ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 19 marzo 2011

topi in trappola?

sabato 19 marzo 2011

la trappola della “continuità”...


Joseph Ratzinger ha dichiarato riguardo alle divergenze avute nel post-concilio con Küng e Rhaner: «Non sono cambiato io, sono cambiati loro» (V. Messori - J. Ratzinger, Rapporto sulla Fede,Cinisello Balsamo, San Paolo, 1985, p. 15).
Giovanni Miccoli conferma: «Più volte [Ratzinger] ha insistito sullasostanziale continuità del suo pensiero teologico» (G. Miccoli, In difesa della Fede. La Chiesa di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI,Milano, Rizzoli, 2007, p. 296).









L’«arte» di Paolo VI
Paolo VI denunciò «una falsa e abusiva interpretazione del Concilio, che vorrebbe una rottura con la Tradizione, anche dottrinale, giungendo al ripudio della Chiesa pre-conciliare, e alla licenza di concepire una Chiesa “nuova”, quasi “reinventata” dall’interno, nella costituzione, nel dogma, nel costume, nel diritto» (Dichiarazione conciliare del 6 marzo 1964, ripetuta il 16 novembre 1964). Sempre Paolo VI, nel settembre-ottobre del 1964, durante il periodo “nero” – come lo chiamano i novatori – in cui l’offensiva del Coetus Internationalis Patrum e dei cardinali antimodernisti della Curia romana si fece sentire più fortemente, disse che la “collegialità” doveva essere letta “in connessione con il Concilio Vaticano I” (il quale invece è l’apoteosi del Primato monarchico del Papa e dunque l’esatto opposto della collegialità episcopale), del quale il Vaticano II sarebbe la continuazione logica[1]. Inoltre Paolo VI, in quest’ottica della “continuità”, il 18 novembre 1965 informò il Concilio che «sarebbe stata introdotta la causa di beatificazione di Pio XII e Giovanni XXIII»[2] definiti entrambi “eccelsi e piissimi e a noi carissimi”.

Il giorno 10 marzo ricorre l’anniversario della morte di mons. Francesco Spadafora. Raccomandiamo l’anima di questo intrepido difensore della Santa Madre Chiesa alle preghiere dei nostri associati.

Jan Grooaters ci spiega che «una delle maggiori preoccupazioni» di Montini (ancor arcivescovo di Milano, ma prossimo all’elezione pontificia) «fu la preparazione dei fedeli, ma soprattutto dei preti, alla ricezione del Concilio: più di altri, egli aveva già allora compreso che il destino del Vaticano II si sarebbe giocato negli sviluppi post-conciliari»[3]. Divenuto Papa, una delle ipoteche di cui «avvertiva il peso con particolare acutezza era rappresentata dalla necessità di riformare la Curia romana, di convertirla in qualche modo al Concilio, ma nello stesso tempo di rassicurarla… […]. Gli toccò a volte svolgere un compito di sentinella, tenendo, in alcune circostanze, rapporti più stretti con l’opinione pubblica della Chiesa che con il Concilio e la Curia mostrandosi più unito alle “retrovie” che alla “prima linea” dove si svolgeva la battaglia per assicurare il più possibile la continuità richiesta dal post-concilio. […]. Prevedendo le future cause di tensione, Paolo VI volle dare all’attuazione del rinnovamento un ritmo per quanto possibile uniforme, esortando i ritardatari ad affrettare il passo emoderando l’impazienza di chi voleva troppo precorre i tempi. […] il Papa appariva preoccupato di fare qualche concessione alla corrente minoritaria [cioè agli anti-modernisti], per ottenere nella votazione finale un risultato il più possibile vicino all’ unanimità morale. […]. All’inizio del quarto ed ultimo periodo del Concilio (settembre del 1965), si avvertì che l’azione del Papa aveva assunto un carattere più direttivo, parallelamente all’indebolirsi della leadership della corrente maggioritaria [cioè dei modernisti]. Si disse allora che “gli eroi erano stanchi” e che i vescovi desideravano tornarsene a casa. […]. Si deve a Paolo VI il merito […] di aver agito in senso “più progressista” di quanto facesse la maggioranza dei vescovi dell’assemblea conciliare. […] bisogna riconoscere che uno dei meriti principali di Paolo VI nei confronti del Vaticano II consistette nel preparare le condizioni per una sua attuazione che si prolungasse nel tempo e che fosse quindi conciliabile con il contesto e gli usi di tutta la Chiesa. In conclusione, Paolo VI sembra che abbia soprattutto cercato di tradurre l’evento conciliare in istituzioni»[4]. Papa Montini nel Discorso al Sacro Collegio dei Cardinali del 23 giugno 1972denunciò ancora una volta una falsa interpretazione del Concilio, che avrebbe voluto una rottura con la Tradizione.

Giovanni Paolo II sulla scia di Paolo VI
Un anno dopo la sua elezione, nel suo viaggio in Messico compiuto a cavallo tra il gennaio e il febbraio del 1979, durante la Conferenza dell’Episcopato Latino-Americano a Puebla Giovanni Paolo II parlò del Concilio nell’omelia tenuta il 26 gennaio nella cattedrale di Città del Messico. Papa Wojtyla sottolineò l’importanza di studiare i Documenti del Concilio Vaticano II, affermando che in essi non si trova «come pretendono alcuni una “nuova Chiesa”, diversa od opposta alla “vecchia Chiesa”. […]. Non sarebbero fedeli, in questo senso, coloro che rimanessero troppo attaccati ad aspetti accidentali della Chiesa, validi nel passato ma oggi superati. Così come non sarebbero neppure fedeli coloro che, in nome di un profetismo poco illuminato, si gettassero nell’avventurosa e utopica costruzione di una “nuova Chiesa” cosiddetta “del futuro”, disincarnata da quella presente»[5].
Nella sua visita pastorale in Belgio il 18 maggio 1985 Giovanni Paolo II denunciò che alcuni il Concilio «lo hanno studiato male, male interpretato, male applicato», causando «qua o là scompiglio, divisioni»[6] e nel Sinodo Straordinario del novembre-dicembre 1985 affermò: «Il Concilio deve esserecompreso in continuità con la grande Tradizione della Chiesa […]. La Chiesa è la medesima in tutti i Concili (Ecclesia ipsa et eadem est in omnibus Conciliis[7].
Nel libro-intervista con Vittorio Messori Varcare le soglie della speranza del 1994 (Milano, Mondadori) a pagina 171 Giovanni Paolo II afferma che occorre «parlare del Concilio, per interpretarlo in modo adeguato e difenderlo dalle interpretazioni tendenziose». Durante il Giubileo del 2000 ritorna sul tema e precisa la necessità di superare «interpretazioni prevenute e parziali che hanno impedito di esprimere al meglio la novità [sic] del magistero conciliare»[8]. Infine spiega che «l’ insegnamento del Vaticano II, deve essere inserito organicamente nell’ intero Deposito della Fede, e quindi integrato con l’insegnamento di tutti i precedenti Concili e Insegnamenti pontifici»[9].
In breve, Giovanni Paolo II manifesta la stessa preoccupazione di “convertire al Concilio” e al tempo stesso di “rassicurare” i cattolici sulle novità del Concilio che era stata già di Paolo VI.

Ratzinger: “Non sono cambiato io
Come si vede, “l’ermeneutica della continuità” è vecchia come il Concilio, al quale il giovane teologo Joseph Ratzinger partecipò in qualità di perito del card. Frings con spirito del tutto innovatore. Basti pensare che collaborò alla stesura del discorso di Frings su ‘le fonti della Rivelazione’, nel quale il cardinale di Colonia sostenne la teoria dell’unica fonte[10] (il Sola Scriptura di Lutero) contro lo schema approntato dalla “Commissione preparatoria”, che, riprendendo le definizioni dogmatiche, irreformabili e infallibili, di Trento (sess. IV, DB 783) e del Vaticano I (DB 1787), riaffermava la dottrina tradizionale sulle due Fonti della Rivelazione.
Anche per ‘la collegialità episcopale’ – scrive Alberigo – «efficacissimo fu l’intervento del card. Frings,per il quale è legittimo supporre il contributo del suo teologo Ratzinger. Si trattò forse del discorso più incisivo dal punto di vista critico, giacché demoliva lo schema della Commissione preparatoria»[11]. Storico è lo scontro (8 novembre 1963) che ebbe Frings con Ottaviani sulla “collegialità”, e che indurrà «Paolo VI a chiedere a Jedin, Ratzinger e ad Onclin alcuni pareri sulla riforma della Curia»[12].
Ora, Ratzinger ha dichiarato, e ci ha avvertito, riguardo alle divergenze avute nel post-concilio con Küng e Rhaner: «Non sono cambiato io, sono cambiati loro»[13] e il professor Miccoli precisa: «più volte [Ratzinger] ha insistito sulla sostanziale continuità del suo pensiero teologico»[14]. Quindi non vi è cambiamento sostanziale di rotta tra Ratzinger giovane perito conciliare e Ratzinger anziano Prelato di Curia e Pontefice: la collegialità, un’unica fonte della Rivelazione, il giudeo-cristianesimo, la “libertà” delle false religioni fanno ancora parte del pensiero teologico di Benedetto XVI[15]. Perciò non deve meravigliare la sua affermazione sull’impiego dei profilattici, quale inizio della “moralità” dell’atto sessuale con “prostituti”, anche se il loro uso (senza parlare dell’ omosessualità, che è un peccato contro natura) non è ammesso dalla Chiesa (Luce del mondo, Città del Vaticano, LEV, 2010).



[1] G. Alberigo, Breve storia del Concilio Vaticano II, Bologna, Il Mulino, 2005, p. 128.
[2] G. Alberigo, op. cit., p. 148.
[3] J. Groaters, I protagonisti del Concilio Vaticano II, Cinisello Balsamo, San Paolo 1994, p. 55.
[4] Ivi pp, 57-65..
[5] Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II, 1979, (gennaio-giugno), Città del Vaticano, LEV, p. 151.
[6] “Discorso all’episcopato belga”, 18 maggio 1985, in “Il Regno Documenti”, Bologna, Edizioni Dehoniane, XXX, 1985, p. 328.
[7] Sinodo Straordinario Ecclesia sub verbo Dei mysteria Christi celebrans pro salute mundi, Relatio finalis, in “Enchiridion Vaticanum”, Bologna, Ed. Dehoniane, 9, 1983-1985, nr. 1785, p. 1745.
[8] “Il Regno Documenti”, Bologna, Ed. Dehoniane, XLV, 2000, p. 232.
[9] “Sinodo dell’Arcidiocesi di Cracovia del 1972”, citato in G. Miccoli, In difesa della Fede. La Chiesa di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, Milano, Rizzoli, 2007, p. 25. Sul Sinodo di Cracovia del 1972 cfr. B. Lecomte, Giovanni Paolo II, Roma, La Biblioteca della Repubblica, 2005, pp. 207 ss. e G. Weigel,Testimone della speranza. La vita di Giovanni Paolo II, Milano, Mondatori, 2005, pp. 252 ss.
[10] A. S., vol. I, cap. 3, pp. 34-35 e 139.
[11] G. Alberigo (diretta da), Storia del Concilio Vaticano IILa formazione della coscienza conciliare, ottobre 1962-settembre 1963, Bologna, Il Mulino, 1996, vol. II, p. 361.
[12] H. Jedin, Storia della mia vita, Brescia, 1987, pp. 314-315; J. Ratzinger, Das Konzil auf dem Weg.Rückblick auf die zweite Sitzungperiode, Köln, 1963-66 (tr. it., 1965-67), 4 voll., pp. 9-12.
[13] V. Messori- J. Ratzinger, Rapporto sulla Fede, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1985, p. 15.
[14] G. Miccoli, cit., p. 296.
[15] Cfr. Bernard Tissier de Mallerais, L’étrange théologie de Benoit XVI. Herméneutique de continuité ou rupture?, Avrillé, Le Sel de la terre, 2010.

domenica 13 marzo 2011

Romano il Miope

Liturgia in continua evoluzione? Nuovo 'attacco' alla Tradizione da parte dell'Osservatore Romano


Parto da una premessa per nulla estranea all'argomento presentato nel titolo, che sviluppo nell'esposizione successiva.
Premessa
Stiamo assistendo a grandi mutamenti anche nell'architettura sacra, emblema dell'iconoclastia del Sacro della nostra epoca. Il nostro Osservatorio sul Cammino neocatecumenale ci spinge a tornare sulla liturgia e sulla trasformazione delle chiese insieme allo stravolgimento degli spazi sacri per mezzo della "nuova estetica" kikiana. Si può facilmente constatare dalle foto facilmente reperibili di tante chiese fondate dal CN, come lungo l'asse principale della navata siano disposte in linea retta: il fonte (un pozza) battesimale, l'altare, l'ambone e da ultimo la sede presidenziale.
Questa disposizione non è casuale o semplicemente estetica, ma risponde ad un preciso criterio simbolico dell’iniziatore, atto a creare un forte senso conviviale per mezzo delle eucaristie neocatecumenali. Secondo lui, la chiesa-parrocchia (in sostanza, la Comunità NC che dovrà inesorabilmente sostituirvisi) è vista come una donna partoriente: l'altare rappresenta la pancia della donna; sulla mensa eucaristica, infatti, si svolge la «santa cena» e non si ripresenta al Padre, in modo incruento, l’offerta del sacrificio di Gesù, morto per la nostra salvezza ma ci si nutre del Suo Corpo e il Suo Sangue con riferimento alla Pasqua ebraica piuttosto che all’ultima Cena. L'ambone rappresenta la bocca della donna (dall'ambone infatti si proclama la parola del Signore); infine c’è la sede presidenziale che rappresenta la testa della donna. Il fonte battesimale è l’utero. Il presbitero è il semplice presidente dell'assemblea celebrante, una sorta di primus inter pares il cui carisma è quello semplicemente di ministro del culto. Viene a mancare la figura tradizionale dell’Alter Christus. Il sacerdote non presenzia più in vece di Cristo, ma simboleggia il Cristo, mentre il sacerdozio comune dei fedeli sostituisce, diluendolo sempre più, quello ministeriale. Se a qualcuno potesse venire in mente che "la donna" rappresenti Maria Mater Ecclesiae, se lo tolga subito dalla mente, perché essa rappresenta "la comunità", una sorta di ipostatizzazione di nuovo conio nella Chiesa di Cristo.

Tradizione negata e ulteriormente attaccata
Tutti questi elementi, estranei ad un autentico culto cattolico, trovano tuttavia delle assonanze nelle sperimentazioni favorite dal leitmotiv dell'ala progressista della Chiesa: "una costante preoccupazione della grande Tradizione cristiana: trasmettere fedelmente il nucleo della fede, aggiornando le sue forme celebrative per renderle comprensibili e significative nella vita della gente di ogni epoca."

Ho tratto queste parole da un articolo apparso sull'Osservatore Romano di questi giorni su un recente convegno svoltosi a Roma [vedi testo integrale], che risulta un condensato del pensiero dominante dell'ideologia vaticanosecondista in fatto di architettura e liturgia. I contenuti, peraltro fumosi e fortemente inneggianti all'innovazione sempre all'insegna dello spirito-del-concilio, ci sconcertano e ci allarmano non poco, visto il fatto che recentemente anche il Cardinal Canizares ha dichiarato che la "riforma della riforma" - che pare definitivamente abbandonata per lasciare il posto al "nuovo movimento liturgico" che viene "dal basso" [ne abbiamo già parlato qui] - significherebbe il recupero di una piena aderenza e "completamento" del dettato conciliare in tema di liturgia, ripreso proprio dall'Osservatore Romano. Eccone alcuni brani:
L'alto medioevo ci insegna che l'evoluzione del rito avviene stando dentro la storia
Storia del cristianesimo e liturgia; continuità e trasformazione nella liturgia; primi secoli fra tradizione e innovazione sono le tre tematiche che hanno attraversato e riassunto il convegno "Liturgie e culture tra l'età di Gregorio Magno e Leone III. Aspetti rituali, ecclesiologici e istituzionali" che si è svolto il 24 e 25 febbraio all'Università Europea di Roma. Pubblichiamo le conclusioni del vicedirettore del nostro giornale.

[...] Ma la liturgia è questione di vita o di morte per la Chiesa che, se non riesce a portarvi i fedeli e in modo che siano essi stessi a compierla, ha fallito il suo compito ed ha perso il suo diritto ad esistere.
[...]
Sarebbe importante una stagione nuova di entusiasmo e di sforzi da parte dei liturgisti convinti della bontà della riforma conciliare per comunicare meglio natura e senso della riforma stessa e allargare una cosciente e attiva partecipazione all'eucaristia e agli altri sacramenti. Spiegare la flessibilità già contenuta nel Messale romano approvato e l'importanza di una completa ricezione dell'ecclesiologia del Vaticano II e della Dei Verbum per sintonizzarsi seriamente con la liturgia della Chiesa. Nell'età della comunicazione multimediale e digitale l'afasia liturgica è un controsenso e una zavorra per la credibilità dell'annuncio cristiano.
[…]
La Chiesa ha bisogno ancora di tanti che si dedichino con passione alla liturgia e che sappiano mettere al centro della storia e del significato della vita la ricerca di Dio, come don Luigi Della Torre (1930-1996), un grande liturgista e pastore della diocesi del Papa. È stato uno di quei preti felici della propria vocazione e perciò liberi di spirito che meglio hanno tradotto in Italia la riforma liturgica conciliare in una nuova vita ecclesiale. Egli può suggerire un metodo e un percorso pastorale concreto. Era convinto che la liturgia proposta nella Sacrosanctum concilium fosse il catechismo per eccellenza di una buona vita cristiana perché la preghiera della Chiesa adegua la mente e il cuore dei fedeli alla Parola di Dio e spinge chi nel nostro tempo vi partecipa con sincerità, all'imitazione di Cristo.
Bene, un accenno al background di Don Luigi Della Torre, cui si riferisce Di Cicco:
“…soprattutto negli anni del dopoconcilio in cui era statu nascenti, il Cammino neocatecumenale attrasse esponenti di rilievo del rinnovamento liturgico e della cultura cattolica progressista. Fra questi simpatizzanti della prima ora vi fu don Luigi Della Torre, valente liturgista, parroco a Roma della chiesa della Natività in via Gallia, vicino al pensatore cattolico comunista Franco Rodano. La chiesa della Natività, col successivo parroco, ebbe rivoluzionata l´architettura del suo interno in conformità ai dettami di Kiko.”
Fonte: http://www.chiesa.espressonline.it/dettaglio.jsp?id=765
Non mi soffermo sui singoli brani riportati, che trovano risposta nelle riflessioni che seguono, ma non posso non estrarre il termine “afasia”, che mi ha colpito come uno schiaffo (nella trascrizione sopra l’ho contrassegnato in grassetto). Se si è costretti a constatare un’“afasia liturgica”, si ha la prova evidente che in quella liturgia manca una Presenza, quella della Parola Viva, che parla e crea contemporaneamente, cioè nostro Signore in Corpo Sangue Anima e Divinità, il vero Protagonista della celebrazione. E aggiungo una chiosa:

L'articolo è pieno di tante belle parole, alcune anche auspicabili; ma se la Liturgia Eucaristica scaturita dal Concilio Vaticano II (è poi così vero leggendo meglio la Sacrosanctum concilium?) è il più evidente frutto della 'nuova Pentecoste':
  • non ci sfiora nessun dubbio, visti i risultati?
  • è necessaria soltanto un'azione apologetica da parte dei liturgisti o non anche un recupero di sana dottrina negli insegnamenti rivolti ai fedeli e nelle loro espressioni cultuali?
  • se le fughe in avanti sono state minoritarie perché ancora si attendono nuove espressioni attraverso il “nuovo movimento liturgico”?
  • se la salus animarum sosteneva e spingeva il Consilium, può esser solo frutto della generale scristianizzazione il fatto che dal 1970 almeno il 50% dei praticanti ha lasciato la Chiesa nella pratica e nelle convinzioni?
  • è proprio così ininfluente il modo di porsi della preghiera ufficiale della Chiesa?
  • è proprio così ininfluente la ecclesiologia proposta, direi in maniera subliminale, dalla Liturgica Riforma?
  • Riforma? Non ci ricorda qualcosa?
Riporto la riflessione - risale al 2007, ma rimane attualissima - di un nostro interlocutore col quale siamo entrati in dialogo autentico e che ora è ‘fuori’ dal cammino nc:
“Perché nel cuore e nella mente della gente c'è questo bisogno di “platealità”, cioè rendere una Liturgia accattivante? La risposta, credo, sta nel fatto che il materialismo ha comunque talmente permeato la nostra vita, che si è perso completamente il senso del Mistero sacro. Non si va ad una Liturgia perché è un avvenimento che interessa i piani spirituali e che quindi ci proietta nell'Assemblea Celeste, ma ciò che conta è la forma; una forma che deve essere piacevole e può esserlo solo se il cerimoniale viene adattato ai nostri gusti.
Tanto per restare in tema-blog, è chiaro che le celebrazioni nell'ambito del CN incorporano molto di questo bisogno che l'uomo ha di adattare la Liturgia ai propri gusti, introducendo segni e modi di comportamento nuovi. Non voglio con questo alimentare nuove polemiche, ma mi sembra che anche il dire “riscopriamo le origini” sia come congelare l'azione del Signore nella storia appunto alle origini.
Infatti o consideriamo che il Signore interviene nella storia soprattutto attraverso la Liturgia e che pertanto è lo Spirito Santo a guidare i cambiamenti attraverso i secoli illuminando la Chiesa (intesa in questo caso necessariamente come Papa, Cardinali e Vescovi ed ai quali si deve obbedienza). Il resto è inventiva personale, forse anche buona ma siamo nel campo della discrezionalità del singolo individuo.”
Siamo stati sempre consapevoli, e lo abbiamo ripetutamente sostenuto, che proprio il clima conciliare ha favorito la proliferazione del cammino nc, mentre l'attuale cultura egemone modernista ne ha favorito un'approvazione a dir poco anomala. Un'anomalia che sta contribuendo non poco all'inquinamento della nostra Chiesa.

Prima del Concilio c'era una visione teocentrica della vita, della religione, del mondo. Dal Vaticano II, la visione è diventata antropocentrica. “Cosa serve all'uomo?”, al posto di che culto dare a Dio?” in cui c'è tutto ciò di cui ha bisogno l'uomo in Dio.

Stiamo parlando della Chiesa 'visibile', peraltro non di tutta. Diciamo che parliamo della Chiesa che ha preso in mano un potere che governa impropriamente con la 'pastorale', cioè con la prassi (distorta) anziché con una dottrina definitoria e in continuità con la Tradizione. Quella parte di Chiesa, che dobbiamo riconoscere nostro malgrado mutata, NON PUO' essere LA CHIESA, ma una sua contraffazione.

A questo punto non ho risposte, se non affidar tutto al Signore e custodire la Fede, cercando di diffonderla finché posso. Infatti non dò per scontato che la 'mutazione' di cui è stata oggetto la Chiesa, per il fatto che al momento appare vincente e maggioritaria, è la parte da cui stare. La Verità non sta nel consenso dei più e, solo scegliendo secondo coscienza, scegliamo secondo Verità. Se scegliessimo secondo la moda del tempo, lo faremmo a nostro rischio e pericolo... E’ per questo che, per quanto mi riguarda, ho rinunciato da un pezzo, e realisticamente, a riporre speranze in questa 'pastorale' apostata che ha potuto ritenere ammissibile quella che non è altro che una pseudo-rivelazione non apostolica. Non posso che prenderne atto; ma non potrò mai aderirvi né in coscienza né in spirito e verità...

E tuttavia a questo punto mi preme puntualizzare la sempre maggiore evidenza delle due (e forse più, purtroppo) anime riconoscibili nella Chiesa visibile del nostro tempo, nella quale è ormai difficile orientarsi e districarsi dal garbuglio di innovazioni e mistificazioni spacciate per spirito conciliare, che la cultura egemone sta continuando a tessere e portare avanti, tentando di delegittimare qualunque voce cerchi di 'mostrare' le Verità cattoliche senza travestimenti né modernisti né da cosiddetta 'nuova pentecoste'.

E mi preme anche sottolineare come queste diverse anime si siano di fatto alleate coniando la vulgata di un tanto fantomatico quanto improbabile “protestantesimo Tradizionalista” ponendosi come “conservatori”... del Concilio! Infatti i conservatori di oggi sono coloro che intendono conservare il cosiddetto spirito del concilio facendo di esso - che ha messo in un angolo i Dogmi assoggettandoli ad una assurda evoluzione - un intoccabile nuovo "superdogma"...

Osservo che il termine “conservatore" non si addice alla Tradizione, che 'conserva' nel senso che 'custodisce', il "Depositum Fidei" Apostolico; ma nello stesso tempo non conserva alcun tipo di fissismo, che non le si addice in quanto essa è VIVA nel senso, insegnato da mons. Gherardini, della “continuità evolutiva”, che esclude tutti quei criteri immanentistici che si sono imposti, dall’Illuminismo ad oggi, sia alla filosofia che alla teologia. Gli Apostoli ci hanno lasciato quanto da Cristo avevano ricevuto ratione ecclesiae, non i carismi personali ma le verità riguardanti la Fede e la Chiesa. So di averlo già detto, ma repetita iuvant.

I Padri la chiamano Traditio Dominica o Traditio Apostolica “lo Spirito Santo vi ricorderà tutte le cose che vi ho insegnato io” (Gv 14, 26). L’insufflatio dello Spirito [Presente nella Chiesa: dove c'è il Figlio, c'è anche il Padre e lo Spirito Santo] non ha per oggetto una o più, ma “quaecumque dixero vobis”: tutte le cose, acquisizioni sempre più approfondite, nova et vetera (Gv 16,13).