Mattias Mainiero per "Libero"
Direttore, ho un compito impossibile. Ora di
pranzo del giorno dopo la rivelazione. Ma sarà poi un'autentica
rivelazione, una ricostruzione certa al cento per cento? Quanto ci sarà,
nel retroscena appena reso noto, di lotta intestina e quanto di verità?
Vittorio Feltri è in auto, a Milano. È appena uscito dalla sede de il
Giornale. Direzione: «Baretto», ristorante alla moda a due passi da
piazza San Babila. Risponde al telefonino. Solo lui può confermare o
smentire.
La rivelazione: a trasmettere a Vittorio Feltri il documento che
accusava Dino Boffo, all'epoca direttore dell'Avvenire, sarebbe stato il
direttore dell'Osservatore Romano, Gian Maria Vian. Lo stesso Vian,
oltre a passare il testo della lettera anonima, avrebbe dato
assicurazioni che i guai giudiziari di Dino Boffo derivavano dalle sue
tendenze sessuali. Omosessuali, per la precisione. Non è una colpa, fino
a quando l'omosessualità non è accompagnata dalla trasgressione del
codice penale.
Per esempio, dalle molestie, tanto per intenderci. Il Giornale
pubblicò la storia. Conoscete il resto: siamo nel 2009, governa Silvio
Berlusconi, la sinistra è scatenata nelle accuse al Premier. Ragazze,
escort, soldi. Clima infuocato, da mesi. Anche Dino Boffo è critico. Il
Giornale racconta la vicenda del direttore dell'Avvenire. Chiaro
l'intento: guarda da che pulpito vengono certe prediche.
Un putiferio. Boffo è costretto ad abbandonare la direzione
dell'Avvenire. Poi i dubbi, le precisazioni, le nuove accuse, questa
volta non a Boffo. L'intervento dell'Ordine dei giornalisti, la
sospensione per tre mesi di Feltri. E una domanda: chi passò quelle
carte a Feltri? Fermi tutti: non è una domanda oziosa, semplice
curiosità. Qui si parla del Vaticano, misteri, intrighi, lotte
intestine. Il Vicario di Cristo e le poltrone bollenti. Il controllo
dell'edito - ria con il logo della Santa Sede. Fede, affari e politica.
Interessante.
Direttore, allora confermi, fu proprio Gian Maria Vian, il
direttore dell'Osservatore Romano? Lo dice Dino Boffo nelle sue lettere
al Papa. È scritto nel nuovo libro di Gianluigi Nuzzi. «Ma da quelle lettere non si evince un bel niente. È l'ipotesi, anche se circostanziata, di Boffo. Tutto qui».
Ed è scoppiato di nuovo il putiferio. «Ho letto, però non sono d'accordo».
Con chi? «Per esempio, con Maurizio Belpietro».
Il nostro direttore parla di un «bidone» che ti fu rifilato. «Una cosa non vera. La condanna di Boffo c'è. Non capisco, che vuol dire bidone?».
Torniamo alla domanda impossibile: fu Gian Maria Vian? «La
notizia era già nota. Noi abbiamo avuto quei documenti, che in parte
non erano atti ufficiali della Procura o del Tribunale, da un'alta
personalità della gerarchia ecclesiastica».
Li hai ricevuti tu? «Non io personalmente.
Arrivarono sul tavolo di Alessandro Sallusti, che me li notificò. E
siccome la provenienza era autorevole non mi è mai venuto il sospetto
che i documenti potessero contenere falsità. Ciò nonostante, pregai la
redazione, che non è fatta da principianti, di fare le necessarie
verifiche. Quando le verifiche furono eseguite, scrissi un commento,
niente di particolare, dicevo solo, vado a memoria, che Boffo non aveva
più i titoli per fare delle prediche moralistiche».
Non fu un bidone. Un mezzo bidone? «Io mi pongo
una domanda: se fosse stata una bufala, tutta una bufala, perché Boffo
si dimise e perché le dimissioni furono accettate dalla Cei?».
Beh, si sa come vanno queste cose: c'è la notizia, ci sono le
trappole, i giochi di potere. Pare che il Vaticano, in materia, sia uno
specialista. «Ripeto: i documenti arrivavano da un'alta
personalità. Per questo non ci fu neanche il sospetto che potesse
trattarsi di una trappola o che ci sarebbero state code velenose. E come
potevamo immaginarlo: io non sono un prete e neanche un sacrista, non
sono neanche cattolico, neanche credente. Ho dato una notizia, punto.
Non venendo la notizia da una sacrestia di paese, mi pareva che non ci
potessero essere dubbi».
Però pare che si trattasse di una sacrestia editoriale. So
che non mi dirai mai il nome, ma devo insistere: Vian, sacrestano
dell'Osservatore? «Se io dicessi chi mi ha dato la notizia, l'Ordine dei giornalisti mi potrebbe perseguire di nuovo».
Per la verità, oltre all'Ordine, c'è anche la coscienza
giornalistica che impedisce di fare certe cose. Le fonti vanno tutelate.
Per noi è un ritornello. «Guarda, dell'Ordine ce ne
sbattiamo i coglioni, fin quando però non minaccia di sbatterci fuori.
Con l'Ordine non si scherza. La coscienza non ti espelle, l'Ordine ti
radia».
E dunque niente conferma. «A me non fregherebbe
nulla di svelare nomi e cognomi, ma se lo facessi non lavorerei più.
Sono già stato condannato a tre mesi di sospensione, che altro c...».
Tre mesi nonostante le scuse.