Magister su Settimo Cielo e Tosatti su Stilum Curiae cantano il Requiem della comunicazione istituzionale della Santa Sede
Siamo uomini di poca fede, ma in questo caso la nostra seppur poca fede ci ha aiutato. Abbiamo urlato, vox clamantis in deserto, e abbiamo ricevuto anche autorevoli risposte. Siamo sempre stati convinti che il lavoro paga, a volte molto in ritardo, ma alla lunga si viene sempre ripagati delle fatiche profuse. È da molto tempo che sottolineiamo il pietoso stato comatoso della comunicazione istituzionale della Santa Sede. In più occasioni abbiamo fatto appelli accorati ai giornalisti – e in particolare ai vaticanisti – ricevendo con sorpresa più risposte dagli “esterni” alla Chiesa, che dagli stessi vaticanisti.
Ultimamente registriamo con grande piacere gli interessanti articoli dello stimato amico e vaticanista di lungo corso, Marco Tosatti [QUI], e il sempre autorevole e stimato Sandro Magister, del quale abbiamo citato ultimamente un approfondimento datato ma sempre attuale riguardo a San Giovanni Paolo II e il caso IOR [QUI].
Tutto ciò da un lato ci fa molto piacere e ci sprona a non abbassare la guardia per la ricerca e la divulgazione coraggiosa della verità, ma dall’altro significa che non ci eravamo sbagliati in merito allo stato comatoso della comunicazione istituzionale della Santa Sede. E di ciò non siamo per nulla contenti. Confidiamo agli attenti lettori che avremmo preferito davvero di aver sbagliato e prendere un granchio invece di cogliere nel segno…
Comunicatori vaticani in piena confusione. Ma al papa piace così
di Sandro Magister
Settimo Cielo, 1° febbraio 2021
Incredibile ma vero. La notizia bomba data dal papa era che Gesù aveva istituito nell’ultima cena non uno ma “due Sacramenti”, l’eucaristia e la lavanda dei piedi, per un totale che quindi non farebbe più sette ma otto. Leggere sopra per credere. Perché c’era scritto proprio così nella versione italiana diffusa il 19 gennaio dalla Sala Stampa della Santa Sede delle parole di Francesco in un suo videomessaggio ai vescovi e sacerdoti del Venezuela.
Fortunatamente, nell’originale spagnolo del videomessaggio il papa diceva un’altra cosa. Parlava non di “dos Sacramentos” ma di “dos instituciones que Jesús lleva a cabo en la Última Cena”, poi tradotto con “due atti istitutivi che Gesù compie nell’Ultima Cena” nella versione ufficiale passata agli archivi.
Che la macchina comunicativa vaticana arrivi a cadere in simili svarioni è qualcosa che lascia sbalorditi. Ma c’è molto di più. Questo ora riferito è solo un frammento di un più generale stato di confusione.
Tre giorni prima, il 16 gennaio, Francesco aveva ricevuto in udienza Paolo Ruffini, prefetto del dicastero per la comunicazione. E dieci giorni dopo sarebbe stato diffuso l’annuale messaggio pontificio per la giornata mondiale delle comunicazioni, con le consuete tirate contro le “fake news”. Ma le lezioni che il Vaticano dà in questa materia non sono certo impeccabili.
Per rendersene conto, basta scorrerne a ritroso il campionario.
Nel primi giorni del 2021 papa Francesco ha fatto fuoco e fiamme. Il 2 gennaio una grande intervista alla “Gazzetta dello Sport”, il numero uno dei quotidiani sportivi italiani. Poi una storia di copertina su “Vanity Fair”. Poi uno speciale su “Vogue”. Poi ancora, domenica 10 gennaio, un’intervista esclusiva e un docufilm in prima serata su Canale 5, l’ammiraglia delle tv private italiane.
Pianificazione perfetta, in apparenza. Ma se appena si guarda dietro le quinte, il paesaggio cambia.
Passi per “Vanity Fair” e per “Vogue”, dove un minimo d’intesa tra il papa e i responsabili della comunicazione vaticana è comprovato da un articolo di Andrea Tornielli sulla prima rivista e da una nota di padre Antonio Spadaro sulla seconda.
Ma l’intervista di Francesco alla “Gazzetta dello Sport” proviene palesemente da un’altra bottega. Tant’è vero che né “L’Osservatore Romano” né altri media vaticani l’hanno degnata di un solo cenno. A intervistare il papa è Pier Bergonzi, vicedirettore del quotidiano. Ma a organizzare il tutto è don Marco Pozza, cappellano del carcere di Padova, privo di incarichi in Vaticano ma di fatto, da almeno tre anni, l’attivista dei media prediletto da Jorge Mario Bergoglio. Si devono a lui le serie di interviste col papa sul “Padre Nostro”, sull’”Ave Maria”, sul “Credo” andate in onda su TV 2000, l’emittente della conferenza episcopale italiana. Si deve a una di queste interviste se oggi nelle chiese italiane è cambiata la traduzione del “Padre nostro”, in obbedienza a quanto ingiunto dal papa dagli schermi tv. Non stupisce che don Pozza si sia poi lamentato il 3 gennaio, sul suo blog personale, per il silenzio, anzi, per la “censura” inflitta dai media vaticani a lui e più ancora al papa.
E poi c’è l’intraprendenza di Bergoglio in prima persona. All’indomani della pubblicazione della sua intervista sulla “Gazzetta dello Sport”, il papa ha telefonato al giornale per complimentarsi per l’”ottimo lavoro di squadra”. Mentre per l’intervista a Canale 5 ha provveduto lui personalmente a mettersi in contatto con l’intervistatore Fabio Marchese Ragona e a fissare l’appuntamento a Santa Marta. Anche qui con il supporto di don Pozza, puntualmente invitato in trasmissione a commentare l’intervista andata in onda poco prima, compreso il passaggio in cui il papa aveva dato per moralmente obbligatoria quella vaccinazione anti-Covid definita invece da lui stesso “volontaria” poche settimane prima, in un’istruzione del 17 dicembre della congregazione per la dottrina della fede.
Inoltre, a differenza di tutte le precedenti interviste papali, videoregistrate da una troupe vaticana e controllate prima della messa in onda, questa a Canale 5 è stata videoregistrata a Santa Marta dalla stessa emittente, in esclusiva e senza alcun intervento del dicastero della comunicazione.
Sempre con il supporto di don Pozza e ad opera di strutture esterne, è già stato annunciato che presto andranno in onda – questa volta su Nove, il canale italiano di Discovery – altre interviste in cui Francesco dirà la sua sui sette vizi capitali, sulle quattro virtù cardinali e sulle tre virtù teologali. Per non dire di una serie di quattro nuovi filmati col papa, in arrivo su Netflix.
Altro caso esemplare, tra novembre e dicembre: le bordate contro l’aborto seminate da Francesco in alcune sue lettere private ad amici dell’Argentina, all’avvicinarsi del doppio voto, in congresso e in senato, che ne avrebbe poi approvato la piena legalizzazione.
Settimo Cielo ne ha dato notizia in dettaglio. A rivelare il contenuto di quelle lettere di Francesco erano stati non lui ma i destinatari, perché in pubblico e in via ufficiale Francesco si è attenuto al più assoluto silenzio in materia, sia prima che dopo l’approvazione della legge.
E nemmeno i media vaticani hanno mai fatto cenno a quelle lettere. In questo caso in piena concordia col dosaggio deciso dal papa tra le sue parole private e i suoi silenzi pubblici, dosaggio naturalmente gradito dai legislatori argentini.
È inoltre rivelatore, a proposito della sua filosofia della comunicazione, quanto scritto da Francesco in una di queste sue lettere autografe. Sui media – ha spiegato – tante volte “non si sa che cosa io dico”. Piuttosto “si sa quello che essi dicono che io dico”, spesso tramite il “sentito dire” di persone che vantano un’amicizia e una prossimità al papa che in realtà non hanno, come ad esempio – ha specificato – l’ex presidente argentina Cristina Kirchner e l’attivista dei “movimenti popolari” Juan Grabois. Da qui la predilezione di Bergoglio per le interviste dirette, senza intermediazioni tra lui e il popolo.
a c’è intervista e intervista. Tra le moltissime fin qui concesse da papa Francesco, quelle tra lui ed Eugenio Scalfari, fondatore del grande quotidiano laico “la Repubblica” e ateo a tutto tondo, sono un caso speciale. In otto anni sfiorano ormai la decina, quasi tutte sollecitate dal papa e tutte poi trascritte da Scalfari con disinvolte sottrazioni di cose dette e addizioni di cose non dette, il tutto candidamente ammesso dallo stesso Scalfari e placidamente accettato da Bergoglio, nonostante gli si sia fatto dire di tutto, che l’inferno non esiste, che Dio non è cattolico, che le religioni sono una sola, eccetera.
Dopo ogni intervista, all’inizio, la Sala Stampa della Santa Sede, all’epoca diretta da padre Federico Lombardi, avvertiva di prendere con precauzione le parole attribuite al papa dal celebre giornalista. Poi la sala stampa si è arresa e non ha più parlato, tranne un’altra volta, quando anche il “Times” di Londra aveva titolato: “Il papa abolisce l’inferno”.
Ma a Francesco piace così. E anche a Scalfari. Le sue ultime sortite plaudenti sono uscite su “la Repubblica” il 20 e il 22 novembre, in quest’ultimo caso riferendo di una “commovente” telefonata fattagli dal papa per ringraziarlo dell’articolo di due giorni prima.
E a proposito di telefonate trasformate dal papa in messaggio pubblico, il 20 novembre “America”. il settimanale dei gesuiti di New York, bergogliano di ferro, ha reso noto che Francesco aveva chiamato in quei giorni l’amico Evo Morales, ex presidente della Bolivia e campione della sinistra populista e indigenista, per felicitarsi della vittoria elettorale del suo partito. Incurante, il papa, della costernazione dei vescovi boliviani, regolarmente maltrattati dallo stesso Morales.
Altro momento di grande confusione sotto il cielo: la notizia bomba, esplosa sui media di tutto il mondo il 21 ottobre, di queste parole del papa, in un film del regista americano Evgeny Afineevski presentato al Festival del Cinema di Roma: “Le persone omosessuali…hanno diritto a una famiglia… Quel che dobbiamo fare è una legge di convivenza civile”.
In realtà queste parole erano il montaggio di frammenti di una precedente intervista di Francesco alla giornalista messicana Valentina Alazraki; intervista in parte tagliata, all’epoca, dai revisori vaticani, ma evidentemente messa a disposizione del regista nella sua interezza.
Nell’intervista originale Francesco non aveva affatto benedetto le “famiglie” e i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Ma questo era ciò che il film gli faceva dire.
Ebbene, di fronte a questa plateale manipolazione delle parole del papa, qual è stata la reazione dei responsabili vaticani?
Una reazione di totale silenzio. La Sala Stampa e i media della Santa Sede, pur di non entrare sull’argomento, hanno persino omesso di dare la notizia che nel pomeriggio di giovedì 22 ottobre, nei giardini vaticani, presente il prefetto del dicastero per la comunicazione Ruffini, era stato consegnato al regista Afineevsky il Kineo Movie for Humanity Award, proprio per il suo docufilm “Francesco”.
Ma molto più impressionante è stato il silenzio del papa, che il giorno prima aveva ricevuto Afineevsky in udienza festosa, con tanto di torta di compleanno. Evidentemente per lui non c’era nulla da rettificare.
Di una timida, tardiva e semiclandestina correzione del misfatto si è saputo solo dieci giorni dopo, il 31 ottobre, quando il nunzio apostolico in Messico Franco Coppola ha riprodotto sul suo account Facebook una “Nota di precisazione per comprendere alcune espressioni del papa nel documentario ‘Francesco’”, inviata in via riservata dalla segreteria di Stato a lui e ai nunzi apostolici di tutto il mondo.
Anche la battaglia per la democrazia a Hong Kong, con in prima fila i cattolici di quella città, ha fatto le spese della confusione che regna in Vaticano.
L’incidente è avvenuto all’Angelus di domenica 5 luglio. Un’ora prima di mezzogiorno la sala stampa aveva anticipato ai giornalisti accreditati il testo che il papa avrebbe letto poco dopo. Nel quale figurava – dopo mesi di silenzio assoluto – un primo cauto sostegno ai difensori della democrazia a Hong Kong, in una dozzina di righe scritte con lo stile diplomatico della segreteria di Stato.
Poi però, dalla finestra del Palazzo Apostolico, Francesco ha saltato completamente quel paragrafo. Di sua iniziativa? Probabilmente sì. Così come sono state sicuramente di testa sua, all’Angelus della domenica successiva, il 12 luglio, le parole da lui aggiunte a braccio a proposito della trasformazione in moschea della basilica costantinopolitana di Santa Sofia: “Il mare mi porta un po’ lontano col pensiero: a Istanbul. Penso a Santa Sofia, e sono molto addolorato”. Con conseguente brivido in segreteria di Stato, per le temute reazioni del suscettibile presidente turco Erdogan.
Risultato: da lì in avanti la sala stampa vaticana ha cessato di passare in anticipo ai giornalisti accreditati le parole del papa previste per il dopo Angelus, a scanso di guai vista la sua imprevedibilità.
E il silenzio di Francesco su Hong Kong è continuato fino ad oggi, nonostante le numerose vibrate proteste, tra cui quella di Lord Christopher Patten, ultimo governatore britannico della città cinese, rettore dell’Università di Oxford ed ex presidente della BBC, cattolico, chiamato in Vaticano, tra il 2014 e il 2015, a presiedere una commissione di esperti incaricata proprio di dare lumi su una riforma del sistema di comunicazione della Santa Sede.
Ultima perla di questa antologia: il comunicato diramato dalla Sala Stampa della Santa Sede il 6 marzo 2020, che testualmente diceva: “Accogliendo la proposta del Consiglio dei Cardinali e del Consiglio per l’Economia, Sua Santità Francesco ha disposto l’istituzione della ‘Direzione Generale del Personale’ presso la Sezione per gli Affari Generali della Segreteria di Stato”.
Il comunicato proseguiva fornendo precisi dettagli sui poteri del nuovo ufficio. E terminava con questa asserzione solenne: “Si tratta di un passo di grande rilevanza nel cammino di riforma avviato dal Santo Padre”.
Ma non era vero niente. Il giorno dopo la sala stampa ha dovuto precisare che l’istituzione del nuovo ufficio era soltanto allo stadio di “una proposta” avanzata da un paio di cardinali, sentiti i quali “il Santo Padre la studierà e, se lo riterrà opportuno, a tempo debito istituirà la struttura nelle modalità da lui decise con un apposito Motu proprio”.
Motu proprio di cui a tutt’oggi, quasi un anno dopo, non c’è traccia.
Ma non è finita. La macchina della comunicazione vaticana non produce solo le disfunzioni fin qui esemplificate. Perde colpi anche nell’informazione di routine.
Da quando Bergoglio è papa, durante i sinodi dei vescovi non si pubblicano più i bollettini quotidiani con i nomi degli intervenuti e le cose dette in aula da ciascuno [l’Ufficio “del Fungo” incaricato della traduzione e della pubblicazione delle notizie delle Assemblee Generali del Sinodo dei Vescovi – pubblicato due volte al giorno in una edizione con i testi nelle lingue originali e cinque edizioni nelle diverse lingue dell’Assemblea Generale di turno – che ho diretto per 17 Assemblee Generali del Sinodo dei Vescovi in tre decenni, fu abolito, insieme ai briefing linguistiche giornalieri con 5 addetti stampa, uno per ogni lingua, dopo che sono andato in pensione al 31 dicembre 2013. Va anche rilevato che questi bollettini furono resi disponibili in forma elettronica in tempo reale, dal momento della creazione del sito internet dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, voluto dall’Arcivescovo Celli e Dottor Navarro-Valls. V.v.B.].
Non si pubblicano più i bilanci annuali della Santa Sede e del governatorato della Città del Vaticano. Si forniscono solo di tanto in tanto dati sporadici e parziali, in attesa di un promesso riordino dei bilanci che non arriva mai. Idem per le raccolte annuali dell’Obolo di San Pietro.
Nel bollettino ufficiale [della Sala Stampa della Santa Sede. V.v.B.] che dà giornalmente notizia delle rinunce dei vescovi non se ne specifica più il motivo, se per aver superato l’età limite dei 75 anni, oppure se “per infermità o altra grave causa”.
Non si danno più, coma avveniva in passato, le cifre delle presenze alle udienze generali del mercoledì e agli Angelus domenicali.
L’ultimo dei grossi volumi che ogni anno elencavano tutte le attività della Santa Sede nei dodici mesi precedenti è uscito nel 2015. Dopo di allora più niente [ultimo volume uscito è AAS 110 [2018: 11] – Indice QUI].
Il discorso inaugurale dell’anno giudiziario della magistratura vaticana è reso pubblico qualche anno sì e qualche anno no, non si sa per quale ragione.
“L’Osservatore Romano”, tornato alle stampe dopo mesi di sospensione a motivo della pandemia, è sparito da quasi tutte le edicole e ha aumentato a dismisura il prezzo dell’abbonamento annuo: 450 euro per l’Italia e 750 per il resto del mondo. Nemmeno alla sala stampa vaticana arriva più. E on line è praticamente illeggibile, per come è montato e messo in rete.
Quanto al coordinamento di tutto nel dicastero per la comunicazione, è contraddetto ogni giorno dai fatti. Papa Francesco fa volentieri da solo. Oppure si fida molto più di don Pozza che del prefetto Ruffini e del direttore editoriale Tornielli.
Alla fine del 2018 due stimati giornalisti come Greg Burke e Paloma García Ovejero si dimisero da direttore e vicedirettore della sala stampa vaticana. Avevano visto e capito tutto.
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