ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 31 maggio 2012

In gioco c'è la scelta del suo successore





Sorvegliano il Vaticano
SORVEGLIANO IL VATICANO

L'intelligence: guerra tra fazioni per il dopo Ratzinger. Vecchia guardia contro bertoniani. Il ruolo dei cardinali

GIACOMO GALEAZZI E FRANCESCO GRIGNETTICITTÀ DEL VATICANO
In gioco, come è di tutta evidenza, ci sono gli equilibri più delicati del Vaticano. E lo scontro che si va consumando dietro il Portone di Bronzo riguarda la posta più alta che ci possa essere: la scelta del prossimo Papa. Così la leggono, almeno, gli analisti più fini. Secondo una lettura condivisa anche dall’«intelligence» italiana, è in corso una guerra di posizione tra almeno due schieramenti l’un contro l’altro armati. Da una parte la vecchia guardia, la diplomazia della prestigiosa scuola di piazza della Minerva (Sodano, Sandri). Dall’altra il nuovo che avanza: Bertone e i suoi fedelissimi (Versaldi, Calcagno, Coccopalmerio, Bertello). Che le munizioni siano documenti segreti che finiscono ai media, poco conta.Resta il fatto che i vertici della Santa Sede stanno smottando, una casella alla volta. Tutti gli «infedeli» debbono essere cacciati, nessuno deve rimanere in sella. Prima il segretario generale del Governatorato, l’arcivescovo Carlo Maria Viganò. Poi il presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi.


Non è un mistero che nel mirino dei «corvi» ci sia ora il segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Ieri il Pontefice ha esternato pubblica fiducia verso i suoi più «stretti collaboratori» proprio per puntellare la posizione del suo braccio destro. E’ la gestione bertoniana, però, che avrebbe scatenato la faida dentro la Curia vaticana. Un passo, in particolare. La nomina da parte del Papa di 22 nuovi cardinali nel concistoro del 18 febbraio. Erano mesi che se ne parlava nei corridoi del Vaticano. Ma quando si sono conosciuti i nomi, alla corrente ostile a Bertone è parso chiaro che gli equilibri nel Sacro Collegio stavano cambiando perché molti dei nuovi cardinali erano italiani e molti quelli considerati di osservanza bertoniana. E così un intellettuale cattolico che parla chiaro come lo storico Alberto Melloni spiegava fuori dai denti: «Ormai lo hanno capito anche i sassi, è dentro il cuore del potere curiale che si addensa il grosso delle tensioni e delle insoddisfazioni».


Certo, nel collegio cardinalizio la componente italiana è molto forte, ma da che mondo è mondo i cardinali non hanno mai votato guardando alla bandiera. Gli italiani hanno perso il conclave nel ‘78 e nel 2005 non perché fossero pochi ma perché erano divisi. La maggioranza nel prossimo conclave, dunque, è la vera posta in gioco. Ovvero gli equilibri tra le diverse cordate.

Il tutto in vista di una scadenza che è nella natura delle cose, considerando che Benedetto XVI ha compiuto 85 anni. L’accenno di ieri all’adempimento del suo ministero conferma che Benedetto XVI non ha la benché minima intenzione di dimettersi. Una proposta che il direttore del «Foglio» Giuliano Ferrara, tra gli altri, è tornato a prospettare in questi giorni. «Elucubrazioni giornalistiche», l’ha liquidata il portavoce vaticano Federico Lombardi. Lo stesso Ratzinger, peraltro, non aveva escluso l’ipotesi di dimettersi, nel libro-intervista «Luce del mondo», qualora non fosse più in grado di guidare la Chiesa per impossibilità fisica, psicologica o spirituale, ma aveva precisato che un comandante non lascia la nave nei momenti di difficoltà.


Intanto si annuncia ormai un nuovo concistoro, che si dovrebbe tenere a dicembre e che qualcuno Oltretevere chiama «di risarcimento» perché dovrebbe ristabilire gli equilibri destabilizzati dall’ultima infornata di porporati. Anche gli episcopati nazionali manifestano malumore per la sproporzione tra capidicastero premiati con la berretta cardinalizia e Chiese locali sottorappresentate nel Sacro collegio.

La tempistica della fughe di documenti fa pensare ad un piano predefinito, ma resta da vederne gli effetti. Quanto la «guerra dei veleni» all’interno della Curia romana può accrescere o diminuire le chance di ascesa al Soglio di Pietro di un candidato italiano dopo due pontefici stranieri? Uno scenario sotto osservazione dell’«intelligence» soprattutto da quando un papabile italiano (l’arcivescovo di Milano, Angelo Scola) è in pole position per la successione. «Il Papa non è fuori dalla disputa, alla fine farà giustizia ed emergerà chiaramente chi avrà vinto e chi avrà perso in questa contesa», assicura un cardinale «mediano» tra le due fazioni in lotta. La commissione cardinalizia non fa sconti, tiene «audizioni» con monsignori e porporati, riferisce personalmente al Pontefice ciò che di più grave emerge. L’attenzione è focalizzata in particolare su un cardinale di Curia di lungo corso.


«I cardinali rispondono al Papa, se ci sono problemi seri che riguardano un cardinale sicuramente dev’essere coinvolto - spiega padre Lombardi -. Non può dipendere dal capo della Gendarmeria o dal magistrato inquirente se interrogare o meno un cardinale». La commissione d’inchiesta raccoglie testimonianze e informazioni su Vatileaks, ma è tutt’altro che risolta anche la partita-Ior. Nel «direttorio» della banca del Papa, i cardinali Nicora e Tauran hanno chiesto chiarimenti sulla sfiducia a Gotti Tedeschi. «Non poteva restare presidente: faceva scenate in consiglio e trattava male gli altri componenti laici del board», spiega un banchiere vicino a Bertone. Se l’orizzonte ultimo è il conclave, la tappa intermedia è la segreteria di Stato. A dicembre Bertone compie 78 anni e il Papa potrebbe sostituirlo per pacificare la Curia. A seconda se al suo posto andrà il ministro degli Esteri Mamberti (continuità) o Sandri (cambio di direzione) si capirà quale fazione ha avuto la meglio.


http://vaticaninsider.lastampa.it/homepage/vaticano/dettaglio-articolo/articolo/vatileaks-vaticano-vatican-15563/

Un cardinale esperto di giochi politici le chiamava “pallottole di carta”. C’è di peggio, certo, ma possono far male anch’esse. E del resto è naturale che una guerra iniziata con i giornali (di carta) che pubblicano documenti riservati (di carta) prosegua su carta. Con articoli che, a volte molto bene informati, altre volte disinformati o disinformanti, proseguono, su carta appunto, la battaglia in corso in Vaticano tra personalità l’un contro l’altra armate, tra cordate contrapposte, tra contrapposte anime del cattolicesimo. Con notizie più o meno verificabili, più o meno smentibili, ma tutte piuttosto contundenti. Voci, sospetti, messaggi che rappresentano, da giorni, l’esito inevitabile del libro di Gianluigi Nuzzi Sua Santità. Che la colpa sia tutta, o prevalentemente, del maggiordomo del papa, Paolo Gabriele – formalmente, sinora, l’unico indagato – non lo crede nessuno. Chi propone che si dimetta il papa (magari per far dimettere Bertone), chi chiede un passo indietro a Bertone (e spera che lo segua il papa), chi riferisce che il bersaglio è il segretario del papa, chi il suo segretario di Stato, chi l’intero pontificato (e il prossimo conclave), chi sostiene che i "corvi" e le "talpe" stanno invece difendendo il pontificato dai suoi nemici interni, chi riferisce di altri indagati eccellenti, chi allude, chi suggerisce. Ma - la situazione è delicatissima - finora senza nomi e cognomi. Fino a ieri. Fino a quando l’ottima Fiorenza Sarzanini del Corriere della sera, cronista giudiziaria di razza, ha scritto un articolo che ha fatto sobbalzare più d’uno in Vaticano. Non parla di mandanti, né tanto meno di inquisiti, ma, quando descrive le referenze del maggiordomo del papa, fa, appunto, nomi, cognomi e anche qualcosa di più. Il tutto mentre il papa in persona interviene di petto per denunciare le "illazioni" e blindare il suo segretario personale Georg Gaenswein e il suo segretario di Stato Tarcisio Bertone. E mentre tra inquirenti vaticani e inquirenti italiani prende forma, anche con una certa fretta, un’inedita collaborazione per sciogliere il delicato nodo dell’individuazione di possibili correi di nazionalità italiana. Le indagini, si sa, non vivono solo nei romanzi gialli. E quando entrano nel vivo, possono porre fine agli equilibri – e alle tregue – di carta.
Iacopo Scaramuzzi - 31 maggio 2012


SEI MESI FA QUALCUNO SEGNALÒ LA FAMILIARITÀ DI GABRIELE CON PERSONE ESTERNE ALLA CHIESA

«Così è stato preso il maggiordomo»
In casa dossier pronti per la consegna

Fra i destinatari prelati, cronisti e personaggi inseriti in ambienti cattolici. Denuncia per sottrazione di documenti

Paolo Gabriele, in primo piano, assieme a papa Benedetto XVI (Ap)Paolo Gabriele, in primo piano, assieme a papa Benedetto XVI (Ap)
ROMA - I tasselli che avevano raccolto nelle ultime settimane sembravano combaciare alla perfezione. E così, quando sono entrati nell'appartamento di via di Porta Angelica, gli agenti della Gendarmeria vaticana sapevano esattamente dove cercare, soprattutto che cosa. Erano consapevoli del clamore che quell'irruzione avrebbe suscitato in tutto il mondo e dopo aver ottenuto il via libera delle alte gerarchie, hanno pianificato i dettagli dell'operazione. Nella consapevolezza di non poter fallire. Perché avevano già la conferma che lettere e documenti segreti erano custoditi tra quelle mura dove Paolo Gabriele vive con la moglie Manuela Citti e i tre figli. Ben prima di effettuare la perquisizione conoscevano gli atti che il maggiordomo del Papa custodiva a casa. E avevano la certezza che altre consegne stessero per essere effettuate.
I nomi dei destinatari
L'arresto è dunque servito a impedire che nuove carte riservate fossero portate all'esterno della Santa Sede e, presumibilmente, rese note. Comunque utilizzate in una guerra interna al Vaticano che ha già avuto numerose ripercussioni anche fuori da quelle mura. Misura preventiva che rappresenta soltanto una tappa in questa ricerca della verità avviata dopo la pubblicazione di carte riservate. E potrebbe non essere sufficiente a fermare ulteriori «fughe». Perché la «rete» che si è mossa all'ombra della segreteria di Stato e dell' entourage più stretto dello stesso Papa Benedetto XVI appare in parte ricostruita, però ci sono altri responsabili da individuare, altri presunti colpevoli da fermare.
Le indicazioni già raccolte dagli investigatori coordinati dal comandante Domenico Giani appaiono comunque sufficienti a comprendere quale fosse il «sistema» messo in piedi per veicolare informazioni e atti ufficiali. Su alcuni plichi c'erano infatti annotazioni che riguardano coloro che avrebbero dovuto ricevere gli incartamenti. Prelati, ma anche giornalisti e personaggi ben inseriti negli ambienti del mondo cattolico che avrebbero potuto utilizzare - ognuno con scopi diversi - i nuovi documenti trafugati all'interno degli uffici vaticani. Una catena di cui Gabriele appare soltanto un anello e neanche quello più forte. Ma è proprio per chiarire il suo ruolo che bisogna ripercorrere quanto accaduto qualche mese fa, quando nessuno sapeva che i «corvi» avevano già cominciato a volare.
La vecchia segnalazione
Nei viaggi ufficiali come nella vita di tutti i giorni, nelle cerimonie ma anche durante le vacanze, Gabriele era sempre accanto al Pontefice. E proprio questa sua vicinanza può averlo trasformato in una fonte preziosa per chi - anche soltanto per riempire le cronache giornalistiche - aveva necessità di carpire un dettaglio inedito, una curiosità sulle abitudini private di Benedetto XVI. O forse qualcosa di più, come le indiscrezioni su quanto accadeva tra le alte gerarchie ecclesiastiche, retroscena sugli scontri che si sono consumati in questi mesi, informazioni anche di carattere personale su alcuni prelati. Circa sei mesi fa qualcuno aveva segnalato la eccessiva familiarità di Gabriele con persone esterne alla Chiesa. Ma in quel momento il maggiordomo godeva ancora della massima fiducia e le voci sul suo conto furono presto messe a tacere, addirittura allontanando colui che si era permesso di sospettare sulla sua assoluta fedeltà.
Quando è cominciata la pubblicazione di lettere e documenti su giornali e tv, i sospetti si sono così concentrati sulla Segreteria di Stato. L'ipotesi più accreditata assicurava che proprio da quelle stanze fossero cominciate le «fughe». I controlli, le intercettazioni i pedinamenti si sono concentrati su alcuni funzionari che rimangono sotto osservazione ma nei confronti dei quali non è stata ancora trovata una vera prova. La vera svolta è arrivata quando è stato pubblicato «Sua Santità», il libro di Gianluigi Nuzzi. E si è scoperto che alcune lettere ottenute dal giornalista non erano mai uscite dall'appartamento papale. Dunque, proprio lì bisognava cercare. Nella iniziale rosa dei sospettati sono finiti tutti, comprese le quattro Memores Domini di Comunione e Liberazione che vivono con Benedetto XVI. Ma poi è arrivata l'indicazione giusta, qualcuno parla di una «soffiata» decisiva. E l'attenzione si è concentrata su Gabriele.
Gli altri complici
La scelta di contestargli soltanto il furto e non l'attentato alla sicurezza del Pontefice fa ben comprendere come il maggiordomo sia ritenuto - almeno fino a questo momento - soltanto un esecutore di ordini. Pedina di un gioco più grande che i suoi avvocati assicurano sia disposto a svelare. Mentre c'è chi dice che abbia già cominciato a farlo. In queste ore si è parlato addirittura di una ventina di persone che avrebbero maneggiato e veicolato documenti segreti. In realtà l'indagine si concentra su quattro, cinque persone interne alla Santa Sede con ruoli e mansioni diverse.
Dieci giorni fa con un comunicato pubblicato sull' Osservatore Romano , la Santa Sede ha annunciato la presentazione di una denuncia per «sottrazione e pubblicazione di documenti che rappresenta una violazione dei diritti personali di riservatezza e di corrispondenza di Benedetto XVI, dei suoi collaboratori e dei mittenti di messaggi e fax a lui diretti». Un'iniziativa che avrebbe dovuto coinvolgere le autorità italiane attraverso il ministero della Giustizia, ma che al momento non risulta ancora intrapresa. La scelta sarebbe quella di attendere l'esito dell'indagine svolta dalla Gendarmeria in modo da poter segnalare l'elenco di tutti i cittadini italiani che si ritiene siano coinvolti nella vicenda e che dovrebbero essere eventualmente indagati dalla Procura di Roma. Non solo chi ha pubblicato le carte segrete, ma anche coloro che si sono adoperati per farle uscire oppure hanno accettato il ruolo di mediatori per le consegne. Anelli di quella catena che non appare affatto spezzata.


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