Rilancio l’articolo di Libero Quotidiano che riporta alcune affermazioni molto interessanti del prof. Luca Ricolfi, sociologo e politologo.
Non è né un virologo né un epidemiologo, Luca Ricolfi, ma i numeri li sa leggere eccome. Ed è per questo che il sociologo sentenzia: l’immunità di gregge dal Coronavirus è semplicemente impossibile. “L’obiettivo di vaccinare l’80% degli over 12, recentemente ribadito dal generale Figliuolo, è del tutto inadeguato”, esordisce a Italia Oggi il docente di Analisi dei dati dell’università di Torino e presidente della fondazione Hume. Per tre motivi: “Ai fini dell’immunità di gregge, conta la percentuale di vaccinati sulla popolazione totale, non su quella vaccinabile: l’80% di vaccinati sulla popolazione vaccinabile corrisponde a circa il 70% della popolazione totale”.
Il premier Mario Draghi, è il sospetto di Ricolfi, “si sta comportando come se stesse aspettando che la situazione precipiti al punto da consentirgli di imporre l’obbligo vaccinale senza colpo ferire. Da questo punto di vista il non far nulla su scuole, trasporti, cure domiciliari è perfettamente razionale: se sei convinto che l’unica salvezza è il vaccino per tutti, e magari non ti hanno spiegato che non potrà bastare, puoi essere tentato di creare le condizioni in cui tutti si saranno convinti che non c’è altro da fare”. Insomma, l’obbligo vaccinale non basterà come di conseguenza non basterà l’applicazione del Green pass praticamente a tutte le categorie professionali.
Ma c’è anche un altro motivo, prettamente scientifico, per cui la tanto agognata immunità di gregge resterà un sogno, ed è il più importante. “La formula matematica per il calcolo dell’immunità di gregge (Vc=1-1/R0) si riferisce a un vaccino perfettamente sterilizzante, mentre i vaccini contro il Covid sono leaky, cioè non garantiscono che il vaccinato non si infetti e non trasmetta l’infezione. Se il vaccino è leaky – prosegue il professore -, si applica un’altra formula, da cui si deduce facilmente che nemmeno vaccinare il 100% della popolazione basta a spegnere l’epidemia”.
Le soluzioni all’epidemia devono allora essere non solo scientifiche, ma politiche: “Metti in sicurezza le scuole con la ventilazione meccanica controllata, lo sta facendo solo la Regione Marche, anche se con numeri piccoli. Aumenti la flotta e il numero di corse dei mezzi pubblici. Vari un protocollo di cure domiciliari decente, e riorganizzi la medicina territoriale. Fai più sequenziamenti. Controlli sul serio le frontiere”. La vaccinazione, accusa Ricolfi, è diventata “una sorta di dovere patriottico, e squalifica qualsiasi obiezione o dubbio come una sorta di diserzione. Un clima così non si è mai avuto in Italia, dopo la fine della seconda guerra mondiale”.
REPUBBLICA – L’allarme del Lazio: “Abbiamo i frigo pieni di vaccini. Rischiano di scadere” Abbiamo i frigo pieni di vaccini. Rischiano di scadere”
Che sia questo il motivo della ossessiva pressione mediatica a vaccinarsi e la minaccia di rendere obbligatorio il green pass?
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La MAscherina a scuola è un crimine contro l’umanità.
Leggere di Giorgio Agamben:
Il volto e la morte
(Testo pubblicato sulla «Neue Zürcher Zeitung», 30 aprile 2021)
Sembra che nel nuovo ordine planetario che si va delineando due cose, apparentemente senza rapporto fra loro, siano destinate a essere integralmente rimosse: il volto e la morte. Cercheremo di indagare se esse non siano invece in qualche modo connesse e quale sia il senso della loro rimozione.
Che la visione del proprio volto e del volto degli altri sia per l’uomo un’esperienza decisiva era già noto agli antichi: «Ciò che si chiama “volto” – scrive Cicerone – non può esistere in nessun animale se non nell’uomo» e i greci definivano lo schiavo, che non è padrone di se stesso, aproposon, letteralmente «senza volto». Certo tutti gli esseri viventi si mostrano e comunicano gli uni agli altri, ma solo l’uomo fa del volto il luogo del suo riconoscimento e della sua verità, l’uomo è l’animale che riconosce il suo volto allo specchio e si specchia e riconosce nel volto dell’altro. Il volto è, in questo senso, tanto la similitas, la somiglianza che la simultas, l’essere insieme degli uomini. Un uomo senza volto è necessariamente solo.
Per questo il volto è il luogo della politica. Se gli uomini avessero da comunicarsi sempre e soltanto delle informazioni, sempre questa o quella cosa, non vi sarebbe mai propriamente politica, ma unicamente scambio di messaggi. Ma poiché gli uomini hanno innanzitutto da comunicarsi la loro apertura, il loro riconoscersi l’un l’altro in un volto, il volto è la condizione stessa della politica, ciò in cui si fonda tutto ciò che gli uomini si dicono e scambiano.
Il volto è in questo senso la vera città degli uomini, l’elemento politico per eccellenza. È guardandosi in faccia che gli uomini si riconoscono e si appassionano gli uni agli altri, percepiscono somiglianza e diversità, distanza e prossimità. Se non vi è una politica animale, ciò è perché gli animali, che sono già sempre nell’aperto, non fanno della loro esposizione un problema, dimorano semplicemente in essa senza curarsene. Per questo essi non s’interessano agli specchi, all’immagine in quanto immagine. L’uomo, invece, vuole riconoscersi e essere riconosciuto, vuole appropriarsi della propria immagine, cerca in essa la propria verità. In questo modo egli trasforma l’ambiente animale in un mondo, nel campo di una incessante dialettica politica.
Un paese che decide di rinunciare al proprio volto, di coprire con maschere in ogni luogo i volti dei propri cittadini è, allora, un paese che ha cancellato da sé ogni dimensione politica. In questo spazio vuoto, sottoposto in ogni istante a un controllo senza limiti, si muovono ora individui isolati gli uni dagli altri, che hanno perduto il fondamento immediato e sensibile della loro comunità e possono solo scambiarsi messaggi diretti a un nome senza più volto. E poichè l’uomo è un animale politico, la sparizione della politica significa anche la rimozione della vita: un bambino che nascendo non vede più il volto della proprio madre rischia di non poter più concepire sentimenti umani.
Non meno importante che il rapporto col volto è per gli uomini il rapporto con i morti. L’uomo, l’animale che si riconosce nel proprio volto, è anche il solo animale che celebra il culto dei morti. Non sorprende, allora, che anche i morti abbiano un volto e che la cancellazione del volto vada di pari passo alla rimozione della morte. A Roma, il morto partecipa al mondo dei vivi attraverso la sua imago, l’immagine plasmata e dipinta sulla cera che ogni famiglia conservava nell’atrio della propria casa. L’uomo libero è, cioè, definito tanto dalla sua partecipazione alla vita politica della città che dal suo ius imaginum, il diritto inalienabile di custodire il volto dei suoi antenati e di esibirlo pubblicamente nelle feste della comunità. «Dopo la sepoltura e i riti funebri – scrive Polibio – veniva posta nel punto più visibile della casa l’imago del morto in un reliquiario di legno e questa immagine è un volto di cera fatto a esatta somiglianza sia per la forma che per il colore». Queste immagini non erano soltanto oggetto di una memoria privata, ma erano il segno tangibile dell’alleanza e della solidarietà fra i vivi e i morti, fra passato e presente che era parte integrante della vita della città. Per questo svolgevano una parte così importante nella vita pubblica, tanto che si è potuto affermare che il diritto alle immagini dei morti è il laboratorio in cui si fonda il diritto dei vivi. Ciò è tanto vero che chi si era macchiato di un grave crimine pubblico perdeva il diritto all’immagine. E la leggenda vuole che quando Romolo fonda Roma, fa scavare una fossa – detta mundus, « mondo » – in cui lui stesso e ciascuno dei suoi compagni gettano una manciata della terra da cui provengono. Questa fossa veniva aperta tre volte l’anno e si diceva che in quei giorni i mani, i morti entravano nella città e prendevano parte all’esistenza dei vivi. Il mondo non è che la soglia attraverso la quale i vivi e i morti, il passato e il presente comunicano.
Si comprende allora perché un mondo senza volti non possa essere che un mondo senza morti. Se i vivi perdono il loro volto, i morti diventano soltanto dei numeri, che, in quanto erano stati ridotti alla loro pura vita biologica, devono morire soli e senza funerali. E se il volto è il luogo in cui, prima di ogni discorso, comunichiamo con i nostri simili, allora anche i vivi, privati del loro rapporto col volto, sono, per quanto si sforzino di comunicare con i dispositivi digitali, irreparabilmente soli.
Il progetto planetario che i governi cercano di imporre è, dunque, radicalmente impolitico. Esso si propone anzi di eliminare dall’esistenza umana ogni elemento genuinamente politico, per sostituirlo con una governamentalità fondata soltanto su un controllo algoritmico. Cancellazione del volto, rimozione dei morti e distanziamento sociale sono i dispositivi essenziali di questa governamentalità, che, secondo le dichiarazioni concordi dei potenti, dovranno essere mantenuti anche quando il terrore sanitario sarà allentato. Ma una società senza volto, senza passato e senza contatto fisico è una società di spettri, come tale condannata a una più o meno rapida rovina.
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