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martedì 27 dicembre 2011

Si può ancora credere nell’Angelo custode?

di Francesco Lamendola - 27/12/2011            Fonte: Arianna Editrice [scheda fonte] 

È ancora possibile parlare agli uomini dell’Angelo custode?
È “ancora” possibile, vogliamo dire, dopo il disincanto dell’età adulta, che ripudia come “favola” e come “leggenda” tutto ciò che, nell’infanzia, è stato presentato e recepito come appartenente all’ordine soprannaturale della realtà?
Ed è “ancora” possibile farlo, dopo tutte le sdolcinatezze che la cultura New Age, precipitatasi su questo ghiotto boccone per sfruttarlo al massimo, ha ricamato intorno al ruolo svolto nella vita umana dalla presenza dell’Angelo Custode?
C’è, in un paese a pochi chilometri da qui, una edicola sacra, sulla quale è stata affrescata, a grandezza naturale, la classica iconografia dell’Angelo custode: una creatura splendente, alata, immensamente benevola, che prende per mano un bambino e lo accompagna con passo sicuro lungo i sentieri della vita, incontro al mistero finale di Dio.

Non è l’opera di un grande pittore, bensì di un onesto artigiano, pieno di devozione e di fervore; e tuttavia ci sono una tale naturalezza in quella scena, una tale spontaneità, una tale leggerezza, che, osservandola, si fa quasi fatica a credere che qualcuno, in base alla fredda ragione calcolante e strumentale, possa trovarla inverosimile o anche solo improbabile.
E dunque, chi ha ragione: il bambino, che accoglie con istintiva fiducia la nozione di una creatura immortale, invisibile, preposta alla nostra salvaguardia individuale, che ci assiste nei passi difficili e ci sorregge perché non mettiamo il piede in fallo; oppure l’adulto imbevuto di cultura “moderna”, razionalista e materialista, disposto a credere soltanto a ciò che vede o, meglio, soltanto a ciò che una Scienza eretta al rango di nuova religione è disposta a riconoscere come vero?
Chi si sbaglia, chi s’inganna delle due: la mente intuitiva del bambino, che non è irrazionale, ma che procede, in gran parte, per via intuitiva ed extra-razionale, oppure la mente raziocinante dell’adulto, imbottita di pregiudizi scientisti e meccanicisti?
Ai bambini della mia generazione era stato insegnato a credere fermamente nell’esistenza dell’Angelo custode; e a recitare con fede l’apposita preghiera a lui rivolta: «Angelo di Dio, che sei il mio custode, illumina, custodisci, reggi e governa me, che ti fui affidato dalla Pietà celeste; amen».
È stata soltanto una pia frode, una bella e consolante fiaba, sul tipo di quella di Babbo Natale o di quella, un po’ più profana, della Befana, che viene nella notte dell’Epifania a portare i regali e i dolcetti ai bambini buoni, mentre lascia solo qualche pezzetto di carbone a quelli che sono stati cattivi?
Innanzitutto, gli angeli.
Essi sono degli esseri spirituali che adorano e servono Dio e che vengono mandati ad aiutare gli uomini e ad annunciare il Creatore: dall’etimologia greca della parola, “ánghelos”, “messaggero” (come tale era designato, ad esempio, Hermes, il messaggero degli dèi).
Per il cristianesimo, la credenza in essi è una verità di fede, attestata unanimemente sia dalla Scrittura, sia dalla Tradizione (paragrafo 328 del catechismo della Chiesa cattolica). 
In particolare, la professione di fede del IV Concilio Lateranense, convocato nell’anno 1215 da papa Innocenzo III, afferma che Dio «fin dal principio del tempo, creò dal nulla l’uno e l’altro ordine di creature, quello spirituale e quello materiale, cioè gli angeli e il mondo terrestre; e poi l’uomo, quasi partecipe dell’uno e dell’altro, composto di anima e di corpo».
A loro riguardo, basandosi sull’etimologia, Sant’Agostino scrive che «la parola angelo designa l’ufficio, non la natura (Angelus officii nomen est, non naturae).  Se si chiede il nome di questa natura si risponde che è spirito; se si chiede l’ufficio, si risponde che è angelo: è spirito per quello che è, mentre per quello che compie è angelo (Quaeris nomen huius naturae, spiritus est, quaeris officium,  angelus est: ex eo quod est, spirtus est,  ex eo quod agit, angelus» (Agostino, «Enarratio in Psalmos», 103, 1, 15).
Sono creature puramente spirituali, dotate di intelligenza e volontà (tanto è vero che Lucifero e i suoi seguaci, per un atto di ribellione della volontà, si ribellarono a Dio stesso); la loro natura è personale e immortale e supera in perfezione quella di tutte le altre creature esistenti.
Tralasciando la loro presenza nei passi della Scrittura, che è frequentissima e svolge sovente compiti di estrema importanza, come l’annuncio a Maria, veniamo a quella particolare categoria rappresentata dagli Angeli custodi.
Secondo la Chiesa cattolica, la loro presenza è costante al fianco di ogni singolo essere umano, dato che l’amore di Dio per quest’ultimo è di tipo personale; dall’infanzia (cfr. Matteo, 18, 10) alla morte (Luca, 16, 22), gli Angeli custodi vegliano incessantemente e prodigano a ogni individuo la loro protezione e la loro intercessione.
San Basilio da Cesarea («Adversus Eumonium», 3, 1) dichiara che «ogni fedele  ha al proprio fianco un angelo come protettore e pastore,  per condurlo alla vita»; esiste, pertanto, già nella dimensione della vita terrena, una beata comunanza fra angeli e uomini uniti in Dio, comunanza che è suggellata dalla fede.
Fin qui, la Scrittura e la Tradizione.
Ma l’uomo moderno, può ancora credere in queste cose; può ancora credervi in perfetta buona fede, senza, cioè, mentire o ingannare se stesso?
Dipende da cosa s’intende per “uomo moderno”: se si intende colui che vive nell’epoca storica contemporanea o se s’intende colui che abbia assorbito e introiettato, consapevolmente o anche inconsapevolmente, ogni aspetto del paradigma culturale proprio della modernità, con il suo riduzionismo, il suo meccanicismo, il suo materialismo e il suo esasperato e tirannico razionalismo di matrice scientista.
In questo secondo caso, la risposta è certamente negativa; nel primo, invece, la risposta può anche essere affermativa - ovviamente, a determinate condizioni.
È inutile nasconderselo: una simile credenza non ha solo a che fare con l’appartenenza alla religione cristiana in se stessa, ma proprio con l’idea generale che ciascuno di noi si è formata, attraverso le tappe del proprio itinerario spirituale, circa il significato ed il valore della vita umana e, più in generale, circa il significato ed il valore dell’esistente, di cui l’uomo è parte.
In una visione spirituale, olistica, fondata sulla speranza come virtù teologale, ossia sulla eroica capacità di credere contro ogni apparenza, non in dispregio della ragione o dell’agire pratico, ma in virtù di un principio ad essi superiore (perché la ragione non arriva a comprendere tutto, e l’agire pratico è comunque limitato), ebbene in una tale visione non c’è nulla che impedisca di credere alla presenza costante, al nostro fianco, di un essere spirituale che svolge la funzione specifica di accompagnarci e di guidarci verso il Bene.
Bisogna inoltre aggiungere che esistono fortissimi indizi, anche da un punto di vista “laico” e “razionale”, in favore di una tale credenza; esiste, infatti, una ricchissima casistica relativa alla provvidenziale comparsa, in situazioni di particolare difficoltà o pericolo, di creature dall’aspetto umano, venute non si sa da dove e scomparse non si sa come, senza il cui intervento gli individui soccorsi sarebbero certamente periti; di alcuni di tali casi ci siamo anzi già occupati in diverse occasioni (cfr., ad esempio, l’articolo «Chi era quell’uomo giunto a salvarla, non si sa da dove, mentre stava per annegare?», apparso sul sito di Edicolaweb e, poi, sul sito di Arianna Editrice, in data 24/01/2011).
Infatti, se le Scritture e la Tradizione possono bastare a soddisfare le esigenze spirituali del credente, evidentemente non bastano per coloro i quali, pur non aderendo ad alcuna confessione religiosa, riconoscono tuttavia in se stessi la presenza di una domanda ulteriore, di un altro “perché”, afferente alla dimensione dell’infinito e dell’assoluto; di una tensione verso la trascendenza, accompagnata dal senso del mistero e dal corrispettivo senso del limite.
Non diciamo che, per queste persone, la casistica cui sopra facevamo cenno, e sulla quale è reperibile, sia in biblioteca che sulla rete informatica, una assai ricca bibliografia, costituisca una risposta del tutto esauriente: il mistero rimane, le prove “scientifiche”, se così vogliamo chiamarle, non sono incontrovertibili e  non reggerebbero, probabilmente, alla critica demolitrice (e largamente faziosa e preconcetta) dei signori del C.I.C.A.P.; rappresenta, tuttavia, un elemento significativo, nel senso che, quanto meno, sgombra il terreno da una impossibilitò di tipo logico, in quanto dimostra che cose simili POSSONO ACCADERE.
È possibile andare anche oltre e affermare, in modo positivo e incontrovertibile, la realtà dell’Angelo custode, anche per chi non accetti, puramente e semplicemente, l’insegnamento di una data tradizione religiosa? 
La questione è di natura tale che non ammette un sì o no aprioristici e, sopratutto, “oggettivi”, perché può trovare risposta solo nella dimensione intima della consapevolezza individuale, rispetto alla quale non contano solo i “fatti”, ma anche l’idea che noi abbiamo di essi e, più ancora, la prospettiva nella quale ci poniamo allorché ci confrontiamo con la cosiddetta realtà “esterna” (mentre per la coscienza risvegliata è chiaro che non esistono un “dentro” e un “fuori” rispetto alla coscienza, ma che noi e il Tutto siamo una cosa sola).
E allora mettiamola così: per la coscienza desta e consapevole, libera dai ricatti del razionalismo scientista e della cultura moderna che si autodefinisce “realista” e “progressista”, non c’è nulla, assolutamente nulla, che ripugni all’idea di una presenza spirituale, benevola e spirituale, accanto a ciascun essere umano, avente lo scopo di proteggerlo e guidarlo verso il Bene.
Ciò detto, resta da vedere se siamo ancora disposti a credere nel Bene; se siamo, cioè, disposti a riconoscere, nel caos e nel labirinto del soggettivismo e del relativismo moderni, che, al di sopra delle confuse e contraddittorie immagini di bene, inseguendo le quali consumiamo gran parte della nostra vita, vi è il Bene in se stesso, faro luminoso che ci guida nel buio della notte; e se siamo abbastanza umili e abbastanza forti da pensare che Qualcosa o Qualcuno guidi i nostri passi in quella direzione.
Se si toglie questo, tutto il resto cade; se lo si ammette, si resta liberi di pensare che questo Qualcosa o questo Qualcuno si serva di presenze invisibili, amorevoli e sollecite della nostra sicurezza spirituale - e, talvolta, anche fisica -, alle quali, nel nostro balbettante linguaggio umano, diamo il nome di Angeli custodi.
Quando parliamo di realtà soprannaturali, il nostro linguaggio è sempre inadeguato e ancor più lo è il nostro modo di ragionare, basato sulle associazioni per immagini: perché non c’è niente, nella realtà soprannaturale, che trovi riscontro nelle immagini che ci sono familiari. Quel che vogliamo dire è che noi non potremmo mai vedere un Angelo nella sua vera forma, perché ne resteremmo abbagliati; ed è per questo che essi, se vogliono presentarsi a noi, devono assumere una forma umana, cioè una forma che noi possiamo riconoscere. 
Da ciò, tuttavia, deriva anche la triste eventualità che noi non li sappiamo riconoscere, perché, ingenuamente, siamo portati a pensare che, se esistono e se si manifestano all’uomo, gli Angeli devono avere le ali sulla schiena e l’aureola sul capo, così come le rappresentano simbolicamente i pittori, gli scultori e i poeti.
Un pericolo ancora più grande, però, e lo abbiamo già detto, è quello rappresentato dall’orgoglio della nostra razionalità chiusa in se stessa e refrattaria al trascendente; quello che ci fa escludere la possibilità, già in via teorica, della loro esistenza e della loro manifestazione. 
Infatti, noi vediamo solo ciò che siamo disposti a vedere e crediamo solo a ciò in cui siamo disposti a credere: se vediamo qualcosa che non rientra nei nostri schemi mentali e che, anzi, il nostro universo concettuale ritiene impossibile, semplicemente ci rifiutiamo di prendere atto di quanto abbiamo visto, e di trarne le debite conclusioni.
Ecco perché la castrazione della metafisica, operata dal pensiero moderno a partire da Kant, con la speciosa argomentazione che non si può credere a ciò che non si può dimostrare razionalmente, ci ha causato un danno e un impoverimento di portata incalcolabili: potremmo paragonarlo alla chiusura dei nostri sensi alla percezione della realtà.
Non vi è cieco più inguaribile di colui che, ostinatamente, si rifiuta di aprire gli occhi.
Eppure ce n’è, di mondo da scoprire e da ammirare, al di là degli occhi chiusi del cieco volontario...


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