Don Bosco: santo, educatore, prete di strada
Sono tante le ferite all’anima dei cattolici fedeli. Dall’abdicazione del grande papa Benedetto XVI alla successiva intronizzazione di Francesco, poi, sembra che le piaghe si vadano allargando e se ne aprano di nuove. Dalla drammatica vicenda degli abusi sessuali sui minori a casi sempre più numerosi di condotte private ed intime di vita disordinata o addirittura scandalosa, all’affarismo di alcuni sino a vere e proprie enormità dottrinali, il quadro è disarmante. Il “papa nero” Sosa Abascal, numero uno dei gesuiti, ha messo in dubbio la verità dei Vangeli (“non c’erano telecamere al tempo di Gesù”) e negato rotondamente l’esistenza del Maligno. Gli esempi sono troppi e così diffusi da far temere che avesse ragione Paolo VI allorché denunciava, insieme ad un “pensiero non cattolico” diffuso nella Chiesa, il fumo di Satana penetrato nel corpo vivo dell’istituzione. La memoria va ad un grande filosofo e sacerdote dell’Ottocento, Antonio Rosmini, ed al suo libretto, che gli costò in vita le attenzioni del Sant’Uffizio, intitolato “Le cinque piaghe della Santa Chiesa.”
Serve aria fresca, una prassi ed un pensiero cattolico che, fedele al “depositum fidei”, torni a parlare di Dio ad un mondo diventato infedele, o, peggio, indifferente. Un grande esempio ci viene dalla figura di San Giovanni Bosco, anzi, semplicemente, Don Bosco, il grande prete astigiano dell’Ottocento che unisce tre straordinarie caratteristiche, o carismi, come si diceva. Innanzitutto, Don Bosco è un santo, e non solo perché tale lo ha proclamato la Chiesa sin dal 1934. Ma fu anche un eccezionale educatore e, come oggi usa dire, un prete di strada. Torino ed il Piemonte conobbero, in quel periodo, una preziosa fioritura di figure eccezionali. Oggi vengono chiamati i “santi sociali”, Giuseppe Cafasso, amico e collaboratore di Don Bosco, l’uomo che seguiva i condannati a morte sin sul patibolo, Giuseppe Cottolengo, il vero paladino degli ultimi, dei più sfortunati e disgraziati tra gli esseri umani, Francesco Faà di Bruno, scienziato ed infaticabile animatore della stampa, Giulia di Barolo, nobile di origine francese. L’ultimo grande, già in pieno Novecento, fu Don Orione.