L’ultimo grande dittatore è biancovestito. Un’analisi teologico-politica
(s.m.) Si avvicina il Natale e con esso anche quel discorso prenatalizio di papa Francesco alla curia vaticana che “augurale” è solo di nome, perché si risolve ogni anno in una iraconda sgridata ai malcapitati cardinali e capi d’ufficio.
Ma “Medice, cura te ipsum!”, griderebbe il bambino della fiaba al posto del meno appropriato “Il re è nudo!”, visto come l’attuale papa esercita i suoi poteri.
Sono i poteri ipertrofici che il professor Pietro De Marco analizza nell’intervento che segue, con gli effetti che ne derivano per il papato e per la gerarchia della Chiesa.
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LA “DIKTATUR” TRA SCHMITT E BERGOGLIO
Il cardinalato da ufficio permanente a mandato a discrezione?
di Pietro De Marco
Gli atti recenti di papa Francesco contro alcuni membri del collegio cardinalizio hanno, come ogni atto rilevante dell’autorità suprema in condizioni di straordinaria gravità, sia un rilievo immediato, sia una portata che investe l’ordinamento.
Che le condanne siano avvenute per gravi e accertate colpe sessuali nella vita privata o nell’esercizio del governo pastorale, o per altre fattispecie, dietro al dato giurisdizionale non può non apparire quello sostanziale dei contenuti e delle conseguenze materiali degli atti di governo, amministrativi e penali. Appare cioè il dato politico. La Chiesa è una “societas” umano-divina, e ogni “societas” ordinata è, prima e oltre le norme che è la “societas” stessa a darsi, una entità politica, “sui generis” nel suo caso.
Ora, non vi è dubbio che l’iniziativa che ha colpito negli ultimi mesi alcuni porporati, da Theodore McCarrick a Giovanni Angelo Becciu, certamente non nuova nella storia della Chiesa ma ostentatamente pubblicizzata, può far pensare – anzi, in alcuni circoli della Chiesa sperare – a una volontà deliberata del papa di indebolire il collegio cardinalizio, la sua funzione, le sue potestà,. E più oltre, l’episcopato.
Non va dimenticato che il collegio dei cardinali ha assunto nella tradizione politica moderna una immagine analoga a quella del senato, il grande senato di Venezia ad esempio, influente sugli ordinamenti politici europei. Il senato è, in forme diverse, sempre una camera alta, di peculiare composizione – aristocrazie di nascita o di censo – e funzione. È dunque un organo necessario, dotato di poteri stabili, sotto l’autorità ultima del sovrano. Ma la libertà di disporre a piacimento della sua composizione, ovvero dei suoi componenti, appartiene più che al sovrano assoluto a un esercizio assolutistico della sovranità, che è altra cosa.
Ora, è difficile non cogliere la componente straordinaria, anzitutto politica – interna alla “societas” ecclesiastica come esterna ad essa, presso i laicati, i governi e l’opinione pubblica mondiale – della prassi di Jorge Mario Bergoglio verso i cardinali. Il papa infatti: a) ha rafforzato la sua “potestas” sul terreno repressivo, che è ciò che più la rende temibile; b) ha ottenuto una conferma della sua autorità sul terreno dell’opinione, col conseguente rafforzamento della sua legittimità carismatica; c) ha indebolito la personalità collettiva del collegio cardinalizio; d) ha rafforzato nel collegio un proprio partito, con nomine apparse tali ai commentatori di ogni tendenza.
Chi abbia assistito in diretta tv alla messa di domenica 29 novembre, celebrata con i nuovi cardinali, ha avuto la sensazione – sicuramente gradevole per una parte della cosiddetta opinione pubblica ecclesiale – di avere davanti un trepido schieramento di dipendenti, scelti dalla benevolenza del papa ma non meno soggetti agli umori del Maestro, perché minacciati dal sonno della mediocrità e dell’indifferenza.
La battuta “Compòrtati bene!” detta da Francesco a un nuovo cardinale, rilanciata con compiacimento dai giornali, è da considerarsi inaudita, una confidenza irrituale e offensiva, estranea al senso di una cerimonia che non è una premiazione di un concorso di catechismo o di diplomati di un college, ma un evento alto della Chiesa gerarchica e universale. Non sarebbe stato, in sé, nemmeno il momento per una predica – una paternale – quasi rivolta da un superiore a persone immature che si apprestano a entrare nella vita. Si è avuta l’ennesima conferma che i temi della battaglia conciliare – qui il cardinalato e la collegialità – si possono usare e gettare a piacimento, strumentalizzare insomma, quando a farlo è un leader autoritario con poteri straordinari, nella Chiesa del tutto anomali.
Sappiamo che Bergoglio ha alle spalle una carriera di superiore entro la Compagnia di Gesù, occasionalmente esercitata in maniera impropria, di cui egli stesso si è rammaricato anche di recente. Ma l’aspetto che interessa non è quello umorale, talora violento, del suo carattere – non mancano papi che gli si possano avvicinare in questo –, quanto piuttosto quello teologico e spirituale, soprannaturale. Il legame che nella Chiesa unisce il titolare con il destinatario di un esercizio di autorità è sotto il segno dei fondamenti e dei fini ultimi per cui la gerarchia esiste, nell’ordine della Chiesa-sacramento. L’obbedienza è “l’origine e la madre di tutte le virtù” – nota formula di Agostino – perché essa è figura, nella Chiesa, di quel distacco dalla nostra volontà che è necessario all’unione con Dio.
Quindi il mero e funzionale esercizio di autorità legittima, al fine di piegare “politicamente” l’altro, non ha a che fare con l’”ordo amoris”, che certo non significa un bagno di dolcezze. L’”amor” asimmetrico, come quello tra un superiore e un inferiore, è un plesso di mutua benevolenza e di reciproca giustizia, è nel fondo un patto. Quando invece la giustizia, anche “sacrosanta” di papa Bergoglio appare priva di “caritas” – è stato notato più volte –, un mero “esercizio della coazione legittima”, per di più amministrata ad uso dell’opinione pubblica mondiale da cui il papa si sente giudicato. Scarsa di “sensus ecclesiae”, dunque, nonostante le molte parole in questo senso: purificazione, domanda di perdono, ecc.
Per concludere il ragionamento: lo stile istituzionale emerso improvvisamente col pontificato di Bergoglio e che consiste in una costante paternale, in un’inarrestabile rampogna inflitta ai vescovi del mondo – come le fantasiose accuse di pelagianesimo e formalismo ai vescovi italiani, a Firenze nel 2015 –, questa sorta di savonarolismo del soglio pontificio, ha effetti perversi: soprattutto l’indebolimento dell’autorità morale della gerarchia mondiale presso i rispettivi popoli, a vantaggio del potere carismatico di Roma, anzi, di questo papa. Quello che i cosiddetti “cattolici adulti” lamentavano negli anni di Giovanni Paolo II, la famigerata ipertrofia del ruolo petrino, si sta in realtà realizzando politicamente oggi.
È palese che sono esonerati dal cruccio papale quei vescovi e quei cardinali che cercano di assomigliargli in stile e ideologia, e finché lo fanno. Il capo carismatico ha sempre attorno a sé una sequela più che un’istituzione; e se dispone di quadri istituzionali li usa in stretti termini di potere, coercitivi. Per usare le categorie illuminanti del Carl Schmitt costituzionalista, il papa, riplasmando il collegio cardinalizio, più che da titolari di uffici si vuole circondato da commissari in costante dipendenza da lui, revocabili in ogni momento. Scriveva Schmitt nel suo celebre saggio “La dittatura” del 1921, a proposito dell’antico istituto del commissario: “Il contenuto dell’attività commissaria è rigorosamente vincolato all’istruzione ricevuta, la discrezionalità è strettamente limitata, il commissario rimane sempre e in ogni dettaglio direttamente dipendente dalla volontà del mandante, che però può anche concedergli un ampio margine di discrezionalità”.
Naturalmente questo è solo un paradigma con cui misurare un possibile approssimarsi della Chiesa gerarchica di Bergoglio a modelli politici noti. Non potendo essere, per divina costituzione, assolutistico, il governo del papa attuale tende a una “dittatura commissaria” la cui discrezionalità sarebbe dovuta alla eccezionalità dei tempi. Ma “quis iudicabit” una eccezionalità nella Chiesa? La crisi della pedofilia è stata invocata analogicamente come una pandemia che legittima risposte eccezionali; ma i paladini del papa sono giudici idonei? Per parte loro i critici conservatori si sono legate le mani in materia perché hanno ritenuto più importante deprecare il degrado della morale personale nelle generazioni di clero postconciliari come effetto del Vaticano II, che guardare alle innovazioni nell’esercizio dei poteri da parte dell’attuale papa.
Qualche canonista si è allarmato di fronte alle implicazioni di diritto canonico e teologia sacramentale della condanna dell’ex cardinale McCarrick. Mi si assicura che invece va tutto bene; è stato un doveroso provvedimento “amministrativo”. Solo che il giudizio politico non può essere altrettanto tranquillizzante di quello tecnico-giuridico. Il ludibrio pubblico che ha preceduto il processo canonico, se vi è stato, nonché il caso più recente del cardinale Becciu amplificato da una campagna scandalistica sulla stampa nazionale, o ancora l’aver abbandonato alla sua malasorte l’innocente cardinale George Pell finché una corte lo ha scagionato e reso presentabile per la Santa Sede, sono sintomi in una direzione precisa. Al di là della lodevole intenzione di rispettare la magistratura civile, essi indicano in Bergoglio un abbandono della gerarchia cattolica – per la quale dovrebbe avere sollecitudine – al circo internazionale che, com’è noto, cerca e celebra “panem et circenses”. E il papa, che nel frattempo ha predicato “panem”, riceve dal circo quel consenso e quella forza che può usare entro la propria giurisdizione, trasformando – lui, non Paolo VI o Giovanni Paolo II o Benedetto XVI – il suo ufficio in “puissance de commander”.
La deprecata visione ecclesiologica dell’episcopato come funzionariato del papa non raggiungeva – né perseguiva, in realtà – nell’età del Concilio Vaticano I il grado di subordinazione personale e politica che l’episcopato mondiale e il collegio cardinalizio rischiano oggi, sotto la motivazione emergenziale di una Chiesa in ricostruzione. In più, oggi, chiunque, anche non credente, crede di poter denunciare ed esigere la testa di un prelato, non appena lo ritenga sospetto di alto tradimento verso la presunta rivoluzione di papa Francesco.
Un debole “sensus ecclesiae” sacramentale e istituzionale, il manifesto bisogno di consenso – come linfa del pontificato – presso le opinioni mondiali influenti e le istituzioni internazionali, la propensione all’esercizio dittatorio del suo potere sui quadri dell’istituzione, il suo circondarsi di “amici” cioè tecnicamente di partigiani, l’intento riformatore che si esercita nel micro come nel macro (dalle correzioni idiosincratiche di qualche luogo del Messale alla “riforma della curia”, un eterno miraggio demagogico), il ricordato tener sulla corda i fratelli nell’episcopato visti come propri commissari sempre “sub iudice”, infine l’ambizione – con le migliori intenzioni ma entro questa cornice – a una leadership morale mondiale, fanno apparire in piena funzione anche a Roma il modello della presidenza carismatica onnipotente.
Si è evocato per Bergoglio uno stile tra il presidenzialismo nordamericano e quello francese, una sorta di gollismo. Breve il passo al “caudillismo” del mondo ispanico e latino-americano: un’imputazione, quest’ultima, che acquista un significato meno contingente – legato alla la storia personale di Bergoglio – se vi si arriva per via comparata o per analogia politico-costituzionale.
Ma non dovrebbe sorprendere le persone che in buona fede celebrano il papa, se a questo slittamento dittatorio di Bergoglio corrisponde una forte e motivata opposizione nella Chiesa. Ed entro questa opposizione, una grave perdita di autorità del papa non sotto il profilo psicologico-carismatico ma sotto quello sostanziale. L’agire quasi in veste di “dictator” è estrinseco all’istituzione Chiesa, è prassi di diritto pubblico statuale, non di diritto sacro.
Ma tale opposizione a papa Francesco è anche una reazione al tanto peggio tanto meglio, ovvero all’umiliazione ed esautoramento di Chiese e cleri, al fango gettato sulla Chiesa da ogni istanza anche la meno autorizzata, ai sospetti gettati su san Giovanni Paolo: una amara congiuntura cui Francesco sembra a molti affidarsi, per vincere la sua battaglia. Forse qualche cardinale elettore, a ridosso del prossimo conclave, dovrà proporre agli altri membri del collegio, se non un patteggiamento o una “capitolazione”, severamente proibiti, almeno uno “scambio di idee” – questo sì consentito e persino incoraggiato dalla “Universi dominici gregis” – che impegni il successore di Francesco a un diverso uso dei poteri di Pietro.
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(s.m.) Il “caudillismo” che De Marco associa a papa Francesco è ben sviluppato e argomentato dal professor Loris Zanatta dell’università di Bologna, specialista dell’America latina, nel suo ultimo libro: “Il populismo gesuita. Perón, Fidel, Bergoglio”, Laterza, Bari, 2020.
Settimo Cielo di Sandro Magister 11 dic
Le Strane Alleanze Possibili di Papa Bergoglio. Chi Si Ricorda di Petain?
11 Dicembre 2020 2 Commenti
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, monsignor Ics ha letto un articolo molto interessante, il cui collegamento riportiamo in calce, sulle singolari alleanze possibili di papa Bergoglio. La lettura gli ha ispirato una riflessione, che ha voluto condividere con noi. Buona lettura.
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Caro Tosatti, l’articolo qui allegato racconta che Papa Francesco si sta alleando con chi invece dovrebbe cercare di convertire o almeno correggere. Ma credo che nessuno oserebbe far presenta al Papa che è magari un po’ imprudente nelle scelte di partner o sponsor, perché lo sa perfettamente.
Il problema sta nel capere il perché lo facci. Ma la prima parola d’ordine che viene imposta nel mondo ecclesiale è di dover pensare che lo stia facendo per il nostro bene.
Magari noi non lo capiamo ancora, ma è così.
La seconda parola d’ordine è spiegare a tutti che “I papi si ascoltano e si obbediscono non si criticano”.
La terza parola d’ordine è di ripetere continuamente che “questo papa è il papa giusto per questi tempi”, aggiungendo anche, e con enfasi, che “è un dono di Dio”.
Il link qui sotto riportato parla di innaturali alleanze tra l’attuale pontefice e alcuni nemici storici della Chiesa, persino gente che ha concorso a promuovere la breccia di Porta Pia. Ma i tempi oggi sono diversi, le persone sono diverse. La Chiesa ha ormai un ruolo diverso. La Chiesa oggi sembrerebbe servire al potere per legittimarne le scelte.
Se siano scelte condivise o se siano subite, non posso saperlo. Mi limito a valutare secondo le mie facoltà, dette scelte, non le intenzioni di chi le ha fatte. Io poi non credo di saper commentare le alleanze di un Papa, che non conosco, se non attraverso la stampa, le esternazioni e il Magistero. Certo molte scelte ed alleanze a me paiono inappropriate, talune persino pericolose per la Chiesa stessa.
Ma come dice un mio confratello, la Chiesa (secondo lui) avrebbe visto in passato anche di peggio. Ma tanta arroganza e supponenza su scelte manifestamente rivoluzionarie, lasciano presupporre qualcosa di diverso dal passato.
Quando ho letto il link, mi è venuto alla mente la storia di un personaggio storico di cui non si ha tanta memoria, il Maresciallo Henri-Philippe Petain. Costui fu Maresciallo di Francia, nella prima guerra mondiale fu comandante supremo dell’esercito francese. Nel 1940, quale Presidente del Consiglio, firmò misteriosamente un armistizio con la Germania.
Portò la sede del governo a Vichy, si nominò capo dello stato collaborazionista fino al 1944. Nel 1945 fu condannato a morte per tradimento, ma lui sostenne di essersi sacrificato per evitare conseguenze peggiori alla popolazione francese.
De Gaulle commutò la pena in carcere a vita. Morì sei anni dopo a 95 anni. La storia racconta che persino il Caudillo di Spagna, il Generalissimo Francisco Franco, rifiutò di collaborare con il Fuhrer, facendolo infuriare, ma il Generalissimo aveva “le palle”. Invece Petain, con una storica stretta di mano alla stazione di Montoire sur la Loire, sancì l’alleanza franco-nazista.
Ovviamente questa alleanza non servì affatto alla Francia ed ai francesi, poiché Goring stava “sottomettendola”.
Ma Petain non se ne accorgeva, pensava invece di convertire la Germania ai lumi della Francia. Credo che qualche anima pia potrebbe raccontare questa storia a Santa Marta. No?
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https://www.forbes.com/sites/jackkelly/2020/12/09/pope-francis-partners-with-corporate-titans-to-make-capitalism-more-inclusive-and-fair-is-this-for-real-or-just-corporate-virtue-signaling/?sh=28d12fda4c7b
Marco Tosatti
Feltri su Libero: Francesco come Pio IX. Il Vaticano sprofonda nel ridicolo: accusa Becciu di offesa al Papa Re. E gira la voce che solo ora sia in arrivo un avviso di garanzia
Il quotidiano Libero in edicola questa mattina apre con il caso L’Espresso. “Accusa a Becciu: ‘Offesa al Re'” è il titolo. “Il Vaticano cade nel ridicolo” si legge nell’occhiello. “I pm d’Oltrevere usano le farneticanti rivelazioni di una spia per affibbiargli un reato preso dal codice Zanardelli del 1889, assieme ad altri tre. Grazie all’Espresso, Francesco ora è Pio IX” è il catenaccio.
Condividiamo di seguito il pezzo odierno di Vittorio Feltri su Libero quotidiano, ottimo davvero, soprattutto perché a chi offende il Re con atti e comportamenti, gli attenti lettori si aspettano che gli avvisi di garanzia giungano anche al Vescovo Zanchetta e a Monsignor Perlasca, e quindi la celebrazione del loro processo ordinario nello Stato della Città del Vaticano. Gli attenti lettori attendono fiduciosi soprattutto, che la magistratura vaticana continui a cercare i responsabili dei bonifici da milioni di euro spediti in Australia. Come diceva Falcone, “follow the money” in English style [*].
Facciamo seguire al pezzo odierno di Feltri, la posizione dell’aggregatore para-vaticano Il Sismografo che è intervenuto sulla questione nel tardo pomeriggio, preceduta da alcune nostre osservazioni di fondo.
Accusa a Becciu: “Offesa al Re”
Il Vaticano cade nel ridicolo
I pm d’Oltretevere usano le farneticanti rivelazioni di una spia per affibbiare al Cardinale un reato preso dal codice Zanardelli del 1889, assieme ad altri tre. Grazie all’Espresso, Francesco ora è Pio IX
di Vittorio Feltri
Libero, 10 dicembre 2020
Pare che i magistrati vaticani abbiano finalmente individuato il gravissimo reato di cui si sarebbe macchiato il cardinale Angelo Becciu, bruscamente silurato da papa Francesco lo scorso 24 settembre. Tenetevi forte, perché, quando mi è stata riferita la circostanza, ho temuto di avere un problema otologico: «Offesa al Re». Proprio così, Re, con tanto di maiuscola.
L’indiscrezione, uscita come al solito dal Vaticano, circola con insistenza in queste ore. Il mio dovere di cronista m’impone di riferirla, sia pure con notevole sprezzo del ridicolo. È evidente infatti che qui non siamo più in ambito giudiziario, bensì teatrale: farsa o vaudeville, fate voi.
Lo so, vi starete chiedendo anche voi, insieme a me: ma l’ultimo Papa Re non fu Pio IX, che vide crollare lo Stato Pontificio a Porta Pia, sotto i colpi dei bersaglieri, nel 1870? E da allora l’unico “In nome del Papa Re” non si udì nel film con Nino Manfredi, girato a più di un secolo dalla fine del potere temporale del Pontefice?
Nossignori. Becciu sarebbe stato incriminato in base all’articolo 122 del codice penale del Regno d’Italia, il quale è tuttora una delle fonti del diritto nello Stato della Città del Vaticano. Ve lo trascrivo: «Chiunque, con parole od atti, offende il Re è punito con la reclusione o con la detenzione da uno a cinque anni e con la multa da lire cinquecento a cinquemila». In valuta attuale, farebbero 2,58 euro, nella peggiore delle ipotesi. Applicheranno l’indice di rivalutazione monetaria dell’Istat?
Dopo che questo giornale ha svelato il sacro intrigo ai danni del cardinale Becciu, era logico attendersi la reazione dei complottisti. E chi, se non la solita manina che agisce da sempre all’ombra del Cupolone, poteva loro fornire nuove cartucce? Ecco, nelle ultime ore gira voce che il porporato sia finalmente in procinto di ricevere, o forse abbia già ricevuto, quell’avviso di garanzia per peculato che tutti i giornali hanno dato per certo fin dall’inizio, cioè da quasi tre mesi, ma che finora non era mai stato emesso e di cui l’attuale indagato nulla sapeva.
Già che c’erano, e giusto per non dar torto all’Espresso, i promotori di giustizia (parola grossa) del Tribunale vaticano avrebbero comunque deciso di spingersi oltre nel compulsare il codice firmato dal ministro Zanardelli nel 1889, e così al ridicolissimo 122 sembra abbiano aggiunto gli articoli 168, 175 e 176, che riguardano rispettivamente il peculato, l’abuso d’ufficio e l’interesse privato.
ATTO DI CITAZIONE
Certo, se si fossero presi la briga di leggere anche le 73 pagine dell’atto di citazione depositato per conto del cardinale Becciu fin dal 16 novembre scorso presso il Tribunale di Sassari, avrebbero trovato elencate pignolescamente tutte le risposte a queste tre ipotesi di reato, prove inconfutabili che dimostrano come il porporato non abbia commesso nessuno degli ignominiosi illeciti finanziari che i suoi detrattori gli hanno cucito addosso. Ed è scandaloso che nessun giornale italiano, dico nessuno, a parte Libero, si sia sentito in dovere di esaminare le prove addotte dal porporato a propria difesa. Se questo imbroglio vaticano non è una congiura, ditemi voi che altro è.
Ma interessarsi alle ragioni del cardinale Becciu avrebbe costretto gli zelanti pm circonfusi d’incenso a smontare, al pari dei giornalisti amici del giaguaro, l’infernale tritacarne mediatico messo in piedi da Marco Damilano, il direttore dell’Espresso che da 18 giorni si rifiuta di rispondere alle 12 domande postegli da Libero (ovvio: non può, non ne è capace), con la collaborazione di tale Massimiliano Coccia, un tizio dai trascorsi a dir poco equivoci, mai stato iscritto all’Ordine dei giornalisti, attualmente assegnato in prova ai servizi sociali per ordine del Tribunale di Roma. L’autore della pseudo inchiesta al gusto di velina si era già macchiato in passato del reato punito dall’articolo 476 del nostro codice penale (falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici). Mica male come referenza professionale.
Sono proprio questi due, Damilano e Coccia, insieme con il gruppo editoriale Gedi, a essere stati chiamati in causa da Becciu, con una richiesta di risarcimento dei danni pari a 10 milioni di euro, da devolversi in opere di carità. E sono sempre loro a non aver mai chiarito alcuni particolari decisivi: è vero o non è vero che alle ore 10.12 del 24 settembre, con 7 ore e 50 minuti di anticipo sull’udienza in cui Francesco fece dimettere il cardinale, sul sito dell’Espresso fu creata una pagina con il titolo «Si è dimesso»? Come faceva il settimanale a conoscere ciò che il Papa non aveva ancora comunicato al diretto interessato? Qualcuno lo aveva informato di ciò che sarebbe accaduto? Chi? È vero o non è vero che alle ore 15.44 dello stesso 24 settembre fu pubblicata sul medesimo sito una pagina con il titolo «Ecco perché il cardinale Becciu si è dimesso»? Come fece L’Espresso a divulgare questa notizia ben 2 ore e 18 minuti prima che cominciasse l’incontro fra il Papa e il cardinale?
Naturalmente, mai aspettarsi troppo da promotori di giustizia arrivati non si sa come in Vaticano, uno dei quali tiene da una quindicina di giorni sulla sua scrivania una trentina di domande della nostra Brunella Bolloli: dopo aver chiesto che gli venissero formulate per iscritto, si è guardato bene dal rispondere, da buon emulo del taciturno Damilano.
LA TOGA E IL FALSARIO
Sì, strane cose accadono in quel sacro organo di giustizia, presieduto da un ex procuratore capo dello Stato italiano che collabora abitualmente con Repubblica (quotidiano edito guarda caso dallo stesso gruppo che pubblica L’Espresso), congedatosi dai ruoli della magistratura tricolore con l’inchiesta denominata Mafia Capitale, nella quale, sempre guarda caso, uno dei succitati promotori di giustizia ora al servizio del Papa difendeva i ben più prosaici interessi di uno dei principali imputati, il famoso Salvatore Buzzi. E che dire del fatto che lo stesso ex procuratore capo, oggi presidente del Tribunale vaticano, non disdegnava di presentare un suo libro facendosi intervistare a Radio Radicale dal falsario Coccia? Come sosteneva Agatha Christie, che di gialli se ne intendeva, un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova, o no?
E sempre a proposito di indizi ormai divenuti prove grazie al nostro giornale, come mai il Tribunale vaticano ha insabbiato l’esposto presentato da Enrico Rufi, giornalista di Radio Radicale, al quale il Coccia, inventandosi l’identità di un prete che non esiste, don Andrea Andreani, promise di fungere da intermediario per fagli ottenere un’udienza da papa Francesco, dopo che Rufi aveva perso tragicamente la figlia di 16 anni al ritorno dal viaggio in Polonia per la Giornata mondiale della gioventù?
Si mosse persino il ministro della Giustizia del Vaticano, che da quelle parti si chiama prefetto della Segnatura Apostolica, il cardinale Dominique Mamberti, per segnalare a Bergoglio che in Vaticano impazzava un mitomane di nome Coccia. Lo stesso Mamberti assicurò per iscritto a Rufi, a proposito di quella denuncia tuttora inevasa: «Sia sicuro che non l’ho dimenticata». Lui magari no, ma i magistrati della Santa Sede di sicuro sì.
LA GENOVEFFA FURIOSA
E qui siamo al punto cruciale di tutta questa farsa. Posto che il Tribunale vaticano non lavora per la giustizia – il caso Coccia ne è un drammatico esempio – ma solo per assurgere all’onore della ribalta, ci si chiede come sia possibile che abbia trascinato la figura del Sommo Pontefice nella formulazione di un’ipotesi di reato, quella di cui si diceva all’inizio, che grida vendetta al buon senso prima che al cielo: «Chiunque, con parole od atti, offende il Re» eccetera eccetera.
Quando, come e in quali forme il cardinale Becciu si sarebbe macchiato di questa ridicolissima colpa? In attesa che saltino fuori le prove, se mai ce ne sono, non resta che procedere per congetture. L’unica persona ad avere accusato il porporato sardo di una simile infamia è tale Genoveffa Cifferi Putignani, che si firma Geneviève, forse perché ritiene che il nome alla francese le conferisca maggiore credibilità, e che va dicendo in giro di aver lavorato per i servizi segreti.
Con telefonate e messaggi minatori, la signora aveva pronosticato a Becciu (e persino a suo fratello Mario) la perdita della berretta cardinalizia «fra il 15 e il 30 settembre», perché a suo dire egli non aveva convinto il Papa a reintegrare monsignor Alberto Perlasca, l’economo della Segreteria di Stato licenziato da Francesco per lo scandalo dell’investimento immobiliare londinese. Non contenta, la Ciferri lo scorso 22 novembre, dopo che Libero aveva scoperto i suoi altarini, era corsa a sfogarsi con La Verità, che le ha attribuito in un titolone questa frase: «Becciu bestemmiava e insultava il Papa». E nel testo quest’altra: «Bestemmiava Dio e urlava contro il Papa». Ma dài!
Ora, sarà perché a me scappa davvero qualche moccolo quando qui in redazione mi fanno incazzare o l’Atalanta perde, da umile battezzato, benché ateo praticante, mi chiedo: ma bestemmiare il Principale non è infinitamente più grave che insultare il suo amministratore delegato, cioè Bergoglio? E allora perché scomodare l’articolo 122 sull’offesa al Papa Re quando semmai Becciu meriterebbe di essere spretato per empietà? Misteri della fede.
Per tornare alle cose serie, ma davvero il Tribunale vaticano può essersi mobilitato sulla base delle farneticazioni di un’anziana signora, probabilmente invaghita del monsignore, che va a spifferare consimili deliri ai gazzettieri? Andiamo! C’è da mettersi a piangere se i miei colleghi sono scesi così in basso da raccogliere le stronzate di una tizia che Dagospia classificherebbe senza incertezze come svalvolata.
OFFESE E BESTEMMIE
Eppure a questo siamo arrivati. Non soltanto La Verità, foglio fieramente antibergogliano. Ha dato credito alla schiodatella pure L’Espresso, il cui direttore è ormai abituato a rifugiarsi sotto la candida veste di Francesco, con la benedizione della firma più nobile del settimanale che fu di Arrigo Benedetti, quell’Eugenio Scalfari che vorrebbe convertire il Pontefice e dunque va a fargli visita un giorno sì e uno no a Casa Santa Marta. Nel numero in cui Damilano avrebbe dovuto, ma non ha saputo, rispondere alle 12 domande di Libero – intanto sull’inchiesta del falsario Coccia è sceso il pietoso velo del silenzio – è addirittura apparsa un’intera pagina a firma Geneviève Ciferri Putignani, nella quale la signora ha reiterato nero su bianco i suoi spropositi: «Confermo che, nel corso dell’incontro, [il cardinale Becciu] intercalò più volte in modo blasfemo, ed espresse valutazioni irriguardose verso la persona del Pontefice, del Cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, di S. E. il Sostituto Edgar Peña Parra, e valutazioni di merito negative nei confronti della natura del Tribunale Vaticano, e nei confronti dei Magistrati vaticani titolari dell’inchiesta, con particolare biliosità rivolta maggiormente verso il magistrato Dott. Alessandro Diddi». Che spettacolo. «Venghino, signori, venghino: più gente entra, più bestie si vedono», come urlava il buttadentro del circo dei 7 Fratelli Pivetta. L’ultimo dei nominati dalla mitomane, sempre guarda caso, potrebbe essere proprio colui che ora ha formulato la surreale imputazione di «offesa al Re».
A me pare che qua sussista un’unica offesa: all’intelligenza. Il più grave dei delitti. Infatti la sola fonte di questa accusa, la predetta Genoveffa Ciferri Putignani, in arte Geneviève o alias Mata Hari, risulta attualmente denunciata alla Procura della Repubblica di Roma, insieme con La Verità e con L’Espresso, per diffamazione aggravata a mezzo stampa.
E ora lasciate che un miscredente quale sono si rivolga all’unica Autorità morale che da sempre riconosce sulla faccia del pianeta: il Papa. Santità, ma a lei, che passa addirittura per comunista, quale effetto fa vedersi sprofondare in una vicenda tanto grottesca da aver trasformato la sua augusta persona in una marionetta, nel fantasma di Luigi XVI? Dica alle toghe che ha dintorno di darsi una calmata. Il giustizialismo porta alla ghigliottina. Adesso che l’hanno promossa a monarca assoluto, la prospettiva dovrebbe inquietarla. Non dimentichi mai che coloro i quali oggi fingono di difenderla sono i degni eredi dei senzadio che tentarono di scaraventare nel Tevere la salma di Pio IX, l’ultimo Papa Re.
La scheda
Le dimissioni – Il 24 settembre scorso, durante una udienza privata, Papa Francesco chiede al Cardinale Giovanni Angelo Becciu di dimettersi dalla carica di Prefetto della Congregazione delle Causa dei Santi. Contro l’alto prelato sardo ci sarebbero accuse gravissime di peculato, rivoltegli da un collaboratore del settimanale L’Espresso, Massimiliano Coccia. Fra le altre “accuse”, c’è quella di aver destinato alla Caritas della Diocesi di Ozieri (Sassari) una somma di 100mila euro. Becciu nega ogni addebito (e il Vescovo di Ozieri sostiene la sua versione). Presto i suoi legali fanno partire un atto di citazione contro L’Espresso per diffamazione.
La montatura – Una successiva inchiesta di Libero rivela la montatura che ha portato alle dimissioni del Cardinale nell’ambito dello scandalo finanziario che ha investito la Santa Sede. In particolare si scopre che lo scorso 24 settembre una copia dell’Espresso con le accuse al prelato fu consegnata in anticipo al Papa e che fin dalla mattina il settimanale aveva pronto l’articolo che annunciava le dimissioni che sarebbero avvenute solo in serata. Un’operazione mediatica orchestrata per mettere il Cardinale spalle al muro.
Il falsario – Si scopre, inoltre, che Massimiliano Coccia, l’autore dell’articolo dell’Espresso, accusato di “falsità in atti pubblici” è sottoposto ai servizi sociali, si è già reso protagonista di un atto di sciacallaggio nei confronti del giornalista di Radio Radicale, Enrico Rufi, colpito dal lutto della morte di sua figlia. In quella circostanza. Coccia aveva anche assunto la falsa identità di un prete, Don Andrea Andreani, e Rufi denunciò alle autorità vaticane senza però sortire alcun effetto. Neppure all’Espresso, nessuno si è mai interessato di verificare le notizie pubblicate da Coccia.
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Il “Papa Re” e i suoi Poteri (temporali)
Dopo il quotidiano Libero al mattino, a fine pomeriggio – alle ore 18.13 – è intervenuto anche l’aggregatore para-vaticano Il Sismografo. La sostanza del messaggio è questa: per l’Uomo che Veste di Bianco lo schema di corte deve sparire, non chiamatelo Sovrano o Re, però il Vescovo di Roma, Sommo Pontifice e Papa regnante della Chiesa Cattolica Romana, da “persona umana” i poteri assoluti se lo tieni e pure ben stretti. Fatto è, che il Vescovo di Roma, eletto dai Cardinali di Santa Romana Chiesa in Conclave è il Sovrano assoluto dello Stato della Città del Vaticano e come tale detiene i tre poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario. Quindi, può intervenire in ogni momento nel corso delle attività dei tre poteri, perciò anche nella istruttoria giudiziaria e nel processo penale. E come Sovrano assoluto detiene pure il pieno potere mediatico nel suo Stato, il quarto potere. Questo è la realtà e non è una questione di “schema di corte”.
Comunque, in merito al presunto delitto dell’offesa al re, che a Becciu verrebbe notificato nell’avviso di garanzia, bisogna andarci con i piedi di piombo. Prima di affermare alcuni concetti penali – se è pur vero che la legge in materia penale nello Stato della Città del Vaticano si basa sul Codice Zanardelli, sono state apportate modifiche nel tempo e negli ultimi anni anche in materia penale – tutto dipende dall’avviso di garanzia che sarà notificato a Becciu. Nell’avviso di garanzia ci saranno le ipotesi di reato contestate per cui lo stesso sarà dichiarato ufficialmente indagato, cioè oggetto di indagine. Inoltre, saranno inserite nella notifica i reati contestati per i quali Becciu dovrà difendersi.
Anche se il Regnante di questa monarchia assoluta (a carattere elettivo), che è lo Stato della Città del Vaticano afferma, che “lo schema di corte deve sparire”, l’attenzione degli attenti lettori suggerisce, che ciò che dovrebbe sparire sono piuttosto i poteri assoluti del Sovrano. Sono questi pieni poteri che impediscono all’organo giudiziario dello Stato della Città del Vaticano di essere un organo libero e autonomo rispetto ai poteri del Sovrano. Infatti, l’organo giudiziario S.C.V. deve sottostare ai poteri del Capo di Stato, che in qualsiasi fase di un procedimento penale può intervenire. Quindi, può intervenire sin dall’inizio delle attività di indagine su presunte ipotesi di reato, sino alla sentenza del procedimento. Il Regnante è libero di intervenire e “interferire” con un regolare processo giudiziario. E può farlo intervenendo nel bene, per esempio applicando la “grazia” e “interferendo” nel male, per esempio eseguendo processi sommari che emettono sentenze senza dare la possibilità al soggetto in questione di potersi difendere (vedi il caso Hasler vedi il caso Milone, cacciati su due piedi senza la possibilità di difendersi da accuse infamanti). Questa giustizia sommaria amministrata ultimamente dall’Uomo che Veste di Bianco ha fatto comprendere che per lui i processi ordinari non sono sempre buoni, forse perché mettono in evidenza una verità sulla quale nemmeno un Pontefice dovrebbe intervenire, per modificare il corso della giustizia in un regolare processo, nel quale ad ogni imputato va garantito il diritto ad una difesa.
Il punto è proprio questo e cioè la libertà di manovra che la giustizia ha (o non ha) nello Stato della Città del Vaticano. Se il pontefice interviene in un processo giuridico, di fatto interrompe quello che viene comunemente chiamato il corso della giustizia. In tal senso, non sarà mai dato alla giustizia vaticana la possibilità di fare il suo corso. Questo nell’anno del Signore 2020 è una delle riforme più urgenti e impellenti che la Chiesa Cattolica Romana deve consentire senza avere paura delle conseguenze, perché la verità anche se dolorosa è sempre buona, trasparente e misericordiosa agli occhi della gente.
Secondo alcuni organi di stampa Papa Francesco avrebbe accusato il cardinale Becciu per “offese al Re”. Cosa pensa il Santo Padre della “monarchia assoluta” del Vaticano?
Papa Francesco: “Lo Stato della Città del Vaticano come forma di governo, la Curia, quello che è, è l’ultima corte europea di una monarchia assoluta. L’ultima. Le altre sono ormai monarchie costituzionali. La corte si diluisce. Qui ci sono ancora strutture di corte, che sono ciò che deve cadere”.
(L.B – R. C. – “Il sismografo”, 10 dicembre 2020 ore 18.13) – In queste ore, diverse testate in Italia e all’estero riprendono e rilanciano un articolo di Vittorio Feltri in cui, l’autore del quotidiano italiano “Libero”, sostiene che il cardinale Angelo Becciu – allontanato da Papa Francesco dalle sue mansioni curiali come Prefetto e sospeso dai diritti e prerogative in quanto cardinale il 24 settembre scorso – è stato denunciato per “offese al re”. Sempre secondo Feltri su Libero l’accusa contro il porporato sarebbe contenuta, per ora, in un presunto “avviso di garanzia” recapitato al cardinale sardo. Il caso Becciu è un grande ed inquietante mistero. Diversi giornalisti scrivono in queste ore: il cardinale ex elettore Becciu sarebbe stato incriminato in base all’articolo 122 del Codice penale Zanardelli (in vigore nel Regno d’Italia dal 1889 e in Vaticano dal 1929). Tale articolo recita: “Chiunque, con parole od atti, offende il Re è punito con la reclusione o con la detenzione da uno a cinque anni e con la multa da lire cinquecento a cinquemila”.
“Il Fatto Quotidiano”, con la firma di F. A. Grana ricorda: “In Vaticano, come si legge sul sito del Governatorato, “la forma di governo è la monarchia assoluta. Capo dello Stato è il Sommo Pontefice, che ha la pienezza dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Il potere legislativo, oltre che dal Sommo Pontefice, è esercitato a suo nome, da una commissione composta da un cardinale presidente e da altri cardinali, nominati per un quinquennio. Il potere esecutivo è demandato al presidente della commissione che, in tale veste, assume il nome di presidente del Governatorato ed è coadiuvato dal segretario generale e dal vicesegretario generale. Il potere giudiziario è esercitato, a nome del Sommo Pontefice, dagli organi costituiti secondo l’ordinamento giudiziario dello Stato”.
Non sappiamo se quanto scrive Feltri è vero o falso. Lo stesso possiamo dire su quanto rilanciano altre testate. Non immaginiamo neanche un istante che Papa Francesco possa aver chiesto e autorizzato di accusare il cardinale Becciu per “offese al re”.
Conosciamo però con precisione cosa pensa il Pontefice sulla “monarchia assoluta vaticana”.
Il 28 maggio 2019 il sito Vatican News pubblicò la trascrizione ufficiale dell’intervista rilasciata da Papa Francesco alla vaticanista messicana Valentina Alazraki. In un passaggio di questo lungo video-audio il Pontefce risponde così ad alcune domande della giornalista:
“Questa non è una Chiesa in crisi, è una Chiesa in crescita! Ed è solo l’ultimo esempio che è uscito sui giornali. E ce ne sono tanti … Quando vediamo questi uomini e queste donne sepolti in paesi lontani che consumano la loro vita lì … La suorina dei tremila parti che ho incontrato nella Repubblica Centrafricana… Questa è la forza. A essere in crisi sono le modalità che formano la Chiesa, che devono cadere. Dobbiamo esserne consapevoli. Lo Stato della Città del Vaticano come forma di governo, la Curia, quello che è, è l’ultima corte europea di una monarchia assoluta. L’ultima. Le altre sono ormai monarchie costituzionali. La corte si diluisce. Qui ci sono ancora strutture di corte, che sono ciò che deve cadere.
Con la sua riforma ha la sensazione che già stiamo per…
R. – Non è la mia riforma…
Sì, ma lei l’ha presieduta…
R. – Però l’hanno richiesta i cardinali. Questa è la realtà.
Lei l’ha dovuta portare avanti…
R. – Sì, l’abbiamo portata avanti come abbiamo potuto. È una riforma che stiamo portando avanti, cercando di dividere gli accordi. La gente ha voglia di riformare. Per esempio, il palazzo di Castel Gandolfo, che viene da un imperatore romano, restaurato nel Rinascimento, oggi non è più un palazzo pontificio: oggi è un museo, è tutto un museo. E quindi il prossimo Papa se vorrà andare a passare l’estate lì, e ne ha diritto, ci sono due palazzi, può andare in uno di questi, è tenuto bene. Però questo è un museo. Si cambia… La corte si trasferiva tutta a Castel Gandolfo perché sono abitudini, costumi antichi che si possono riformare. Il Papa deve andare in vacanza, ovviamente! Ebbene, Giovanni Paolo II andava a sciare. Benedetto andava a camminare in montagna… Il Papa è una persona, una persona umana. Ma lo schema di corte deve sparire. E questo lo hanno chiesto tutti i cardinali, ebbene, la maggior parte, grazie a Dio”.
[*] Il mistero dei bonifici dalla Segreteria di Stato in Australia
(Maria Antonietta Calabrò – The Huffington Post, 28 ottobre 2020) – Ammonterebbero a 2 milioni di dollari australiani (una cifra doppia rispetto ai 700 mila euro di cui si era finora parlato) i trasferimenti partiti dalla Segreteria di Stato vaticana alla volta dell’Australia, su cui stanno indagando la magistratura e la gendarmeria vaticana, a seguito dello scandalo per l’acquisto del palazzo di Sloane Avenue a Londra, da parte della Segreteria di Stato. Lo riferisce il quotidiano The Australian in un reportage che fornisce molti dettagli su 4 bonifici, avvenuti tra l’inizio del 2017 e la fine del 2018, mentre erano in corso le indagini e il processo contro il cardinale George Pell per presunti abusi sessuali su minori (accusa da cui l’ex prefetto dell’Economia del Vaticano è stato condannato in primo grado ed in appello, ma da cui è stato completamente prosciolto quest’anno dall’Alta Corte australiana). Come si ricorderà il 29 giugno del 2017 Pell fu sospeso dall’incarico per tornare in Australia a difendersi
I flussi di denaro (che secondo il giornale sarebbero già stati consegnati in Vaticano) sono stati ricostruiti dall’AUSTRAC, l’antiriciclaggio australiano. Lunedì scorso, nel corso di un’audizione al Senato australiano, Nicole Rose, il capo della FIU australiana (equivalente all’UIF italiana e all’AIF vaticana) aveva reso noto di aver inviato i risultati raggiunti alla polizia, federale e dello Stato di Vittoria. Ma ieri un portavoce della Polizia di Vittoria (che ha anche condotto le indagini contro Pell a partire dal febbraio 2017) ha detto al Guardian Australia che per il momento non verranno svolti approfondimenti sui bonifici perché la segnalazione dell’ AUSTRAC non è stata accompagnata da indizi di attività sospette relative alle transazioni stesse.
Angelo Becciu (ex sostituto della Segreteria di Stato che si è dovuto dimettere il 24 settembre dalla carica di Prefetto delle cause dei Santi e dai diritti che gli provengono da essere cardinale) ha più volte negato con forza di aver interferito con il processo al cardinale Pell e Vivian Waller, l’avvocato dell’ uomo che ha accusato Pell di aver abusato di lui negli anni 90 , ha negato ogni legame o conoscenza dei presunti finanziamenti.
Un primo bonifico di $ 415,000 risalirebbe al febbraio 2017. Il secondo invio da parte della Segreteria di Stato sarebbe giunto nel maggio 2017, il terzo e quarto pagamento per un totale di 1.3 milioni di dollari australiani sarebbero giunti dal Vaticano nel 2017 e nel giugno 2018, secondo quanto scritto da The Australian.
Papa Francesco ha chiamato a Roma a riferire sul caso il 6 ottobre, il Nunzio Apostolico in Australia. Il cardinale Pell, che è rientrato in Vaticano ed è stato ricevuto dal Pontefice, ha sostenuto pubblicamente che bisogna guardare alla corruzione in Vaticano e nello stato di Vittoria”.
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Da allora silenzio stampa… “Le autorità antiriclaggio dell’Australia, nessuna anomalia nei bonifici del Vaticano”. Tante parole, ma nessuna informazione su mandante/i e destinari(o) dei bonifici dal Vaticano in Australia, ne sul causale.
Caso Becciu, dall’Australia scatta indagine su denaro trasferito dal Vaticano per accuse a Pell – 21 ottobre 2020 di Dario Cataldo
Isoliamoci dal contagio mediatico dei falsari! Le domande sui bonifici dal Vaticano in Australia durante il processo Pell sono cruciali – 4 dicembre 2020
La notte porta consiglio. Consiglio spassionato ai giornalisti vaticanisti
Ha da passà ‘a nuttata… [*] La notte è tempo di discernimento. La notte è tempo di lotta contro il mondo delle tenebre. La notte è tempo di decidere chi dobbiamo diventare all’alba del giorno seguente. Quando all’alba apriamo gli occhi, ringraziando il Signore per farci alzare e donarci la forza di combattere il male senza se e senza ma. Un combattimento condotto candidamente come colombi, ma con dentro la forza di una Fede incrollabile, con il coraggio che ci porterà a pagare anche di persona se necessario. La notte dei comunicatori è arrivata ed è qui che si vede il coraggio. Il silenzio stampa è calato e tutto il mondo dei “vaticanisti” si è incredibilmente omologato all’oscurità, perché si sa ‘”altrimenti ti sanzionano” (Franca Giansoldati dixit).
Dove siete giornalisti vaticanisti, dove siete… riecheggia nel vuoto un grido. “Cosa siete venuti a fare?”, disse San Giovanni Paolo II sul sagrato all’apertura della Giornata Mondiale della Gioventù di Roma del 2000. Quella stessa domanda la rivolgiamo a voi.
Cosa siete venuti a fare i giornalisti in Vaticano, se le notizie che riportate sono quelle stesse omologate da tutti in forma industriale, con lo stesso stampo da copia incolla a doppie spunte blu.
Cosa siete venuti a fare i giornalisti in Vaticano, forse solo per avere l’accredito per mettere il sedere vicino al finestrino del Volo Papale e portare a casa un altro poggiatesta con lo stretch da stemma pontificio?
Cosa siete venuti a fare i giornalisti in Vaticano, se non avete il coraggio della verità.
Cosa siete venuti a fare i giornalisti in Vaticano, se non avete il coraggio di essere politicamente scorretti, ma sinceri e onesti cronisti e professionisti, scrivendo di realtà pontificia.
Cosa siete venuti a fare i giornalisti in Vaticano, se in un tempo di tenebre vi nascondete anche voi.
Gli unici che si sono mossi in queste ultime settimane a smascherare i falsari, sono stati Feltri e la sua squadra di Libero quotidiano.
È stato Minoli con la sola Radio Rai più isolata che mai.
Sono stati loro, che certo non possiamo definire proprio vaticanisti, ma sicuramente giornalisti attenti e coraggiosi.
È stata la Scaraffia, l’unica luce che splende nelle tenebre della comunicazione vaticana, ma a lei il coraggio non è mai mancato. Il coraggio di andarsene in tempi non sospetti, quando ha trovato grandi ostacoli nel suo lavoro all’Osservatore Romano.
È proprio nella notte della comunicazione vaticana, che la luce della novella vera e verificata deve essere liberata per amore della verità, per la passione che conferma una professione cercata e sudata.
Cosa siete venuti a fare i giornalisti in vaticano, se nella notte della comunicazione vaticana i vaticanisti non portano questa luce con il coraggio di pagare anche di persona se necessario. Ad appendere un’altra tessera di accreditamento al muro della vostra mediocrità umana e professionale.
Cosa siete venuti a fare i giornalisti in vaticano?
Cosa siete venuti a fare i giornalisti?
Cosa siete venuti a fare?
Cosa siete?
[*] Ha da passà ‘a nuttata è una celeberrima frase della commedia Napoli milionaria!
Nel terzo atto della commedia è sera e dopo lunghe ed affannose ricerche è stata trovata la medicina che può salvare la vita a Rituccia, la figlia di Gennaro e Amalia Jovine. Il medico, dopo avergliela somministrata, è fiducioso per il decorso della malattia, ma tiene a precisare che bisogna aspettare qualche ora per dire che il pericolo è scongiurato: “Mo ha da passà ‘a nuttata. Deve superare la crisi“.
Sono due i significati che sono stati attribuiti alla famosa frase.
Il primo significato fa riferimento alla particolare situazione storica vissuta in quel momento dal Paese distrutto dalla guerra: ha da passà ‘a nuttata si riferisce all’Italia che deve superare il momento tremendo che sta vivendo per risorgere e costruire il suo futuro.
Il secondo significato è con cui la frase viene utilizzata nel linguaggio comune: si intende che si sta attraversando un periodo difficile, ma si è sicuri che se ne può uscire fuori. si deve avere solo pazienza, deve passare questo momento senza luce. Quindi, la frase tende verso l’ottimismo, così come ottimista era il medico di Rituccia che l’ha proposta. La notte, per oscura che possa essere, ha una durata limitata. Dopo il buio della notte arriva sempre il sole e nasce sempre un nuovo giorno.
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