ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 24 settembre 2011

PAOLO VI: IL PAPA CHE CAMBIÒ LA CHIESA (CAP. 3)


PAOLO VI: IL PAPA CHE CAMBIÒ LA CHIESA (CAP. 3)



Pontifex.RomaPAPA PAOLO VI: I PRIMI ANNI Montini nacque il 26 settembre 1879 nella casa di campagna della famiglia, nel villaggio di Concesio, a pochi chilometri dalla città di Brescia. Alla nascita, la patriarca della famiglia, Francesca Bufali Montini, la sua nonna paterna, decise che la madre del piccolo, Giuditta, era troppo debole per allattare, e così il bambino fu mandato dalla balia Clorinda Peretti di Nave, per i primi 14 mesi della sua vita. Il giovane Battista visse una vita vegetativa di grande conforto, come il “fragile” e “piagnucoloso” figlio di mezzo tra i due fratelli di buona salute: Lodovico, il maggiore, e Francesco, il più giovane. Giorgio Montini, il padre di Battista, era un giornalista di successo e, nel 1885, a soli 25 anni e non ancora laureato, era stato chiamato a dirigere il quotidiano cattolico “Il Cittadino” di Brescia. Entrambi, Giorgio e Giuditta, condividevano la passione per la politica di sinistra; una passione che passò, poi, ai loro figli. La casa Montini,  ...
... in via delle Grazie 15 Brescia, infatti, in quegli anni, fu un centro di smistamento e punto di riferimento dei personaggi più noti del risorgimento cattolico di sinistra in Italia, come Giuseppe Tovini, Luigi Bazoli, Giovanni Maria Longinotti, Giuseppe Manziana, Filippo Meda, don Luigi Sturzo, Filippo Cispolti, il barnabita padre Giovanni Semeria, Alcide De Gasperi.
Nel 1982, Leone XIII aveva lanciato al mondo operaio la sua celebre enciclica “Rerum Novarum” che suscitò un grande interesse nel mondo cattolico. Brescia fu una di quelle città italiane, se non la prima, a mettersi in fermento e uno degli elementi trainanti fu proprio Giorgio Montini.
Nel 1914, i cattolici bresciani vinsero le elezioni amministrative, rovesciando la giunta, in carica dai tempi dell’occupazione di Roma e sostenuta dal Primo Ministro Giuseppe Zanardelli, e Giorgio Montini fu eletto Consigliere. Egli entrò, poi, nel pieno della politica e, quando il prete siciliano, don Luigi Sturzo, costituì il Partito Popolare Italiano, vi fu eletto deputato in Parlamento. All’età di 6 anni, Battista fu iscritto al Collegio gesuita “Cesare Arici” di Brescia.
Vi rimase fino a 14 anni, quando i suoi genitori lo ritirarono per ragioni di salute. Come per Eugenio Pacelli, l’educazione secondaria di Battista Montini fu effettuata in privato con tutori selezionati dai suoi genitori, inclusi i Preti dell’Oratorio della vicina Chiesa di Santa Maria della Pace. Gli Oratoriani rappresentavano il clero all’“avanguardia” di quel tempo. Essi erano molto più intonati alle politiche antifasciste di Giorgio Montini e di sua moglie, di quanto non lo fossero i preti tradizionalisti dell’Arici.
Gli Oratoriani rimasero una delle più importanti influenze di Battista, per tutta la sua vita. Persino quando Battista Montini entrò a servizio della Santa Sede, Egli mantenne il suo confessore oratoriano. Dopo l’ordinazione, avvenuta il 29 maggio 1920, il Vescovo di Brescia, mons. Giacinto Gaggia, il novembre successivo, inviò Don Montini a Roma per perfezionarsi negli studi teologici.
Il 18 novembre 1921, Don Montini entrò nell’Accademia dei Nobili Ecclesiastici per studiare diplomazia. Il suo ingresso nell’Accademia fu facilitato dall’antico alleato del card. Mariano Rampolla, card. Pietro Gasparri, Segretario di Stato e da Mons. Giuseppe Pizzardo, suo Sostituto.
Don Montini iniziò a seguire i corsi dell’Accademia, dove allacciò un’amicizia, che segnò la sua vita, col collega siciliano Mariano Rampolla del Tindaro, pronipote del card. Mariano Rampolla, ultimo Segretario di Stato di Leone XIII.
Morto Papa Benedetto XV, il 16 marzo 1922, fu eletto, col nome di Pio XI, il card. Achille Ratti, amico di Giorgio Montini e di Giovanni Maria Longinotti. Fu proprio quest’ultimo, un esponente del movimento cattolico, grande amico dei Montini e con grande entratura nelle sfere del Vaticano, ad affermare perentoriamente: «Per Battista Montini, un posto in Vaticano, anche l’ultimo!».
Don Montini iniziò la sua carriera diplomatica al servizio della Santa Sede. Ho usato la parola “carriera” in contrapposizione a quella di “vocazione”, di proposito. Battista non era particolarmente religioso - la politica e il pianoforte erano i suoi punti forti.
A parte il celebrare la Messa e compiere vari riti sacramentali, il giovane prete mostrava di avere poca vita spirituale.
Il giovane Padre Montini, inoltre, mostrava un’avversione per le devozioni mariane, particolarmente per il Rosario. Egli disse che preferiva un approccio più Cristo-centrico che Mariologico.
Un eccellente prete politico, ma con scarse attitudini per lo studio, Montini sfrecciò attraverso i suoi corsi diplomatici, ma riuscì a malapena a guadagnarsi il dottorato in Legge Canonica, alla Gregoriana.
Nel maggio 1923, Papa Pio XI mandò il giovane diplomatico a Varsavia come “addetto” alla Nunziatura Papale; ma la salute delicata di Mons. Montini non sarebbe riuscita a sopportare gli inverni polacchi, e così, dopo solo quattro mesi, egli ritornò a Roma, dove fu assegnato alla Segreteria di Stato diretta dal card. Pietro Gasparri.
LA VITA NELLA CURIA ROMANA
L’immediato superiore di don Montini al Segretariato era nient’altro che Mons. Francesco Borgongini-Duca, subito dopo fatto Arcivescovo. Mons. Borgongini-Duca fu il Primo Nunzio Papale in Italia, dopo la firma dei Patti Lateranensi del 1929. Si ricorda che Borgongini-Duca era il patrono di P. Francis Spellman e un alleato di Angelo Roncalli. Egli prese il giovane Montini sotto le sue ali e divenne, contemporaneamente, suo patrono clericale e protettore.
In aggiunta al suo lavoro in Curia, nel 1925, Papa Pio XI, nominò don Montini “Assistente ecclesiastico della Federazione degli Studenti Universitari Italiani” (FUCI), posizione in cui il giovane prete era in grado di sfogare i suoi malumori anti-fascisti.
Fu attraverso la FUCI che Montini sviluppò una personale e duratura amicizia con Aldo Moro, uno dei fondatori dell’anomala politica del dopo guerra, conosciuta col nome di Partito della Democrazia Cristiana (PDC), alla quale Montini e la sua intera famiglia si erano religiosamente dedicati. Montini, inoltre, strinse amicizia anche col leader della Democrazia Cristiana, Giulio Andreotti, che divenne, in seguito, sette volte Presidente del Consiglio.
Nella sua lunga carriera politica, Andreotti stipulò un’alleanza con il Partito Comunista, con la Massoneria e con la MAFIA siciliana. È un fatto noto che la MAFIA non avrebbe mai potuto diventare il colosso che era senza la collusione con certi leaders Cristiano Democratici e senza l’appoggio della Massoneria. Essere nello stesso letto con uno, era come essere nello stesso letto con tutti e tre; una verità che Mons. Montini cominciò ad apprezzare quando divenne Papa Paolo VI.
Nel 1933, però, un Padre gesuita, responsabile delle Congregazioni Mariane, “ravvisò nell’apostolato di mons. Montini nella FUCI uno sconfinamento disturbante nell’ambito dei propri associati. Se ne lamentò col card. Francesco Selvaggiani, Vicario del Papa per la diocesi di Roma. Ne nacque una denuncia contro Montini. Scoppiò tutto un pettegolezzo curiale e una polemica, come se Montini fosse stato un ambizioso, un imprudente accentratore”. Montini fu costretto a dare le dimissioni, che furono operative il 12 marzo 1933.
Nel 1934, Montini si prese una rara vacanza dal suo lavoro alla Segreteria di Stato per recarsi in Inghilterra e Scozia in compagnia del siciliano Mariano Rampolla del Tindaro, pronipote del Cardinale Rampolla8. Durante la guerra di Abissinia del 1935, Don Montini espresse il suo supporto per la “Lega delle Nazioni”, una posizione, questa, contraria alla politica vaticana. Papa Pio XI era convinto che la nuova organizzazione internazionale avrebbe usurpato il ruolo della Santa Sede, come mediatrice delle dispute internazionali (cosa che infatti accadde), e che la “Lega delle Nazioni” fosse un covo di Massoni e di Comunisti, come infatti lo era.
Il 16 dicembre 1937, il card. Pacelli, a quel tempo Segretario di Stato, promosse Montini al rango di Sostituto per gli Affari Ordinari e, nel 1938, Pacelli lo invitò ad accompagnarlo a Bucarest, per il Congresso Eucaristico Internazionale.
Dopo che Pacelli divenne Papa Pio XII, il 12 marzo 1939, Montini continuò a lavorare alla Segreteria sotto il card. Luigi Maglione, il nuovo Segretario di Stato. Comunque, la sua posizione crebbe in importanza con l’elezione a Papa di Pacelli, il quale diceva di essere come un secondo padre per Montini.
Per i 30 anni, in cui egli lavorò alla Santa Sede, Mons. Montini non fu mai apprezzato dai funzionari di Curia o dal loro personale.
Il filo fascista card. Nicola Canali, capo dell’Amministrazione Vaticana, non nascondeva la sua profonda avversione per il giovane diplomatico. Anche Mons. Ottaviani (più tardi cardinale), che tendeva essere apolitico, nutriva un’antipatia per il giovane Montini. Alcuni membri della Gerarchia italiana deploravano i fanatici sentimenti anti-fascisti e filo-comunisti di don Montini, che il giovane diplomatico non si curava neppure di nascondere. Alcuni Vescovi erano afflitti da ciò che essi percepivano come la sua totale mancanza di patriottismo per la sua patria nativa; in verità Montini non aveva mai mostrato alcuno scrupolo nel tradire la sua Patria e il suo popolo a favore degli Inglesi, dei Sovietici e degli Americani, durante la Seconda Guerra Mondiale. Il fascista (Ministro della Giustizia), Roberto Farinacci, sosteneva che era di dominio pubblico il fatto che Montini era l’amico dei nemici dell’Italia. Ed egli aveva ragioni valide per affermarlo.
GLI ANNI DURANTE LA GUERRA
Durante la Seconda Guerra Mondiale, Pio XII assegnò Montini al compito di aiutare a preparare l’Italia per una ordinata transizione politica, che includeva la ristrutturazione del nuovo Governo italiano basato sul modello del Partito Democratico Cristiano.
Montini fu incaricato di dirigere una rete sotterranea per facilitare la fuga di rifugiati politici, incluso gli Ebrei, fuori dal Paese. Alla fine della guerra, queste “reti sotterranee” vaticane furono utilizzate per altri scopi, come la “Operazione Paperclip”, che trasferì scienziati di spicco tedeschi e austriaci negli Stati Uniti, in modo che non cadessero nelle mani dei Sovietici.
Montini, inoltre, coordinava anche gli sforzi vaticani per assistere i prigionieri di guerra e le loro famiglie attraverso la Croce Rossa. Per tutta la durata della Guerra, don Battista Montini, prete-diplomatico di giorno e intrigante di notte, lavorò in rapporti stretti con il personale alleato dei servizi di intelligence militari dell’Office of Strategic Services (OSS) (il precursore della CIA) come pure col personale di Intelligence Britannico e Sovietico, contro i fascisti, i giapponesi e i nazisti. Montini fu il responsabile del reperimento delle informazioni di intelligence, ottenute dai Gesuiti in Giappone, che servirono agli Alleati per individuare gli obiettivi strategici da bombardare.
L’Office of Strategic Services (OSS), in cambio, si impegnava a riempire la tesoreria vaticana con dollari, come pure le casse della Mafia Siciliana e della Massoneria (che Mussolini aveva spinto alla clandestinità) per accelerare l’invasione alleata in Sicilia. Un amico importante di Montini, nel periodo bellico, fu lo scapolo Sir Francis Godllopin D’Arcy Osborne, Ambasciatore Britannico in Vaticano, che aveva ricevuto questo incarico nel 1936.
Quando l’Italia entrò in guerra, alleata della Germania, Osborne e il suo staff e personale maschile della segreteria, maggiordomi e domestici, cercarono rifugio in Vaticano: Osborne e Montini divennero amici stretti. Osborne caratterizzò Mons. Montini come un eccellente diplomatico, anche se non dello stesso calibro del suo collaboratore alla Segreteria, Mons. Domenico Tardini. Egli disse che Montini era un maniaco del lavoro, sempre sotto controllo, e mai un gentiluomo.
Personalmente, egli trovò Montini gentile, persuasivo, ma indeciso. Dopo la guerra, Osborne trascorse i suoi ultimi giorni a Roma, dove sponsorizzò un Circolo Giovanile, condotto dai Padri Salesiani. Da sempre protestante, che occasionalmente si occupava di occultismo, Osborne morì al di fuori della Chiesa, a dispetto dei presunti sforzi di Montini di convertirlo al Cattolicesimo.
NEGOZIATI SEGRETI CON I COMUNISTI
Agli Alleati che consigliavano a Stalin una politica più accondiscendente verso il Vaticano, il dittatore rispose: «Di quante divisioni dispone il Papa?». Ma in Vaticano vi era chi aveva tentato segretamente di instaurare rapporti con l’Unione Sovietica, malgrado la posizione ufficiale anti-comunista dei Papi Pio XI e Pio XII.
Mariano Rampolla del Tindaro, compagno di studi di Montini all’Accademia dei Nobili Ecclesiastici, e suo amico assai amato e stimato, fu organizzatore e protagonista di un incontro riservatissimo con uomini di fede comunista, per le eventuali relazioni diplomatiche tra Vaticano e Unione Sovietica.
L’incontro avvenne nell’agosto 1938 con gli esponenti del Partito Comunista Italiano, Donini e Sereni, nella Certosa svizzera della Valsainte tra i monti, lontano dai confini italiani. Mons. Rampolla chiese agli interlocutori se il Partito fosse disposto a sondare il terreno a Mosca, in vista di eventuali contatti tra Santa Sede e Governo Sovietico, per normalizzazione dei rapporti diplomatici.
La relazione stesa da Donini, e inviata ai dirigenti del Partito Comunista, non fu presa in considerazione e non raggiunse il responsabile Palmiro Togliatti; forse - ritenne Donini - perché considerata sospetta. Nell’estate del 1944, quando la guerra stava per finire, Mons. Montini entrò in negoziati di alto livello con i Comunisti Italiani, per individuare il ruolo che il Partito Comunista avrebbe avuto nel periodo post bellico.
Il suo obiettivo era quello di formare un’alleanza tra il Partito Democratico Cristiano, i Socialisti e i Comunisti. Come riportato da Martìnez, il 10 luglio 1944, vi fu un incontro tra Mons. Montini, che agiva all’insaputa di Pio XII, e Palmiro Togliatti, il capo indiscusso del Partito Comunista Italiano, che era da poco tornato a Roma, dopo 18 anni di esilio in Unione Sovietica.
Questo fu il primo contatto tra il Vaticano e un leader del Comunismo. Fu abbozzato un piano per fornire da base per un accordo tra il Partito Democratico Cristiano, i Socialisti e i Comunisti che avrebbe conferito ai tre Partiti il controllo totale in un qualsiasi Governo post bellico in Italia. Il piano, inoltre, definiva le condizioni per future collaborazioni tra la Chiesa Cattolica e l’Unione Sovietica.
L’altro tentativo di instaurare rapporti tra la Santa Sede e il Governo Sovietico avvenne nel 1945, alla vigilia della Conferenza di Yalta, ad iniziativa proprio di mons. Montini: un incontro tra Montini e il comunista Eugenio Reale, allora sottosegretario di Stato al Ministero degli Esteri.
Lo stesso Reale riferisce l’argomento del colloquio: se fosse possibile un colloquio tra sua Santità e il capo del Partito comunista (Togliatti). «Ci siamo lasciati - conclude il resoconto di Reale - nell’intesa che se Togliatti avesse accettato l’idea di una visita al Papa, io sarei tornato da mons. Montini per fissarne la data e le modalità». Sembra che questo contatto non abbia avuto sviluppi.
Mentre Mons. Montini dava sfogo al suo anti-fascismo con i suoi contatti segreti con rappresentanti comunisti ad alto livello, la sua famiglia manifestava questa passione politica di sinistra in un modo ancor più inquietante.
In un articolo scritto dall’Avvocato Salvatore Macca, ex Presidente del Tribunale di Brescia, dal titolo “I Montini aiutarono il terrorista comunista Speziale a uccidere la gente con le bombe”, pubblicato in due puntate sulla rivista “Chiesa viva”, si leggono le seguenti informazioni sui Montini: «Ho avuto per le mani un libro, “Memorie di uno zolfataro”, di Leonardo Speziale, di Serradifalco (1903-1979), da lui dettato e registrato e trascritto da altri.
È una biografia, i cui passi salienti sono quelli relativi alla sua attività di partigiano comunista in provincia di Brescia, dopo l’8 settembre 1943, quando era fuggito dalla Francia occupata dalle truppe germaniche. In Sicilia era vissuto fino all’età di 27 anni. Si era poi recato in Francia da fuoruscito, dato che il soggiorno al suo paese era divenuto difficile per il frequente coinvolgimento in scontri di piazza e sindacali. Era di carattere aggressivo, come dimostrato dai precedenti penali, da cui risultano condanne o procedimenti per delitti di sangue, come lesioni volontarie, e perfino per un omicidio volontario (...).
Lavorando nelle miniere di zolfo, Speziale si era abbondantemente nutrito di odio di classe. In Francia, all’età di trent’anni, si era iscritto al Partito comunista. Dopo l’avvento del fascismo, un poco per ignoranza e un poco per odio e fanatismo contro il medesimo, aveva finito col confonderlo con la mafia, identificandolo in essa, ma fingendo di dimenticare, o, forse, addirittura ignorando, che soltanto il Fascismo era riuscito a debellare il fenomeno mafioso. (...)
Lo Speziale, dopo l’8 settembre, approfittando della confusione di quei momenti, dalla Francia, ove era in carcere come antifascista comunista, riuscì ad evadere e a giungere in Italia. A Brescia trovò il terreno adatto alla sua vocazione, grazie alla solidarietà di certo antifascismo locale. Si incontrò cosi con altri comunisti, già fuorusciti in Francia, di origine bresciana, come Italo Nicoletto e Luigi Guitti (alias Tito), due guerriglieri feroci e sanguinari, che costellarono di vittime il loro cammino, coi quali si rese responsabile di agguati e uccisioni in danno di militari germanici e della R.S.I., e anche di semplici civili, aderenti al partito fascista o simpatizzanti per esso.
Sfruttando la conoscenza degli esplosivi, acquisita nelle miniere di zolfo, pensò dunque di dare l’avvio a una vera e propria attività terroristica a mezzo di ordigni da lui costruiti. La sua prima “eroica impresa” consistette nella collocazione, il 31 ottobre 1943, di un ordigno in via Spalti San Marco, a Brescia, che cagionò la morte del direttore del Carcere giudiziario, dott. Ciro Miraglia, calabrese, padre di quattro o cinque figli, che, in bicicletta, stava rincasando, accompagnato da un milite diciannovenne, Andrea Lanfredi, di Ghedi, pure in bicicletta. Entrambi furono dilaniati dall’esplosione.
Quanto segue è la fedele trascrizione delle memorie dello Speziale, il quale tornava alla Stocchetta per consumare tranquillamente la cena preparatagli dai Montini che lo ospitavano.
Egli scrive: “Quella sera avevo fatto esplodere un ordigno ad alto potenziale, confezionato con molta cura, contro la caserma della milizia antiaerea in via Spalti San Marco. La notizia dell’attentato suscitò scalpore... ».
Il vescovo Mons. Giacinto Tredici, certo di interpretare proprio i sentimenti della gente, stigmatizzò senza mezzi termini la criminale iniziativa nata dall’odio e dal desiderio di vendetta del comunismo. (...) Lo Speziale ebbe la singolare impudenza, nella logica tipica del comunismo, per il quale il fine giustifica i mezzi, di definire la nota del vescovo una “campagna diffamatoria della Curia”, aggiungendo che tale campagna non lo interessava. A lui, invece, interessava quella che riteneva la solidarietà della base cattolica (...) e che credeva di averla scoperta e dimostrata addirittura in seno alla famiglia Montini della Stocchetta, secondo lui imparentata col futuro Papa Paolo VI.
Ecco che cosa afferma Speziale: «La stessa ospitalità offertami dai Montini, tutti cattolici, mi pare alquanto significativa. Non conosco quali legami esistessero tra loro e la famiglia di Paolo VI, ma sono certo che tra loro intercorressero rapporti di parentela. Mamma e papà Montini sapevano che io ero uno di quelli che mettevano le bombe nelle caserme dei nazifascisti – io stesso ne confezionai parecchie proprio a casa loro – eppure, nonostante la “bolla” del vescovo, mi tennero con loro continuando ad offrirmi ospitalità ma soprattutto solidarietà ed affetto. Cattolici erano anche i componenti della famiglia nella cui officina, come ho già ricordato, si confezionavano gli ordigni che usavamo negli attentati. Lo facevano perché convinti di quella scelta, consapevoli del rischio che correvano. Altro che esaltati!». (...) Spiega ancora, lo Speziale, che in Valtrompia era riuscito a formare un primo gruppo di partigiani, «forte numericamente ma scarsamente equipaggiato… che venne rifornito del necessario grazie alla collaborazione preziosa dei fratelli Giacomino e Franco Montini della Stocchetta”. E dunque, nonostante l’appello del Vescovo di Brescia, Mons. Giacinto Tredici, in un certo senso molto ingenuo, che aveva condannato senza mezzi termini il vile attentato da cui era derivata la morte di persone innocenti, la famiglia Montini, da cui poi sarebbe stato “estratto” il Papa Paolo VI, diede ospitalità ed assistenza, con piena consapevolezza della sua reale identità, delle sue delittuose intenzioni, e dei suoi comportamenti, a un terrorista comunista che, con criminali compagni simili a lui, confezionava ordigni per uccidere impunemente persone innocenti nel modo più vigliacco ed odioso!».
***
All’insaputa dei contatti segreti tra Mons. Montini e i capi del Comunismo italiano, Pio XII, per i loro anni di devoto servizio alla Santa Sede, tentò di ricompensare Mons. Montini e Mons. Tardini con il Cardinalato, in un Concistoro segreto del 1952, ma entrambi, rispettosamente, declinarono l’onore.
Questo significò che Montini non era un membro del Collegio dei Cardinali e pertanto non poteva essere considerato candidato al Papato nel 1958, nel conclave che elesse Roncalli a Papa Giovanni XXIII. Ma la stima di Pio XII per mons. Montini crollò in un sol colpo, quando il Pontefice lesse le prove inconfutabili del suo tradimento nei confronti della sua politica anti-comunista. Ormai questo tradimento appartiene alla storia! Si era nel 1954, quando Pio XII era già provato dalla malattia e indebolito dalla vecchiaia.
Il Colonnello Arnauld, Brigadiere Generale del Deuxième Bureau (il Servizio d’Intelligence francese), dopo aver dato le dimissioni dal Deuxième Bureau, si recò a Roma, chiamato da Pio XII, che gli offrì di diventare il Suo agente personale. Il Colonnello accettò, prestò giuramento al Pontefice e iniziò la sua nuova missione. Nel corso di un suo giro all’Est, entrò in relazione con il Vescovo luterano di Uppsala, Mons. Brilioth, Primate di Svezia, che, aveva molta stima di Pio XII.
Nel corso di uno di questi suoi incontri (verso l’estate 1954), l’arcivescovo di Uppsala, improvvisamente, disse al Colonnello: «Le autorità svedesi sanno benissimo che il Vaticano ha relazioni con i sovietici»! Rientrato dalla sua missione, il Colonnello interrogò Pio XII, il quale, assai stupito della cosa, chiese al Colonnello di riferire a Mons. Brilioth che il Vaticano non aveva alcuna relazione con i Sovietici. Ma al suo ritorno in Svezia, il Colonnello Arnauld si vide consegnare dall’arcivescovo di Uppsala una busta sigillata, indirizzata a Pio XII, con la preghiera di rimetterla nelle sue mani, senza farla conoscere a nessun altro in Vaticano. Gli disse solo: «Questa busta contiene le “PROVE” delle relazioni che il Vaticano ha con i Sovietici”.
Giunto a Roma, il Colonnello consegnò la busta a Pio XII, che la lesse in sua presenza, tutto sbiancato in volto.
In breve: l’ultimo testo ufficiale, firmato dal pro-Segretario di Stato Mons. Montini è datato: 23 settembre 195424.
Il 1° novembre 1954, Pio XII allontanava dalla Segreteria di Stato Mons. Montini.
Da altre informazioni si sa che, in quel tragico autunno del 1954, Pio XII aveva anche scoperto che il suo pro-Segretario di Stato mons. Montini “gli aveva nascosto tutti i dispacci relativi allo scisma dei Vescovi cinesi”, il cui caso si andava aggravando.
 Il 1° novembre 1954, Pio XII nominò Montini, Arcivescovo di Milano. La consacrazione ebbe luogo a Roma, il 12 dicembre 1954, da parte del card. Eugéne Tisserant.
Ma perché consegnare la diocesi più grande del mondo ad un traditore del Papa?
La vera ragione la conobbi in un mio “incontro” personale con il Generale G. Leconte, dei “Servizi Segreti” francesi. Il Generale mi parlò, prima, di molte cose attinenti l’infiltrazione massonica della Chiesa d’oggi, poi, improvvisamente mi pose questa domanda: «Lei crede che anche Paolo VI sia massone?»… e senza attendere una mia risposta, mi passò un libro di Carlo Falconi, “Vue et entendu au Concile”, edito prima che Montini diventasse Papa; e mi mostrò un “passo” del libro, a pagina 69, in cui si dice che un pezzo grosso “33” della Massoneria assicurava che anche Montini “serait inscrit dans un Loge maçonnique”!.. Infine, mi narrò la vicenda dell’allontanamento di Mons. Montini dalla Segreteria di Stato da parte di Pio XII, perché realmente lavorava per la Russia, all’insaputa del Papa e, quindi, tradendoLo! Sta di fatto che Montini, vivente ancora Pio XII, non varcò mai più le soglie del Vaticano! All’ultima mia domanda: «Ma allora, perché Pio XII lo mandò a Milano, sede prestigiosa e cardinalizia, dopo averLo “tradito”»?
Il Generale mi rispose, sorridendo: «No! non fu Pio XII a mandarlo a Milano!.. Noi abbiamo qui un altro “dossier”, che porta la scritta: “Cardinal Pizzardo”, in cui ci sono documenti che parlano diversamente! Del resto, anche Lei avrà notato che Pio XII non Lo ha mai elevato al rango di Cardinale, benché Milano fosse tradizionalmente sede cardinalizia, per cui Montini si trovò come scartato dalla Curia Romana e allontanato, definitivamente, da quello stesso Papa su cui Egli aveva esercitato non poca influenza; e fu escluso dal futuro Conclave perché Pio XII era risoluto a non farlo più entrare nel Sacro Collegio! Perfino la consacrazione ad arcivescovo, dopo la Sua nomina, fu quasi ignorata da Pio XII!».
Al termine del colloquio, il Generale mi inviò dal Colonnello Arnauld, il quale mi confermò che Montini teneva oscuri rapporti, clandestini, di propria iniziativa, con la Russia e certe altre Potenze dell’Est, per cui Pio XII Lo “espulse” dalla Segreteria di Stato. Poi, mi disse che Pio XII dovette cedere che Montini fosse mandato a Milano, ma che non Lo fece Cardinale, non Lo accettò più in udienza, (benché Pio XII campasse ancora quattro anni!), e che fece comprendere, più volte, ai Cardinali, che Egli non L’avrebbe voluto Suo successore! Come si vede, qui non si tratta di “rivelazioni di Stato”, perché negli “Archivi Francesi” c’è ancora tutto quello che io ho udito, di persona, sul “caso” Montini!
Sui “rapporti oscuri, clandestini e di propria iniziativa”, di mons. Montini, però, esiste anche la fonte dell’archivio del card. Tisserant. Questo era un archivio continuamente aggiornato, contenente “documenti” di valore storico e anche di delicatezza esplosiva, tra cui anche il “credo” marxista dell’allora mons. Battista Montini, il quale, nel 1945, si era legato in amicizia con Palmiro Togliatti, segretario del Partito comunista italiano, appena rientrato dall’Unine Sovietica. (...) Attraverso i circoli protestati dell’Università di Uppsala e legami con l’ortodossia russa, mons. Montini faceva sapere al Cremlino che «... non tutta la Chiesa e non tutto il Vaticano approvano, per il futuro, gli indirizzi di Papa Pacelli».
Ebbene, nell’archivio del card. Tisserant, c’erano anche i “rapporti segreti” che furono consegnati a Pio XII dal Colonnello Arnaud. (...) Il dossier ad hoc è costituito, soprattutto, da “Lettere” di Montini che segnalavano al K.G.B. - la polizia segreta sovietica - anche nomi e movimenti sacerdotali - specie “gesuiti” - che esercitavano clandestinamente il ministero sacerdotale tra le genti oppresse e perseguitate dei paesi comunisti. Pio XII non sapeva spiegarsi la causa del terribile dramma della sistematica scomparsa dei sacerdoti inviati clandestinamente in Russia, se non con l’esistenza di una “spia” nascosta in Vaticano.
Allora, incaricò dei poliziotti segreti, travestiti da Monsignori, che scoprirono, in atto di fotografare “documenti segreti”, il gesuita Alighiero Tondi, uno della cerchia di Montini, anzi il suo consigliere speciale. Interrogato, fu identificato come un agente del K.G.B., istruito da Mosca, e che dal Vaticano trasmetteva al suo Capo, in URSS, i “documenti” che fotografava negli archivi vaticani.
Dall’accurata inchiesta risultò che era lui a passare ai suoi superiori sovietici anche la lista dei Vescovi e dei Sacerdoti clandestini colà inviati da Pio XII, i quali, per questa delazione, venivano arrestati, uccisi o fatti morire nei lager sovietici! È un fatto, questo, di gravità estrema, forse unica! Certo un agire da assassini! Pio XII, dopo queste “rivelazioni” ebbe un collasso e fu costretto a letto per molti giorni. Tuttavia dispose subito per una immediata espulsione di Montini dall’ufficio che aveva equiparato a “Segretario di Stato”.
A cura del sac. dott. Luigi Villa
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