PAESE PERDUTO
Afghanistan, la più umiliante sconfitta di Usa e Nato
I Talebani stanno conquistando tutte le principali città dell'Afghanistan e la caduta di Kabul è prossima. La Nato non ha neppure completato il ritiro. Per conquistare Saigon, almeno, i nordvietnamiti avevano dovuto combattere due anni. Questa è la più grave umiliazione dell'Occidente.
Una disfatta senza precedenti nella storia, che ridicolizza gli Stati Uniti e la NATO, incapaci di difendere l’alleato afgano e il cui operato, compiuto negli ultimi anni, per rendere i militari di Kabul autonomi nel gestire le operazioni belliche contro i talebani si rivela del tutto inadeguato.
Prosegue infatti senza sosta l'avanzata dei talebani che in una settimana hanno assunto il controllo di 18 capoluoghi di provincia su 34 e probabilmente del 95% del territorio e ora trema a che Kabul dove stanno confluendo migliaia di profughi da tutte le regioni occupate dagli insorti.
Un’avanzata così rapida da indurre a sospettare che tra i miliziani vi siano anche numerosi militari pachistani, non solo perché Islamabad e i suoi servizi segreti militari sono stati “fondatori” e sostenitori del movimento degli ”studenti coranici”, ma anche perché i pakistani si mischierebbero facilmente tra le milizie jihadiste afgane, poiché l’etnia pashtun a cui fa riferimento il movimento talebano è massicciamente presente anche oltre il confine.
Nelle ultime ore, come riportato dall’agenzia di stampa tedesca DPA, gli insorti hanno espugnato le principali città delle province di Logar (Pul-i-alam,ad appena 80 km da Kabul), Uruzgan (Tirinkot), Zabul (Qalat) e Ghor (Chaghcharan). In queste ultime tre regioni i talebani hanno preso il controllo del centro delle città e degli edifici governativi incontrando una minima resistenza mentre nell’Ovest un tempo presidiato dai militari italiani, dopo Herat sembra sia caduta anche Qal-i-Now, capoluogo della provincia di Badghis.
Il 12 agosto erano cadute Herat, Kandahar, culla del movimento talebano, poi Lashkar Gah, capoluogo della turbolenta provincia meridionale di Helmand. Da nord verso sud, gli insorti hanno conquistato anche Faizabad (capoluogo della provincia di Badakhshan), Kunduz (nell'omonima provincia), Taloqan (Takhar), Sheberghan (Jowzjan), Sar-e-Pul (omonima provincia), Aybak (Samangan), Pul-i-Khumri (Baghlan), Ghazni (omonima provincia), Farah (omonima provincia), la già citata Qal -i-Naw (Badghis) e Zaranj (Nimruz).
L’intelligence americano, che due giorni or sono aveva stimato che Kabul sarebbe potuta cadere in mani talebane in uno o tre mesi, ora prevede il tracollo entro pochi giorni e infatti Washington ha varato un’operazione militare per evacuare al più presto l’ambasciata e ii civili rimasti nella capitale (5mila solo quelli statunitensi) mentre Danimarca, Svizzera e Norvegia chiudono temporaneamente le sedi diplomatiche e la Germania ridurrà lo staff "al minimo assoluto”. Una fuga da Kabul che, a differenza di quella da Saigon del 1975, potrà avvenire solo per via aerea considerato che l’Afghanistan non ha sbocco al mare. Tremila marines arriveranno a Kabul nelle prossime ore con 600 militari britannici e un numero imprecisato di canadesi per proteggere l’aeroporto e attuare un ponte aereo. Sul piano politico e militare il disastro è totale e fa impallidire anche alcuni precedenti “illustri”.
Dopo gli accordi di Parigi con cui nel gennaio 1973 gli USA negoziarono il ritiro dal Vietnam, le truppe sudvietnamite continuarono a combattere per oltre due anni, fino alla caduta di Saigon nell’aprile 1975. Quando nel febbraio 1989 l’Armata Rossa si ritirò dall’Afghanistan, il governo filo-sovietico del presidente Najibullah restò al potere per oltre tre anni, fino al 17 aprile 1992, quando i mujhaiddin presero la capitale. Oggi invece le truppe governative addestrate e armate da americani e alleati sono crollate ancor prima che gli statunitensi completassero il ritiro delle ultime forze rimaste in Afghanistan, previsto per fine agosto.
Se la situazione non fosse tragica ci sarebbe da sorridere nel registrare le reazioni di USA e NATO. Quest’ultima ha tenuto ieri una riunione d'emergenza in cui il segretario generale, Jens Stoltenberg, ha rinnovato l’appoggio al governo del presidente Ashraf Ghanì, che però ormai controlla solo la capitale. Solo due giorni or sono la portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki, aveva dichiarato che l'esercito afgano "ha tutto quello che serve" per rispondere all'offensiva dei talebani: “il nostro punto di vista è che le forze di difesa hanno l'equipaggiamento, i numeri e l'addestramento per reagire" agli attacchi. Un punto di vista evidentemente errato a giudicare dalle spettacolari vittorie talebane: poche ore prima il presidente Joe Biden aveva detto di non rimpiangere “la decisione di ritirare le nostre truppe dall'Afghanistan” perché “i leader afghani devono ora mettersi insieme e lottare per sé stessi e per il loro Paese".
Frase infelice a cui ha risposto il capogruppo repubblicano al Senato di Washington, Mitch McConnell. "Le decisioni del presidente Biden ci stanno portando ad una replica peggiore dell'umiliante caduta di Saigon nel 1975. Il presidente Biden sta scoprendo che il modo migliore di finire una guerra è perderla. Al-Qaeda e i talebani possono celebrare il ventesimo anniversario dell'11 settembre bruciando la nostra ambasciata a Kabul". Con la magnanimità che si addice ai vincitori il portavoce talebano Zabihullah Mujahid ha annunciato "un'amnistia generale" per chi abbia collaborato "con gli occupanti o sia parte dell'amministrazione di Kabul", promettendo che i diplomatici e il personale delle sedi estere non correranno rischi.
Molte città del resto sono state espugnate con combattimenti limitati che hanno visto i talebani offrire alle guarnigioni governative assediate tregue e permessi per ritirarsi e lasciare il campo di battaglia o in altri casi permettendo ai soldati che gettavano le armi di tornare alle loro case. A salvare l’onore dell’esercito afgano provvedono i reparti di forze speciali, commandos addestrati dalle migliori unità alleate (inclusi gli incursori italiani) che combattono tenacemente battaglie senza speranza, nella consapevolezza che solitamente i talebani non fanno prigionieri quando mettono le mani sugli uomini delle unità d’èlite e dei servizi d’intelligence (NDS).
Una testimonianza diretta su questi soldati afgani che continuano a combattere l’ha offerta ieri un articolo di Fausto Biloslavo che sul Giornale ha intervistato via WhattsApp un tenente che ha frequentato l'accademia militare di Modena e che stava combattendo a Ghazni.
«Noi non cediamo le armi. Siamo i commandos e combattiamo fino alla morte. Come può sentire stanno sparando, ma continuiamo a resistere a Ghazni» riferiva il giovane ufficiale. «La città è caduta e il governatore è fuggito. Noi combattiamo da due giorni per evacuare i poliziotti ed i funzionari governativi rimasti» racconta il coraggioso ufficiale. I talebani sono vicini e si sentono le raffiche di mitra. I corpi speciali sono asserragliati in una caserma e hanno chiesto l'appoggio aereo. Il governatore, Mohammad Dawood Laghmani, è stato arrestato con l'accusa di essersi accordato sotto banco con i talebani. «La situazione è bruttissima - spiega l'ufficiale - Non è possibile sganciarci via terra. Attenderemo l'arrivo degli elicotteri».
La sua famiglia è nel mirino. «I talebani hanno occupato il mio villaggio e bruciato la nostra casa - racconta con un velo di tristezza .Ho perso 8 parenti compresi due fratelli, uno decapitato. E sono stati ammazzati pure i nipotini piccoli».
L'ultimo caduto è il cugino, anche lui militare, seguito fino sotto casa e freddato a Kabul. «Danno la caccia agli ufficiali dei corpi speciali - racconta - Vogliono eliminarci perché siamo quelli che intervengono dappertutto». Da Ghazni ci manda un video dei talebani di fronte alle sue posizioni: «Sono ben armati e appoggiati dal Pakistan. Nelle loro fila ci sono diversi pachistani».
Brandelli di eroismo in una disfatta infamante per le forze militari afghane ma che non risparmia dalla vergogna gli Usa e la Nato, fuggiti a gambe levate lasciando campo libero ai talebani.
Gianandrea Gaiani
https://lanuovabq.it/it/afghanistan-la-piu-umiliante-sconfitta-di-usa-e-nato
I talebani a 11 km da Kabul
Gli Usa si preparano alla caduta
Il presidente afghano Ghani assicura che non permetterà altre morti e annuncia la riorganizzazione dell'esercito. Preoccupazione per le donne considerate un 'bottino di guerra'. Il ministro Guerini: 'L'Afghanistan non torni ad essere il rifugio di terroristi'
Kabul sta per diventare una nuova Saigon
12 agosto 2021. La storia lo registrerà come il giorno in cui i Talebani, quasi 20 anni dopo l’11 settembre e il successivo rovesciamento del loro regno del 1996-2001 da parte dei bombardamenti americani, avevano sferrato il colpo decisivo contro il governo centrale di Kabul.
In una guerra lampo coordinata, i Talebani hanno catturato tre centri cruciali: Ghazni e Kandahar nel centro e Herat a ovest. Avevano già catturato la maggior parte del nord. Allo stato attuale, i Talebani controllano 14 capoluoghi di provincia, un numero in continuo aumento.
Per prima cosa hanno preso Ghazni, che si trova a circa 140 chilometri da Kabul. L’autostrada appena ripavimentata è in buone condizioni. Non solo i Talebani si stanno avvicinando sempre di più a Kabul, in pratica ora controllano l’arteria principale della nazione, la Highway 1, che va da Kabul a Kandahar via Ghazni.
Questo, di per sé, è un cambiamento strategico. Permetterà ai Talebani di circondare e assediare Kabul simultaneamente da nord e da sud, in un movimento a tenaglia.
Kandahar è caduta al tramonto, dopo che i Talebani erano riusciti a superare la cintura di sicurezza intorno alla città, attaccando da diverse direzioni.
A Ghazni, il governatore provinciale, Daoud Laghmani, aveva stretto un accordo, era fuggito e poi era stato arrestato. A Kandahar, il governatore provinciale, Rohullah Khanzada, che appartiene alla potente tribù dei Popolzai, se n’è andato con alcune guardie del corpo.
Aveva raggiunto un elaborato accordo, riuscendo a convincere i Talebani a permettere ai militari rimasti di ritirarsi all’aeroporto di Kandahar ed essere evacuati in elicottero. Tutto il loro equipaggiamento, le armi pesanti e le munizioni sarebbero state lasciate ai Talebani.
Le forze speciali afgane rappresentavano quanto di meglio c’era a Kandahar e stavano proteggendo solo alcune località selezionate. Ora la loro prossima missione potrebbe essere quella di proteggere Kabul. L’accordo finale tra il governatore e i Talebani dovrebbe essere raggiunto presto. Kandahar è caduta per davvero.
A Herat, i Talebani hanno attaccato da est, mentre il famigerato ex signore della guerra, Ismail Khan, alla guida della sua milizia, resisteva strenuamente da ovest. I Talebani hanno progressivamente conquistato il quartier generale della polizia, “liberato” i detenuti della prigione e assediato l’ufficio del governatore.
Il gioco è finito: Anche Herat è caduta e i Talebani ora controllano tutto l’Afghanistan occidentale, fino al confine con l’Iran.
L’Offensiva del Tet, remixata
Gli analisti militari si divertiranno un mondo ad analizzare questo equivalente talebano dell’offensiva del Tet del 1968 in Vietnam. Le informazioni satellitari possono essere state strumentali: è come se l’intero progresso del campo di battaglia fosse stato coordinato dall’alto.
Eppure ci sono alcune ragioni abbastanza prosaiche per il successo dell’assalto, a parte l’acume strategico [degli attaccanti]: la corruzione nell’Afghan National Army (ANA), la totale disconnessione tra Kabul e i comandanti sul campo di battaglia, la mancanza di supporto aereo americano, la profonda divisione politica nella stessa Kabul.
In parallelo, i Talebani hanno mantenuto l’iniziativa in segreto e per mesi, attraverso connessioni tribali e legami familiari, offrendo accordi: non combattete contro di noi e sarete risparmiati.
Aggiungeteci la profonda sensazione di essere stati traditi dall’Occidente provata da coloro che sono legati al governo di Kabul, unita alla paura della vendetta talebana contro i collaborazionisti.
Una sottotrama molto triste, d’ora in poi, riguarderà l’impotenza dei civili, provata da coloro che si considerano intrappolati nelle città ora controllate dai Talebani. Quelli che erano riusciti a fuggire prima dell’assalto sono i nuovi sfollati afgani, come quelli che hanno allestito un campo profughi nel parco Sara-e-Shamali a Kabul.
A Kabul giravano voci che Washington avesse suggerito al presidente Ashraf Ghani di dimettersi, aprendo la strada ad un cessate il fuoco e all’istituzione di un governo di transizione.
Per la cronaca, ciò che si sa per certo è che il segretario di Stato americano, Antony Blinken, e il capo del Pentagono, Lloyd Austin, avevano promesso a Ghani che “sarebbe rimaso a capo” della sicurezza afgana.
Alcuni rapporti indicano che il Pentagono prevede di ridispiegare in Afghanistan 3.000 uomini tra esercito e Marines e altri 4.000 nella regione per evacuare l’ambasciata e i cittadini statunitensi a Kabul.
La presunta offerta a Ghani, in realtà, aveva avuto origine a Doha e proveniva dall’entourage di Ghani, come mi hanno confermato fonti diplomatiche.
La delegazione di Kabul, guidata da Abdullah Abdullah, il presidente di un qualcosa chiamato Alto Consiglio per la Riconciliazione Nazionale, attraverso la mediazione del Qatar, aveva offerto ai Talebani un accordo di condivisione del potere, a patto che fermassero l’assalto. Non si era parlato delle dimissioni di Ghani, la condizione numero uno dei Talebani per qualsiasi negoziato.
A Doha, la troika allargata sta facendo gli straordinari. Gli Stati Uniti schierano l’inamovibile Zalmay Khalilzad, ampiamente deriso negli anni 2000 come “l’Afgano di Bush.” I Pakistani hanno l’inviato speciale, Muhammad Sadiq, e l’ambasciatore a Kabul, Mansoor Khan.
I Russi hanno l’inviato del Cremlino in Afghanistan, Zamir Kabulov. E i Cinesi hanno un nuovo inviato afghano, Xiao Yong.
Russia-Cina-Pakistan stanno negoziando con una mentalità da Shanghai Cooperation Organization (SCO): tutti e tre sono membri permanenti. Pongono l’accento su un governo di transizione, la condivisione del potere e il riconoscimento dei Talebani come forza politica legittima.
I diplomatici stanno già suggerendo che se i Talebani, con qualsiasi mezzo, dovessero abbattere il regime Ghani a Kabul, saranno riconosciuti da Pechino come i legittimi governanti dell’Afghanistan, un qualcosa che creerebbe un altro fronte geopolitico incendiario nel confronto contro Washington.
Così com’è, Pechino sta solo incoraggiando i Talebani a raggiungere un accordo di pace con Kabul.
L’enigma del Pashtunistan
Il Primo Ministro pakistano, Imran Khan, non ha avuto peli sulla lingua quando è entrato nella mischia. Ha confermato che la leadership talebana gli aveva comunicato che non ci sarebbero stati negoziati con Ghani al potere, anche se aveva cercato di convincere [i Talebani] a raggiungere un accordo di pace.
Khan ha accusato Washington di considerare il Pakistan “utile” solo quando si tratta di fare pressioni su Islamabad per usare la sua influenza sui Talebani e mediare un accordo, senza considerare il “pasticcio” che gli Americani si sono lasciati alle spalle.
Khan ha ribadito ancora una volta di “essere stato molto chiaro” sul fatto che non ci saranno basi militari statunitensi in Pakistan.
Questa è un’ottima analisi di quanto sia difficile per Khan e Islamabad spiegare all’Occidente e anche al Sud globale il complesso coinvolgimento del Pakistan con l’Afghanistan.
Le questioni chiave sono abbastanza chiare:
1. Il Pakistan vuole un accordo di condivisione del potere e sta facendo il possibile a Doha, insieme alla troika allargata, per raggiungerlo.
2. Una presa di potere da parte dei Talebani porterà ad un nuovo afflusso di rifugiati e potrebbe incoraggiare gli Jihadisti, del tipo al-Qaeda, TTP e ISIS-Khorasan a destabilizzare il Pakistan.
3. Erano stati gli Stati Uniti a legittimare i Talebani stringendo un accordo con loro durante l’amministrazione Trump.
4. E, a causa del loro disordinato ritiro, gli Americani hanno ridotto la loro possibile influenza (e quella del Pakistan) sui Talebani.
Il problema è che Islamabad, semplicemente, non riesce a far passare questi messaggi.
E poi ci sono alcune decisioni sconcertanti. Prendiamo il confine afgano-pakistano tra Chaman (nel Balochistan pakistano) e Spin Boldak (in Afghanistan).
I Pakistani hanno chiuso il loro lato del confine. Ogni giorno decine di migliaia di persone, in maggioranza Pashtun e Baloch, lo attraversano in entrambe le direzioni, insieme ai convogli di autocarri che trasportano merci dal porto di Karachi all’Afghanistan, privo di sbocchi sul mare. Chiudere un confine commerciale così vitale è una proposta insostenibile.
Tutto questo porta inevitabilmente al problema finale: cosa fare del Pashtunistan?
Il cuore assoluto della questione, quando si parla del coinvolgimento del Pakistan in Afghanistan e dell’interferenza afgana nelle aree tribali pakistane, è la linea Durand, completamente artificiale, un retaggio dell’Impero Britannico.
L’incubo definitivo di Islamabad è quello di un’altra partizione. I Pashtun sono la più grande tribù del mondo e vivono su entrambi i lati di questo confine (artificiale). Islamabad, semplicemente, non può ammettere che un’entità nazionalista governi l’Afghanistan, perché questo finirebbe per fomentare un’insurrezione pashtun all’interno del Pakistan.
E questo spiega anche perché Islamabad preferisce i Talebani rispetto ad un governo nazionalista afgano. Ideologicamente, il Pakistan, conservatore, non è poi tanto diverso dal posizionamento dei Talebani. E, in termini di politica estera, i Talebani al potere si adattano perfettamente alla dottrina inamovibile della “profondità strategica,” che oppone il Pakistan all’India.
Al contrario, la posizione dell’Afghanistan è chiara. La linea Durand divide i Pashtun su entrambi i lati di un confine artificiale. È evidente che qualsiasi governo nazionalista a Kabul non abbandonerà mai il suo desiderio di un Pashtunistan più grande ed unito.
Poiché i Talebani sono, di fatto, un insieme di milizie di signori della guerra, Islamabad ha imparato per esperienza come trattare con loro.
Praticamente ogni signore della guerra (e milizia) in Afghanistan è islamico.
Anche l’attuale accordo di Kabul si basa sulla legge islamica e sui suggerimenti di un consiglio di Ulema. Pochi in Occidente sanno che la Sharia è la tendenza predominante nell’attuale costituzione afgana.
Chiudendo il cerchio, in definitiva tutti i membri del governo di Kabul, i militari, così come gran parte della società civile provengono dallo stesso quadro tribale conservatore che ha dato vita ai Talebani.
A parte l’assalto militare, i Talebani sembrano vincere anche la battaglia di PR interne per un motivo molto semplice: ritraggono Ghani come un burattino della NATO e degli USA, il lacchè degli invasori stranieri.
E fare questa distinzione nel cimitero degli imperi è sempre stata una proposta vincente.
Pepe Escobar
Fonte: asiatimes.com
Link: https://asiatimes.com/2021/08/a-saigon-moment-looms-in-kabul/
13.08.2021
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org
https://comedonchisciotte.org/kabul-sta-per-diventare-una-nuova-saigon/
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