di Jérôme Anciberro
in “www.temoignagechretien.fr” del 23 maggio 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)
“Il procedimento è in corso. Sarebbe prematuro dire quando terminerà”. Queste due frasi,
pronunciate il 16 maggio dal direttore della sala stampa della Santa Sede hanno raffreddato gli
entusiasmi dei tradizionalisti cattolici. O, più precisamente, di una parte di loro.
Iniziate nel 2009, dopo la revoca delle scomuniche nei confronti dei quattro vescovi consacrati
senza accordo del papa nel 1988 da Mons. Lefebvre, le discussioni dottrinali tra il Vaticano e la
Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX) sembravano tuttavia essere arrivate al punto finale il 17
aprile scorso. Mons. Fellay, superiore generale della FSSPX, aveva da poco risposto alla richiesta di
chiarimenti posta dalla Congregazione per la Dottrina della fede (CDF) a proposito del Preambolo
dottrinale consegnato il 14 settembre scorso e che condizionava la firma di un accordo.
Non si teneva conto della notevole capacità degli ambienti tradizionalisti, allineati o meno con
Roma, di mettere in piazza i loro litigi e di mostrare così agli osservatori un'immagine poco
convincente della loro capacità di generare lo spirito di comunione che invece assicurano di voler
promuovere.
il pensiero di Benedetto XVI “impregnato di soggettivismo”
Non si conosce con precisione il contenuto della risposta di Mons. Fellay alla CDF, ma varie lettere
interne della FSSPX sono state diffuse da canali non ufficiali e sono poi finite in internet (1).
Permettono di farsi un'idea delle linee di frattura in seno agli ambienti lefebvriani.
In una lettera del 7 aprile indirizzata a Mons. Fellay, tre dei quattro vescovi consacrati nel 1988 –
Mons. Tissier de Mallerais, Mons. de Gallareta e il “sulfureo” Mons. Williamson – le cui
affermazioni sulle camere a gas erano state in primo piano sui media nel 2009 – comunicavano la
loro “opposizione formale ad ogni accordo”, anche “pratico”, con la CDF.
Per i tre uomini, le autorità ufficiali si sarebbero “separate dalla verità cattolica” a partire dal
Vaticano II. Quanto a Benedetto XVI, il suo pensiero sarebbe “impregnato di soggettivismo”, in
altri termini sottomesso al mondo moderno. Accettando un accordo, la FSSPX si metterebbe, a loro
avviso, “nelle mani dei modernisti e dei liberali”.
Nella sua risposta del 14 aprile, Mons. Fellay, che non è proprio definibile modernista o liberale,
giustifica comunque la prosecuzione delle discussioni rimproverando ai suoi tre colleghi di aver
dimenticato i recenti gesti del pontificato in favore della “Tradizione”, e arrivando a porre loro la
domanda-tranello: “Per voi, Benedetto XVI è ancora un papa legittimo?”
In altri termini, a voler fare troppo “i puri”, i difensori della linea dura sarebbero suscettibili di
cadere nel sedevacantismo, posizione difesa da alcuni gruppuscoli e secondo la quale il soglio di
Pietro sarebbe occupato da usurpatori a partire da Pio XII (o da Giovanni XXIII)...
Nella sua difesa di Benedetto XVI, Mons. Fellay cita perfino Mons. Lefebvre, che assicurava che
“se qualcuno è liberale, non per questo è necessariamente eretico”. Il superiore della FSSPX, in
realtà, ha un'altra finalità: quella di una “guerra intra-muros” che è tanto più possibile in quanto il
movimento in favore della “Tradizione”, a suo avviso, starebbe crescendo, coinvolgendo “un buon
numero (ma ancora minoranza) di giovani preti, di seminaristi e perfino già un piccolo numero di
giovani vescovi”.
Ed esprime questa valutazione: “Ho potuto constatare a Roma quanto il discorso sulle glorie del
Vaticano II che torneranno a ripeterci, per quanto sia ancora sulla bocca di molti, non è però più
nelle teste. Sempre meno persone ci credono...”
la nuova evangelizzazione, un cristianesimo abbastanza degenerato”
Apparentemente, questi scambi di idee hanno abbastanza interessato la CDF al punto da convincerla
a prendersi il tempo di un esame più approfondito, precisando perfino che il caso dei tre vescovi
“ultrà” doveva essere trattato “separatamente e personalmente”. A questo punto della faccenda,
sembra che una nuova frangia dei tradizionalisti integralisti potrebbe anche allinearsi con Roma
attorno a Mons. Fellay, differenziandosi, almeno nella forma, dagli oltranzisti.
Il problema è sapere dove si situa il grosso delle truppe. A giudicare dagli scambi di opinione
pubblici della sfera tradizionalista integralista e da certe informazioni riferite da osservatori attenti,
sembrerebbe che ai tre pastori ultrà faccia riferimento buona parte del gregge.
Il caso della provincia francese della FSSPX, sempre centrale nell'economia generale del
tradizionalismo cattolico, è emblematico di queste tensioni. Nell'editoriale dell'ultimo numero di
Fideliter, la rivista della Provincia francese della FSSPX, l'abate Régis de Cacqueray, superiore
della detta provincia, fa di tutto per rendere impossibile un accordo, proclamando il suo disgusto per
“la nuova religione attuata da mezzo secolo nella Chiesa”, che sarebbe “devastata dalle eresie e da
una vittoria sempre più impudente dello spirito del mondo”. Arriva perfino a parlare dei nuovi
movimenti ecclesiali, punta di diamante della “nuova evangelizzazione” promossa da Benedetto
XVI, come derivanti da un “cristianesimo abbastanza degenerato”.
ispezione romana all'Istituto del Buon Pastore
Da parte dell'Istituto del Buon Pastore (IBP), fondato da Roma nel 2006 per permettere a certi fedeli
“l'uso esclusivo della forma straordinaria del rito romano” (la messa detta tridentina, all'antica), e
che riunisce un buon numero di ex membri della FSSPX, il clima è anche qui teso.
Un'ispezione romana, da cui derivano alcune domande sensibili – non parlare più di “uso esclusivo”
ma di “uso proprio” del rito straordinario; non incentrare più la formazione dei seminaristi dell'IBP
sulla critica al Vaticano II, ma privilegiare “l'ermeneutica del rinnovamento nella continuità” - ha
risvegliato gli ardori combattivi di certi membri, convinti di un tentativo di richiamo all'ordine da
parte di Roma. Un'interpretazione vagamente paranoica che ne rattrista altri, come l'abate
Guillaume de Tanoüarm, una delle grandi figure dell' IBP e del resto fervente sostenitore della
necessità di placare le tensioni tra i tradizionalisti nel loro insieme e il resto della Chiesa.
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, Matyas Rakosi, capo del partito comunista ungherese,
aveva teorizzato la tattica detta del “salame”, consistente nel tagliar via fetta dopo fetta tutta
l'opposizione, fino a che non ne resta più niente. Dopo la Fraternità San Pietro, fondata nel 1988 per
accogliere i membri della FSSPX che avevano rifiutato di seguire lo scisma di Mons. Lefebvre,
dopo i membri dell'Istituto del Buon Pastore nel 2007, una nuova fetta di salame integralista sta
forse per cadere nella bisaccia della Chiesa romana. Sembra però, notate bene, che siano gli stessi
integralisti a maneggiare il coltello.
(1) La maggior parte dei documenti scritti di questa faccenda, e molte altre informazioni, possono
essere trovate sul blog “La crise intégriste” del giornalista Nicolas Senèze.
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