Il Santo Padre Benedetto XVI durante la Messa della notte, celebrazione della natività di Nostro Signore, ha pronunciato parole ed ammonizioni che passeranno alla storia e che, a mia memoria, non ricordo essere state pronunciate da altri Prelati. Fedele alla tradizione e, rigorosamente nella universale lingua latina, il Pontefice ha celebrato Messa, come un macigno che si abbatte sulle certezze dell'uomo, ha pronunciato parole degne dei più santi Padri e Dottori della Chiesa; lo ha fatto non in una semplice omelia, ma, definiamola come si conviene, in un vero e proprio sermone, termine oggi denigrato dai progressisti ma che, in realtà, altro non significa che "pronunciare un discorso di argomento sacro". Benedetto XVI, di fronte alla vana gloria ed alle certezze proprie di chi è vittima dello spirito del mondo ha detto: «chi desidera entrare nel luogo della nascita di Gesù, deve chinarsi. Mi sembra che in ciò si manifesti una verità più profonda, dalla quale ... ... vogliamo lasciarci toccare in questa Notte santa: se vogliamo trovare il Dio apparso quale bambino, allora dobbiamo scendere dal cavallo della nostra ragione “illuminata”». Ed ancora: «Dobbiamo deporre le nostre false certezze, la nostra superbia intellettuale, che ci impedisce di percepire la vicinanza di Dio. Dobbiamo seguire il cammino interiore di san Francesco», «Dobbiamo chinarci, andare spiritualmente, per così dire, a piedi, per poter entrare attraverso il portale della fede ed incontrare il Dio che è diverso dai nostri pregiudizi e dalle nostre opinioni: il Dio che si nasconde nell’umiltà di un bimbo appena nato». Benedetto XVI in poche righe di sermone ha riassunto il senso della cristianità ed ha introdotto, senza timore, significato e scopo cardine della vita di ogni uomo. Ha suscitato riflessioni tremende sulla vita di ognuno di noi ed ha scosso le coscienze con un terremoto di parole sante. Nel suo discorso, il Santo Padre ha elevato agli onori il primato indiscusso di Cristo RE che, nonostante fosse un indifeso Bimbo, doveva essere salutato e riverito inginocchiandosi, scendendo dal cavallo della superbia, dell'intelletto, della testardaggine e dell'immoralità.
Perché questa dura e severissima ammonizione del Santo Padre? Per ricordare al mondo intero (oggi il sermone sarà diffuso in 61 differenti lingue) che ciò che conta è la Vita Eterna, alla quale tutti noi cattolici facciamo riferimento nel Credo Apostolico, Vita Eterna che sarà beata solo se ci si inchina dinanzi al comando di Cristo RE e si accede al Suo luogo di nascita (il cielo) in ginocchio. COSA ACCADRA' DOPO LA MORTE SE NON SI "SCENDE DAL CAVALLO DELLA SUPERBIA"? Il giudizio particolare (Il Giudizio irrevocabile) La morte pone fine alla vita dell'uomo come tempo aperto all'accoglienza o al rifiuto della grazia divina apparsa in Cristo. 605 Il Nuovo Testamento afferma, a più riprese, l'immediata retribuzione che, dopo la morte, sarà data a ciascuno in rapporto alle sue opere e alla sua fede. La parabola del povero Lazzaro 606 e la parola detta da Cristo in croce al buon ladrone 607 così come altri testi del Nuovo Testamento 608 parlano di una sorte ultima dell'anima 609 che può essere diversa per le une e per le altre. NOTE: (605) Cf 2 Tm 1,9-10. (606) Cf Lc 16,22. (607) Cf Lc 23,43. (608) Cf 2 Cor 5,8; Fil 1,23; Eb 9,27; 12,23. (609) Cf Mt 16,26. Ogni uomo fin dal momento della sua morte riceve nella sua anima immortale la retribuzione eterna, in un giudizio particolare che mette la sua vita in rapporto a Cristo, per cui o passerà attraverso una purificazione, 610 o entrerà immediatamente nella beatitudine del cielo, 611 oppure si dannerà immediatamente per sempre. 612 NOTE: (610) Cf Concilio di Lione II, Professione di fede di Michele Paleologo: DS 856; Concilio di Firenze, Decretum pro Graecis: DS 1304; Concilio di Trento, Sess. 25a, Decretum de purgatorio: DS 1820. (611) Cf Concilio di Lione II, Professione di fede di Michele Paleologo: DS 857; Giovanni XXII, Bolla Ne super his: DS 991; Benedetto XII, Cost. Benedictus Deus: DS 1000-1001; Concilio di Firenze, Decretum pro Graecis: DS 1305. (612) Cf Concilio di Lione II, Professione di fede di Michele Paleologo: DS 858; Benedetto XII, Cost. Benedictus Deus: DS 1002; Concilio di Firenze, Decretum pro Graecis: DS 1306. Il cielo (il Paradiso) Coloro che muoiono nella grazia e nell'amicizia di Dio e che sono perfettamente purificati, vivono per sempre con Cristo. Sono per sempre simili a Dio, perché lo vedono « così come egli è » (1 Gv 3,2), « a faccia a faccia » (1 Cor 13,12): 614 Vivere in cielo è « essere con Cristo ». 616 Gli eletti vivono « in lui », ma conservando, anzi, trovando la loro vera identità, il loro proprio nome: 617 « Vita est enim esse cum Christo; ideo ubi Christus, ibi vita, ibi Regnum – La vita, infatti, è stare con Cristo, perché dove c'è Cristo, là c'è la vita, là c'è il Regno ». 618 La vita dei beati consiste nel pieno possesso dei frutti della redenzione compiuta da Cristo, il quale associa alla sua glorificazione celeste coloro che hanno creduto in lui e che sono rimasti fedeli alla sua volontà. Il cielo è la beata comunità di tutti coloro che sono perfettamente incorporati in lui. « Questa sarà la tua gloria e la tua felicità: essere ammesso a vedere Dio, avere l'onore di partecipare alle gioie della salvezza e della luce eterna insieme con Cristo, il Signore tuo Dio, [...] godere nel regno dei cieli, insieme con i giusti e gli amici di Dio, le gioie dell'immortalità raggiunta ». 619 Nella gloria del cielo i beati continuano a compiere con gioia la volontà di Dio in rapporto agli altri uomini e all'intera creazione. Regnano già con Cristo; con lui « regneranno nei secoli dei secoli » (Ap 22,5). 620 NOTE: (614) Cf Ap 22,4. (616) Cf Gv 14,3; Fil 1,23; 1 Ts 4,17. (617) Cf Ap 2,17. (618) Sant'Ambrogio, Expositio evangelii secundum Lucam, 10, 121: CCL 14, 379 (PL 15, 1927). (619) San Cipriano di Cartagine, Epistula 58, 10: CSEL 32, 665 (56, 10: PL 4, 367-368). (620) Cf Mt 25,21.23. La purificazione finale (Il Purgatorio) Coloro che muoiono nella grazia e nell'amicizia di Dio, ma sono imperfettamente purificati, sebbene siano certi della loro salvezza eterna, vengono però sottoposti, dopo la loro morte, ad una purificazione, al fine di ottenere la santità necessaria per entrare nella gioia del cielo. La Chiesa chiama purgatorio questa purificazione finale degli eletti, che è tutt'altra cosa dal castigo dei dannati. La Chiesa ha formulato la dottrina della fede relativa al purgatorio soprattutto nei Concili di Firenze 621 e di Trento. 622 La Tradizione della Chiesa, rifacendosi a certi passi della Scrittura, 623 parla di un fuoco purificatore. Fin dai primi tempi, la Chiesa ha onorato la memoria dei defunti e ha offerto per loro suffragi, in particolare il sacrificio eucaristico, 625 affinché, purificati, possano giungere alla visione beatifica di Dio. La Chiesa raccomanda anche le elemosine, le indulgenze e le opere di penitenza a favore dei defunti. NOTE: (621) Cf Concilio di Firenze, Decretum pro Graecis: DS 1304. (622) Cf Concilio di Trento, Sess. 25a, Decretum de purgatorio: DS 1820; Sess. 6a, Decretum de iustificatione, canone 30: DS 1580. (623) Per esempio, 1 Cor 3,15; 1 Pt 1,7. (625) Cf Concilio di Lione II, Professione di fede di Michele Paleologo: DS 856. L'inferno (La dannazione eterna) Non possiamo essere uniti a Dio se non scegliamo liberamente di amarlo. Ma non possiamo amare Dio se pecchiamo gravemente contro di lui, contro il nostro prossimo o contro noi stessi: « Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna » (1 Gv 3,14-15). Nostro Signore ci avverte che saremo separati da lui se non soccorriamo nei loro gravi bisogni i poveri e i piccoli che sono suoi fratelli. Morire in peccato mortale senza essersene pentiti e senza accogliere l'amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta. Ed è questo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola « inferno ». Perché un peccato sia mortale si richiede che concorrano tre condizioni: « È peccato mortale quello che ha per oggetto una materia grave e che, inoltre, viene commesso con piena consapevolezza e deliberato consenso ». 116 Perché il peccato sia mortale deve anche essere commesso con piena consapevolezza e pieno consenso. Presuppone la conoscenza del carattere peccaminoso dell'atto, della sua opposizione alla Legge di Dio. Implica inoltre un consenso sufficientemente libero perché sia una scelta personale. L'ignoranza simulata e la durezza del cuore 117 non diminuiscono il carattere volontario del peccato ma, anzi, lo accrescono. La misericordia di Dio non conosce limiti, ma chi deliberatamente rifiuta di accoglierla attraverso il pentimento, respinge il perdono dei propri peccati e la salvezza offerta dallo Spirito Santo. 121 Un tale indurimento può portare alla impenitenza finale e alla rovina eterna. Il peccato trascina al peccato; con la ripetizione dei medesimi atti genera il vizio. Ne derivano inclinazioni perverse che ottenebrano la coscienza e alterano la concreta valutazione del bene e del male. In tal modo il peccato tende a riprodursi e a rafforzarsi, ma non può distruggere il senso morale fino alla sua radice. I vizi possono essere catalogati in parallelo alle virtù alle quali si oppongono, oppure essere collegati ai peccati capitali che l'esperienza cristiana ha distinto, seguendo san Giovanni Cassiano 122 e san Gregorio Magno. 123 Sono chiamati capitali perché generano altri peccati, altri vizi. Sono la superbia, l'avarizia, l'invidia, l'ira, la lussuria, la golosità, la pigrizia o accidia. La tradizione catechistica ricorda pure che esistono « peccati che gridano verso il cielo ». Gridano verso il cielo: il sangue di Abele; 124 il peccato dei Sodomiti; 125 il lamento del popolo oppresso in Egitto; 126 il lamento del forestiero, della vedova e dell'orfano; 127 l'ingiustizia verso il salariato. 128 Il peccato è un atto personale. Inoltre, abbiamo una responsabilità nei peccati commessi dagli altri, quando vi cooperiamo: — prendendovi parte direttamente e volontariamente; — comandandoli, consigliandoli, lodandoli o approvandoli; — non denunciandoli o non impedendoli, quando si è tenuti a farlo; — proteggendo coloro che commettono il male. NOTE: (116) Giovanni Paolo II, Esort. ap. Reconciliatio et paenitentia, 17: AAS 77 (1985) 221. (117) Cf Mc 3,5-6; Lc 16,19-31. (121) Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Dominum et vivificantem, 46: AAS 78 (1986) 864-865. (122) Cf San Giovanni Cassiano, Conlatio, 5, 2: CSEL 13, 121 (PL 49, 611). (123) Cf San Gregorio Magno, Moralia in Iob, 31, 45, 87: CCL 143B, 1610 (PL 76, 621). (124) Cf Gn 4,10. (125) Cf Gn 18,20; 19,13. (126) Cf Es 3,7-10. (127) Cf Es 22,20-22. (128) Cf Dt 24,14-15; Gc 5,4. Gesù parla ripetutamente della « geenna », del « fuoco inestinguibile », 629 che è riservato a chi sino alla fine della vita rifiuta di credere e di convertirsi, e dove possono perire sia l'anima che il corpo. 630 Gesù annunzia con parole severe: « Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno [...] tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente » (Mt 13,41-42), ed egli pronunzierà la condanna: « Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno! » (Mt 25,41). La Chiesa nel suo insegnamento afferma l'esistenza dell'inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell'inferno, « il fuoco eterno ». 631 La pena principale dell'inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l'uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira. Le affermazioni della Sacra Scrittura e gli insegnamenti della Chiesa riguardanti l'inferno sono un appello alla responsabilità con la quale l'uomo deve usare la propria libertà in vista del proprio destino eterno. Costituiscono nello stesso tempo un pressante appello alla conversione: « Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano! » (Mt 7,13-14). « Siccome non conosciamo né il giorno né l'ora, bisogna, come ci avvisa il Signore, che vegliamo assiduamente, affinché, finito l'unico corso della nostra vita terrena, meritiamo con lui di entrare al banchetto nuziale ed essere annoverati tra i beati, né ci si comandi, come a servi cattivi e pigri, di andare al fuoco eterno, nelle tenebre esteriori dove ci sarà pianto e stridore di denti ». 632 Dio non predestina nessuno ad andare all'inferno; 633 questo è la conseguenza di una avversione volontaria a Dio (un peccato mortale), in cui si persiste sino alla fine. Nella liturgia eucaristica e nelle preghiere quotidiane dei fedeli, la Chiesa implora la misericordia di Dio, il quale non vuole « che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi » (2 Pt 3,9): « Accetta con benevolenza, o Signore, l'offerta che ti presentiamo noi tuoi ministri e tutta la tua famiglia: disponi nella tua pace i nostri giorni, salvaci dalla dannazione eterna, e accoglici nel gregge degli eletti ». 634 NOTE: (629) Cf Mt 5,22.29; 13,42.50; Mc 9,43-48. (630) Cf Mt 10,28. (631) Cf Simbolo Quicumque: DS 76; Sinodo di Costantinopoli (anno 543), Anathematismi contra Origenem, 7: DS 409; Ibid., 9: DS 411; Concilio Lateranense IV, Cap. 1, De fide catholica: DS 801; Concilio di Lione II, Professione di fede di Michele Paleologo: DS 858; Benedetto XII, Cost. Benedictus Deus: DS 1002; Concilio di Firenze, Decretum pro Iacobitis: DS 1351; Concilio di Trento, Sess. 6a, Decretum de iustificatione, canone 25: DS 1575; Paolo VI, Credo del popolo di Dio, 12: AAS 60 (1968) 438. (632) Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 48: AAS 57 (1965) 54. (633) Cf Concilio di Orange II, Conclusio: DS 397; Concilio di Trento, Sess. 6a, Decretum de iustificatione, canone 17: DS 1567. (634) Preghiera eucaristica I o Canone Romano: Messale Romano (Libreria Editrice Vaticana 1993) p. 386. Sia lodato Gesù Cristo. Tutte le citazioni sono tratte dal Catechismo della Chiesa cattolica. Tutte le note sono tratte dal Magistero ufficiale della Santa Romana Chiesa Cattolica ed Apostolica. Carlo Di Pietro (M.S.M.A.) |
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.