ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 28 maggio 2011

Vento dello Spirito? o dell'alcool?


Svolta nei rapporti tra Vaticano e islam. In Libano il primo raduno tra vescovi e imam

Un vento nuovo soffierà presto sulla bonaccia dei rapporti tra Vaticano e islam. Se fino a oggi la diplomazia della Santa Sede ha faticato, a causa principalmente dell’inafferrabilità dell’interlocutore islamico – il cardinale francese Jean-Louis Tauran, diplomatico di razza, molto preparato soprattutto circa i risvolti sociali, politici e culturali del medio oriente, ha canali aperti al Cairo con l’antica Università Al-Azhar ma ne ha pochi altrove – da domani potrebbe iniziare un percorso diverso, grazie all’iniziativa di monsignor Béchara Boutros Raï, nuovo patriarca di Antiochia dei maroniti e cioè dell’unica chiesa orientale sempre rimasta fedele a Roma.

Béchara Raï, infatti, insieme al gran Mufti del Libano, Mohammad Rashid Qabbani, ha annunciato il 14 aprile scorso a Benedetto XVI l’idea del primo grande raduno tra leader cristiani e musulmani dell’area mediorientale e nordafricana. Un raduno che, se trovasse, come sembra sia possibile, una vasta partecipazione, rappresenterebbe un novum importante, un primo risultato concreto degli auspici di Ratzinger che vuole un dialogo “sulle modalità tramite le quali convivere” e non sulle teologie, che non possono che restare diverse.
Béchara Raï, uomo concreto, fondatore della redazione in lingua araba della Radio Vaticana, incarna questa visione e non a caso a lui è stata affidata la pesante eredità del cardinale Nasrallah Pierre Sfeir. Quando due mesi fa il piccolo conclave maronita (38 vescovi) è arrivato a eleggerlo dopo dodici scrutini, per le strade del Libano non c’erano solo i cristiani a festeggiare, ma tanti musulmani, sunniti e sciiti.
Ha detto recentemente Béchara Raï a Consulente Re, rivista mensile on line emanazione del Gruppo Re, specializzato in servizi finanziari per uomini e istituzioni di chiesa: “Vogliamo che l’incontro avvenga presto. C’è un gran brutto clima. C’è un rifiuto dei cristiani condito di continue minacce in Iraq, in Egitto e anche in altri paesi. Se dovessimo riuscire a concretizzare l’incontro per un patto di amicizia tra cristiani e musulmani nell’intera regione, ciò avrebbe sicuramente ricadute positive in tutti i paesi coinvolti, in cui non mancano oggi tensioni e insicurezza che preoccupano molto”.
Béchara Raï ha una visione molto concreta della galassia islamica. Ed è da questa visione che intende partire per impostare il dialogo nel grande raduno presto in agenda. A suo dire non si può dialogare fattivamente dimenticando che l’islam non distingue tra stato e religione. Dice: “Dove la religione di stato è l’islam, la fonte della legislazione civile è il Corano, e i poteri politico, giudiziario e militare sono in mano ai musulmani. Nel mondo musulmano mediorientale solo il Libano fa eccezione”. E ancora: “Oggi c’è molta preoccupazione per il fondamentalismo islamico che legalizza violenza e terrorismo. Ogni volta che dall’occidente esce una dichiarazione antimusulmana, ne soffrirà qualche gruppo di cristiani d’oriente. Infatti i musulmani pensano che l’occidente sia cristiano e ciò che fa o dice sia espressione del cristianesimo”.
Quando Benedetto XVI tenne la lectio magistralis di Ratisbona dove richiamò le religioni affinché agiscano secondo ragione e non si pieghino all’odio e alla violenza nel nome di Dio, Béchara Raï era vescovo di Jbeil-Byblos. Subito si schierò in difesa del Papa dicendo che finché l’islam non abbandona l’idea degli stati teocratici che mescolano politica e religione il dialogo con il mondo cristiano non sarebbe potuto avvenire. Per queste sue idee Béchara Raï guida oggi la chiesa maronita. Per queste idee il Papa lo segue e lo appoggia, e con lui la diplomazia vaticana che vede nel raduno presto in agenda finalmente una svolta decisiva.
Pubblicato sul Foglio venerdì 27 maggio 2011

La linea Tettamanzi (e anche Cei) al ballotaggio della moschea
Paolo Branca, docente di lingua araba all’Università Cattolica di Milano e islamologo di riferimento della curia vescovile di Milano dice al Foglio che la decisione del cardinale arcivescovo Dionigi Tettamanzi di offrire il proprio assenso alla costruzione di una grande moschea a Milano, consenso condiviso due giorni fa anche dal segretario della Conferenza episcopale italiana Mariano Crociata, “è solo un primo timido passo verso un’apertura al mondo islamico che dovrebbe essere ben maggiore”.
Al di là delle polemiche elettorali, dice, “la realtà è che oggi, come un saggio di Stefano Allievi – studioso vicino all’islamista Tariq Ramadan, ndr – intitolato ‘La guerra delle moschee dimostra, parlare delle moschee senza costruirle significa non tenere conto dei fatti: l’islam non è soltanto un minareto o un’aula di preghiera, è anche un velo, un burqa, una macelleria halal, un fedele che si inginocchia su di un pezzo di cartone per strada e che prega rivolto verso la Mecca, è uno stile di vita ormai dentro lo spazio pubblico e come tale inestirpabile.
Impossibile pensare di poter eliminare la questione con un colpo di spugna. Complessivamente in Europa in musulmani sono 16.790.000, per un totale di quasi 11 mila moschee (per la precisione 10.989). In Italia ci sono più di 700 moschee clandestine. E ancora dobbiamo dibattere se è legittimo costruirne una?”.
Milano è la città dove Branca tiene le fila della “Cattedra del dialogo”, un luogo di incontro e confronto tra esponenti di diverse religioni nato dalle ceneri della “Cattedra dei non credenti” del cardinale Carlo Maria Martini. Un luogo che secondo alcuni corona un modello di multiculturalismo remissivo, relativista e buonista. Scrive sul Giornale Magdi Cristiano Allam che il modello Tettamanzi è “figlio di una ideologia del relativismo che coltiva il sogno di una Milano multiculturalista dove dovremmo azzerare tutto ciò che siamo” e dove “dovrebbe trionfare una nuova civiltà espressa dalla sommatoria quantitativa delle rivendicazioni di tutti coloro che man mano arrivano, piantano la loro tenda e dettano le loro condizioni”.
Dice Allam che gli imam nelle moschee fanno ciò che vogliono. Così accade in viale Jenner dove Abdelhamid Shaari presiede una moschea “centrale del terrorismo islamico tanto è vero che il suo imam Abu Imad sta scontando una condanna di 3 anni e 8 mesi”.
Risponde Branca: “Allam parla così perché probabilmente ha vissuto un’esperienza non facile nell’islam. Ma alle sue parole rispondo coi fatti. A Segrate alle porte di Milano c’è un moschea talmente piccola che nei giorni di preghiera quasi nessuno riesce a entrare. In Italia oltre a quella di Segrate ci sono soltanto altre due moschee ufficiali: quella di Catania e quella di Roma. I musulmani sono complessivamente un milione e trecentomila. Si può far finta di niente? Milano non può. Se il problema è che in alcune moschee si fa propaganda terroristica allora controlliamo che non si faccia. Ma diamo ai musulmani un luogo di preghiera. E’ una questione di civiltà oltre che di ordine pubblico. La curia non è la sede del dialogo relativista. E’ l’istituzione che nel 1990 scrisse, firmata da Martini, la lettera ‘Noi e l’islam’ che ancora oggi viene letta come esemplare quanto ai rapporti tra cattolici e musulani. Si dice che il dialogo non deve tradire la propria identità ma che insieme è impossibile dialogare se preventivamente si chiudono le porte. Qui stiamo semplicemnente parlando di un grande luogo di preghiera che, se costruito in modo ‘monumentale’, potrebbe attrarre tanti turisti”.
Sulla moschea la chiesa milanese sembra spaccata in due. Chi vuole la moschea viene descrirtto come un prete di sinistra stile don Colmegna. Chi non la vuole come un sovversivo vicino agli ambienti ciellini. “Questa divisione” dice Branca “ è quella che non permette di vedere le cose con il distacco necessario per comprenderle. Pensiamo a quando i musulmani manifestarono in piazza San Babila e poi arrivarono a pregare sul sagrato del Duomo di Milano. Per molti fu l’occasione per attaccare Tettamanzi e la “sua” chiesa che non si ribellò alla “profanazione” di un luogo caro alla cristianità occidentale. Questo attacco non permise di comprendere cosa diceva a Milano quel gesto. Diceva che i musulamani sono una relatà da non trascurare. E che con loro occorre dialogare. Infatti quegli stessi che pregarono in piazza Duomo il giorno successivo andarono da Tettamanzi e gli chiesero scusa per l’‘indelicatezzza’. Ma in pochi notarono la cosa”.
Pubblicato sul Foglio giovedì 26 maggio 2011

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