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sabato 19 maggio 2012

Non abbiamo bisogno di teologhe!

Se i cristiani non hanno bisogno dell'anima

Nancey Murphy
NANCEY MURPHY

La tesi radicale della teologa Nancey Murphy a Torino per un convegno sui rapporti tra scienza e religione

FRANCA D'AGOSTINITORINO

Uno dei molti paradossi sull’identità personale che sono circolati negli ultimi anni è il caso dell’anziano e dottissimo professore il quale propone a un suo studente, giovane e aitante ma di scarsa intelligenza, di scambiarsi i cervelli: lo studente riceverà un cervello pieno di sapienza e dottrina, il professore avrà un corpo nuovo e prestante. Già: ma chi rimane con il cervello vuoto e il corpo cadente? La risposta dipende da come concepite l’identità personale: se per voi siamo il nostro corpo, ci guadagna lo studente, se per voi siamo il nostro cervello, ci guadagna il professore.

Per fortuna, i trapianti di cervello sono eventualità ancora lontane. Ma il problema di fondo rimane aperto: chi siamo, in definitiva, se davvero siamo qualcosa? E posto che quel che siamo sia distinto dal nostro corpo, come vuole il «dualismo cartesiano», dove si colloca, esattamente, la mente, o l’anima, o la coscienza? La questione interessa in modo primario la religione, e particolarmente la religione cristiana, da sempre alle prese con un’antropologia complicata e discussa, che prevede strane mescolanze di corpo e spirito, e anime che si addormentano per risvegliarsi nella resurrezione.

In questo quadro è davvero sorprendente la posizione di Nancey Murphy, teologa cristiana, professore al Fuller Theological Seminar di Pasadena, oggi a Torino per l’importante convegno su «Materia, vita spirito» organizzato dal Centro Luigi Pareyson e dal Centro di Cultura Evangelica Arturo Pascal.

Murphy sostiene recisamente: «I cristiani non hanno alcun bisogno dell’anima». Anzi, il cristianesimo è-può essere una religione decisamente fisicalista : può ammettere che siamo anzitutto corpi. Scrive Murphy in Bodies and Souls, or Spirited Bodies ? (2006): «Non c’è bisogno di postulare alcun elemento metafisico addizionale, come fosse un’anima, o uno spirito, o una mente», e aggiunge: «Ciò non toglie che siamo esseri intelligenti, morali, e spirituali. Siamo complessi organismi fisici, per di più formati da migliaia di anni di cultura. Siamo, molto semplicemente: corpi spiritati ( spirited bodies )». Di qui ha inizio il particolare «fisicalismo non riduzionista» di Murphy, una prospettiva in cui la religione non «dialoga» con la scienza, ma anzi si fonda sulla scienza.

In un ambiente come quello italiano, ancora afflitto da inutili guerre culturali, tra scienza e humanities , scienza e religione, il pensiero di Nancey Murphy è una ventata d’aria fresca, non perché la sua posizione sia cauta ed ecumenica, ma al contrario: perché è estrema e radicale, nella sua illuminante originalità.


Naturalmente, Murphy è consapevole delle complesse implicazioni storico-dottrinali che la sua posizione comporta. E tutto il suo lavoro consiste nella paziente elaborazione delle ragioni che possono portare il cristiano a pensare se stesso e il mondo in modo coerente con la scienza e la filosofia contemporanee, e con il comune buon senso. In Did My Neurons Make Me Do It? (2007 con W. S. Brown) Murphy affronta la questione del libero arbitrio nella prospettiva della neurobiologia. Ci sono sempre elementi neuronali alla base delle nostre azioni, ma ciò non significa che siano causa delle nostre azioni. Benché spesso le ragioni dei gesti più estremi degli esseri umani siano disguidi neuronali, spiega Murphy, «non è quasi mai appropriato dire “è colpa dei miei neuroni”».


Ma allora, se è tutto così semplice, perché abbiamo tanta difficoltà a capire come dal nostro essere fisico emergano responsabilità e intenzionalità? Il problema, dice Murphy, è che «nonostante i cambiamenti nella fisica, e della neurobiologia, una larga parte della nostra cultura sta ancora funzionando in base a concezioni arcaiche (newtoniane, cartesiane) della causalità e della coscienza». Ma basta riconoscere che la realtà di cui ci parla la scienza è stratificata e complessa e dalle microparticelle alle società umaneci sono diversi tipi di causazione e agenti causali, per capire che intenzionalità e libero arbitrio non sono affatto incompatibili con il nostro essere fisico.


Bisognerebbe, in altre parole, «chiudere il teatro quando l’attore [l’io] se ne è andato». Molte discussioni filosofiche oggi sembrano in effetti così: strani teatri in cui il pubblico discute, animatamente, di uno spettacolo inesistente, di fronte a un palcoscenico vuoto.

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