chiesa”.
Ma poco dopo la pubblicazione di questo messaggio si sono subito levate voci di aspro dissenso, da parte di due cardinali della corrente – tuttora minoritaria tra i vescovi americani – più vicina a papa Francesco e al partito democratico, l’arcivescovo di Chicago Blase J. Cupich e l’arcivescovo di Newark Joseph W. Tobin, contrarissimi a impegnare la conferenza episcopale in una sistematica contestazione “pro-life” delle politiche di Biden.
È una divaricazione che è in atto da anni, specie dopo la promozione di Cupich a Chicago nel 2014, e che si è manifestata tra l’altro nella disputa se dare o no la comunione eucaristica a un politico cattolico sostenitore di politiche abortiste, come appunto il nuovo presidente, disputa di cui ha dato conto Settimo Cielo nel precedente post.
Papa Francesco è anche lui, palesemente, dalla parte di chi preferisce il silenzio alla contestazione, tutto all’opposto del suo predecessore Benedetto XVI, che il 18 febbraio del 2009, dopo aver ricevuto in Vaticano la cattolica Nancy Pelosi, del partito democratico, allora come oggi “speaker” della camera dei rappresentanti degli Stati Uniti e anche lei pro-aborto, fece emettere questo severo comunicato:
“Sua Santità ha colto l'occasione per illustrare che la legge morale naturale e il costante insegnamento della Chiesa sulla dignità della vita umana dal concepimento alla morte naturale impongono a tutti i cattolici, e specialmente ai legislatori, ai giuristi e ai responsabili del bene comune della società, di cooperare con tutti gli uomini e le donne di buona volontà per promuovere un ordinamento giuridico giusto, inteso a proteggere la vita umana in ogni suo momento".
Lo scorso 21 gennaio Nancy Pelosi ha ribadito le sue posizioni, sostenendo che quelli che hanno votato Donald Trump per la sua contrarietà all’aborto in realtà “intendevano mandare a picco l’intera democrazia, per questa sola questione”.
Al che è prontamente arrivata la replica di Salvatore Cordileone, arcivescovo di San Francisco, la diocesi della stessa Pelosi: “Nessun cattolico in buona coscienza può favorire l’aborto. La nostra terra è imbevuta del sangue degli innocenti, e ciò deve finire”.
Il giorno dopo, un altro scontro si è verificato tra lo stesso Biden e il capo della commissione "pro-life" della conferenza episcopale, l'arcivescovo di Kansas City Joseph Naumann, a seguito di un pronunciamento del nuovo presidente e della sua vice Kamala Harris a sostegno dell'aborto legale, nell'anniversario della sentenza Roe v. Wade.
Non una parola, su "L'Osservatore Romano", degli interventi di Gómez e Naumann.
Insomma, la disputa continua. Libertà religiosa sì, ma per fare che cosa?
————
In coda alla sua introduzione della riedizione italiana del libro di John Courtney Murray, il professor Stefano Ceccanti scrive:
“Nel 2010 una vivace polemica scoppiò sul blog di Sandro Magister tra l’allora arcivescovo di Denver Charles Chaput (che in seguito diventerà nell’episcopato degli Stati Uniti uno dei critici più intransigenti di papa Francesco) e il sociologo Luca Diotallevi, a proposito del celebre discorso di Kennedy del 1960, ispirato da Murray. Secondo Chaput, Kennedy avrebbe accettato un’impostazione da separazione ostile al fatto religioso, mentre per Diotallevi il futuro presidente si sarebbe invece mosso sulla linea di Murray, in anticipo sulla successiva dichiarazione conciliare ‘Dignitatis humanae’. Un dibattito emblematico delle linee di frattura del cattolicesimo americano”.
Il discorso di Kennedy all’origine della disputa, pronunciato a Houston il 12 settembre 1960:
> Transcript: JFK's Speech on His Religion
Cinquant’anni giusti dopo, la dura critica dell’arcivescovo Chaput a quel discorso di Kennedy:
> La dottrina del cattolico Kennedy? Da dimenticare (2.3.2010)
E il successivo botta e risposta tra Diotallevi e Chaput, con Murray sullo sfondo:
> Salvate il cattolico Kennedy. Una replica a monsignor Chaput (11.4.2010)
> Caso Kennedy. Il vescovo boccia il professore (21.4.2010)
Luca Diotallevi insegna sociologia all'Università di Roma Tre, è stato senior fellow del Center for the Study of World Religions della Harvard Divinity School, ed era tra gli esperti più ascoltati dalla conferenza episcopale italiana, negli anni di presidenza dei cardinali Camillo Ruini e Angelo Bagnasco.
Settimo Cielo
di Sandro Magister 25 gen
George Weigel, scrittore, amico e biografo di San Giovanni Paolo II, scrive una riflessione sul gesto coraggioso dell’arcivescovo Gomez nel far presente al Presidente Biden nel giorno dell’inaugurazione della sua presidenza che l’essere cattolico, come Biden dice di sé pubblicamente, comporta aderire alle verità che la Chiesa ha sempre insegnato, e non ignorarle, abbracciando tutto ciò che le contrasta.
Ecco il suo articolo pubblicato su The First Thing, nella mia traduzione.
Durante il loro incontro annuale nel novembre dello scorso anno, una massa critica dei vescovi cattolici degli Stati Uniti ha riconosciuto che l’elezione di Joe Biden alla presidenza aveva portato la Chiesa a un punto critico.
Il presidente eletto aveva parlato a lungo, e con evidente sincerità, dei modi in cui la sua fede cattolica lo aveva sostenuto in tempi di grande sofferenza, compresa la morte della sua prima moglie e di suo figlio. Frequentava regolarmente la messa ed era famoso per vantarsi di portare con sé il suo rosario. Nella sua campagna del 2020, ha citato Papa Francesco, ha parlato spesso del suo affetto per le suore religiose e ha invocato la dottrina sociale della Chiesa come fonte delle sue posizioni politiche.
Eppure, durante la sua carriera al Senato e i suoi otto anni da vice presidente, Biden era diventato un sostenitore sempre più stridente dell’interpretazione più estrema del regime dell’aborto imposto al paese da Roe vs. Wade nel 1973 (sentenza della Corte Suprema che ha legalizzato l’aborto, ndr) e rafforzato da Planned Parenthood (multinazionale dell’aborto, ndr) contro Casey nel 1992. Era un avido sostenitore di Obergefell v. Hodges e del “matrimonio gay” (e ha officiato lui stesso una di queste cerimonie quando era vicepresidente). Non c’era alcuna distanza visibile tra le sue recenti posizioni politiche, da un lato, e quelle dei più aggressivi sostenitori LGBT e della “teoria gender” dall’altro. Inoltre, sembrava ignaro delle minacce che tutto questo poneva alla libertà religiosa delle istituzioni cattoliche e ai diritti di coscienza dei cattolici nell’assistenza sanitaria, nell’istruzione e in altri campi. Durante la campagna per le primarie del 2020, è arrivato a dire che, come presidente, avrebbe annullato l’esenzione dal mandato contraccettivo dell’Obamacare (che includeva alcuni contraccettivi abortivi) che l’amministrazione uscente aveva concesso alle Piccole sorelle dei poveri, che si rifiutavano di includere contraccettivi e abortivi nella copertura sanitaria dei loro dipendenti.
L’incontro dell’USCCB (Conferenza Episcopale USA, ndr) di novembre raggiunse quello che un vescovo in seguito descrisse come un “consenso fragoroso” sul fatto che fosse stato raggiunto un punto di svolta; un altro vescovo ha detto che l’incontro si è concluso con un “mandato forte e chiaro” per l’azione. Allora cosa fare?
Il presidente della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti, l’arcivescovo José Gomez di Los Angeles, ha deciso di nominare un gruppo di lavoro sul coinvolgimento della nuova amministrazione, che avrebbe proposto un piano d’azione alla luce di questa sfida senza precedenti alla coerenza sacramentale e morale della Chiesa. Il gruppo di lavoro sarebbe stato presieduto dal vice presidente dell’USCCB, l’arcivescovo Allen Vigneron di Detroit; i suoi membri vescovi avrebbero incluso i presidenti delle commissioni permanenti dell’USCCB; e avrebbe fatto le sue raccomandazioni al presidente della conferenza Gomez il più presto possibile.
In due riunioni il gruppo di lavoro raggiunse rapidamente il consenso e formulò le sue raccomandazioni all’arcivescovo Gomez. Come Gomez ha poi riferito ai vescovi, il gruppo di lavoro propose due iniziative. La prima sarebbe stata una lettera al nuovo presidente da parte dell’Arcivescovo Gomez, scrivendo come pastore. La lettera avrebbe promesso sostegno alla nuova amministrazione nelle aree di accordo. Avrebbe identificato anche le politiche dell’amministrazione, compreso l’aborto, che i vescovi ritengono violino la dignità umana, e avrebbe sollecitato il nuovo presidente a rivalutare le sue posizioni su queste questioni. La seconda iniziativa proposta dal gruppo di lavoro era lo sviluppo di una dichiarazione della conferenza sulla coerenza eucaristica della Chiesa.
Quest’ultima deve ancora essere sviluppata – e lo sarà – ma l’arcivescovo Gomez è stato d’accordo con la raccomandazione del gruppo di lavoro che un approccio al nuovo presidente fosse fatto il più presto possibile. Piuttosto che una lettera, Gomez ha scelto di rilasciare una dichiarazione pubblica il giorno dell’insediamento del signor Biden.
Il giorno prima dell’inaugurazione, tuttavia, il cardinale Blase Cupich di Chicago e il cardinale Joseph Tobin di Newark (ambedue promossi cardinali da Papa Francesco, ndr) hanno fatto forti pressioni sull’arcivescovo Gomez affinché non facesse alcuna dichiarazione, così come ha fatto il nunzio apostolico negli Stati Uniti, l’arcivescovo Christophe Pierre. L’arcivescovo Gomez ha resistito a queste pressioni e ha pianificato di rilasciare la sua dichiarazione alle 9 del giorno dell’inaugurazione, tre ore prima del giuramento del nuovo presidente. Poi la Segreteria di Stato della Santa Sede è intervenuta, chiedendo che la pubblicazione della dichiarazione fosse ritardata. L’interpretazione caritatevole di questa interferenza senza precedenti nell’azione proposta da una conferenza nazionale dei vescovi è che essa rifletta una preoccupazione del Vaticano che la prima dichiarazione cattolica sul nuovo presidente provenisse dal papa stesso (come ha fatto poco dopo mezzogiorno del 20 gennaio, in un anodino messaggio di congratulazioni). Si potrebbe anche ipotizzare, non irragionevolmente, che siano state fatte rimostranze al Vaticano, e forse allo stesso Papa Francesco, da parte di alcuni di coloro che avevano cercato di spingere l’arcivescovo Gomez al silenzio.
Queste sono domande interessanti per il futuro.
In ogni caso, la dichiarazione dell’arcivescovo Gomez è stata rilasciata poco dopo che il presidente Biden ha completato il suo discorso inaugurale. Era chiaramente una dichiarazione pastorale, non un manifesto politico. Il suo tono era del tutto rispettoso e privo di clericalismo. Riconosceva la freschezza del nuovo presidente e la pietà espressa pubblicamente in “un tempo di crescente e aggressivo secolarismo nella cultura americana”. Si è impegnato a lavorare con l’amministrazione entrante sulle questioni che i vescovi hanno evidenziato nella più recente edizione della loro guida, Forming Consciences for Faithful Citizenship, come la politica di immigrazione, la riforma della giustizia penale, la lotta al razzismo e il sostegno dei poveri. Ha accolto “l’appello del presidente Biden per la guarigione (della frattura nel popolo, ndr) e l’unità nazionale” e ha proposto una conversazione con il nuovo presidente e l’amministrazione sui passi per costruire una cultura della vita negli Stati Uniti.
E la dichiarazione ha evidenziato adeguatamente la particolare gravità morale delle questioni relative alla vita, sottolineando che la licenza di aborto “non è solo una questione privata [ma] solleva preoccupanti e fondamentali questioni di fraternità, solidarietà e inclusione nella comunità umana”. Così, ha scritto l’Arcivescovo Gomez, la questione dell’aborto “è una questione di giustizia sociale”, perché gli americani “non possono ignorare la realtà che i tassi di aborto sono più alti tra i poveri e le minoranze, e che la procedura è regolarmente usata per eliminare bambini che sarebbero nati con disabilità”.
Secondo qualsiasi standard ragionevole, la dichiarazione dell’arcivescovo Gomez è stata equilibrata e misurata; senza la controversia che è scoppiata prima e dopo la sua pubblicazione, alcuni avrebbero probabilmente sostenuto che era troppo equilibrata e troppo misurata. La controversia, tuttavia, ha sottolineato la posizione ferma, chiara e inequivocabile della dichiarazione sulla “priorità preminente” delle questioni relative alla vita – e quindi ha accresciuto l’impatto di quelle parti della dichiarazione che i cardinali dissidenti possono aver trovato così discutibili da cercare di mettere a tacere l’intero documento.
Più tardi, il giorno dell’inaugurazione, il cardinale Cupich ha rilasciato una dichiarazione, seguita da una serie di tweet, deplorando la dichiarazione dell’arcivescovo Gomez come “sconsiderata”, una “sorpresa per molti vescovi” e il risultato di “fallimenti istituzionali interni” da parte della USCCB. Non è chiaro se questi duri giudizi riflettano l’opinione a Roma e a Chicago (città della diocesi del card. Cupich, ndr). In ogni caso, non sopportano un attento esame.
Il suggerimento (fatto dal card. Cupich, ndr) che l’arcivescovo Gomez stesse in qualche modo agendo indipendentemente dalla conferenza episcopale e quindi in modo irresponsabile è esso stesso ingiusto e irresponsabile. La dichiarazione dell’arcivescovo è stata elaborata in risposta alle raccomandazioni del gruppo di lavoro che aveva nominato a novembre. Quelle raccomandazioni a loro volta riflettevano l’ampio consenso tra i vescovi mostrato nella loro riunione di novembre. Inoltre, nell’identificare le aree di accordo e di disaccordo con l’amministrazione entrante, la dichiarazione non è andata oltre ciò che l’USCCB aveva detto per anni, persino per decenni. Suggerire che ci sia stato qualcosa di inedito qui è falsificare la storia. Ciò che era davvero senza precedenti, come l’arcivescovo Gomez ha sottolineato nella sua dichiarazione, era la situazione di un presidente degli Stati Uniti che professava un cattolicesimo devoto e sentito e tuttavia era pubblicamente impegnato a facilitare gravi mali morali. Non riconoscere questo fatto, e non affrontarlo con il nuovo presidente, sarebbe costato caro ai vescovi in termini di autostima e credibilità pubblica.
Nessun vescovo che abbia partecipato alla riunione dell’USCCB di novembre e abbia ascoltato attentamente le preoccupazioni espresse in quella sede avrebbe potuto essere sorpreso dal contenuto della dichiarazione dell’Arcivescovo Gomez. La dichiarazione rifletteva abbastanza precisamente i temi dominanti di quella riunione: Ci sono molte gravi questioni morali nel dibattito pubblico contemporaneo, ma le questioni della vita, come Papa Francesco stesso ha insistito, hanno la priorità perché toccano questioni fondamentali di dignità umana e i primi principi di giustizia. Alcuni possono essere stati sorpresi dal fatto che l’arcivescovo Gomez abbia avuto il coraggio di scrivere così apertamente al presidente Biden, e di farlo dopo essere stato pressato da due cardinali; ma qualsiasi sorpresa tradisce l’ignoranza dell’uomo. L’arcivescovo Gomez è una persona tranquilla e gentile che non cerca i riflettori; non è un twittatore incallito; non è polemico. Più che altro, però, è un uomo di profonda fede e solida pietà, che a novembre ha capito che era stato raggiunto un punto di inflessione e che la credibilità evangelica della Chiesa fosse in gioco per questo. Ha offerto un profilo di coraggio episcopale in un momento in cui pochi altri – i veri outsider in questo dramma – chiedevano (si spera senza riconoscere l’analogia) una ripresa dell’approccio accomodante nei confronti dei funzionari pubblici cattolici a lungo sostenuto da Theodore McCarrick (il cardinale ridotto allo stato laicale per abusi sessuali su minori e adulti, ndr), non ultimo durante le elezioni del 2004.
Negli ultimi mesi, è emerso un consenso tra i vescovi americani, compresa praticamente l’intera leadership episcopale della USCCB: mantenere una falsa facciata di unità episcopale non vale il sacrificio delle verità di cui la Chiesa deve parlare. Queste includono la verità sull’integrità sacramentale e la coerenza eucaristica della Chiesa stessa; le verità sull’inalienabile dignità e valore di ogni vita umana dal concepimento fino alla morte naturale; la verità sulla piena libertà religiosa e i diritti di coscienza di coloro che rifiutano di agire contro la dignità umana; e la verità sulla preoccupazione della Chiesa per la salute spirituale dei funzionari pubblici cattolici che, con qualsiasi grado di colpevolezza soggettiva, tuttavia facilitano gravi mali morali.
Nel suo spesso commovente discorso inaugurale, il presidente Biden ci ha chiamati a “porre fine a questa guerra civile che contrappone il rosso al blu” e ha dichiarato la sua convinzione che “possiamo farlo se apriamo le nostre anime invece di indurire i nostri cuori”. Dubito che l’arcivescovo José Gomez abbia ricevuto una copia anticipata del discorso del presidente. Ma, provvidenzialmente, la sua dichiarazione nel giorno dell’inaugurazione era un invito del pastore al presidente Biden a fare proprio questo: aprire la sua anima alla pienezza della verità cattolica. L’arcivescovo merita grande credito per aver avuto il coraggio di farlo, così come i molti, molti cardinali e vescovi che lo hanno sostenuto e che continueranno a lavorare per trasformare questo punto di inflessione in un momento di rinnovamento cattolico evangelico, a prescindere dai costi.
Di Sabino Paciolla
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.