Domenica XXVI del Tempo Ordinario (Anno B)
(Num 11,25-29; Sal 18; Giac 5,1-6; Mc 9,38-43.45.47-48)
San Tommaso d’Aquino – il grande “dottore comune a tutta la Chiesa” (doctor communis Ecclesiae) – citava spesso una frase di un antico autore (lo Pseudoambrogio o Ambrosiaster) che egli riteneva essere lo stesso sant’Ambrogio. Questa frase dice che «ogni verità, da chiunque venga detta, proviene dallo Spirito Santo (omne verum a quocumque dicatur a Spiritu Sancto est)». La citazione compare venticinque volte nelle sue opere: un segno che egli riteneva che essa fosse particolarmente valida ed efficace nella sua sinteticità.
Addirittura Tommaso arriva a dire che perfino ciò che i “profeti del demonio” dicono di “vero” viene dallo Spirito Santo; non ostante essi lo dicano allo scopo malvagio di convincere le loro vittime ad accettare anche le menzogne che vi affiancano (cfr., Summa Theologiae II-II, q. 172, a. 6). La verità, come tale, ha una sua “autonomia”, una sua “oggettività” rispetto a coloro che se ne impossessano, legittimamente o illeggittimamente, perché ogni verità è in Dio stesso, e quindi in Cristo che è Vero Dio, pienezza della Verità («Io sono […] la Verità», Gv 14,6).
In un tempo di “relativismo” come il nostro è diventato difficile riconoscere l’“oggettività” della verità di ciò che si sente dire o si legge; proprio per questo è sempre più importante imparare, invece, a saperlo fare. È più facile cadere nella trappola che induce a seguire, al posto della verità, l’“ideologia” di una parte politica (sinistra o destra) o ecclesiale (progressisti o tradizionalisti), secondo le diverse “gradazioni” disponibili al momento. Per “ideologia” intendo ciò che viene fatto passare come verità anche se non lo è, ciò che è “oggettivato” a forza, imposto da un potere umano. La verità, invece, si impone da se stessa, perché la sua luce viene da Dio. Apparentemente è più facile e offre, immediatamente, una maggiore sicurezza dire che una cosa è sempre “vera” se viene detta da chi sta dalla mia parte, ed è sempre “falsa”, per definizione, se viene detta da chi sta dall’altra parte; ma allora si finisce, quasi sempre nel sostituire la “verità” con l’“ideologia”, che impone una cosa come se fosse vera anche se non lo è, solo perché è decisa da chi sta da una certa parte, o ha il potere.
Nelle letture di questa domenica questo atteggiamento viene corretto decisamente, come fuorviante e non cristiano.
– Nella prima lettura, Mosè, già nell’Antico Testamento, per divina ispirazione, mette in guardia Giosuè dal giudicare ciò che accade solamente a partire dall’esteriorità immediata («Eldad e Medad profetizzano». Ma non dovevano farlo perché «non erano usciti per andare alla tenda». E così Giosuè dice scandalizzato: «Mosè, mio signore, impediscili!»). Giosuè viene istruito da Mosè ad imparare piuttosto a “giudicare” secondo l’“oggettività” dei fatti («Eldad e Medad profetizzano nell’accampamento») e della dottrina («Mosè gli disse: “Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!”»).
Inoltre qui Mosè mostra quale deve essere il giusto atteggiamento di colui che ha il compito (“ministero”) di guidare la comunità, non richiamando a se stesso, ma a Dio, che è il Signore e il Salvatore. Ciò che si dice non è automaticamente “vero” perché l’ha detto “il capo”, ma è vero perché viene da Dio e l’intelligenza e la fede me lo fanno capire.
= Il “capo” ha il compito di aiutare a capirlo e non deve avere la presunzione di sostituirsi a Dio, come se fosse lui l’autore della verità («Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!»).
= E coloro che seguono il “capo” devono imparare a capire quando il capo richiama a se stesso, per presunzione, o solo per ingenuità, o invece “autorevolmente” sta richiamando a Dio.
– Nel Vangelo il Signore mette in guardia nei confronti di questo tipo di comportamento. Gesù lo fa con la pazienza del Maestro che vuole educare i Suoi discepoli a passare gradualmente dall’atteggiamento semplicemente imitativo di chi è ancora immaturo nella fede, a quello più “maturo” di coloro che sono divenuti adulti («affinché non siamo più come bambini sballottati e portati qua e là da ogni vento di dottrina per la frode degli uomini», Ef 4,14), essendo capaci di un giudizio di fede.
Per questo dice: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel Mio Nome e subito possa parlare male di Me: chi non è contro di noi è per noi». Eppure Gesù, in un altra occasione aveva detto anche una frase che sembra affermare l’opposto: «Chi non è con Me è contro di Me» (Mt 12,30). Che cosa fa sì che si sia con Lui e non contro di Lui? La risposta sta tutta nella clausola «nel Mio Nome». Chi richiama a se stesso e non a Cristo finisce per essere “contro” di Lui, anche se si illude di agire per il bene della Chiesa. Quante cose ingiuste, che gridano vendetta al cospetto di Dio, si fanno da parte di uomini di Chiesa dicendo che sono “per il bene della Chiesa”!
Non dice «chi non è con noi, è contro di noi», ma «Chi non è con Me è contro di Me». Ciò che conta è il riferimento a Lui perché è Dio.
– Nella seconda lettura viene stigmatizzata la “ricchezza” di quanti si sentono sicuri di se stessi, quasi fossero loro gli autori della realtà, i detentori dei beni materiali e spirituali che possiedono e trattano gli altri con la presunzione e l’arroganza del potere di chi vuole decidere il destino dell’umanità intera. Questi sono coloro che fanno “i capi”, politici o ecclesiali che siano, richiamando solo a se stessi e buttando in faccia agli altri la prepotenza del loro potere.
Ma tutto questo si sbriciolerà presto e finirà nel nulla («le vostre ricchezze sono marce […]»).
– Nel salmo responsoriale troviamo la preghiera di quanti, sinceramente, chiedono al Signore di non cadere nell’errore di cedere alla tentazione di sentirsi “capi che richiamano a se stessi” e non a Cristo («Anche dall’orgoglio salva il tuo servo, perché su di me non abbia potere»).
La sintesi di tutto questo insegnamento la troviamo nel Magnificat della Vergine Maria, alla quale rinnoviamo il nostro affidamento e la nostra consacrazione, per essere protetti da ogni cedimento alla tentazione, tipica del nostro mondo attuale, di sostituirci a Cristo per erigerci, narcisisticamente, a salvatori della storia.
«Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili» (Lc 1,51-52)
di Alberto Strumia
Bologna, 26 settembre 2021
Alberto Strumia, sacerdote, teologo, già docente ordinario di fisica-matematica presso le università di Bologna e Bari. E’ direttore del sito albertostrumia.it
Per vedere il video del vice questore cliccare qui
Pubblichiamo il video del discorso integrale della dottoressa Nunzia Alessandra Schilirò, dirigente della Polizia di Stato, pronunciato ieri sul palco in piazza San Giovanni a Roma, durante la manifestazione “Contro il green pass, per la Libertà e il futuro“.
Il suo intervento non era originariamente previsto nella scaletta dei relatori e alla fine è stato quello che maggiormente ha emozionato i centomila manifestanti giunti a Roma da tutta Italia.
La dottoressa Schilirò ha esordito citando Gandhi: “La disobbedienza civile è un dovere sacro quando lo Stato diventa dispotico”.
Poi ha raccontato una conversazione avuta con un’amica pochi giorni prima: “Quando ho detto a una mia amica che oggi sarei venuta qui, mi ha detto di non farlo. Pensa alla tua carriera, tanto il male ha già vinto. Guarda cosa è successo a Falcone e Borsellino. Io le ho risposto che il male nella storia non ha mai vinto. Se il male avesse vinto, noi non saremmo qui oggi“.
E poi, ancora: “Noi poliziotti abbiamo giurato sulla Costituzione, per questo è mio dovere essere qui“. “Il green pass italiano è illegittimo“.
“La cosa più importante che voglio dirvi”, ha detto al termine del suo intervento, “è che serve unità: dobbiamo unire le nostre energie e le nostre forze per indicare a tutti una via migliore“.
Purtroppo, dispiace apprendere dalla sua pagina Facebook
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