“I sacramenti non sono assolutamente pagati in nessun modo”.Angelo Bagnasco, presidente della Cei, prova a confutare con un’uscita che sa tanto di sgambetto quanto detto da Papa Francesco. Il cardinale di Genova non ci sta ad accettare in silenzio il durissimo affondo di Bergoglio che, nell’omelia della messa di Casa Santa Marta, si è scagliato contro “il listino dei prezzi per le messe e i sacramenti” di quelli che il Pontefice ha definito “preti affaristi” che fanno una vera e propria opera di “corruzione che scandalizza il popolo”. Per Bagnasco “le offerte che i fedeli, i laici e gli offerenti intendono dare in forma libera, sono un modo per contribuire alle necessità materiali della chiesa. Anche i nostri parroci, di fronte a situazioni di impossibilità di un’offerta sicuramente non rifiutano di dare nessun sacramento, è certo. Si può camminare sempre meglio – ha aggiunto il porporato – per fare capire a tutti quanti che non c’è un commercio, che non ci può essere un commercio tra le cose sacre, nessun tipo dicompenso materiale“.

Un problema abbastanza diffuso anche al Sud. Il cardinale di Napoli
Crescenzio Sepe più volte ha tuonato contro la vendita di messe e sacramenti nella più grande diocesi del Mezzogiorno fino a trovarsi costretto a vietarlo per iscritto nella sua lettera pastorale “Per amore del mio popolo”, sostenendo la “liberalizzazione delle offerte dei fedeli”. Per il porporato, infatti, deve prevalere sempre “lo spirito di liberalità e di spontaneità, come già avviene in molte parrocchie”. Niente tariffari per “correggere il sospetto di alcuni, secondo i quali anche i sacramenti ‘si comprano’”. “Che nessuno – scrive Sepe – esca dalle nostre chiese con la sensazione di aver comprato un beneficio che il Signore elargisce secondo la ricchezza del suo cuore! A tutti dobbiamo offrire il volto di una Chiesa animata dal solo desiderio di servire, senza nulla apretendere”.Insomma, a differenza di quanto sostiene il Papache nella sua omelia ha riportato esempi concreti vissuti in prima persona quando era giovane prete a Buenos Aires, per il presidente dei vescovi italiani non esiste questo “mercato” di messe e sacramenti. In realtà, andando in giro per la Penisola di casi scandalosi ne esistono non pochi. Emblematica la vicenda di don Valerio Mazzola, l’anziano parroco di Villa di Baggio, un piccolo borgo sulle colline pistoiesi, che espose un tariffario “per evitare l’imbarazzo degli accordi personali” tra il prete e i fedeli. Centonovanta euro per un matrimonio, 90 per un battesimo o un funerale con i parrocchiani inferociti che scrissero persino una lettera a Papa Francesco chiedendo il suo intervento.
Ma proprio a Napoli i “prezzi” dei matrimoni, soprattutto in alcune chiese del centro storico con panorami mozzafiato sul lungomare e sul Vesuvio, sono arrivati alle stelle. Si parte da 100 euro per arrivare persino a 900 o 1.000 euro, senza considerare le tariffe per i battesimi, le prime comunioni e le cresime, da 50 a 400 euro. Una messa di suffragio varia da 15 a 50 euro, così come si sta sempre più affermando la “tassa sul catechismo” da 15 a 20 euro. Un vero e proprio “scandalo”, come lo ha definito Papa Francesco, che ha ricordato ciò che Gesù dice di coloro che compiono queste azioni: “Meglio essere buttati nel mare con la macina al collo”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/11/21/papa-francesco-vs-bagnasco-tariffario-sacramenti-non-pagati/1226671/

«Beni e servizi offerti al Vaticano
costano al Comune 440 milioni»

Lo ha calcolato una speciale Commissione del Campidoglio presieduta da un esponente di M5s: «Non solo Ici, Tare e Tarsi, paghiamo per i grandi raduni cattolici». Calcolati anche «i costi di beni e servizi offerti ad altri Stati presenti sul territorio comunale»

di Redazione Online Roma




shadow

Pellegrini in Vaticano
Pellegrini in Vaticano

ROMA - Non solo Ici, Imu o Tasi che dir si voglia. Se qualcuno ancora ricorda i calcoli effettuati all’epoca della prima esenzione della tassa sulla casa per le proprietà ecclesiastiche (poi riformata con l’Imu e limitata ai soli luoghi di culto), non avrebbe comunque il quadro completo di quanto costa alla Capitale la presenza della città stato del Vaticano all’interno del suo territorio. Il calcolo esatto sta cercando di farlo una speciale commissione del Comune di Roma: si tratterebbe di «oltre 440 milioni di euro all’anno».
Le spese per pellegrini, santi e beati
Sarebbero questi i «i costi a carico dal Comune di Roma per beni e i servizi offerti al Vaticano divisi fra esenzioni Imu (Ici, Tares, Tarsi), servizi appaltati in convenzione ad organizzazioni cattoliche, cambi di destinazione d’uso, contributi per l’edilizia di culto (oneri di urbanizzazione secondaria)», ma anche in «spese straordinarie in occasione di importanti eventi cattolici» - come la beatificazione di Wojtyla e la successiva proclamazione a santi di Papa Giovanni XXIII e di Papa Giovanni Paolo II lo scorso 27 aprile 2014, con 800 mila fedeli in piazza, 18 maxi schermi posizionati nelle strade di Roma, 10 mila agenti per la sicurezza -, nonché a quelle per «edifici concessi a condizioni di favore ad enti e associazioni cattoliche».

shadow carousel
I volti dei fedeli in San Pietro: preghiere e colbacchi

Sconti alle auto CV per l’accesso in Ztl
Ci sono poi il capitolo «consumi energetici della Città del Vaticano», accanto a quello «sconti per l’accesso a zone a traffico limitato» alle autio targate CV, e un elenco di «altri contributi erogati dal Comune». A fare la stima è la Commissione speciale per la Razionalizzazione della spesa dell’Amministrazione Capitolina, che venerdì 21 novembre - presieduta da Daniele Frongia (M5S) - ha dedicato una riunione ai costi sostenuti da Roma Capitale per beni e servizi offerti agli Stati presenti sul territorio comunale.
«La Fao non paga gli interventi straordinari»
«Abbiamo intrapreso questo percorso dal momento che abbiamo scoperto che non esisteva una stima dei costi sostenuti dai romani per i servizi forniti al Vaticano, ciascun costo è stato calcolato approssimativamente sulla base di stime già fatte, contenziosi aperti con le varie aziende, analisi dei bilanci e analisi dei contatti di servizi, per un totale di 400 euro all’anno `donati´ da ciascuna famiglia», ha spiegato il consigliere M5S, annunciando a breve «un approfondimento normativo per districarsi in quel limbo costituito dalle norme sull’extraterritorialità e i Patti Lateranensi». «Partendo dal Vaticano e passando in secondo luogo per la Fao, che paga un dollaro all’anno di camere, sempre sulla base di accordi internazionali, ma che non paga gli interventi straordinari (come quelli strutturali), che sono invece a carico dello Stato», ha concluso Frongia.
L’Ici su uno sterminato patrimonio immobiliare
A far pagare l’Ici sullo sterminato patrimonio immobiliare della Chiesa Cattolica per ridurre il deficit pubblico aveva provato nel 2011 il deputato Enzo Raisi, presentando un Ordine del giorno alla Camera per la «revisione delle esenzioni fiscali di cui beneficia la Chiesa», che aveva ottenuto dai deputati 254 voti a favore, 185 contrari e 137 astenuti. Poi All’Odg era allegato un provvedimento per introdurre il pagamento dell’ici solo sui beni della Chiesa cattolica destinati ad attività economiche; l’odg chiedeva anche l’attivazione di un’attività diplomatica per convincere lo Ior (Istituto di Opere Religiose) ad aderire pienamente alla norme europee relative ad evasione ed elusione fiscale, frode e riciclaggio. E nel presentare l bilancio della Regione Lazio 2012 anche Renata Polverini, allora governatore, aveva detto: «L’Ici la deve pagare anche il Vaticano. Se la pagano le famiglie, è una tassa che deve ritornare per tutti».
La questione dell’ex Ici sui beni ecclesiastici
Sul reale valore dell’ex Ici sui beni della Chiesa in tutta Italia da molti anni va avanti un vero e proprio balletto di cifre, ha spiegato sul Corriere della SeraMaria Antonietta Calabrò: «L’esenzione dell’Ici alla Chiesa non vale “miliardi” di euro, ma forse anche meno di 100 milioni: è questa la posizione espressa a inizio 2012 dal giornale della Cei Avvenire , visto che il rapporto finale del Gruppo di lavoro Ceriani sull’erosione fiscale ha individuato quella cifra per quanto riguarda gli immobili di tutti gli enti non profit, non solo quelli ecclesiali». Il Concordato tra Stato e Vaticano del 1984 stabilisce che siano soggette al regime tributario ordinario le attività svolte da enti ecclesiastici diverse da quelle di religione e di culto. Invece, da quando venne introdotta l’Ici, nel 1992, essa fu esclusa per tutti gli immobili ecclesiastici che ospitassero attività considerate «particolarmente meritevoli». Dicitura ambigua sulla quale, su ricorso dei Comuni, è intervenuta la Cassazione, nel 2004, stabilendo che l’esenzione sarebbe dovuta spettare solo alle unità all’interno delle quali si svolga «un’attività effettivamente meritoria e legata al culto». Il governo Berlusconi (2005) ha riportato la questione alla situazione precedente la sentenza della suprema Corte. Il governo Prodi (agosto 2006) ha poi reintrodotto il regime di esenzione limitatamente agli immobili «non esclusivamente commerciali».
L’Anci di Del Rio e il censimento
La complessità della definizione del valore di un eventuale gettito aggiuntivo» dalla tassazione degli immobili ecclesiastici «dipende inoltre dal fatto che le proprietà fanno capo a una galassia di soggetti giuridici diversi tra loro, che vanno dalle diocesi alle congregazioni, dagli ordini religiosi alle proprietà italiane del Vaticano vero e proprio». In tempi recenti si è parlato di cifre che vanno dai 500-700 milioni stimati dall’Anci ai 2,2 miliardi stimati dall’Ares, l’Associazione ricerca e sviluppo sociale. Mentre l’allora presidente dell’Anci e oggi sottosegretario Graziano Del Rio aveva proposto nel 2012 un censimento degli immobili ecclesiastici (100 mila immobili, di cui 9 mila sono scuole, 26 mila strutture di culto e quasi 5 mila strutture sanitarie) visto che molti non sarebbero neppure denunciati al catasto, in particolare per individuare quelli adibiti a uso commerciale.
http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/14_novembre_21/roma-spende-440-milioni-l-anno-beni-servizi-offerti-vaticano-93feae8a-7169-11e4-b9c7-dbbe3ea603eb.shtml

Perché Papa Francesco ha bastonato i preti affaristi

22 - 11 - 2014Matteo Matzuzzi
Perché Papa Francesco ha bastonato i preti affaristi
Il Papa ieri mattina nella consueta omelia di Santa Marta ha toccato uno dei punti più sensibili tra i fedeli cattolici: il cosiddetto “tariffario” dei sacramenti, il prezzo più o meno imposto che qualche parrocchia è solita prevedere per amministrare battesimi, matrimoni, cresime. Una piaga che “dà scandalo”, ha tuonato Francesco. Prendendo spunto dal Vangelo del giorno, il Pontefice ha ricordato “la Scrittura dice che ‘la mia casa sarà chiamata casa di preghiera, ma voi ne fate una spelonca di ladri”.
“LA LISTA DEI PREZZI IN CHIESA?, IL POPOLO SI SCANDALIZZA”
Il tema, notissimo, è quello della cacciata a opera di Gesù dei mercanti dal tempio “con la frusta”. Dal passo evangelico, ecco lo sguardo al presente: “Io penso allo scandalo che possiamo dare alla gente con il nostro atteggiamento, le nostre abitudini non sacerdotali nel tempio. Lo scandalo del commercio, lo scandalo della mondanità. Quante volte vediamo che entrando in una Chiesa, ancora oggi, c’è la lista dei prezzi. Battesimo, tanto; benedizione, tanto; intenzioni di messa, tanto. E il popolo si scandalizza”.
L’EPISODIO IN ARGENTINA
Quindi, il Papa ha raccontato un episodio risalente ai suoi primi anni di sacerdozio, in Argentina: “Una volta, appena sacerdote, io ero con un gruppo di universitari, e voleva sposarsi una coppia di fidanzati. Erano andati in una parrocchia: ma, volevano farlo con la Messa. E lì, il segretario parrocchiale ha detto: ‘No, no: non si può’ – ‘Ma perché non si può con la Messa? Se il Concilio raccomanda di farlo sempre con la Messa …’ – ‘No, non si può, perché più di 20 minuti non si può’ – ‘Ma perché?’ – ‘Perché ci sono altri turni’ – ‘Ma, noi vogliamo la Messa!’ – ‘Ma pagate due turni!’. E per sposarsi con la Messa hanno dovuto pagare due turni. Questo è peccato di scandalo”. E a questi, segretari, laici, parroci, “noi sappiamo quello che dice Gesù: “Meglio essere buttati nel mare”.
LE PAROLE DEL CARDINALE BAGNASCO
In serata, interveniva sul tema il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei: “I sacramenti non sono pagati in nessun modo. Le offerte che i fedeli intendono dare in forma libera sono un modo per contribuire alle necessità materiali della Chiesa”. I parroci, ha aggiunto il popolato, “di fronte a situazioni di impossibilità di avere un’offerta, sicuramente non rifiutano di dare alcun sacramento”. A ogni modo, “si può camminare sempre meglio per fare capire a tutti quanti che non c’è un commercio e non ci può essere un commercio tra le cose sacre, nessun tipo di compenso materiale”.
“NESSUNA CONTRAPPOSIZIONE COL PAPA”
Frasi che sembravano rappresentare una risposta alle durissime affermazioni mattutine del Papa, tanto che doveva intervenire il portavoce della Cei, mons. Domenico Pompili, a precisare che “qualsiasi lettura che contrappone le parole del presidente della Cei al Papa è fuorviante”. Su Repubblica, padre Enzo Fortunato, portavoce del Sacro Convento d’Assisi, commenta: “Noi lasciamo che vi siano offerte libere. Il Papa, comunque, ha fatto bene a richiamare il fatto che la vita di noi sacerdoti e dei laici è chiamata a essere dono e servizio agli altri”.
IL CASO DI PISTOIA
Eppure, qualche caso “di scandalo” in Italia c’è stato, e anche recentemente. Come riporta ilCorriere della Sera oggi in edicola, risale allo scorso giugno la lettera di un gruppo di parrocchiani di Villa di Baggio (Pistoia) a Francesco perché richiamasse all’ordine don Valerio Mazzola, reo d’aver affisso il tariffario dei sacramenti: matrimonio 190 euro, battesimo 90 euro (sconto per gemelli del 30 per cento), matrimonio riparatore 260 euro, cresima 100 euro.
LA REPLICA DEL PARROCO: “EVITO L’IMBARAZZO”
Lui, don Valerio, s’era difeso: “Mi trovavo in imbarazzo ogni volta che qualche parrocchiano mi chiedeva quanto dare per la cerimonia, così ho deciso di dare un’indicazione, pubblicamente. Non sono offerte obbligatorie, né soldi che vanno a finire nelle mie tasche. La comunità deve capire che c’è bisogno del sostegno di tutti per mandare avanti la chiesa”.