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mercoledì 1 febbraio 2012

La gerarchia ha fatto un sogno: non un’altra DC, ma un’altra “cosa”


Sull’ultimo numero de “Il Regno” Gianfranco Brunelli, che è il direttore e l’acuto analista politico del quindicinale dei dehoniani di Bologna, individua con rara chiarezza qual è il disegno della gerarchia della Chiesa sul ruolo futuro dei cattolici al di là del governo Monti.
Dopo aver severamente criticato la generale spinta degli attuali partiti a tornare a un sistema proporzionale fatto di alleanze dichiarate agli elettori non più prima del voto ma soltanto dopo, Brunelli analizza sia lo stato confuso in cui versano il PD e il PDL, sia la pretesa dell’UDC di lucrare un vantaggio dall’attuale assetto, in vista di una futura coalizione neocentrista a sua guida.
Questa ipotesi neocentrista è coltivata, si sa, da un buon numero di esponenti delle associazioni cattoliche e dallo stesso quotidiano della CEI, “Avvenire”. Ma Brunelli sostiene – e lo argomenta in modo convincente – che tale disegno non solo non è condiviso dalle alte gerarchie della Chiesa, ma è da esse di fatto reso difficile da realizzare.
Ecco qui di seguito la parte finale della nota politica del direttore de “Il Regno”:
IL TRIPARTITO? DAL GOVERNO MONTI ALLA PROSSIMA LEGISLATURA
di Gianfranco Brunelli
[...] A rendere difficile l’esito neocentrista dell’UDC è, potrà sembrare paradossale, la posizione [...] della conferenza episcopale italiana e della Santa Sede, che su questo punto sembrano sostanzialmente concordare. [...] Non può essere quello l’approdo. Identificherebbe i cattolici italiani con una corrente. Senza dire che oggi in quel contesto politico abita anche Fini, portatore di una cultura laicista non dissimile, sui temi ecclesialmente sensibili, da quella di molti esponenti del PD.
Le gerarchie ecclesiastiche guardano a un modello europeo, al Partito popolare europeo. In Italia quello schema deve poter mettere assieme PDL e UDC, senza Berlusconi. E dall’altra parte il PD e il resto della sinistra. Il Partito popolare europeo è in grado di riprendere quasi per intero lo spazio politico elettorale che fu della DC e dei suoi alleati e stare pressoché stabilmente al governo, costringendo il PD e le sinistre antagoniste all’opposizione.
Non è la DC. Non è la “Cosa bianca”. È un’altra “Cosa”. Non è un progetto culturalmente avanzato su un piano politico, tale da contribuire a riformare la nostra democrazia. Ma realisticamente può bastare. Del resto, l’esperienza storica della DC è finita con Moro, con la fine simbolicamente alta e drammatica di un’intera generazione cresciuta in Azione cattolica e diffusa in maniera omogenea sul piano nazionale.
Quella stagione è irripetibile. Non c’è oggi un’altra generazione di cattolici posta in condizioni simili. [...] Quello che restava di quella stagione è stato investito con grandi speranze, sotto la definizione di “cattolicesimo democratico”, nell’esperienza dell’Ulivo. E con la fine dell’Ulivo ha avuto termine anche quel “resto”. Fuori da un progetto politico nazionale, sostenuto da una continuità culturale innestata in una grande tradizione, anche il futuro dei cattolici nel PD, dal piano locale a quello nazionale, sarà difficile. Senza dire del riverbero che tutto questo avrà su un piano elettorale per lo stesso PD.
In una compagine di centro-destra moderato, la gerarchia vede non la possibilità di una condivisione generalizzata di valori, ma la possibilità pratica che vi trovi spazio in maniera nuovamente influente una quota di classe dirigente cattolica, tale da salvaguardare alcune posizioni. Le gerarchie ecclesiastiche hanno preso saldamente in mano il pasticcio di Todi e lo ordinano diversamente. In questo senso Todi è il fallimento di quello che rimane dell’associazionismo variamente cattolico.
Del resto l’elaborazione piuttosto rigida della nozione di “valori non negoziabili” è la formula con la quale si prende atto della secolarizzazione dello stesso mondo cattolico e ci si riserva, da parte ecclesiastica, il diritto d’intervenire pubblicamente sui temi che maggiormente interessano la gerarchia e determinare, di fatto, in funzione di quella rigidità, la maggiore o minore vicinanza di singoli e di gruppi alle posizioni della Chiesa. In questo senso non serve più neppure lo strumento dell’unità politica dei cattolici. Ricomincia una storia.

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