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lunedì 30 gennaio 2012

Cinque idee sul caso Viganò

Della vicenda che scuote i Sacri Palazzi non avremmo mai saputo niente senza i mass media «laici». E questo è un tema su cui i giornalisti cattolici sarebbe bene che riflettessero

I quotidiani di questi giorni sono (giustamente) pieni della vicenda di monsignor Carlo Maria Viganò, l'uomo di Curia rimosso dopo aver risanato in soli due anni i conti della Città del Vaticano. Non sto nemmeno a riepilogare la storia, complessa e controversa, rimandando alla buona volontà dei lettori, e nemmeno voglio toccarne la sostanza. Mi limito ad appuntare alcune considerazioni che mi sembra possano essere indipendenti dagli opposti «schieramenti».

Primo. Della vicenda non avremmo mai saputo niente senza i mass media «laici». Checché si possa dire di «complotti» e «strumentalizzazioni» esterne, infatti, non esiste nella Chiesa un sistema di informazione che abbia funzione di «contropotere» - che poi vuol dire anche controllo del potere. E questo è un tema su cui i giornalisti cattolici, che in questi giorni di san Francesco di Sales sono andati in giro a spiegare ai colleghi «laici» come si fa in modo libero e morale il nostro mestiere, sarebbe bene che riflettessero.
Secondo. Nel governo temporale della Chiesa manca anche uno strumento efficace di equilibrio e di controllo reciproco dei poteri. Torto o ragione che avesse, nei modi e nella sostanza, monsignor Viganò ha dovuto indirizzare le sue proteste al cardinale Bertone: cioè alla stessa autorità alla quale secondo lui - sempre a torto o a ragione - facevano riferimento le persone che stavano boicottandolo in vari modi. Ciò rende estremamente difficile reagire in modo trasparente a gruppi di potere (anche moralmente equivoci: ho già parlato in passato delle varie lobby romane) che si siano eventualmente insediati in una struttura di Curia. Non c'è un «garante», non esiste processo d'appello; in ultima analisi non si può far altro che «fidarsi» di chi governa, della sua volontà e possibilità di reagire. Oppure ricorrere al numero tre del mio elenco, qui sotto.
Terzo. Il tritacarne dei pettegolezzi personali viene usato senza alcun riguardo né carità. Articoli anonimi sui giornali servono per mettere in cattiva luce gli avversari e screditarli, si tirano in ballo senza pietà anche le questioni familiari. Altro che «ama il prossimo tuo»... L'immagine è quella di una lotta senza quartiere, ma non un duello onesto e leale, combattuto armi in pugno e tuttavia col coraggio di mostrare la faccia; il contrario! E nella gente resta l'immagine (di questo non può essere data la colpa ai giornalisti) di ambienti ecclesiastici dove covano invidie, sotterfugi, colpi bassi, ipocrisie.
Quarto. La difesa della Chiesa è inadeguata e basata sempre sugli stessi vecchi principi gesuitici del «troncare e sopire, sopire e troncare»: deprechiamo che siano stati resi pubblici documenti riservati, sono i mass media laici che cercano lo scandalo, il Papa ha tutto sotto controllo, le persone coinvolte godono della sua massima fiducia (infatti il monsignore che protestava ha ricevuto un incarico prestigioso), insomma non è successo niente e - se anche fosse successo - ora è tutto a posto. Questa volta si annuncia in più una minaccia di querela, che sarebbe un fatto davvero nuovo per il Vaticano (ma stiamo tranquilli: non la faranno, altrimenti in tribunale dovrebbe andare anche monsignor Viganò a dare la sua versione dei fatti). La sostanza viene affrontata solo per aspetti marginali, e così si finisce per alimentare il sospetto che ci sia davvero qualcosa da nascondere.
Quinto, e ultimo. Dal punto di vista ecclesiale, la vicenda è doppiamente perdente. Non mostra infatti la «differenza» cristiana né nel suo svolgimento vaticano (il che potrebbe anche capitare, talvolta, trattandosi di strutture umane), né nella reazione che ha poi suscitato nel resto della Chiesa; e questo si capisce meno, perché duemila anni di storia dovrebbero pur averci insegnato qualcosa nella gestione dei nostri «scandali»... Invece finora in questa storia non abbiamo saputo mostrare una cifra davvero evangelica, ovvero qualcosa che ci distingua dal modo di comportarsi del «mondo»; siamo come tutti gli altri, anzi talvolta - per esempio nell'applicazione della trasparenza e della gestione del potere - siamo persino più indietro di molti organismi «laici».

ROBE DI RO.BE.
di Roberto Beretta | 30 gennaio 2012 
http://www.vinonuovo.it/index.php?l=it&art=724

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