Diplomatica e combattiva. Le due facce della geopolitica della Chiesa
Nel discorso d'inizio d'anno agli ambasciatori, Benedetto XVI ha taciuto sulla Cina. Ma il Pontificio Istituto Missioni Estere grida a voce alta. E nomina "uomini dell'anno" due vescovi fatti sparire nelle prigioni, in odio alla fede
di Sandro Magister
di Sandro Magister
ROMA, 9 gennaio 2012 – Come ogni anno dopo le feste natalizie, Benedetto XVI ha ricevuto stamane in udienza il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede.
A incontrare il papa, nella Sala Regia del Palazzo Apostolico, c'erano 115 capi missione accompagnati da 60 consorti. Un record: nel 2011 erano stati rispettivamente 112 e 51. Altri 160 diplomatici componevano le delegazioni. A salutare il sommo pontefice a nome di tutti sono stati il decano del corpo diplomatico, l’ambasciatore dell'Honduras, Alejandro Emilio Valladares Lanza, e il vice-decano, il rappresentante del Principato di Monaco, Jean-Claude Michel.
La Santa Sede è seconda nel mondo solo agli Stati Uniti per il numero di paesi con i quali intrattiene rapporti diplomatici. Sono oggi 179, senza contare i rapporti con le organizzazioni internazionali.
Tra i pochissimi paesi nei quali non è accreditato nessun rappresentante pontificio ci sono la Cina e l'Arabia Saudita.
Dall'anno scorso, per la prima volta, gli italiani non sono più in maggioranza tra i nunzi apostolici. E ce ne saranno ancora di meno in futuro, vista la preponderanza di nuovi nunzi stranieri finora nominati da Benedetto XVI.
Il quadro statistico più aggiornato dell'apparato diplomatico della Santa Sede è uscito sul quotidiano della conferenza episcopale italiana "Avvenire", a firma di Gianni Cardinale, domenica 8 gennaio, vigilia dell'udienza:
Nel suo discorso al corpo diplomatico, Benedetto XVI ha riservato una particolare attenzione al futuro delle giovani generazioni in tutto il mondo. Ha difeso la vita nascente e la famiglia, la libertà d'educazione e la libertà religiosa. Ha ricordato le aggressioni ai cristiani in Nigeria e l'uccisione del ministro pakistano Shahbaz Bhatti, cattolico.
Questo è il link al testo integrale del discorso:
Spaziando dal Nordafrica al Medio Oriente, dall'Iraq alla Siria, dalla Somalia ai Grandi Laghi, il papa ha citato per nome i luoghi di numerosi conflitti.
Su altri luoghi critici invece ha taciuto, per una prudenza che è tipica della diplomazia vaticana.
In particolare, non ha parlato della Cina.
La Cina è un paese che detiene molti primati. Uno dei quali è emblematico. È l'unico paese al mondo nel quale due vescovi sono in prigione a ragione della loro fede, e di loro non si sa più nulla, il primo da 14 anni e il secondo da 11.
La Santa Sede non ha mai denunciato questo fatto alla luce del sole, né ha mai reclamato in pubblico la loro liberazione.
Ma l'agenzia on line "Asia News" del Pontificio Istituto Missioni Estere, specializzata sulla Cina e molto letta in quel paese, ha deciso nei giorni scorsi di assegnare proprio a quei due vescovi il riconoscimento di "uomo dell'anno".
Su quel paese che in un prossimo futuro sarà la nuova superpotenza mondiale, è giusto dire la verità intera.
Ecco qui di seguito l'editoriale con cui il direttore di "Asia News" ha reso onore a quei vescovi che si sono immolati per la verità e la libertà.
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IL PREMIO DELL'ANNO A DUE VESCOVI DELLA CINA, MARTIRI SCONOSCIUTI
di Bernardo Cervellera
Alla fine di ogni anno molte riviste e siti web stilano una classifica dei personaggi più famosi, che si sono distinti in qualche opera o hanno determinato l’informazione mondiale. Di solito sono personaggi della politica o della cultura, o un movimento intero, come è quest’anno per la rivista americana "Time", che ha consacrato a personaggio collettivo del 2011 i giovani della “primavera araba” e a tutti i dimostranti del mondo.
Noi di "Asia News" vogliamo fare una scelta controcorrente: dare un premio a chi non è mai stato citato dai media, a chi non ha avuto alcun riconoscimento pubblico, a chi è dimenticato nonostante anni di lotta per la verità, la dignità e la giustizia. Insomma, un premio “all’illustre sconosciuto”.
Come "Time", anche noi vogliamo dedicare un premio collettivo, a due grandi sconosciuti: due vescovi cinesi della comunità sotterranea che da decenni sono stati rapiti dalla polizia e dei quali nessuno sa più nulla.
Il primo è mons. Giacomo Su Zhimin, quasi 80 anni, vescovo di Baoding (Hebei), arrestato dalla polizia l’8 ottobre 1997. Da allora nessuno conosce né l’accusa che ha causato l’arresto, né se vi sia stato un processo, né il suo luogo di detenzione. Nel novembre 2003 è stato per caso scoperto in cura in un ospedale di Baoding, circondato da poliziotti della pubblica sicurezza. Dopo una breve e frettolosa visita dei parenti, la polizia lo ha fatto scomparire ancora, fino ad oggi.
Il secondo è mons. Cosma Shi Enxiang, di 90 anni, vescovo di Yixian (Hebei), arrestato il 13 aprile 2001. Di lui non si sa davvero nulla, anche se i suoi parenti e fedeli continuano a domandare alla polizia almeno qualche notizia.
Essi meritano di essere ricordati accanto a famosi personaggi della dissidenza come il premio Nobel Liu Xiaobo o il grande Bao Tong perché come loro – e da molto più tempo – combattono per la libertà dell’individuo e per la loro fede. In qualche modo essi sono i profeti della dissidenza: primi a subire persecuzione; primi a subire arresti e condanne; primi a lanciare appelli alla comunità internazionale; i primi ad essere dimenticati.
Prima dell’ultimo arresto, mons. Su Zhimin ha passato a fasi alterne almeno 26 anni in carcere o ai lavori forzati, bollato come “controrivoluzionario” solo perché, fin dagli anni ’50, si è sempre rifiutato di aderire all’Associazione patriottica cattolica cinese, che vuole edificare una Chiesa nazionale staccata dal papa. Nel 1996 – da un luogo nascosto perché ricercato – era riuscito a diffondere una lettera aperta al governo cinese perché rispettasse i diritti umani e la libertà religiosa del popolo. In tutto ha già speso 40 anni in cattività.
Mons. Shi Enxiang è stato incarcerato ancora più a lungo: dal 1957 fino al 1980, costretto ai lavori forzati agricoli nell’Heilongjiang, fino a fare il minatore nelle miniere di carbone dello Shanxi. È arrestato ancora per tre anni nel 1983, poi subisce tre anni di arresti domiciliari. Nel 1989 – anno di costituzione della conferenza episcopale dei vescovi sotterranei – viene ancora arrestato, e poi rilasciato nel 1993, fino al suo ultimo arresto nel 2001. In tutto egli ha passato già 51 anni in prigione.
Mentre in Cina crescono le rivolte sociali per la giustizia e la dignità degli operai e dei contadini, vale la pena ricordare questi campioni perché essi hanno lottato come loro e prima di loro per la verità, senza mai imbracciare le armi, spesso da soli, senza il conforto dei network di Facebook o di Twitter.
Vale la pena ricordarli anche perché c’è il timore che il regime cinese li faccia morire sotto le torture, come in passato è avvenuto per altri vescovi cinesi imprigionati (mons. Giuseppe Fan Xueyan nel 1992; mons. Giovanni Gao Kexian nel 2006; mons. Giovanni Han Dingxiang nel 2007).
Allo stesso tempo, vale la pena ricordarli per mostrare quanto è ridicolo il governo di Pechino, che davanti a richieste di personalità politiche internazionale sulla sorte dei due vescovi, si nasconde rispondendo: “Non sappiamo”. Dovremmo credere che il governo, con un gigantesco apparato poliziesco e una superba rete spionistica e di controllo capillare sulla sua popolazione, ignori dove si trovino questi due anziani vescovi, che la cultura cinese imporrebbe di rispettare e onorare?
Il “non sappiamo” è anche la risposta che il Vaticano riceve quando – in incontri privatissimi con qualche burocrate cinese – osa sollevare la questione sui due vescovi scomparsi. Così, per il timore che la loro sorte peggiori, i loro nomi non vengono mai citati nemmeno nelle preghiere per i perseguitati.
La dolcezza vaticana, mostrata finora nel dialogo con le autorità cinesi, non è riuscita ancora a liberare questi vescovi, né le decine di sacerdoti sotterranei che languono nei "laogai", i campi di prigionia cinesi.
Il nostro augurio per la commissione vaticana sulla Chiesa in Cina è che essa ponga la loro liberazione come condizione per far ripartire qualunque dialogo. E la nostra richiesta a chiunque, cristiani e non, è di ricordarsi di questi due anziani campioni della fede, della verità, della dignità dell’uomo.
A loro indiscutibilmente va il nostro premio e soprattutto la nostra gratitudine. Per questo vogliamo iniziare il 2012 con una campagna a loro favore.
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L'agenzia internazionale del Pontifico Istituto Missioni Estere di cui padre Bernardo Cervellera è direttore:
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