Da pochi giorni è uscito il secondo romanzo di Guido Ceronetti, In un amore felice (Adelphi, Milano 2011; il primo romanzo, Aquilegia
, apparve per Rusconi nel 1973). Confesso di non apprezzare molto l’ultimo Ceronetti, ma ogni tanto è bello tornare a certe sue pagine. Come quella che riporto qui in calce, tratta dal suo fortunato e acre zibaldone medico, Il silenzio del corpo
(I ed. 1979). ***
Le affinità inattese: Ludovico Ariosto e Confucio. Un debole e misterioso filo li lega, la comune nascita in Vergine. Si può vedere il Furioso come un Rito tradizionale perfettamente compiuto, un atto di ubbidienza e di rispetto confuciano ai maestri e ai padri.
Si può anche indagare sul loro rapporto pieno di cerimonioso timore, di faticosa cautela, con gli altri uomini. Confucio fu governatore per il duca Ting e per il duca di Lu, Ludovico governatore estense della Garfagnana. Diceva Confucio: «Se gli uomini dotati di bontà governassero per cento anni, potrebbero far scomparire la scelleratezza e abolire la pena di morte». Scriveva l’Ariosto: «Io ’l confesso ingenuamente, ch’io non son uomo da governare altri uomini, che ho troppa pietà, e non ho fronte di negare cosa che mi sia domandata».
A Ludovico bastava «un poco di vaccina e di montone» cucinati alla grossa; Confucio voleva carne cotta bene, tritata finemente, ma poca, mai superiore in quantità al riso. Di vino ne trincava molto, e pimentando con zenzero frustava l’intelligenza. Orrore per i frutti non di stagione (condiviso da tutta la dietetica orientale). E mangiando o stando a letto non parlava. Il silenzio a tavola è una massima capitale.
I raccoglitori di Discorsi a Tavola sono analecti d’impurità. Paragonare il silenzio a tavola di Confucio con la verbosità di Lutero. Straordinaria testimonianza, rutti pieni di potenza, le chiacchiere continue di Lutero, ma di vera sapienza non ne trovi. C’è come un brontolio di Natura cieca, uno schiumare sordo di terremoto; molto più magistrale il silenzio di Confucio. Tutta la sinistra grossolanità e follia del grande cristianesimo tra spruzzi di saliva, colpi di mandibole alla vacca mal cotta, al maiale speziato, birra e san Paolo, grazia e salsiccia: affascinante e grandioso, ma alla larga dal Maelstrom. In un pezzettino di zenzero di Confucio, la pace di un vero paesaggio sapienziale.
Quando non mi costringono a parlare mangiando, anch’io sono disteso e felice. Questa gente che si trova insieme a pranzo per intrecciare cucchiai e scemenze, che mangiando discute, gesticola, litiga, racconta fatti, decide affari, giudica letteratura, condanna o assolve accusati, come si può sopportarla? È un supplizio da evitare, se non si è come loro. Accetterei pranzi in compagnia purché nessuno fiatasse, e una bella voce calma leggesse cose facili da digerire.
(Testo tratto da G. Ceronetti, Il silenzio del corpo. Materiali per studio di medicina, ed. riv., Adelphi, Milano 2001, pp. 146-147)
http://letterepaoline.net/2011/05/12/metti-una-sera-a-cena/