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mercoledì 21 dicembre 2011

Il gesuita Surin e il Natale

Jean-Joseph Surin, gesuita francese, è tra i più grandi mistici del XVII secolo, ma anche uno dei più dimenticati. Molti ne sono rimasti affascinati: da Bossuet a Fénelon, da Teresa di Lisieux a Raissa Maritain. L’eccezionale statura spirituale di Surin è stata a lungo oscurata dalla sua malattia mentale e dalle intricate vicende che l’hanno coinvolto in strani fenomeni di possessione diabolica a Loundun. Nel ‘900 è stato riscoperto da studiosi di fama mondiale come Bremond e de Certeau. La sua luce fruga nelle piaghe nascoste dell’anima. La sua penna sferzante richiama le esigenze radicali dell’amore di Dio. Dotato di solide basi teologiche e di un gusto letterario raffinato, Surin si esprime con linguaggio semplice e diretto. Come tutti i grandi, riesce a condensare la ricchezza della sua proposta in poche idee che ripete con insistenza e rappresenta con efficace concretezza visiva. Il tempo di Natale è senza dubbio tra i più amati dal gesuita Surin, tanto che vi ritorna in diverse lettere. ...


...  Nella Lettera 571, una delle più significative sul mistero natalizio, egli confessa: “Dopo i misteri della passione e del Santo Sacramento […], non vedo nulla di più profondo di questo mistero dell’incarnazione e dell’infanzia del Figlio di Dio […].

Quanto a me, confesso che l’umile condizione nella quale egli mi appare, mi intenerisce a tal punto che il mio cuore è costretto a sottomettersi alle sue attrattive. Che posso fare, vedendo il Re della gloria sulla paglia e nell’impotenza dell’infanzia, se non annientarmi davanti a lui? […] Ho presente davanti agli occhi questa scena quasi continuamente”.

Con una sensibilità tipicamente ignaziana, egli rievoca la scena di Betlemme e suggerisce come coltivare un vero spirito natalizio: “Come ho augurato che le vostre sorelle fossero una compagnia di figlie votate a piangere la morte del salvatore e a conservare nella Chiesa la memoria perpetua della passione, così vorrei anche che fossero […] intente a onorare la sua santa infanzia […] nel tener compagnia al bambino Gesù.”. Surin non si limita a rievocare l’evento salvifico del natale nei suoi aspetti storici, ma lo aggancia al presente.

I personaggi del presepe sono considerati come figure da imitare e soprattutto come persone vive, resali, con le quali intrattenersi e di cui prenderci cura. Il servizio responsabile di san Giuseppe in favore di Maria e del bambino, la sua accoglienza verso i pastori e i magi, diventa modello per il padrone di casa.

La Vergine è indicata come il prototipo della persona che ascolta e che si mette a completa disposizione di Gesù. In questa specie di sacra rappresentazione natalizia, tutti hanno un ruolo, perfino il piccolo di casa, il fuoco a vantaggio del santo bambino Gesù e […] farà provviste per accendere nel proprio cuore il fuoco dell’amore divino”, e la giovane Nicole “si preoccuperà di cullare il bambino e di cantargli canzoni spirituali per farlo addormentare” (L 516).

L’incarnazione del verbo è celebrata come il mistero dell’amore infinito di Dio che si abbassa, assume la fragilità della condizione umana e diventa bambino per amore dell’uomo.

Di fronte a un amore tanto grande, l’uomo è invitato a esprimere una riconoscenza piena di affetto. Solo chi accetta la logica dell’abbassamento e dell’umiliazione può gustare la dolcezza del Natale. Nell’incarnazione, il Verbo ha voluto dipendere da una semplice donna, essere accudito dalle sue cure, attraversare i disagi dei più poveri. In questa festa riluce l’amore indicibile di Dio che, facendosi bambino, ha voluto mostrare all’uomo fino a che punto lo ama. Il tema è sviluppato specialmente nella Lettera 437: “ Vedete un Dio fatto uomo, un Dio diventato bambino per mostrare all’uomo che lo ama, rendendosi simile a lui: questo è un eccesso d’amore incomprensibile a tutte le menti.

Una bontà infinita non poteva spingere l’amore più lontano di come ha fatto nella persona del Figlio di Dio”. Di conseguenza, il vero spirito natalizio esige di farsi piccoli come il Figlio di Dio a Betlemme: “Imparare ad  amare e ad abbassarvi, a farvi piccoli, a diventare bambini, a imitare la mia sottomissione, la mia semplicità, il mio disprezzo del mondo e della falsa prudenza”.

Adottare una prospettiva natalizia vuol dire operare un vero e proprio ribaltamento nella gerarchia dei valori: “La contemplazione di un Dio bambino capovolga la loro mentalità in modo tale che quanto è follia secondo il senso umano sia per loro la vera sapienza, e quanto è sapienza nel giudizio degli uomini sia da loro stimato una vera follia” (L 488).

Don Marcello Stanzione

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