Sulla questione delle radici cristiane dell’Europa
Ci sia consentito dirlo con franchezza: il dibattito politico e teorico intorno alla questione delle radici cristiane dell’Europa ci convince poco.
Occorre anzitutto non confondere alcuni piani, tra loro essenzialmente distinti ma ugualmente appartenenti alla modernità politica, con la vera dimensione ontologica del problema.
In primo luogo, le difficoltà intorno alle quali arranca il progetto istituzionale dell’Europa unita sono essenzialmente difficoltà di costituzione di un soggetto politico, che nella modernità non può che essere formale ed astratto. Il difetto di un demos europeo non costituisce per sé un problema, dacché si danno ormai unità politiche ed istituzionali anche in assenza di un corrispondente, ed invero un po’ romantica, idea di unità politico-nazionale. In fondo l’intero costrutto della sovranità moderna non è altro che una neutralizzazione formale di ogni complessità sociale ed etico-spirituale.
In secondo luogo, e conseguentemente, il problema delle “civiltà” è una riproposizione intempestiva di concetti romantici, con lo scopo di nascondere, al di sotto dell’impersonale civiltà, la sussistenza di soggetti politici operanti sullo scenario internazionale in base al loro, più o meno legittimo, particolarissimo interesse. Basti pensare alla funzione politica ormai palesemente assolta dalla dottrina dello “scontro di civiltà”.
In terzo luogo, ogni comprensione romantica delle cose sociali è, per sua stessa genesi storica, al contempo una comprensione storicistica. In quest’ultima prospettiva, l’identità europea, come ogni identità storica, è destinata a risolversi in una sintesi dialettica tra più identità, lontanissima dalla purezza di un principio metafisico preso nella sua integrità. Così ci si trova alle prese con le radici illuministiche d’Europa, con le radici islamiche d’Europa, etc.. Gli stessi sostenitori delle radici cristiane d’Europa faticano a difenderle senza indulgere al contempo verso ipotetiche radici “giudaiche”. E poi, parlandosi con franchezza, è difficile negare che l’attuale immagine politica europea sia più debitrice verso la rivoluzione francese, e i suoi teorici politici e religiosi, che verso la societas christiana medievale. Talvolta capita ai cattolici di confondere la realtà storica ed ideologica con le loro nostalgie premoderne.
A differenza dell’Europa moderna, l’Europa medievale non solo era essenzialmente cristiana, ma osiamo dire, confortati da tanti riscontri storici, essenzialmente benedettina. Attingendo alla grande tradizione monastica occidentale, queste parole di dom Gérard Calvet fanno risuonare di poesia una verità storica: “Così confessiamo di assumere assai moderatamente la parte che ci compete, secondo il punto di vista dell'uomo, nell'avvenimento di un mondo civilizzato. I monaci hanno fatto l'Europa, ma non l'hanno fatta deliberatamente. La loro avventura è anzitutto, e direi quasi esclusivamente, un'avventura interiore, il cui unico motivo era la sete. La sete d'assoluto. La sete di un altro mondo, che il potere educatore della liturgia accendeva al punto di orientare lo sguardo verso gli invisibilia, al punto di fare del monaco un uomo teso con tutto il suo essere verso la realtà che non passa. Prima di essere delle accademie di scienza e dei crocevia della civilizzazione, i monasteri sono stati delle dita silenziose puntate verso il cielo, il richiamo ostinato, non negoziabile, che esiste un altro mondo di verità e di bellezza, di cui l'attuale non è che un'assai caotica e goffa preparazione” (fonte: Romualdicaqui ).
“Cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato in sovrappi” (Mt. 6;33). Così insegna il Maestro. I monaci cercavano anzitutto Dio ( Si revera Deum quarti vedi VA qui). Il sovrappiù concessogli è stata la pax della societas christiana. La dimensione ontologica della questione delle “radici cristiane” è tutta qui.
Invano si affaticheranno le società e la Chiesa stessa intorno alle cose penultime, caduche e transeunti: “Nisi Dominus aedificaverit domum, in vanum laboraverunt qui aedificant eam. Nisi Dominus custodierit civitatem, frustra vigilat qui custodit eam” (Salmo 126).
San Gregorio Magno narra che il giovane San Benedetto, appena mise un piede nel mondo, subito lo ritrasse, desideroso com’era di piacere solo a Dio ( Vita di San Benedetto, Introduzione). Facciamone memoria in questi tempi, in cui la santità gradita a Dio viene scambiata o facilmente barattata con l’attivismo sociale. Il Signore ha fatto nuove tutte le cose con la sua sola Croce.
Occorre anzitutto non confondere alcuni piani, tra loro essenzialmente distinti ma ugualmente appartenenti alla modernità politica, con la vera dimensione ontologica del problema.
In primo luogo, le difficoltà intorno alle quali arranca il progetto istituzionale dell’Europa unita sono essenzialmente difficoltà di costituzione di un soggetto politico, che nella modernità non può che essere formale ed astratto. Il difetto di un demos europeo non costituisce per sé un problema, dacché si danno ormai unità politiche ed istituzionali anche in assenza di un corrispondente, ed invero un po’ romantica, idea di unità politico-nazionale. In fondo l’intero costrutto della sovranità moderna non è altro che una neutralizzazione formale di ogni complessità sociale ed etico-spirituale.
In secondo luogo, e conseguentemente, il problema delle “civiltà” è una riproposizione intempestiva di concetti romantici, con lo scopo di nascondere, al di sotto dell’impersonale civiltà, la sussistenza di soggetti politici operanti sullo scenario internazionale in base al loro, più o meno legittimo, particolarissimo interesse. Basti pensare alla funzione politica ormai palesemente assolta dalla dottrina dello “scontro di civiltà”.
In terzo luogo, ogni comprensione romantica delle cose sociali è, per sua stessa genesi storica, al contempo una comprensione storicistica. In quest’ultima prospettiva, l’identità europea, come ogni identità storica, è destinata a risolversi in una sintesi dialettica tra più identità, lontanissima dalla purezza di un principio metafisico preso nella sua integrità. Così ci si trova alle prese con le radici illuministiche d’Europa, con le radici islamiche d’Europa, etc.. Gli stessi sostenitori delle radici cristiane d’Europa faticano a difenderle senza indulgere al contempo verso ipotetiche radici “giudaiche”. E poi, parlandosi con franchezza, è difficile negare che l’attuale immagine politica europea sia più debitrice verso la rivoluzione francese, e i suoi teorici politici e religiosi, che verso la societas christiana medievale. Talvolta capita ai cattolici di confondere la realtà storica ed ideologica con le loro nostalgie premoderne.
A differenza dell’Europa moderna, l’Europa medievale non solo era essenzialmente cristiana, ma osiamo dire, confortati da tanti riscontri storici, essenzialmente benedettina. Attingendo alla grande tradizione monastica occidentale, queste parole di dom Gérard Calvet fanno risuonare di poesia una verità storica: “Così confessiamo di assumere assai moderatamente la parte che ci compete, secondo il punto di vista dell'uomo, nell'avvenimento di un mondo civilizzato. I monaci hanno fatto l'Europa, ma non l'hanno fatta deliberatamente. La loro avventura è anzitutto, e direi quasi esclusivamente, un'avventura interiore, il cui unico motivo era la sete. La sete d'assoluto. La sete di un altro mondo, che il potere educatore della liturgia accendeva al punto di orientare lo sguardo verso gli invisibilia, al punto di fare del monaco un uomo teso con tutto il suo essere verso la realtà che non passa. Prima di essere delle accademie di scienza e dei crocevia della civilizzazione, i monasteri sono stati delle dita silenziose puntate verso il cielo, il richiamo ostinato, non negoziabile, che esiste un altro mondo di verità e di bellezza, di cui l'attuale non è che un'assai caotica e goffa preparazione” (fonte: Romualdicaqui ).
“Cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato in sovrappi” (Mt. 6;33). Così insegna il Maestro. I monaci cercavano anzitutto Dio ( Si revera Deum quarti vedi VA qui). Il sovrappiù concessogli è stata la pax della societas christiana. La dimensione ontologica della questione delle “radici cristiane” è tutta qui.
Invano si affaticheranno le società e la Chiesa stessa intorno alle cose penultime, caduche e transeunti: “Nisi Dominus aedificaverit domum, in vanum laboraverunt qui aedificant eam. Nisi Dominus custodierit civitatem, frustra vigilat qui custodit eam” (Salmo 126).
San Gregorio Magno narra che il giovane San Benedetto, appena mise un piede nel mondo, subito lo ritrasse, desideroso com’era di piacere solo a Dio ( Vita di San Benedetto, Introduzione). Facciamone memoria in questi tempi, in cui la santità gradita a Dio viene scambiata o facilmente barattata con l’attivismo sociale. Il Signore ha fatto nuove tutte le cose con la sua sola Croce.
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