WOJTYLA E IL VATICANO II
Wojtyla rivendicava l’eredità del Concilio in ciò ch’essa ha di più ambiguo. A torto l’immagine di Giovanni Paolo II è passata nell’immaginario collettivo come quella di un Papa restauratore in qualche misura “conservatore”
di Francesco Lamendola
A torto, l’immagine di Giovanni Paolo II è passata nell’immaginario collettivo come quella di un Papa restauratore, e quindi, in qualche misura, “conservatore” (per quel che può valere una terminologia ispirata al mondo profano e, più specificamente, alla politica). Per vedere quanto ciò sia lontano dal vero, si rilegga cosa diceva Karol Wojtyla, a proposito del Concilio Vaticano II, ma trent’anni dopo di esso, parlando con il giornalista Vittorio Messori (da: Giovanni Paolo II, Varcare la soglia della speranza, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1994, pp.171-177, passim):
IL CONCILIO VATICANO II È STATO UN GRANDE DONO PER LA CHIESA, per tutti coloro che vi hanno preso parte; è stato un dono per l’intera famiglia umana, un dono per ciascuno di noi. […] Sulla base dell’esperienza conciliare scrissi “Alle fonti del rinnovamento”. All’inizio del libro affermavo che voleva essere un TENTATIVO DI ESTINGUERE IL DEBITO contratto da ogni vescovo nei riguardi dello Spirito Santo, partecipando al Concilio. Sì, il Concilio ebbe in sé qualcosa della Pentecoste: indirizzò l’episcopato di tutto il mondo, e quindi la Chiesa, proprio sulle vie lungo le quali occorreva procedere al termine del secondo millennio. […] IL CONCILIO ERA UN’OCCASIONE SINGOLARE PER ASCOLTARE GLI ALTRI, MA ANCHE PER PENSARE CREATIVAMENTE. […] Sì, dunque, già durante la terza sessione mi trovai nell’équipe che preparava il cosiddetto Schema XIII, il documento che sarebbe poi diventato la Costituzione pastorale “Gaudium et Spes”; potei in tal modo partecipare ai lavori estremamente interessanti di questo gruppo, composti dai rappresentanti della Commissione teologica e dell’Apostolato dei laici. […] Molto devo in particolare a padre Yves Congar e a padre Henri De Lubac. […] Il Concilio fu UNA GRANDE ESPERIENZA DELLA CHIESA, oppure – come allora si diceva – il “SEMINARIO DELLO SPIRITO SANTO”. Al Concilio lo Spirito Santo parlava a tutta la Chiesa nella sua universalità, che era determinata dalla partecipazione dei vescovi del mondo intero. […] Ciò che lo Spirito Santo dice costituisce sempre una penetrazione più profonda dell’eterno Mistero, e insieme un’indicazione della strada da percorrere agli uomini che hanno il compito di trasferire tale Mistero nel mondo contemporaneo. Il fatto stesso che quegli uomini vengano convocati dallo Spirito Santo e costituiscano, durante il Concilio, una particolare comunità che insieme ascolta, insieme prega, insieme pensa e crea, ha un’importanza fondamentale per l’evangelizzazione, per quella NUOVA EVANGELIZZAZIONE CHE PROPRIO CON IL VATICANO II HA AVUTO IL SUO INIZIO. Tutto ciò è in stretto collegamento con una nuova epoca nella storia dell’umanità e anche nella storia della Chiesa. […]
… il Concilio Vaticano II si distingue dai concili precedenti per il SUO PARTICOLARE STILE. Non è stato uno stile difensivo. Neanche una volta nei documento conciliari s’incontrano le parole “anathema sit” (sia scomunicato). È stato uno STILE ECUMENICO, caratterizzati da grande apertura al dialogo, che il papa Paolo VI qualificava come “dialogo della salvezza”. Tale dialogo non doveva limitarsi soltanto all’ambito cristiano, ma aprirsi anche alle religioni non cristiane, e raggiungere l’intero mondo della cultura e della civiltà, compreso quello di coloro che non credono. La verità, infatti, non accetta alcun limite. È per tutti e per ciascuno. E se tale verità viene realizzata nella carità (cfr. Ef 4, 15), allora diventa ancor più universalistica. Proprio questo è stato lo stile del Concilio Vaticano II, lo spirito in cui s’è svolto.